sabato 30 giugno 2012

Il levriero, e la sua eternità, viaggiano nel mondo


 
Il Levriero fondato e diretto da Carmen Moscariello è nato nel 1999 come rivista cartacea culturale e politica, già di prestigio fin dall’inizio, ha proseguito le sue pubblicazioni, ai tempi di internet, trasformandosi in blog.
Pagine prestigiose sulle quali sono approdati importanti nomi della cultura nazionale e internazionale. Ugo Piscopo, Renato Filippelli, Aldo Masullo, Aniello Montano, Paolo Saggese, Attilio Marinari, Diego Gianiglia, Virginio Gambon,Giorgio Agnisola , Geppino D’Alò, Mary Attento,Geppino Bruno (curò per la rivista cartacea la storia politica della città di Minturno dal dopoguerra in poi), Franco Silvestri, Domenico Rea, Marina Argenziano, Guido Del Giudice, Anthony Ellenj Mithon, Ninnj Di Stefano Busà, Biagio Scognamiglio, Silvano Cuciniello, Paola Irene Galli Mastrodonato e centinai di altri autori che sarebbe molto lungo elencare. Il Levriero ha portato alla ribalta opere importanti di poesia e di pittura lasciando ampi spazi alla pubblicizzazione gratuita di importanti eventi. Il blog pur non avendo mai ricevuto contributi da nessuno, è alla ribalta ed è frequentato da diversi paesi e non solo dall’Italia, accedono assiduamente lettori americani e tedeschi, ma anche inglesi e recentemente consultazioni vengono anche dall’India e dall’America. Carmen Moscariello ringrazia per la sua entusiastica collaborazione anche la dottoressa Barbara Vellucci. Si insegue un sogno di bellezza che si vorrebbe abbracciasse il mondo intero.

venerdì 29 giugno 2012

Carmen Moscariello, "Figlia della Luna" - di Paolo Saggese




Ho conosciuto la poesia e una parte dell’opera di Carmen Moscariello grazie alle segnalazioni prima di Virginio Gambone e quindi di Ugo Piscopo, che hanno in vario modo sottolineato tanto l’impegno più genericamente intellettuale della scrittrice tanto la sua produzione più spiccatamente poetica. Docente di materie letterarie, giornalista pubblicista, collaboratrice de “Il Tempo” da quasi venti anni - per la prestigiosa testata ha scritto più di mille articoli -, del TG 3 Lazio, di “Oggi e Domani”, di “Nord Sud”, dell’“Avvenire”, è direttrice e fondatrice de “Il Levriero”, mensile di politica e cultura, fondatrice e presidente del Premio di Poesia “Tulliola”alla sua XXIedizione.
È autrice, tra l’altro, di numerosi saggi dedicati alla poesia tedesca dell’Ottocento, alla letteratura italiana e inglese del Novecento: tra i suoi autori si segnalano Hemingway, Amelia Rosselli, David Maria Turoldo, Pier Paolo Pasolini, Domenico Rea, Attilio Bertolucci, Renato Filippelli, Cristina Campo, Ugo Piscopo, Alda Merini. Inoltre, ha scritto e diretto pièces teatrali in versi, tra cui “Proserpina, tre atti preceduti da un preludio” (Bastogi, Foggia, 2003), prefazione di Aldo Carotenuto, “Eleonora dalle belle mani. Dialogo segreto tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio. Opera drammatica in tre atti”, Prefazione di Renato Filippelli, Postfazione di Alessandro Petruccelli, Bastogi, Foggia, 2005, “Giordano Bruno Sorgente di fuoco” Guida Editore, Napoli 2011, prefazione di Aniello Montano, postfazione di Ugo Piscopo e Ninnj Di Stefano Busà. Per le opere letterarie “Friedric Holderlin , tra lirica e filosofia ”Lucarini-scuola, Roma 1988, prefazione di Renato Filippelli; “Il presente della memoria” Publiscoop-Edizioni scuola, Sessa Aurunca 1994 e “Il tempo dell’infinito silenzio e lo spazio infinito dell’amore in Imzad e Lettere a Natascha , Ripostes, Salerno 1989.
Come poetessa si segnala in particolare per la raccolta “Gli occhi frugano il vento” Bastogi, Foggia 1990 “Figlia della Luna” (Formia, 1998), Non è tempo per il Messia, Guida Editore, Napoli 2012, prefazione di Ugo Piscopo, Introduzione di Ninnj Di Stefano Busà, postfazione di Americo e Giuseppe Napolitano, cui sono seguite pubblicazioni di componimenti in rivista. Molta di questa produzione è comunque ancora inedita.
Per la raccolta “Figlia della luna”Il senso è dunque del titolo, è chiarito opportunamente dalla citazione leopardiana dell’incipit de “La sera del dì di festa”, e dalla Prefazione, in cui Carmen Moscariello scrive: “Non so se chi coniò per me l’ espressione ‘Figlia della Luna’ pensava alla bellezza dei versi del Leopardi dedicati alla Luna, o se, piuttosto, la mia passione nel contemplare il cielo e il mio sussurrare alla notte, l’abbiano convinto della opportunità e assonanza (con la mia anima) di questo nome. Sta di fatto che io me ne sono appropriata. (p. 7).
Tuttavia, questo dialogo con la Luna, diversamente da quello leopardiano, “mi comunica una sensazione di levità, di danza, di gioia nella notte e, quando questo suono rivisita con l’amore il mio cuore, ecco che il mistero mi prende per mano, ancora per insegnarmi nuovi percorsi, nuovi versi lievi come i sospiri, leggeri come le lacrime” (ibidem).
Una identificazione, seppure soltanto parziale, con la “sua” eroina Eleonora Duse può essere colta in questa frase: “La sua arte [i. e., della Duse] si nutre dei colori lunari, di atmosfere grigioperla, di silenzi, di amori, di incontri …” (da Introduzione dell’Autrice, in Eleonora dalle belle mani, cit., p. 10).
La scrittrice è, comunque, anch’essa una delle irpine della diaspora, come i tanti intellettuali ospitati in queste pagine, e perciò una parte di questi versi è rievocazione di un tempo e di un mondo passati, della madre, dei luoghi, della Montella dell’infanzia, che ha subito le trasformazioni degli anni e la ferita del terremoto. Una donna con la nostalgia del suo mondo: “Non ho niente da dire in questo autunno / Non sento il pianto delle foglie / né il tonfo veloce delle castagne // Vellutato il profumo del riccio che si apre / al premere esperto del mio piede di donna // Non ho niente da dire a questo autunno / solcato da rondini che sempre migrano chissà dove // Le vedo sui vecchi fili della luce del mio paese / tutte in attesa. Loro partono senza rimpianti, senza ricordi” (p. 35, con in esergo “Montella, San Francesco 1990”). Questa terra dell’infanzia è un luogo dove “Sedermi finalmente e posare lontano il sacco della vita // Riscaldare gli occhi al focolare antico / nella mano calda di mia madre // Nella vallata antica il vento punta il suo cavallo” (p. 53).
La raccolta è divisa in sei parti (“Anima di mare”, “Dafne e la pioggia d’oro (Ovvero degli amici)”, “Figlia della Luna”, “I giorni che ho atteso”, “Djerba”, “Remembre Samos”), che raccontano alcune delle pulsioni principali dell’autrice, le sue figlie, la loro vita, gli amici, i ricordi, le illusioni, le attese, i viaggi, le scoperte, l’amore, le incertezze, i dubbi, il male, la morte, la guerra, il confronto con la letteratura e il mito.
La “Figlia della Luna” non ha dalla sua Madre certezze sulle grandi questioni della vita, la poesia è riflessione, consolazione, ricerca, passione e sentimenti, che sfuggono alla ragione o che non aiutano a quadrare il cerchio, a indicare l’anello che non tiene. E così, riecheggiando ancora Montale, alla figlia per i suoi diciotto anni, scrive: “Non chiedermi, mia piccola Lara, dov’è il bene? / […] // Non chiedermi, Figlia, dov’è il bene. / So che lottai per difenderti dal male // Io ti insegnai ad ascoltare la gioia dei monti / e la stretta della mia mano ti sostenne davanti alla paura. // Più non potrei, Lara, / ma un sorriso / tu ancora regalami” (da “A Lara per i suoi diciotto anni”, p. 28).
I giovani e il male che distrugge sono parte importante di questa poesia (“Siamo anche noi responsabili delle stragi e delle guerre / del mio alunno che muore divorato dalla droga”, p. 30); non a caso, tra l’altro, anche la pièce “Eleonora dalle belle mani” è dedicata “Ai miei passi nel sole: / le mie figlie, i miei alunni”.
Accanto al fascino dell’infanzia e della terra d’origine è quello provato per la Grecità, con toni che richiamano Quasimodo, Kavafis e la letteratura neogreca del Novecento, ma anche la classicità, Saffo, Apollonio Rodio, il mito degli Argonauti. La Grecia diviene simbolo della vita umana, della stessa esistenza: “È una ferita il canto del cuculo / (remembre Samos) // Qui lontano // Il cuore raccoglie il pianto dell’ultimo sole // Settembre non chiede carezze / solo questa pioggia che lava i pensieri / e brucia sull’erba rasa” (p. 76).
Accanto alla profondità intima, alla visione lieve ma anche dolorosa dell’esistenza, alla ricerca del senso ultimo della vita, in questa poesia colpisce la raffinatezza dello stile, la ricercatezza linguistica, il gusto musicale della scansione anaforica di parole e “iuncturae”, l’idea che la poesia, attraverso la parola, se non dia Verità, almeno contribuisca a un “sentire” oltre l’esistere, a propiziare il dialogo tra gli uomini, a evocare ciò che non è più e a farcelo assaporare nel giusto modo, come parte della nostra esistenza sebbene ormai passata.
La magia di questa scrittrice è in tutto ciò.

