giovedì 30 agosto 2012

Premio Nabokov per opere edite - Edizione 2012

Il concorso con in palio premi in servizi editoriali per un ammontare di 6.390,00 euro per i 15 finalisti

Scadenza: 30 ottobre 2012

http://premionabokov.wordpress.com/

Art. 1 - Il Premio Letterario Internazionale Nabokov nasce per sostenere e promuovere le opere edite, dando visibilità alle stesse e ai suoi autori. Il Premio è aperto ai libri di narrativa, di saggistica e poesia editi in Italia.

Art. 2 - Sono ammessi all'esame della giuria lavori editi (quindi pubblicati da una casa editrice, con numero ISBN) in lingua italiana.

Art. 3 - Al Premio possono partecipare scrittori e poeti di tutte le nazionalità e senza limite di età, inviando nei termini stabiliti dal presente regolamento le opere di cui agli articoli successivi.

Art. 4 - Il Premio Letterario si articola in tre sezioni: Narrativa, Saggistica e Poesia.    

Art. 5 – Due (2) copie di ogni libro partecipante dovranno essere inviate con allegata nota con indirizzo, numero telefonico, codice fiscale, e-mail e firma dell'autore alla segreteria del Premio Interrete Agenzia Letteraria, Via Milano 44,  73051 Novoli, Lecce entro il 30 ottobre 2012 (farà fede il timbro postale).

Art. 6 - Consistenza del premio:
Sono previsti premi in servizi editoriali per un ammontare di 6.390,00 euro per i 15 finalisti (5 per sezione).
I premi assegnati sono:
·    pubblicazione di un manoscritto in ebook con AbelBooks – www.abelbooks.net (assegnato al vincitore di ogni categoria);
·    Ufficio stampa professionale a tutti i libri dei 15 finalisti;
·    Pubblicazione della recensione con una breve intervista su un numero cartaceo de Il Giornale letterario interamente dedicato al Nabokov. Premio assegnato a tutti i 15 finalisti con invio di 50 copie ciascuno..
La presentazione dei libri vincitori avverrà a Novoli (Lecce), in un incontro tra gli autori. I vincitori riceveranno targhe, mentre tutti i finalisti, attestati di merito. Gli elenchi dei vincitori saranno poi inseriti on-line nei più importanti siti di letteratura in internet.

Art. 7  - Il giudizio della Giuria è insindacabile. La Giuria è presieduta ogni anno da Piergiorgio Leaci e composta tra gli altri, da Massimo Lerose (scrittore e attore) e Damiano Celestini (giornalista).

Art. 8  - La partecipazione al Premio Letterario Internazionale Nabokov implica l'accettazione incondizionata del presente regolamento.

Art. 9 - La quota di iscrizione è fissata in 20,00 euro da versare su postepay carta n.° 4023600568943528 intestata a Piergiorgio Leaci, LCE PGR 74L28 E506 K  oppure in contanti in una busta chiusa.

ART. 10 – Tutela dei dati personali. In relazione a quanto sancito dal D.L. 30 giugno 2003 n° 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, si dichiara quanto segue:
Ai sensi dell’ART. 7-11-13-25: il trattamento dei dati personali dei partecipanti, fatti salvi i diritti di cui all’Art.7, è finalizzato unicamente alla gestione del premio. Tali dati non saranno comunicati o diffusi a terzi a qualsiasi titolo.
Ai sensi dell’ART. 23: con l’invio degli elaborati con i quali si partecipa al concorso allegare il consenso scritto espresso dall’interessato al trattamento dei dati personali.

La ricevuta del versamento o la busta vanno allegate all’invio del materiale in concorso.

