domenica 7 agosto 2011

La Neometafisica di Mario Piccolino

di Carmen Moscariello


“Minimale” sembra la parola d’ordine. Un altrove asintomatico di tratti in bianco e nero, sporadico il rosso. Vertigini costruite in un mare senza azzurro, un ritorno all’infanzia del mondo a un non pensiero per trovare nel labirinto di linee crepuscolari un filare minuzioso in gomitoli esemplari di ricerca.
Il laboratorio esclude il decoro e dove è presente il mito che viaggia scarno, fino ad apparire duro, non commestibile in sabbiosa  neometafisica vissuta nell’assoluta originalità della forma.
Opere su cui,dice l’artista, ha lavorato centinaia di ore, quasi un intarsio seghettato, unghiato con  ricamo senza orli, ma che tira dritto verso una severa essenzialità.
Il Mediterraneo nelle sue linee è einfalle elegante, scrupoloso: aforismi per cultori senza vela, ma il cielo e il mare vivono un abbraccio indissolubile e i pesci vagano in staticità d’alloro.
Una promiscuità non solo di cielo e mare, ma anche di uomo e mito, di uomo-pesce, un universo antropologico che nega le distinzioni, carburato solo dal tratto: orizzontale, verticale, spezzato eppure componente un solo tracciato ,un solo canto. E’ un Cristo che si è fermato ad Eboli, senza braccia, ma con gli occhi che vedono chiaro la condizione del cosmo.
Spalancano, le opere  le porte dell’Erebo, ma Euridice rimane sorda, lontana, non vive l’incanto e anche l’artista non nutre illusioni, il canto è refrattario non subisce malie.
Mutos e logos anch’essi sopravvivono grazie al tratto “minimale” per permettere alle speranze dell’uomo una impossibile sopravvivenza.
Schiarisce il sogno in alcune opere, quasi placide, in approdo al bello, ma la sorgente dell’alba presto è prosciugata.
L’arte di Mario Piccolino è una disperata richiesta d’amore, si allontana dal mondo in
pulviscoli, la salvezza non appartiene ai suoi desideri.

giovedì 4 agosto 2011

La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta

Pinacoteca di Gaeta “Giovanni da Gaeta”

9 luglio-11 settembre

Relatore Prof. Marcello Carlino (Università La Sapienza)

Di

Carmen Moscariello

Quella generazione del 15 e del 17 ebbe del divino! La terra fondana partorì miti che dureranno nel tempo, anzi il tempo gli darà più forza e vigore.
”Che cosa felice-scriveva De libero a Guido Ruggiero- il bel quadro degli Amici nello studio che Menico ha impiantato”. Nel quadro sublimato dalla staticità  si vedono: Domenico Purificato, Libero De Libero, , Peppe de Sanctis, Pietro Ingrao, Guido Ruggiero,  Leopoldo Savona, Don Danino Di Sarra, Marcello De Vito, Nino Peppe e i fratelli del maestro Adelmo e Oddino,(si fondono nel quadro amicizie e parentele di sangue).

E’ questa la generazione dei grandi che Fondi partorì in un’età felice che fece dire al filosofo Franco Lombardi che ci troviamo di fronte” alla cultura della Fondanità”.

Chissà chi di loro fu il caposcuola? De Libero, Purificato , certamente uno di loro aprì la porta alla fama e alla gloria, tirandosi dietro gli altri.
A Roma alla galleria “La cometa” trovarono  giusta allocazione: Il pittore, il poeta, lo scrittore, il regista, il grande politico (purtroppo in questi giorni Ingrao è ricoverato in ospedale a Fondi).

Lì si confrontarono con Valery, Strawinski,Cocteau, Cagli, Mafai, la loro straordinaria umanità trovò giusta armonia.
Ma, soprattutto Purificato non si dimenticò mai di Fondi, la onorò con mostre, incontri con i più grandi personaggi del suo tempo, col teatro, con la letteratura.

Chi scrive ricorda bene Guido Ruggiero, Peppe de Sanctis, per essi ha scritto più volte e da essi ha appreso aspetti importanti della vita e dell’opera di Purificato e di De Libero.
Oggi al Maestro, presenti i figli dell’Artista, Gaeta ha dedicato una mostra  e in particolare espone in modo trionfale nella prima sala “La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta”, tela spettacolare, dove placido si poggia il mistero del tempo nella magica attesa di un altrove  senza veemenza.

L’arte di Purificato vibra di compostezza. Nei visi tessuti dalla terra l’urlo è smorzato  e il corpo placido della donna si espone in tutta la sua sensualità e bellezza.
L’opera va letta nella sua coralità, fa ricordare la coralità della Cavalleria rusticana, qui, però, con la morte  aleggia senza planare. I molti personaggi sorprendono per l’armonia che esprimono.

E’ la coralità che annulla le differenze tra uomini e donne tra Cristo e l’Universo con le sue piccole fragili creature, smorzato è il dolore e la morte  è senza falce, accoglie in amorevole abbraccio Pulcinella. La stessa guerra che è la causa del male appare dimenticata, fuori dalla porta.
L’opera è stata presentata dal prof Marcello Carlino, che ha incantato  il folto pubblico con la sua dettagliata prolusione .

Ha fatto precisi e condivisi riferimenti a certo Novecentismo, quel movimento estetico della Generazione del 14  a cui aderirono tra gli altri Sironi e Funi.
Un’arte tesa non solo ad esigenze estetiche, ma anche sociali. Non a caso il prof. Marcello Carlino ha posto l’accento su due punti essenziali: il mito e la storia.

Aggiungiamo, a nostro avviso che certe  forme plastiche dell’opera riportano a Velazquez e in particolare a una delle sue opere più grandi: Las Merinos, i personaggi per la grande opera di Purificato sono posizionati quasi tutti alle spalle dei due protagonisti principali (la donna  col seno denudato e Arlecchino, quello in primo piano, poiché nell’opera ne appaiono più di uno ). Un linguaggio austero, dunque stemperato dai colori forti che aprono alla magia del mito.
Margherita Sorfatti (collaboratrice di Mussolini) parlò nella mostra sul Novecentismo inauguratasi a Milano nel 1926 di realismo magico e di nuovi miti.
Sembra che Purificato voglia effettivamente rispondere a canoni precisi e a valori umani, sociali, religiosi, riscontrabili in modo dettagliato anche sulla rivista “Novecento” di Bontempelli.