martedì 26 giugno 2012

"Io dirò la verità" - Guido Del Giudice



I "vù cumprà" della cultura

Questo video pubblicato su youtube  mi impone di tornare sull'argomento delle "bufale" in rete, che avevo avuto modo di affrontare nel mio editoriale di fine anno.  Avevo già segnalato la speculazione su questo "omonimo contemporaneo" del Nolano, autore dei versi contenuti nel video. Difficile dire se sia lui stesso l'autore del filmato o qualche incauto ammiratore del filosofo, caduto nell'equivoco.
Oltre alla superficiale leggerezza con cui parecchi attribuiscono a Bruno parole, versi e addirittura predizioni, che non gli appartengono, negli ultimi tempi si è andato diffondendo, specie su Facebook,  l'ancor più preoccupante fenomeno della frammentazione aforismatica delle sue opere, per avallare o sostenere le cause più diverse. Ed ecco che la vasta produzione filosofico-letteraria del Nolano viene depredata indiscriminatamente di immagini, versi e frasi, che vengono offerte a buon mercato al primo che passa come il variopinto ed eterogeneo campionario di un "vù cumprà". Il fenomeno è la naturale conseguenza da un lato del crescente appeal esercitato dal pensiero del filosofo e, dall'altro, della misconoscenza del reale contenuto e significato delle sue opere. E' il segnale, insomma, di una crisi di crescita, che testimonia l'aumento, soprattutto tra i giovani, dell'attenzione per questo straordinario personaggio. Sapete quanto io creda fermamente nel web e sono convinto che i social networks, se utilizzati con attenzione e senso critico, svolgano oggi una funzione informativa ed educativa di primo piano. E' necessario però che chi conosce a fondo il Nolano non lo abbandoni indifeso nelle mani di fans sprovveduti, anche se animati da buone intenzioni, mettendo a tacere la propria coscienza con l'alibi del livello culturale eterogeneo del pubblico dei social networks.  A tal proposito, devo recitare anch'io il mea culpa per aver incoraggiato e supportato, nel loro avvicinamento a Bruno, alcuni soggetti che hanno utilizzato le conoscenze acquisite, dedicandosi ad una diffusione di elementi fondamentali del pensiero bruniano, che pensavo di aver illustrato loro sotto la giusta luce, per fini di proselitismo ideologico totalmente estranei al messaggio bruniano. Ciò nonostante non rinnego queste esperienze, che sono in ogni caso servite a incanalare al servizio della Nolana filosofia, energie e capacità per altri versi apprezzabili e feconde. Ciò mi rende ancor più consapevole della necessità di proseguire sulla linea della esplicazione in termini più accessibili dei significati del pensiero bruniano. Soltanto l'attento studio di quella che, più che una filosofia, rappresenta uno stile di vita, potrà maturare nei tanti proseliti del Nolano quel senso critico che eviterà loro di abboccare a simili manifestazioni degenerative. E' una strada irta di ostacoli ma, vi assicuro, foriera di grandi soddisfazioni.
Guido del Giudice



http://www.giordanobruno.info/nolano/editoriale2012.htm

Ricordo di Padre Anthony, apostolo della tolleranza, tra Gandhi e Giordano Bruno

La notizia mi giunge dalla voce asettica di una collaboratrice. che risponde dopo giorni di tentativi infruttuosi, non lo nascondo ispirati da un interiore presagio, al numero del suo cellulare: il 4 ottobre scorso, nel giorno consacrato all'amato San Francesco, Anthony Ellenjimjttam ha abbandonato il suo involucro terreno. L'avevo incontrato sei mesi prima, ad Assisi nella sede della sua fondazione e subito quell'alchimia spirituale che ci aveva fatto conoscere e poi spinti all'incontro, si era rivelata in tutta la sua magia. Di Lui mi colpirono subito l'ideale irenistico, e soprattutto l'intelligenza e la serenità che emanavano quei suoi occhi magnetici.  Mi accolse nel caos di una stanza colma di vecchi libri, un pc acceso semisepolto da scartafacci e manoscritti che rappresentava la sua porta sull'universo, dalla quale era entrato un giorno con una e-mail nella mia vita. Ma ciò che mi colpì in modo particolare fu quella valigia, ancora o già chiusa, fate voi, alla quale appoggiava le membra stanche. Mi diede l'idea di un essere in viaggio da tempi immemorabili verso un mondo superiore. Parlammo di tutto, come se ci conoscessimo da sempre. Gli donai una copia della mia “Coincidenza degli opposti” e Lui ricambiò con alcuni dei suoi libri. Quando li ho letti ho capito che le cose che abbiamo scritto, ce le eravamo già dette prima di incontrarci. Lui mi parlò di quel salto di livello energetico che ti fa sentire all'improvviso in una sfera superiore. In questo era molto davanti a me e non solo per i suoi 96 anni. Mi raccontò, a grandi linee, il suo eccezionale percorso esistenziale, che lo aveva portato a far la spola tra il cattolicesimo domenicano e l' India, tra Bruno che mi confessò di amare dai tempi della Minerva, e Gandhi, che aveva visto fucilare davanti ai suoi occhi. Quando gli domandai dove avesse trovato i fondi per realizzare le sue numerose iniziative filantropiche e culturali in India e in Italia, mi rispose col suo calmo sorriso. "Se credi davvero in qualcosa, inizia a lavorarci, il resto verrà!". Ebbi l'impressione di trovarmi di fronte alla filosofia nella sua espressione più pura ed estrema, quella di colui che si è ormai liberato dalle coercizioni del vivere quotidiano e tutto concentra nella diffusione del proprio messaggio. Il suo corpo sembrava una crisalide sul punto di spezzarsi, per lasciar libero l'impalpabile volo di un'anima ormai troppo leggera.
Lascio che siano direttamente i messaggi che mi hai inviato, nella loro semplicità ed immediatezza, ad esprimere, molto meglio delle mie parole, la tua sintonia con la "filosofia perenne" del Nolano. Non dimenticherò il tuo passaggio Anthony, "Anima affine"!

domenica 24 giugno 2012

"Lo sguardo di Magnelli" - Giorgio Agnisola


di Giorgio Agnisola
Responsabile ufficio stampa Dott.ssa Giornalista Mary Attento