Per informazioni:
Segreteria Premio Letterario Nabokov
www.interrete.it – info@interrete.it
info line: 327.08.63.013

Riflessioni - Barbara Vellucci

Ci sono dei momenti in cui i pensieri decidono di tormentarmi. La brutta bestia - ho imparato a definirla così frequentando i forum - stabilisce che io non debba restare troppo a lungo serena. Forse teme che possa annoiarmi, magari il suo è un modo per tenermi desta. Forse è addirittura magnanima la brutta bestia quando decide di movimentare le mie giornate, che altrimenti sarebbero monotone, a suo insindacabile giudizio.
E allora capita che io, ormai disabituata alla serenità d'animo, venga colta di sorpresa dall'improvviso flusso magmatico che la brutta bestia fa eruttare dal cratere e colare giù a valle. Un lungo fiume incandescente che si è generato dal sapiente mescolare di orridi pensieri, pressanti fobie ed ancestrali paure. Un fiume di lava che scorre inarrestabile e lesto, ardendo il terreno e bruciando ogni ignara ed incolpevole vittima che ha la sventura di ritrovarsi lungo il suo percorso di morte. La brutta bestia si diverte in questo modo. Non conosce alternative più intelligenti e meno egoistiche per intrattenersi: lei è fatta così, ama provocare eruzioni improvvise e poi godersi lo spettacolo della distruzione che essa stessa ha contribuito a provocare.
Nei mie confronti ha adottato una tecnica assai sopraffina. Ha deciso di concedermi un periodo di pace. No, non si è dimenticata di me. La immagino impegnata a tormentare qualche altra anima in pena, perché lei non smette mai di divertirsi. E' l'unica sua attività, non potrebbe mai cessarla.
Mi ha semplicemente riposto nel cassetto delle cose da andare a ripescare, prima o poi. Quando in un momento, assai passeggero, di tedio, non sapendo cosa fare, andrà a riaprirlo e vi troverà me, si ricorderà del piacere che provava nel tormentarmi e ricomincerà.
Per il momento si limita a lanciare segnali, solo per l'insulso diletto che le provoca il sapermi sempre vigile, sull'attenti costante, anche in momenti in cui potrei starmene tranquilla. Mi ignora ma ci tiene a sapere che io in realtà non sia consapevole di questo suo ignorarmi.
Si dà troppa importanza questa brutta bestia. Soffre di manie di protagonismo.
Ma ci sono dei momenti in cui lei mi vince. Perché io la lascio vincere. A causa della mia scarsa conoscenza sulla tattica militare, lei mi invade e mi conquista, piantando la sua bandiera vittoriosa e imponendomi le sue condizioni. Che sono quelle di pensare che questo momento di calma apparente sia solo una breve ed illusoria tregua, tanto più cinica in quanto ingannatrice. Questa tregua è una passeggiata attraverso un bosco che si ritiene sicuro mentre in realtà cela oscure presenze pronte a tendere l'agguato.
La brutta bestia è così: ti rende avvezza alla diffidenza e marchia sulla tua pelle l'istinto del non fidarsi, del non sentirsi mai al sicuro.
Ci sono momenti in cui lei vince. Ci sono altri momenti in cui vinco io. E' una battaglia costante, la battaglia per la vita.

Stare accanto al malato: istruzioni per l'uso - Barbara Vellucci

Un giorno un amico mi chiede: "Come si sta accanto ad una persona che ha una malattia? Cosa si fa per aiutarla davvero? Perché io me lo chiedo spesso. C'è timore di dire o fare cose sbagliate".
Ho riflettuto molto prima di rispondergli. Io non mi ero mai posta questa domanda. Cosa avrei voluto che gli altri facessero o dicessero in mia presenza? Forse inizialmente non mi sono posta il problema perché non mi ritenevo malata o non così tanto malata al punto di aspettarmi che gli altri assumessero un certo atteggiamento nei miei riguardi.
Senza dubbio la mia prima "richiesta" sarebbe stata quella di essere trattata come se nulla fosse accaduto. Mi sarebbe piaciuto che gli altri avessero continuato a relazionarsi con me fingendo che io non fossi malata. E quindi nessun problema per battute di spirito, nessun timore di dire frasi sbagliate - tanto sarei stata la prima a riderci su -, niente esitazioni su nulla. Ero e restavo sempre io.
Di certo avrei fatto volentieri a meno di sguardi carichi di pietà e compassione. Penso non ci sia nulla di peggiore per una persona malata. Capisco anche, però, che il senso di pietà sia innato di fronte a talune situazioni. Io stessa non ho potuto fare a meno, sia prima sia dopo la malattia, di provare questo sentimento davanti a creature sofferenti. Ho provato grande pietà ma ho risparmiato loro il mio sguardo compassionevole perché loro erano me e io ero loro, guardarle significava guardare me e io non chiedevo né pietà né compassione.
A pensarci bene, però, non ho mai preteso alcun tipo di comportamento nei miei confronti da parte degli altri. Nei periodi in cui stavo più male, se mi capitava di dover prendere un treno e non c'era posto, me ne restavo in piedi; se mi trovavo all'ufficio postale e c'era una lunga coda, attendevo il mio turno con pazienza...
Ho sempre lasciato che gli altri si comportassero come la propria sensibilità personale suggeriva loro. Certo, io li ho aiutati a capire come dovessero relazionarsi con me. Ho fatto comprendere loro che la situazione era tranquilla, che non c'erano precauzioni da adottare, che fossero liberi di fare e dire quello che si sentivano di fare e dire. Non ci sono preparazioni da seguire per avvicinarsi ad una persona malata: la si rispetta, le si dona affetto, la si tratta normalmente.
Solo da una persona avrei preteso di più rispetto a ciò che mi dava. E con questa persona ho sbagliato tutto quanto...