Quando Alberto Magnelli, uno dei riconosciuti protagonisti dell’Astratti- smo europeo, decise nel 1935 di passare definitivamente all’astrazione era già un artista maturo, aveva alle spalle un consolidato percorso artistico.
Era giunto alla cifra estratta attraverso un maturare lento, meditato, riflesso in diversi passaggi della ricerca e delle implicite tensioni interne. Invero, all’astrazione, per una breve stagione, quasi un’anticipazione del suo più conosciuto registro di stile, l’artista era già approdato nel 1915. Erano gli anni del primo aprirsi all’astrazione dei fondatori, da Wassily Kandinsky a Kazimir Malevicˇ, a Piet Mondrian. L’Astrat- tismo era il contraltare per certi versi del Cubismo, che pure in quegli anni, accanto alle ultime magie secessioniste e alle nuove istanze espressioniste, con Picasso e Bra- que aveva fatto il suo ingresso sulla scena artistica internazionale. Con l’astrazione, in particolare, l’arte si apriva allo spirito della forma, ambiva a diventare la forma dello spirito. Kandinsky fu il teorico dello spirituale nell’arte, Malevicˇ vedeva nella geometria un accesso simbolico e persino mistico all’invisibile. I pregressi sono noti. Tutto ciò che nel primo Novecento è stato definito avanguardia risiedeva già nelle ricerche impressioniste e postimpressioniste e soprattutto nella lezione cézanniana. In questo contesto Magnelli si orientò come un attento osservatore, senza perdere la sua identità, senza lasciarsi convincere da questa o quella sperimentazione. Nelle sue prime opere, quelle degli anni Dieci, testimonia con evidenza la sua inclinazione per una sintesi visiva in cui sensibilità e rigore possano coniugarsi in un unico tessuto espressivo : una sintesi compiuta fin dalla sua formazione.
Le opere esposte nella presente rassegna recuperano in un organico percorso tutti i passaggi dell’arte magnelliana. Costituiscono, anche relativamente alle tecniche e ai materiali adoperati dal maestro, una opportunità straordinaria di cogliere nella sua globalità il suo profilo artistico, al di là dei riferimenti linguistici coevi, nel profondo
di una storia personale. Se l’arte di Magnelli, infatti, approdò nell’alveo della ricerca astratta e questa è il principale distintivo del suo lavoro, in realtà la sua opera non può essere letta parzialmente. Anzi è proprio dall’analisi dell’intero percorso artistico che è pos- sibile comprendere le proprietà e l’originalità del suo linguaggio.
In effetti, per tutta la vita Magnelli ha coltivato nella memo- ria interiore lo sguardo dei viaggi giovanili nella sua terra, sulle tracce dei maestri del Trecento e Quattrocento toscano. Il suo spi- rito era attratto in particolare dalle opere di Piero della Francesca, di Masaccio, di Paolo Uccello, di Andrea del Castagno, da quel- l’aura che emana dall’equilibrio rigoroso delle forme : forme pie- namente visive, ma capaci di evocare l’invisibile. Ciò corrispondeva al suo sentire pacato, intenso, lucido, misurato. Magnelli era in particolare interessato all’articolazione formale ri- flessa nella visione d’assieme, in cui segno e colore contribuissero a un preciso obiettivo : rappresentare il miracolo visivo connesso con un ordine dello spazio interno. Questo era stato in fondo il
percorso privilegiato dei costruttivisti e in generale dei primi grandi dell’astrazione europea. Ma Magnelli seguiva una via autonoma. Se si osserva la sua arte astratta, nei suoi passaggi temporali, ci si rende conto del rigore dei suoi assetti estetici, ma anche della qualità della loro risonanza in termini emotivi e psichici. Una qualità particolarissima, che apparentemente non concede nulla alla espansione emotiva, che sembra rigidamente legata a un assetto formale, e che tuttavia è sempre forte- mente risonante, espressione di una interiore armonia. In realtà Magnelli è come se si ponesse sul punto di equilibrio tra interno ed esterno della forma e della visione, tra il dentro e il fuori. La sua articolazione dello spazio è preliminare. Lo stesso artista chiarisce nei suoi pensieri che dà un’importanza capitale al disegno, non come bozza, schizzo, ma come progetto. In realtà è come se prefigurasse l’opera, la leggesse nello spazio della mente, come una visione. Persino nelle Pierres degli anni ’31-’34, che paiono a primo sguardo articolate secondo un’architettura di posizioni relative e reciproche, si avverte che a ordinare gli “assetti esplosi” è una tensione interna e persino lirica, oltre che estetica.
Per converso, nelle opere del cosiddetto “Realismo immaginario” (1920-1931), come del resto in quelle della produzione successiva agli anni Trenta, si coglie una tensione visiva che sembra restare fuori, non penetrare la forma. Pure presuppo- nendo l’oltre, le rappresentazioni dell’artista sono in realtà quasi sempre giocate in uno spazio piano, raramente sono approfondite nelle masse, anche quando rico- struiscono contesti che paiono prospettici o esaltano la forma o la scansione dei
piani. È come se Magnelli rivestisse la materia, presupponendo un dentro senza violarlo. Una tale modalità compositiva deriva forse proprio da quella classicità coltivata nello sguardo negli anni
giovanili e che l’artista sente come riverbero di una perfezione e altresì di un mistero dell’esistenza che si percepisce al di là dello sguardo. Nel “Realismo immaginario” le figure non si muovono
in uno spazio, sono esse stesse spazio, fanno cioè parte di una architettura che le contiene. Ciò non esclude un loro assetto simbolico ed eventualmente un suggerimento psicologico, ma nell’insieme sono inseparabili dalla struttura dell’opera. I loro contorni sono della stessa tipologia di quelli degli elementi naturalistici eventualmente presenti nell’immagine; il colore riveste le figure con la stessa modalità con cui riveste il loro contesto. Si tratta, del resto, di figure pensose : gli sguardi in genere sono assorti, come bloccati in una fissità atemporale. Nella loro rappresentazione si sente la lezione metafisica, ma c’è anche qualcosa di diverso. C’è un equilibrio raro tra quel mondo misterioso, fissato nel tempo e oltre il tempo, e l’ambito visivo che lo contiene. Di fatto, quando l’artista innesta le figure nello spazio naturale (le opere raffigurano di solito esterni, con lo sfondo della sua terra toscana) non è una natura che l’artista rappresenta, ma un contesto astratto di essa, una sua proiezione nell’immaginario. 


Donna con ventaglio, 1917

Una foto di Magnelli riportata nel catalogo di una esposizione dedicata a “Les pierres” (1931-1935), promossa dalla galleria Sapone di Nizza, con una luminosa préface di Italo Calvino, ritrae l’artista ormai anziano. Lo sguardo è mite, lievemente introverso, con un’ombra di malinconia. Uno sguardo segnato come da una me- moria lontana e tuttavia attentissimo, lucido, inoltrato nel presente. Magnelli è qui, in quel suo leggere il mondo reale come in trasparenza, per coglierne quei fili sotti- lissimi, quelle rappresentazioni metaforiche che lo raccontano nell’equilibrio intimo e rigoroso della sensibilità e della immaginazione. Per certi versi la sua ricerca appare opposta a quella di Malevicˇ, ad esempio, che punta invece, decisamente, al supera- mento della realtà e alla sua ridefinizione in uno spazio ulteriore e simbolico. In Magnelli c’è come un continuum indecifrabile, tra mondo esterno e mondo interno, tra realtà e immaginazione Del resto l’artista toscano era pervenuto, come si è scritto, all’astrazione lungo un percorso lento e inevitabile di maturazione; d’anima prima che visiva. 

 
GLI ESORDI
Le opere degli anni dieci, quando l’artista era poco più che ventenne sono fondamentali per comprendere il suo cammino. Esse sono stilisticamente varie. Lo sono anche riguardo al soggetto e in qualche misura anche riguardo alla tecnica. Alcuni spunti sono postimpressionistici, soprattutto i primi, o evocano le ricerche vangoghiane e matissiane. Sono essenzialmente paesaggi, figure, nature morte. Talora si attestano su echi secessionistici o evocano un singolare sintetismo. Un’opera su tutte appare interessantissima. È un paesaggio di neve, con un gruppo di case raggiunte da un sentiero con staccionata. Il cielo è pressoché compatto, di un colore tendente al blu, appena ammorbidito da un leggero fioccare. La profondità è data non tanto dal gruppo delle case, rappresentate schematicamente nei loro volumi, quanto dal gioco delle diagonali che a ben guar-
dare formano una sorta di “s” che viene dal primo piano, nello spigolo sinistro, per perdersi in alto, all’incirca nello spigolo destro dell’opera. È questa spezzata a fungere da spazio prospettico. La spinta astrattiva è evidente, soprattutto se si osserva che lo sfondo è indifferenziato, campito con tinta uniforme, al di là della lieve polvere che conferisce all’immagine un’aura di irrealtà e restituisce un’implicita sensazione di distanza. Il villaggio è chiuso in un suo impenetrabile e misterioso silenzio. In quel mistero c’è tutta la forza di un confronto con l’osservatore che inevitabilmente vi si rapporta. Ma se l’opera appare assolutamente distante, altresì cattura lo sguardo, che metaforicamente si proietta verso un mondo ulteriore. Questo modello di rappresentazione dell’invisibile nelle forme astratte sarà con poche varianti il segno fondante di tutta l’arte di Magnelli. Un modello che, vedremo, sarà in fondo alla base della stessa arte figurativa del maestro, degli anni tra il 1920 e il 1930. 

Due personaggi, 1918

Ciò che balza all’occhio nell’opera appena letta è la struttura dell’immagine, che a ben guardare è sostanzialmente lineare. E’ difatti il disegno il presupposto fondamentale dell’opera, come ha puntualizzato Nathalie Vernizzi1 nel catalogo della mostra realizzata nel 2002 a Milano, presso la Galleria d’Arte Moderna. Un disegno che non è solo un preliminare, uno schizzo, ma un vero e proprio progetto. Magnelli delinea una forma con pochi cenni, precisando a se stesso le linee fondanti del suo lavoro. Definisce con la linea non tanto o almeno non solo le forme esteriori quanto le linee di tensione, l’articolazione dell’opera. Nel disegno indica con precisione i colori e li annota con rigore. Se ha un ripensamento non imbratta il foglio, semplicemente segna un frego sulla indicazione precedente e riscrive il colore. Insomma l’artista, pur dialogando con i suoi compagni di viaggio nella Firenze della “Voce” e di “Lacerba” (dove stringe amicizia con i maggiori intellettuali del tempo, da Soffici a Papini, a Palazzeschi), in realtà “segue già un percorso individuale e introspettivo”.  Tra il 1913 e il 1914 guarda più attentamente le novità del Cubismo e del Futurismo, le rielabora, senza assecondarle, secondo un personale registro di linee curve e spezzate che delimitano spazi fortemente cromatizzati. Il dettato visivo si schematizza fino alla pura descrizione di linee essenziali e di colori uniformi nella originale serie di sei opere che hanno per soggetto il Teatro Stenterello di Firenze. 

L’OPERA ASTRATTA DEL 1915
La prima fondamentale svolta dell’opera di Magnelli accade nel 1915. L’anno prima aveva accompagnato l’amico Palazzeschi nella capitale transalpina. Aveva avuto l’opportunità di frequentare i nomi maggiori delle nuove ricerche, da Picasso a Gris, a Matisse, a Léger, Braque, Delaunay, De Chirico. Aveva ritro- vato il vecchio amico Ardengo Soffici e avuto modo di mostrare alcuni disegni al vate Apollinaire, ricevendone un sicuro e incoraggiante apprezzamento. È l’equilibrio tra la linea curva e quella spezzata a costituire la trama dei suoi primi quadri astratti. Nelle opere già si legge quella sottile tensione all’armonia dell’insieme, al rigore compositivo, alla felicità dello sguardo, che saranno sue per tutta la vita. Se tali opere paiono riecheggiare alcuni transiti delle ricerche dei Delaunay e assorbono di fatto quanto di più vivo era nell’aria nella Parigi di inizio secolo, in realtà costituiscono un innesto singolare e già originale nel suo particolarissimo sentire.
Magnelli elabora una geometria dello spazio a larghe campiture, in cui la complessità dei piani più e meno prospettici è determinata dal colore più che dal segno. Resta tuttavia sullo sfondo, come un’allusione, la percezione della figura. Un’allu- sione che verrà poi recuperata più nettamente in opere successive, degli anni ‘17 e ’18, in cui la geometrizzazione dello spazio diventerà più simbolica. E tuttavia l’avventura astratta è iniziata, per vie sotterranee farà inesorabilmente il suo cammino. 
La contadina, 1914

 
LE “ESPLOSIONI LIRICHE”
La lezione cubista sembra evidente nelle “Esplosioni liriche” (1918-1919) in cui la scansione della forma costituisce la trama prospettica di un’immagine caratterizzata da un forte chiaroscuro di segno pittorico. L’opera è connotata non tanto dall’articolazione del segno nel suo assetto geometrizzato, quanto da quei tratti di colore che ne sono parte consustanziale. Ed è proprio questa caratteristica ad allontanare di fatto l’artista dalla lezione cubista. In qualche modo le “esplosioni” appaiono a metà via tra Cubismo e Futurismo, segnate da una vena espressionistica che si blocca sulla soglia di una memoria cézanniana. Non solo, ma la tensione non è determinata dal ritaglio della forma, ma da un tratto cromatico che diventa formale e altresì segnico, al punto che l’immagine eventualmente allusiva di una figura si perde nel generale disegno dell’opera, sfiorando talora la pura rappresentazione astratta. Nonostante le “esplosioni” le forme conservano tuttavia equilibrio e simmetria. La ricerca cioè non si applica alla frammentazione dell’immagine ma alla sua ricomposizione. 
La donna luce, 1929


IL “REALISMO IMMAGINARIO”
Non è esattamente vero, come è stato talora scritto, che a Magnelli non sia importato consegnare nei suoi lavori una personale visione del mondo e che il suo unico obiettivo fosse il risultato formale dell’opera3. Né che l’artista abbia assoluta- mente anteposto il risultato formale al contenuto espressivo dell’opera. Senza dubbio la produzione degli anni Venti si innesta in quella vasta temperie culturale segnata dal “ritorno all’ordine”, teorizzata da “Valori Plastici” ed espressa poi nell’arte figu- rativa, sia pure disordinatamente, da “Novecento”. A cui Magnelli aderisce più mentalmente che di fatto. D’altra parte numerosi erano gli amici che di quel movimento erano parte attiva. Come si era tenuto ai margini del Futurismo pur assorbendone i segni innovatori, filtrandoli con la sua sensibilità, così egli si adegua a quella cor- rente reazionaria che rappresentava il ritorno al primitivismo e alla pittura italiana della tradizione, in particolare dell’arte tre-quattrocentesca. A cui del resto Magnelli aderiva per naturale vocazione.
L’analisi attenta delle opere del maestro di questi anni fornisce informazioni preziose sul suo lavoro. La ricerca di un equilibrio formale e compositivo, il ricorso a cromatismi attenuati, morbidi e sfumati – più una indicazione di colore che un rivestimento – sono evidenti. Ma il tono dell’immagine è differente da quello dei compagni di viaggio. Se, infatti, l’artista dimostra una adesione forse inconscia al sentire metafisico, di cui rinnova il clima teso, tramato di silenzio e di pensosità, di enigmatica attesa, nelle sue opere non c’è alcuno sconfinamento nell’immaginario e nel mito, come accade ad esempio in tante tele dechirichiane, o nel simbolico e nell’onirico come in quelle di Savinio.
Qui tutto resta all’interno di una paesaggio sostanzialmente familiare, quello della sua terra toscana, della sua gente. Il segno distintivo di Magnelli è anzi proprio in quel suo tenersi sul confine, sul limite del mistero senza volerlo penetrare, anzi preservandolo, lasciandolo come orizzonte sospeso e indeci- frato. Magnelli di fatto non è enigmatico, né drammatico, né misterioso. Egli coniuga il suo avvertimento pensoso della realtà con un principio compositivo, con un’articolazione delle forme nello spazio. D’altra parte nelle figure l’artista è frequentemente teso a cogliere nella struttura dell’opera un riflesso che potrebbe dirsi simbolico. Alla verifica, il periodo realistico può dividersi in due momenti, un primo che può individuarsi tra il 1920 e il 1923, caratterizzato da un cromatismo dolce, luminoso, poco contrastato e intimistico. L’artista riproduce ambienti della sua terra : paesaggi e borghi e figure di contadini e braccianti, anche senza una precisa connotazione. In seguito, a partire dal 1924, le figure si fanno più piene e più caratterizzate, vengono innestate in un contesto maggiormente simbolico, i colori si fanno più accesi. La temperie metafisica sembra ancora il segno spirituale di riferimento. Ma non è precisamente lo straniamento che l’artista rincorre, quanto una struttura compositiva in cui, come si è scritto, l’assetto pensoso delle figure è parte di un’architettura metaforica più ampia, che allude ad un equilibrio che da visivo si fa espressivo. In questo contesto assumono un rilievo particolare i paesaggi dei primi anni Venti e i
Velieri dell’ultimo periodo, che aprono a “improbabili scenari portuali di gusto metafisico”4 ricorrendo a soluzioni stilistiche che per la assoluta geometrizzazione delle forme già annunciano la svolta astratta. 
Natura morta con fruttiera, 1914