Barbara Vellucci - Versi

Chi non capisce il perché del tuo stato d'animo, della tua sofferenza... Cosa ne sa...
Dello stravolgimento che la malattia porta nella tua esistenza?
Del dramma psicologico che ti investe?
Dei cambiamenti peggiorativi che repentini ti distruggono?
Dell'ansia, della fobia e della paura che ti ossessionano?

Cosa ne sa...
Di sentirsi invecchiati improvvisamente?
Di non riconoscere se stessi?
Di vedersi andare in frantumi?
Del terrore costante?

Cosa ne sa...
Del dolore che ti consuma?
Delle lacrime che ti affogano?
Delle urla che ti restano strozzate in gola?
Della fatica di andare avanti e far finta che tutto sia normale?

Cosa ne sa chi non ha mai voluto sapere?

martedì 28 agosto 2012

“Magnelli da vicino: L’autore, le opere”: incontro con Agnisola il 31 agosto a Gaeta

Dopo l'intervento di Marcello Carlino del 27 luglio e l'appuntamento con il maestro Claudio D'Antoni del 18 agosto, avrà luogo venerdì 31 agosto l'ultimo degli eventi organizzati in occasione della mostra “Alberto Magnelli, opere 1910-1970”, allestita nella Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta” (via De Lieto n. 2, Palazzo San Giacomo, Gaeta (LT).
A partire dalle ore 18,30 si terrà un incontro con Giorgio Agnisola sul tema “Magnelli da vicino: L’autore, le opere”. Il critico d’arte, scrittore e curatore scientifico della mostra scrive in catalogo - disponibile in Pinacoteca - che “le opere esposte nella rassegna recuperano in un organico percorso tutti i passaggi dell’arte magnelliana... È proprio dall’analisi dell’intero percorso artistico che è possibile comprendere le proprietà e l’originalità del suo linguaggio”.
Un apposito sito web (www.magnelli-gaeta.org) e una pagina facebook (Mostra Alberto Magnelli) sono riservati all'evento, in corso fino al 16 settembre 2012.

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INFO:
Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta”
Palazzo San Giacomo, via De Lieto n. 2/4, cap 04024 Gaeta (LT)
0771.466346 info@pinacotecagiovannidagaeta.it - info@magnelli-gaeta.org
facebook: Mostra Alberto Magnelli
sito web: www.magnelli-gaeta.org


Comunicazione e Media Relations:
Mary Attento (responsabile), m.atten@tin.it
Sandra Cervone, sandra.cervone@alice.it
Lisa Lieto, lisa_alena@yahoo.it