LE “PIERRES”
Le Pierres (1931-1935) costituiscono indubbiamente lo snodo tra il “Realismo immaginario” e la pura astrazione. Del realismo conservano l’evidenza formale in senso volumetrico e spaziale e la tensione descrittiva, dell’astrazione anticipano l’articolazione compositiva. E tuttavia quello delle Pierres rappresenta un capitolo autonomo e fondante nell’arte del maestro fiorentino. La scelta delle pietre, se per un verso deriva dal legame con la sua terra, con le cave carraresi in particolare, per l’altro recupera l’attenzione all’objet inaugurata dagli stessi astrattisti, da Léger che aveva conosciuto fin dai suoi primi soggiorni parigini e in parte dai dadaisti. Un oggetto che per Magnelli ha tuttavia un significato affatto differente. Non è d’altra parte estraneo agli sviluppi compositivi delle “pierres éclatées” e soprattutto alla articolazione spaziale delle forme, il cubismo, con la sua suggestione di uno spazio multiplo, con la vista simul- tanea dei vari assetti prospettici della forma. Ma per Magnelli le Pierres hanno volume ma non pare avere peso, non sembrano “esplose”, anzi risultano come bloccate nello spazio, uno spazio in genere indecifrato. Ogni pietra non è di fatto parte del tutto, anche se il suo assetto farebbe pensare ad una frammentazione a partire da un pietra più grande5. L’idea di unità è piuttosto nell’articolazione delle forme, nella loro posi- zione nello spazio, nel loro peso cromatico e infine nel generale equilibrio visivo. In questo senso le Pierres sono già astrazione. E tuttavia la loro connotazione è ancora realistica nel multiplo taglio delle facce, nella definizione di spigoli e incavi, nei loro chiaroscuri e nei loro cromatismi. Un realismo incline talora ad un simbolismo di forme vagamente allusive a spazi mitici, a linguaggi cifrati, cui talora sono annessi, singolarmente, elementi più propri del mondo dell’ edilizia, come sagome di mattoni, ispirandosi dichiaratamente al tema delle costruzioni o più esattamente delle deco- struzioni della forme edificate. Non si tratta comunque di decostruzioni in senso demolitivo, ma di smontaggi pensati per un nuovo equilibrio, a partire da quello perduto. In questo senso una vaga consonanza con i principi del Dadaismo e alla sua logica del recupero, nelle Pierres di Magnelli esiste. Ma è soprattutto il rigore compositivo delle forme nell’equilibrio della visione a contraddistinguere le Pierres, che sono disposte nello spazio senza alcuna prospettiva. Ciascun frammento ha una sua collocazione sghemba, in genere, rispetto a quella degli altri frammenti. E tuttavia l’insieme è come fissato in una suprema armonia. Le pietre sono immerse in una silenziosa essenza, peraltro non di rado ludica, gioiosa, come se navigassero leggere in uno spazio altro. Anche il fondo indistinto sottolinea questa sensazione di atemporalità, di indefinito spaziale. I giochi cromatici sono fondamentali, non solo in senso descrittivo, ma anche estetico-visivo, concorrono a ricreare quella dimensione di equilibrio e di ar- monia delle parti, pure frammentate e differenti tra loro. L’allusione alla pietra restituisce infine alla composizione un senso di potenza, di energia, di solidità primigenia, archetipica. Solo nell’ultimo periodo, nel 1935, l’artista sembra aprirsi a una surrealità che in qualche modo, singolarmente, pare recuperare certa suggestione emozionale del Realismo im- maginario. Ma siamo alle soglie della pura astrazione. 