Spaini & Partners, matilde.meucci@spaini.it

A Gaeta i poeti Iannacone, De Angelis e D’Ambrosio

COMUNICATO STAMPA

Continuano gli incontri di poesia nel Museo Diocesano in Piazza De Vio a Gaeta, nell’ambito della rassegna “Gaeta. Un mare di poesia” curata dall’Associazione culturale “la stanza del poeta” con il patrocinio della delegata alla cultura del Comune di Gaeta, Sabina Mitrano.
Giovedí 30 alle ore 20 interverranno i poeti molisani Amerigo Iannacone (responsabile delle Edizioni Eva e critico letterario, di Venafro) e Filippo De Angelis (colonnello dei Carabinieri in pensione, di origine sabina, vive a Venafro), insieme al pontino Leone D’Ambrosio (che è nato a Sperlonga e vive a Latina ed è anche giornalista).
I poeti ospiti della serata, che saranno presentati da Giuseppe Napolitano (presidente dell’Associazione “la stanza del poeta”, anch’egli noto poeta nel Golfo) leggeranno testi dalle loro ultime pubblicazioni (D’Ambrosio ha appena pubblicato “Anticlea è mia sposa”, con in copertina un dipinto di Normanno Soscia).
L’incontro poetico del 30 agosto è anche un’occasione per visitare il prestigioso Museo gaetano, poiché si tiene nella sala dove sono esposti i quadri di Sebastiano Conca ed altri preziosi reperti pittorici.

Amerigo Iannacone

Filippo De Angelis

Leone D'Ambrosio

venerdì 24 agosto 2012

Avviso per i commissari del Premio Tulliola

Ai commissari del Premio Tulliola 2012, prego tutti voi di farmi pervenire le schede delle vostre votazioni entro il 15 settembre, la prossima riunione si terrà il 30 settembre per verificare i nomi dei finalisti, l'incontro si terrà nella sede dell'associazione, successivamente in data da definirsi, ci riuniremo per stabilire i cinque vincitori nelle diverse sezioni.

Diamo il benvenuto a Leonardo!

Il 26 luglio è arrivato il piccolo Leonardo! Per la gioia dei suoi genitori e della nonna, Carmen Moscariello! Auguri!!

Le foto sono tratte dal blog www.freevillage.it di Mario Piccolino






martedì 21 agosto 2012

Presentazione del nuovo libro di Mario Rizzi


Sabato,15 settembre 2012, alle ore 17, presso la chiesa di Fontana Perrelli lo storico Michele Graziosetto presenterà il quindicesimo libro di Mario Rizzi: “Storia della chiesa della Madonna della Libera” di Fontana Perrelli. Un testo scritto da Mario con la coerenza ed il puntiglio della passione di chi prosegue sulla via della ricognizione storica della nostra millenaria città. Questa volta si tratta di un’opera totalmente documentata e, per moltissimi aspetti, inèdita che completa il quadro storico su una pieve poco conosciuta. Mario ha ricostruito, con meticolosa cura, tutto quanto c’era da ricercare e, come sua abitudine, non è mai intervenuto a falsare o manomettere documenti e date, giacché Rizzi sa che la cronaca deve essere condotta su dati inoppugnabili e che valido cronista è solo chi intuisce dove essi vanno ricercati e come vanno utilizzati, per offrirsi all’utilizzo degli sudiosi e delle persone che desiderano approfondire la storia del nostro illustre e millenario passato.  Il testo, ben corredato, ha un interesse non trascurabile, poiché poco o nulla si conosceva sulla storia di questa chiesetta di campagna. La narrazione delle vicende storiche di questa pieve, definisce un altro medaglione importante che Minturno può aggiungere alla sua corona d’alloro.                                                                  
Il testo è stato scritto e donato totalmente da Mario Rizzi al comitato della festa in onore della Madonna di Fontana Perrelli.  La pubblicazione narra, sic et simpliciter, tutte le vicende afferenti alla storia documentale, a partire dal 1559 ad oggi, sui presunti storici “possessi della chiesetta” da parte di privati; le lettere del Vescovo di Gaeta dal 1878 che invitava Francescantonio Riccardelli, parroco della chiesa di S. Pietro ad esperire indagini e, successivamente, ad impedire che nella pieve di Fontana Perrelli continuassero a “verificarsi inconvenienti e scandali”; le diàtribe fra le chiese di S. Pietro e di S. Francesco di Minturno sul possesso della chiesa; il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli; i rògiti notarili; le sentenze dei tribunali di Latina e quella della Corte di Appello di Roma; la pseudo presenza dei “Templari”; dei furti subìti; dei vari restauri; del cambio del nome della Madonna dedicata in primis a “Santa Maria di Bethlem”; della nascita della festa avvenuta nel 1900 e dei vari giochi popolari.

Veduta della Chiesa della Madonna della Libera (foto Gianni Campani)


Dalla prefazione di Michele Graziosetto

Una piccola Chiesa, una sorta di nido religioso per una comunità che vive di semplici cose: è questa la “Madonna della Libera”, un rifugio, un sacrario che conserva le memorie sepolte nella coltre della Storia con i suoi piccoli miracoli e le sue liberazioni. Forse perciò della “Libera”, perché essa anticamente ha assolto alla sua funzione: libera nos a malo. La domenica, il suo pastore, con una assiduità al limite di ogni capacità di resistenza, cura le sue anime, dona con un amore paterno, al culmine del suo Ufficio, quell'antica parola di Cristo che riscalda ed accompagna gli esseri umani nel faticoso andare della vita […].
Nessuno avrebbe mai pensato che la nuda, materiale proprietà avesse con il tempo lacerato gli animi per la rivendicazione del tempietto. Eppure, questa lunga (e terminata?) diatriba ha acceso i cuori, li ha persino spinti a varcare le aule dei tribunali. E gli Arcivescovi e canonici – succedutesi nel corso degli anni – hanno dovuto rispolverare, se non disseppellire, carte varie per l'autenticità dell'appartenenza a contrasto i quanti ne rivendicano il possesso. E nel contempo, con ammirevole esempio di pacata devozione dei cittadini del luogo, il suo culto non è mai stato abbandonato. Anzi, amorevole attenzione è stata rivolta per il suo decoro da chi – in buona fede – ne ha curato, custode imperterrito, le mura e la loro inviolabilità. Ma non sempre la Chiesetta è stata preservata da atti vandalici, a segno del continuo persistere di una malvagità gratuita. Per fortuna, i fedeli, con copiosi doni e disinteressata generosità, hanno accudito e sostenuto le spese necessarie al culto […]
Il nostro compito non è quello di entrare nei meandri della legge, sappiamo oggi – dalla attenta ricostruzione di Mario Rizzi – che un Convitto Nazionale (quello di Napoli) ne è il legittimo proprietario e, se altri non avanzerà titoli idonei, la pace “eterna” non turberà affatto quella che internamente già – da giorni immemorabili – vi si gode. La comunità contadina e artigiana dell'area della Fontana può continuare a recitarvi le sue preghiere. Il suo unico scopo è di vivere in pace, con l'augurio che il lavoro informativo compiuto da Mario Rizzi possa essere l'ultima e nuova pietra “aggiunta” al crepuscolare edificio innalzato al culto della “Madonna della Libera”, perché abbondanti siano i frutti della terra e siano fatti salvi nel corpo e nello spirito i suoi fedeli, che con tanta semplicità ed ardore la domenica ne varcano la soglia, ai cui lati splendono residui di colonne a sostegno degli archi – impagabili vestigia dell'incomparabile Minturnae -.

lunedì 20 agosto 2012

"Stabat Mater" - Carmen Moscariello

Coro:
E la pelle della luna aprì arcuati i gobbi del cammello
Gli uomini urlarono perché la morte come saetta fletteva i lunghi artigli
Né c’era scampo per il ricco epulone e per i tortuosi ossiuri della parola.
La montagna si spaccò e si lasciò attraversare dalla spada del dolore
I pesci nel mare annerito dalla centrale
boccheggiarono per l’ultima volta, tra anse al mercurio
E le pinne in preghiera si lasciarono
andare vacue sfilate alla tempesta.
La montagna di Gaeta con boato terribile
spaccò il mare furioso,boccheggiò
sul cuore degli inetti.

Maria:
Cala il velo dei tuoi occhi ,o figlio prediletto,
né io posso alleviare il tuo dolore,
le spine trafiggono il tuo sguardo
ed io derelitta imploro di salvarti
Assistere al dolore di chi si ama
è pena che scarpella ogni infinito
e le tue mani lontane alla mia fronte
che implora la tua benedizione

Non vedi, Figlio di madre addolorata
che essi con spade appuntite trafiggono il costato
E il sale arde il sole e i miei pensieri
Figlio, di mamma disperata
volgi a me i tuoi occhi tanto belli.
Nel mio ventre ti portai
Amen, risposi all’angelo annunziante
E felice protessi il mio ventre benedetto dal Signore

La Folla:
Crucifixo , iusta crucem,
Figlio di Dio, dov’è tuo padre?
Beh perché non salva gli occhi tuoi belli
Menzognero ti scoprimmo e una croce
regalammo al re dei giudei
Ecco che preparammo una corano, un diadema
di dolore, un foglio di sanscrito,
figlio di madre sola, figlio senza ritegno.