L’ASTRAZIONE
L’astrazione per Magnelli inizia dal disegno. È lo stesso artista a testimoniarlo : “La mia pittura non comporta segreti. Procedo nella maniera più semplice e sicura. Prima faccio una quantità di disegni sui quali vario via via le forme che mi sono utili. È sul disegno prescelto che comincio a studiare e a collocare “mentalmente” i colori; l’uno richiede l’altro e così di seguito arrivo a “vedere” sul disegno quella che sarà poi la tela. Bisogna studiare la quantità di ogni colore che occorre per essere utile agli altri. Bisogna in particolar modo essere sicuri di ogni pieno come di ogni vuoto, cioè saper riempire ogni spazio in maniera densa. Non faccio mai bozzetti”6. Le parole dell’artista introducono al suo sentire l’astra- zione, che egli chiama “invenzione”. A proposito di “astrazione” l’artista scrive: “Non è un termine felice. Quando feci a Firenze nel 1915 le mie prime tele “inventate” era da questo che intendevo procedere... L’arte se è veramente tale non è per niente astratta. Ogni cosa è al tempo stesso astratta e concreta”. Magnelli vuole spiegare che le sue costruzioni astratte nascono da un’idea, da un progetto, provato e riprovato, teso alla ricerca di un equilibrio visivo e compositivo che rifletta una emozione interna, intuitiva prima d’essere visiva. Il colore stesso, per quanto successivo all’idea, non è un riempitivo dell’immagine, ma un vigilato complemento di pesi visivi e di contenuti psichici ed emozionali, che egli distribuisce con cura, che assegna per così dire alla forma in relazione all’insieme e al senso dell’insieme. Anche l’uso della parola “invenzione”, da parte del maestro, è indicativa. Il suo lavoro non è astrazione nel senso di semplice delocalizzazione dell’idea nell’immaginario, ma intuizione che rielabora la realtà e in qualche modo la ridefinisce. L’invenzione presuppone una ricerca e infine una scoperta. L’opera è cioè un “miracolo” atteso, non è solo incanto, ma anche nettezza di toni e di forme, di assetti lineari, di moduli visivi, di strutture. Si comprende bene come in realtà in tutto il percorso di Magnelli vi sia stata sempre una estrema coerenza. Durante il suo cammino, pure nella variabilità delle ricerche, l’artista non ha mai perduto quella lucidità fondata tanto nella progettualità che nell’avvertimento intimo di una fondamentale e misteriosa armonia.
Quanto agli schemi e alle soluzioni visive, è frequentemente leggibile nell’arte astratta magnelliana una sintesi di linee curve e linee spezzate e di staticità e movimento. Il colore costituisce in genere un perfezionamento di questa sintesi e non un elemento di rottura. Lo spazio raramente è approfondito, quasi sempre le forme sono distribuite in superficie o entro uno spessore dello spazio ristretto. La linea e i suoi sviluppi, sia semplici che articolati, formalmente sono i motivi essenziali delle sue strutture. Di rado nel con- testo astratto l’artista ricorre a sfumati e alla pittura. Quando lo fa è per amplificare un motivo, magari sottolineato dal titolo. Anne Maisonnier nel suo catalogo ragionato della produzione del maestro7, ha elaborato una ricognizione schematica dell’opera astratta di Ma- gnelli inerente ai diversi periodi della sua attività. In particolare per quella compresa tra il 1935 e il 1949 ha individuato alcune leggi di composizione : il quadro o qua- drato come struttura fondante dell’opera; il disegno, utilizzato come mezzo unificatore dello spazio, che eredita in qualche misura la funzione del contorno; il modulo, come elemento base di una ripetizione più o meno diversificata e articolata di forme; la forma unica e omogenea, struttura centrata su di un unico assetto compatto di ele- menti in genere chiusi e la Opposizione di forme e di gruppi di forme, quasi sempre contrapposti anche in relazione alla tipologia del segno. A partire dal 1950 compa- iono nell’universo astratto di Magnelli sagome modulari, come blocchi con due ma- niglie, calamite, sorta di tenaglie e di uncini, che l’artista reitera all’interno del piano visivo anche in formazione contrapposta e addensata, creando intensi e dinamici giochi di masse. Negli anni Sessanta sopraggiungono le grandi strutture monumentali che variamente segneranno l’ultimo periodo della produzione magnelliana. Va altresì sottolineata l’applicazione del maestro a varie tecniche, da quelle convenzio- nali alla linoleumgrafia, all’arazzo, al collage. Per quest’ultimo Magnelli utilizza i materiali più disparati, come carte di varia natura e provenienza. Anche i supporti adoperati dal maestro sono interessanti. Per qualche tempo, ad esempio, l’artista lavorerà lamiere e utilizzerà piccole lastre di ardesia.
L’arte astratta di Magnelli, si è scritto, ha una pronuncia autonoma nel quadro della ricerca europea; non possiede il timbro “affabulante” dell’arte kandinskiana e neppure il simbolismo mistico-matematico di molta arte costruttivista. La sua pronuncia resta fiorentina e mediterranea, calda, comunicativa, segnata da un estremo rigore compositivo, capace di forti risonanze interne, di intense vibrazioni emozionali e psicologiche. Nel variabilissimo assetto tipologico, l’artista conserva quel legame con la sua terra di origine e con la cultura classica, in cui forma e spirito sono coniugati in un unico soave e razionale tratto simbolico e trascendente. Il termine “trascendente” può apparire improprio per un’arte come quella di Magnelli, ma non è così. La sua astrazione era in fondo una sorta di sublimazione espressiva. L’artista non era pervenuto all’arte astratta per un intuito linguistico. La sua scelta era stata una meditata sintesi di un percorso maturato nella progressiva essenzialità del linguaggio, come una purificazione, in cui il segno aveva valore per sé ed era al tempo stesso portatore di una segreta forza vitale, di una armonia. A Magnelli non ha mai molto interessato il segno, anche quello lineare, come pura ed esclusiva definizione di un contorno; era la linea in sé ad essere forma, cioè senso, ragion d’essere. L’architettura per Magnelli era mistero, miracolo, struttura poetica. Così si legge la sua arte astratta, come spazio investigativo dell’essere, come luogo profondo del sentire. In questa ottica si legge la sua stessa ricerca di perfezione estetica, di sguardo definitivo. Ecco perché l’artista sostiene che l’astrazione in realtà non esiste. A leggerla visivamente nella sua opera ricorrono moduli, forme, che richiamano sagome del periodo figurativo, suggestioni della sua formazione giovanile (come in Ordered Tempest, del 1967, opera che sembra assolutamente ispirata da Paolo Uccello). L’arte astratta di Magnelli è stata l’esito di un processo di spiritua- lizzazione, di trasmigrazione in un altro spazio immaginativo, in cui segno e colore sono la sintesi estrema di una visione che si è liberata di un contesto realistico, ma che è rimasta narrativa, di sé innanzitutto, da parte dell’artista, e della sua esistenza. Anche per questo l’astrazione di Magnelli è prensile, anche nelle sue espressioni più “ottiche”, magnetica, coinvolgente.
Una notevole spinta verso la sintesi espressiva derivò al maestro dalla conoscenza dell’arte africana, di cui fu un grande collezionista, così intensa nella capacità di comunicare una tensione interna e misteriosa riflessa nella sintesi tipologica degli sguardi e al tempo stesso così scandita nel ritmo di volumi semplici e articolati se- condo essenziali moduli compositivi. Magnelli amava la scultura africana al punto da portare con sé le sue opere più significative nella sua casa di campagna, a Grasse. Dell’arte nera in particolare ammirava le modalità di esecuzione, che egli sapeva essere affidate a tempi lunghi e ad una progressiva sedimentazione dell’idea. Ciò corrispondeva al suo modo di sentire l’arte, che non era affidata al semplice gettito intuitivo, ma prevedeva una lenta gestazione, segnata da successive intuizioni e dunque da una pregnanza semantica intrecciata con la vita.
Una vita vissuta con grande dignità, rigorosamente, con riserbo, nonostante la sua capacità di instaurare con serenità rapporti di amicizia e di tenerli saldi nel tempo. Pur vivendo in Francia quasi quarant’anni, abbandonando definitivamente il suo paese natale, in realtà Magnelli rimase sempre italiano. Lo rimase nell’anima, tanto da volere che sulla sua tomba venisse scritto : “Alberto Magnelli, pittore forentino”. 


È uscito “Il Foglio volante” di luglio

COMUNICATO STAMPA

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È uscito “Il Foglio volante” di luglio

È pronto e sta per essere spedito agli abbonati “Il Foglio volante” di luglio 2012. In apertura del mensile un articolo di Amerigo Iannacone dal titolo “L’educazione senza aggettivi”. Seguono testi di Domenico Adriano, Paolo Battista, Loretta Bonucci, Giusy Capoccia, Aldo Cervo, Mariano Coreno, Carla D’Alessandro, Ilenia D’Amico, Antonio De Angelis, Antonio Di Filippo, Geoges Dumoutiers, Adriana Mondo, Giuseppe Napolitano, Fryda Rota, Patrick Sammut.
Ricordiamo che chi desideri abbonarsi o ricevere copia saggio, si può rivolgere a edizionieva@libero.it o può telefonare al n. 0865.90.99.50.
Dal “Foglio volante” di luglio riportiamo, qui di seguito, il testo di apertura e una poeia di Giuseppe Napolitano.


L’educazione senza aggettivi

Ignoranza, maleducazione, egoismo, arroganza, ci sono sempre stati, tanto che esiste anche il modo di dire proverbiale, nell’Italia meridionale, «ciuccio e presuntuoso». Ma una volta della propria ignoranza ci si vergognava, oggi invece la si ostenta; la maleducazione era prerogativa di pochi, oggi si insegna nella scuola-televisione; l’egoismo di alcuni era bilanciato dall’altruismo di altri; c’era l’arroganza e c’era anche la modestia, oggi sempre piú c’è chi si arroga diritti che non gli spettano. Se guardiamo la società che ci circonda, se guardiamo certi programmi televisivi, certe pubblicazioni, il cinema, vediamo che trionfano le qualità peggiori: maleducazione, ignoranza, egoismo, cinismo, presunzione. E poi la furbizia. Se uno ruba, intrallazza, evade le tasse, corrompe o si lascia corrompere, si dice, magari con un malcelato senso di ammirazione, «quello è uno che ci sa fare» anziché dire che è un delinquente e che dovrebbe stare in galera.
Anche il linguaggio subisce un progressivo e inarrestabile degrado, diventa sempre piú piatto e insulso, sempre piú inutilmente volgare. Il tutto avallato, e spesso provocato, non solo dai sempre piú stupidi e inutili programmi televisivi, ma anche da chi dovrebbe dare buon esempio, come poco onorabili onorevoli, giornalisti, sedicenti intellettuali e persino, talvolta, insegnanti.
In televisione sentiamo, magari ipocritamente coperti (ma solo parzialmente, in modo che si possa capire) dal “bip”, sequele di volgarità. E ci sono programmi che fanno finta di mettere all’indice le peggiori esibizioni di parolacce e le rilanciano e le replicano decine e decine di volte.
Inevitabile l’effetto imitazione da parte di bambini e ragazzi. Cosí per molti di loro stare in un’aula scolastica diventa come partecipare a una della banali, chiassose e inutili (anzi dannose) trasmissioni televisive. E si va perdendo il senso del rispetto delle persone e delle regole.
La nostra razza bambina sembra aver sfondato in tutti i campi, nella scuola, nella letteratura, nella stampa, nei mezzi di informazione, il senso del pudore e spesso troviamo in ambienti non giovanili e magari anche in ambiti istituzionali, l’uso di un linguaggio giovanilese e internettiano che strizza l’occhio alla volgarità.
L’insegnamento quotidiano – ed è quello che fa piú facilmente presa sui bambini – è oggi il nichilismo, la dissacrazione, lo sbrigliamento degli istinti piú primordiali.
Certo ci sono anche esempi positivi, probabilmente sono anche la maggioranza, ma non trovano visibilità, nel vasto calderone della maleducazione dilagante.
Certo, lo sbracamento dei costumi, a partire dal linguaggio, non si risana per legge. Ma non sarebbe male se si cominciasse a prenderne coscienza e cercare di ritrovare quelle semplici regole non scritte che sono il rispetto degli altri, il buon gusto estetico oltre che etico, la valorizzazione della cultura, e poi l’educazione. Oggi si sente parlare molto di educazione stradale, educazione fisica, educazione civica, educazione psicomotira, educazione sostenibile, educazione alimentare, educazione artistica, educazione interculturale, ecc.
Raramente si sente parlare di educazione e basta, senza aggettivi.