Maria:
Non senti le urla dei dannati
Salvati da loro e salva la tua madre sconsolata
Le belve vogliono il tuo sangue
Giuda, l’apostolo col bacio traditore
E Pietro due volte rinnegò il tuo amore.
Il gallo all’alba e a metà del giorno
il cielo si fa nero e l’inferno ricopre il mondo peccatore
Morti gli uccelli, tremano gli olivi
e le donne piegano il ginocchio
Pietà di noi! Ma il cielo è buio
E la morte affila il suo coltello
piangono gli uomini perversi
la rovina dei loro tetti
Trema la terra, si spacca in ogni dove
il peccatore urla il suo dolore.

.

Gesù.
Lascia, madre mia, che io salga in Paradiso
Il fiele l’ho bevuto e il mio corpo già
la pietra del sepolcro è pronto a sollevare
Io vado avanti per aprirti la porta del Paradiso
Madre non disperare.

Maria:
Figliuzzo di mamma tua, cuore d’amore
e gioia, come ti posso mai
vedere con i chiodi nelle mani..
Mani di fuoco e stelle
Mani che benedicono, mani che risorsero Lazzaro
Mani che io strinsi al petto, quando tu eri bambino.

Gesù:
Attendi e hai fede , io non morirò
La pietra del sepolcro è solo simulacro
Io come il fuoco sono destinato al cielo
e tu madre mia mi seguirai in gloria

Maria.
Mi lasci sola tra le aborrite sentinelle del potere
Devastano con arroganza la vita degli innocenti
Seminano fame e discordia tronfi delle ricchezze
Mi lasci con vili traditori, che irridono il mio Figlio benedetto
In mezzo alla tempesta di contraffatti orrori
Tra canne di galassie che sanguinano il tuo sangue.

Gesù:
Virgo virgine praeclara
Hai fede nel Dio del cielo
Egli che atterra e suscita
la palma dell’olivo, al Getsemani
portati insieme alle altre donne
E dunque tu perdona come già ho fatto io,
se la palma della vittoria vuoi un giorno ottenere

Maria:
Crudeli, et me tibi sociare, portami insieme a te
Fa che anche le mie mani siano attraversate dai chiodi
Fac, ut animae donetur Paradisi Gloria

Gesù
Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa
Madre mia, Madre di figlio doloroso, venni a salvare gli uomini
ed essi mi appesero alla croce, che tu sia benedetta , Madre
prediletta , in trionfo tutte le genti ti chiameranno beata.

Maria:
No, il Figlio mio prediletto, il Figlio unico figlio di madre afflitta
Scendi dalla croce e salvaci, ti prego.

Coro:
La folla lo sputò, lo irrise
e l’aceto bagnò il cuore
arse per il dolore. L’uomo traditore
irrideva il Salvatore e il sangue gocciolava.
Sul fango delle urla
crebbero le bestemmie ,
per te la croce, urlavano, a noi il piacere
E un nuovo sputo toccò i piedi trapassati.

Intanto un urlo di dolore
attraversò cielo e terre
e volse gli occhi al cielo
e il Padre suo lo accogliesse

Maria:
Fac me plagis vulnerari,
fac me cruce inebriari
Et cruore Filii
Che io possa presto, insieme a te,
inebriarme della luce del Paradiso.