Amerigo Iannacone

Nello specchio dei tuoi occhi

Ci si specchia
               a lungo – troppo
– nello specchio sbagliato
(era di un altro ma faceva
comodo – avendo già rotto
il nostro in mille pezzi...

E poi si trova lo specchio
adatto a ricostruire
una faccia che soddisfa
:bastava guardare nel fondo
               senza fondo
dei tuoi occhi bambini

Mi portavi (custodia
impagabile) dentro
per evitare ancora che io perdessi
             spicchio a spicchio
le sembianze che a te pure
ho dato affidato
              – mai perdute ora che
              tu mi guardi

                Giuseppe Napolitano








sabato 23 giugno 2012

Il Giordano Bruno di Del Giudice guarda ai lettori esteri

Napoli, 22/06/2012 (informazione.it - comunicati stampa) Dopo il grande successo del suo ultimo libro "Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno", l'attenzione di Guido del Giudice, lo studioso e scrittore napoletano che ha contribuito in maniera determinante alla riscoperta e alla corretta interpretazione della vita e del pensiero del filosofo bruciato vivo dalla Chiesa cattolica, si focalizza ora sull'estero.
"Bruno - ricorda Del Giudice - era un grande divulgatore, Fu uno dei primi, nel corso di una memorabile lezione tenuta ad Oxford, a sostenere l'importanza delle traduzioni, indispensabili per la diffusione di tutte le scienze. L' interesse e il rispetto suscitati dal Nolano in tutto il mondo sono testimoniati dalle migliaia di contatti registrati dal sito giordanobruno. com che curo personalmente da quindici anni. Dopo aver pubblicato con l'editore i Renzo ben otto libri tra studi e traduzioni, realizzato articoli, documentari e conferenze, penso che la vocazione universalistica del pensiero bruniano, mi imponga di concentrarmi sulla diffusione all'estero dei frutti del mio lavoro. E' in fase di realizzazione la traduzione in spagnolo del mio ultimo libro e, nonostante non possa contare sul sostegno di alcun tipo di istituzione, attendo la disponibilità di editori in altri paesi".
Come ha acutamente osservato Angelo Tonelli, l'opera di Guido del Giudice "viene a porsi come una pietra miliare nella divulgazione non banalizzante del pensiero bruniano, così attuale nella sua inattualità". Ci auguriamo, nonostante il momento difficile, che qualcuno intuisca il valore del progetto e si faccia avanti : siamo sicuri che testi come "La coincidenza degli opposti" e "Io dirò la verità" abbiano le carte in regola per diventare successi editoriali in ogni parte del pianeta.

giovedì 21 giugno 2012

I Beni culturali ecclesiastici: il 23 giugno tavola rotonda a Napoli

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA
DELL’ITALIA MERIDIONALE
Sezione SAN LUIGI
Via Petrarca, 115 - Napoli
Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia

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I Beni culturali ecclesiastici:
il 23 giugno tavola rotonda a Napoli

Presentazione del volume “Proposte per una nuova architettura sacra”,
14 progetti di chiese realizzati dal laboratorio
della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della PFTIM

comunicato stampa 18 giugno 2012

Di “Risorse e prospettive di valorizzazione e fruizione dei beni culturali ecclesiastici” si parlerà sabato 23 giugno dalle ore 9,30 alle ore 11,30 a Napoli, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi (via Petrarca 115), di cui è decano P. Sergio Bastianel S.I. Alla tavola rotonda interverranno: Ernesto Rascato, direttore dell’Ufficio Regionale Cultura della Conferenza Episcopale Italiana; Antonio Loffredo, parroco del Rione Sanità e direttore delle Catacombe di Napoli; Giovanni Gazzaneo, coordinatore di Luoghi dell'Infinito, mensile di Avvenire; Alessandro Cugini, portavoce consorzio TRECC, Turismo Religioso Cooperativo Campano.
Seguirà, alle ore 12, la Relazione annuale della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della facoltà, di cui è direttore P. Giuseppe Manca S.I. e condirettore Giorgio Agnisola, con la consegna degli attestati, per gli indirizzi: Percorsi di arte e teologia, Proposte per una nuova architettura sacra, Gestione e promozione di beni ed eventi culturali, e per il corso "La luce in chiesa".
Nell’occasione verrà consegnato il volume Proposte per una nuova architettura sacra, che raccoglie i progetti di chiese redatti dagli allievi del secondo indirizzo della Scuola che, grazie all'elevata qualità dei corsi patrocinati dall'Ufficio CEI Edilizia di Culto e dall'Ufficio CEI Beni Culturali Ecclesiastici, è giunta a conclusione del sesto anno di vita. Il libro, primo esempio di pubblicazione di Architettura sacra così concepito, raggruppa quattordici progetti di chiese realizzati dagli studenti del Laboratorio di Architettura della Scuola, promosso in collaborazione con il Dipartimento di Progettazione Architettonica e Ambientale della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II e curato dai docenti Flavia Fascia e Renato Iovino.



abato 23 giugno 2012

PROGRAMMA

ore 9.30-11.30
Tavola rotonda
Risorse e prospettive di valorizzazione e fruizione dei beni culturali ecclesiastici
Interverranno:
- Ernesto Rascato, direttore dell’Ufficio regionale Beni Culturali della Conferenza Episcopale Italiana
- Antonio Loffredo, parroco del Rione Sanità e direttore delle Catacombe di Napoli
- Giovanni Gazzaneo, coordinatore di Luoghi dell'Infinito, mensile di Avvenire
- Alessandro Cugini, portavoce consorzio TRECC Turismo Religioso Cooperativo Campano

ore 12,00
Relazione annuale della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia
e Consegna degli attestati per gli indirizzi:
Percorsi di arte e teologia
Proposte per una nuova architettura sacra
Gestione e promozione di beni ed eventi culturali
Corso 'La luce in chiesa'

Consegna del libro “Proposte per una nuova architettura sacra”, quattordici progetti di chiese realizzati dagli allievi del laboratorio di architettura della Scuola. Il laboratorio è stato promosso in collaborazione con il Dipartimento di Progettazione Architettonica e Ambientale della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II. La cura è stata dei proff.ri Flavia Fascia e Renato Iovino

sabato 16 giugno 2012

"Il rischio del mancato controllo"

I N P R A T Istituto Nazionale per lo studio, la valutazione e la Prevenzione del Rischio nelle Attività Tecnologiche www.inprat.org --------------------------------------- 27mo anno INPRAT per “La relazione rischi-benefici nello sviluppo tecnologico” “Il rischio del mancato controllo” Giornata di promozione culturale 20 giugno 2012 – 8:30-18:30 Sala della Protomoteca – Campidoglio, ROMA Comunicato stampa, Roma 16 giugno 2012 “Il rischio del mancato controllo” è il tema della Giornata di promozione culturale che mercoledì 20 giugno 2012 si terrà a Roma, nella Sala della Protomoteca del Campidoglio. L'evento, promosso dall’INPRAT (Istituto Nazionale per lo studio, la valutazione e la Prevenzione del Rischio nelle Attività Tecnologiche) per analizzare “La relazione rischi-benefici nello sviluppo tecnologico”, si svolge con l'adesione del Presidente della Repubblica ed è organizzato con il patrocinio di Roma Capitale, in stretta collaborazione con la Commissione per la Sicurezza Urbana sia per sostenere ulteriori azioni istituzionali di attenzione e di controllo, tese alla prevenzione della salute e alla sicurezza dei cittadini, sia per avviare nuovi percorsi di comunicazione tra i cittadini, le autorità preposte e gli esperti in Roma e in tutti i Comuni d’Italia. La Giornata di promozione culturale ha avuto supporto e patrocinio dall'INAIL e, inoltre, ha ottenuto il patrocinio morale da CNR, ENEA, ISS, C.R.I., dal Consiglio Regionale del Lazio e da ANCI. L’INPRAT ritiene che l’innovazione non abbia una propria autentica “sostenibilità” e valenza sociale. Invero, per essere considerata “sostenibile” sul piano economico e sociale, ogni azione legata alle attività tecnologiche e produttive, compresa quella assai importante di controllo, deve soprattutto risultare compatibile con la tutela della salute e della qualità della vita, essere rispettosa del paesaggio naturale e delle opere artistiche, essere ricchezza per la salute spirituale dell’individuo e per i beni della società che, laddove necessario, devono essere protetti preventivamente dal deterioramento dovuto a cause naturali e soprattutto ad azioni volutamente distruttive. È quanto sostiene Roberta Breschi, presidente INPRAT, che insieme ai soci e ai familiari, ha voluto dedicare questo 27mo appuntamento a Lidia Failla, “fisico” esperto di Radioprotezione, socio fondatore dell'INPRAT e presidente onorario, recentemente scomparsa. Nel corso della Giornata, si ricorderanno i premi assegnati dal 1985 al 2010 ai vincitori dei concorsi annuali “Il Grifo d’Oro INPRAT” per il tema “La relazione rischi-benefici nello sviluppo tecnologico”, progetto sociale, culturale e scientifico che nel futuro dovrà sempre di più chiedere l’impegno di esperti, l’adesione di associazioni scientifiche e professionali e associazioni di volontariato, e promuovere un costante confronto con i cittadini per la prevenzione e la sicurezza impegnando le nuove generazioni fin dall’età scolare. Sarà consegnato un attestato di merito al prof. Roberto Passariello. All'evento INPRAT 2012 hanno aderito con patrocinio morale varie associazioni: Aifm, AIMN, AIRM, AIRO, AIRP, ANFeA, ANPEC, FIRR, Fondazione SNR, Fondazione Gimbe, ISDE, I.N.S.TE.GI., I.S.R.A., ACTAS, Hydroarchsrl – Roma, CTP - Roma, CCI - Città del Tricolore - Bologna, CCI - Roma.

martedì 12 giugno 2012

Presentati i nuovi libri di Giuditta Di Cristinzi - Comunicato stampa

Sono stati presentati a Venafro, in una sala affollata e partecipe, i nuovi libri di Giuditta Di Cristinzi “Filastrocche per un anno” e “Gente del Sud” da poco usciti nella casa editrice venafrana Edizioni Eva.
La preside Vincenzina Scarabeo ha aperto la serata con un’ampia introduzione, non limitandosi a presentare la poetessa e i relatori ma entrando anche nel merito cirtico della poesia di Giuditta Di Cristinzi.
Si sono poi avvicendati i relatori. Amerigo Iannacone ha brevemente esaminato di tutti e quattro i libri pubblicati finora dalla poetessa e ha parlato tra l’altro di «una poesia fondamentalmente positiva e ottimista» sostenendo che un po’ da tutta l’opera «traspare l’oraziano carpe diem, che in qualche modo diventa della vita se non una soluzione almeno un balsamo lenitivo».
Delicato e toccante l’intervento di Antonio Vanni che ha parlato delle “Filastrocche” e ne ha letto diverse e vi ha trovato un’affinità ideale ai testi ritrovati dei bambini che durante la seconda guerra mondiale furono tenuti nel ghetto di Terezin destinati al campo di sterminio di Auschitz.
Profondo e al tempo stesso accattivante, come sempre, l’intervento di Aldo Cervo.
«Tutto si può dire di Giuditta Di Cristinzi – ha detto tra l’altro, parlando delle Filastrocche – meno che difetti di fantasia. È sorprendente come riesca a inventarne una per ogni materia di apprendimento, dalla storia alla geografia, dall’aritmetica alla grammatica, dalla botanica alla meteorologia, dall’astronomia alla musica, dai momenti di vita domestica alle ricorrenze civili e religiose, trovando persino il modo di volgere in poesia il linguaggio contratto e cifrato dei messaggini, come delle ultimissime diavolerie dell’Informatica».






mercoledì 6 giugno 2012

Comunicato stampa "L'integrazione culturale attraverso la letteratura"

Concluso (26 maggio, 2012) con grandissimo successo di critica e di pubblico il Premio Ecuador-Italia: "L'Integrazione culturale attraverso la Letteratura" 2012. La nuova sede rinnovata del Circolo della Stampa al civico 48 di Milano, era gremita fino all'inverosimile. La manifestazione riguardante la II° rassegna del Premio Intern.le promosso ai fini di un interscambio tra i popoli, come atto dovuto verso il patrimonio civile e umano di tutti, cerca un modo di produrre una ricca testimonianza di fede, di fratellanza e di collaborazione. 
La giuria: (Presidente) Ninnj Di Stefano Busà, componemti: Franco Loi, Corrado Calabrò, Mario Santagostini, Maurizio Cucchi, Davide Rondoni, Michelangelo Camelliti, Alessandro Quasimodo, Sveva Casati Modignani, Alessandro Vavassori, Guaman Allende, Haidar Hafez ha deliberata la rosa dei Vincitori del premio stessp suddiviso nelle sez: Poesia singola inedita: Carmelo Consoli, Marisa Provenzano, DiskaKovacevic; Sez. Libro edito poesia: Annamaria Ferramosca, Anna Belozorovitch; Sez. narrativa edita: Vittorio Casale, Nicoletta e Luigino Vador, Michel Digenouts, Sez D narrativa per ragazzi: Marlina Dei Misteri, Renzo Piccoli, Anna Bertiromo. Inoltre sono stati assegnati i riconoscimenti alla Cultura e alla Carriera a molte personalità dell'agone contemporaneo. Tra i presenti: Vittorio Sgarbi che diventa da questa edizione Presidente onorario del Premio. Sono stati conferiti premi al Sindaco Pisapia, Stefano Boeri Assessore alla Cultura del Comune, Elsa Fonda, Aldo Pirola, Fabrizio Arensi, Stefano Zurlo, Andrea Battistini, Flavio Ermini, Roberto Sarra, Giampiero Neri, Irma Dioli, Marina Pratici, Gregorio Giungi. Il nostro è un progetto culturale d’ampio respiro, che intende cogliere nel segno della partecipazione tra i popoli, con la piena consapevolezza di abbattere le frontiere dell’odio e dell’inimicizia e favorire un mondo migliore, sfruttando positivamente il patrimonio umano delle genti: la diversità non deve essere un impedimento, ma un avvicinamento e, semmai, un avvicendamento naturale della storia.” Ha detto nella sua prolusione la Presidente Ninnj Di Stefano Busà e ha aggiunto: “crediamo in questa condivisione di valori, è nostra finalità partecipare ad un processo evolutivo  che realizzi un percorso comune, indicando una strada da seguire per il raggiungimento del bene di tutti i popoli. La promozione di questo programma va oltre le etnie, in una convivenza globalizzata ma umana tra civiltà, in un percorso di crescita e armonia che vada al di là di ogni supponibile differenza e diversità. Un progetto che sappia aprire i cuori e le menti alla speranza del futuro.” Calorosi gli applausi e gli interventi delle varie personalità convenute, in un’atmosfera densa di magìa e di arricchenti significati culturali e umani.

FOTO DELL'EVENTO

Scuola estiva di alta formazione - Edizione 2012 (invito)

In collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
Amica Sofia e la Società Filosofica Italiana sezione di Napoli ‘G.Vico’

Con il patrocinio del Comune di Frattamaggiore e la Provincia di Napoli


Filosofia con i bambini e i ragazzi,
per un’educazione al dialogo interculturale


Auditorium I.S.I.S ‘Gaetano Filangieri’
Via Rossini 106, Frattamaggiore
31 maggio 2012 - ore 15.00


sabato 2 giugno 2012

Lettura del Giordano Bruno Sorgente di Fuoco di Carmen Moscariello

Ritratto di un poeta combattente, questo è emerso dalla lettura del Giordano Bruno Sorgente di fuoco di Carmen Moscariello da Parte del Grande Attore Franco Silvestri e Domenico Versaggi Panno