Coro:
Rosa candida, Rosa prediletta
Virgo virginum
Madre di pazienza, Figlia del tuo Figlio
presto tu godrai la luce del Paradiso
e tutti i popoli ti chiameranno beata
Proteggi le mamme addolorate

E i figli crocifissi
Sui pali del dolore
Mater lacrimosa volgi il tuo sguardo agli umili
Disperdi i superbi, brucia la loro perfidia
Rimanda i ricchi a mani vuote

martedì 14 agosto 2012

Un fuoco, un uomo nuovo sulla Terra - di Francesco Bellanti

“Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno”. Il nuovo libro di Guido del Giudice. Il nuovo saggio di Guido del Giudice “Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno” (pp. 128, euro 12, Di Renzo Editore), anche a un non specialista dell’opera Giordano Bruno come me, che tuttavia ha letto almeno una mezza dozzina di libri sul grande filosofo di Nola, appare sin dalle prime pagine un libro agile, un saggio chiaro ed esaustivo sul grande filosofo degli infiniti mondi. Un libro che si legge d’un fiato, che riempie dei vuoti ma suscita anche nuova brama di conoscenza, di approfondimento dell’opera di una delle menti più grandi dell’umanità. Come solo i bei libri sanno fare. Di che cosa parla il libro? Il libro è composto da interviste immaginarie che mettono in rilievo il pensiero di un uomo consapevole della sua modernità. Si parla in questo libro di magia, di scienza, di filosofia, di poesia, di tolleranza, di eresia, della Chiesa e degli infiniti mondi, e di molti altri aspetti significativi del pensiero di Bruno. Il libro di Del Giudice è incentrato sugli incontri che effettivamente avvennero nel dicembre del 1599 nelle carceri del S. Uffizio Romano tra il grande filosofo nolano e i due inquisitori domenicani, Ippolito Maria Beccaria, generale dei Domenicani, e Paolo Isaresi, suo vicario, incaricati dal Collegio giudicante di tentare, per l’ultima volta, di indurre all’abiura l’eretico pertinace. Vi emerge la figura di questo Beccaria, che nella storia di questo famoso processo non era sembrato così importante. Si discutono tutti i più importanti punti della filosofia di Bruno, che è in realtà il vero titano della vicenda. Anche se io credo che Bruno non fosse così sicuro in questi ultimi giorni del suo processo. Nei vari capitoli, la discussione si articola come una vera e propria intervista al Nolano sui principali aspetti della sua filosofia e delle sue scelte di vita. Si va dall’arte della memoria all’infinità dei mondi, dai dogmi cristiani agli eroici furori. La mente dei due teologi inquisitori, come anche quella più poderosa di Roberto Bellarmino che è dietro di loro, di fronte a questo universo popolato di infiniti mondi creato dal sogno di Bruno, era smarrita. Per loro l’universo doveva restare un carcere. Quasi sicuramente, come Bellarmino, i due inquisitori avevano percepito che Bruno, con la sua visione dell’infinito aperta ad una pluralità di mondi, aveva aperto un’epoca nuova per lo sviluppo del pensiero moderno. Vivevano nella certezza della fede ma anche nel terrore del tempo nuovo che si apriva. Lo stesso Bellarmino confidò in seguito a Galilei che, se le sue osservazioni sperimentali a sostegno della visione eliocentrica si fossero rivelate scientificamente certe, si sarebbero dovute rivedere le Scritture. Quello che, infatti, dopo è avvenuto. I due inquisitori, Beccaria e Isaresi, erano in balìa di un’illusione, l’immane compito di condurre all’abiura un intellettuale di prestigio che avrebbe portato nuova gloria alla Chiesa. Credo che fossero consapevoli di essere destinati al fallimento, e di essere amareggiati per questo, perché la Chiesa non voleva il martirio del Nolano, sapeva che aveva tutto da perdere con questo nuovo grande martire. Anche Bruno ormai aveva tutto da perdere ad abiurare, egli non poteva più abiurare in quanto il suo pensiero non aveva più nulla di cristiano. Le sue posizioni filosofiche e teologiche erano ormai incompatibili col pensiero cristiano. In quei momenti, Bruno quasi sicuramente è consapevole di andare incontro al rogo e al silenzio, ma probabilmente è anche consapevole che la storia gli darà ragione per sempre. Per questo motivo, e questo lo si evince anche nei dialoghi di Del Giudice, nonostante l’angoscia della morte prossima, egli emerge intellettualmente come un titano davanti ai suoi carnefici. Certo, Bruno voleva apparire come un libero pensatore non come un teologo, ma le leggi in materia allora erano chiare e lui le conosceva. E occorre anche dire che la Chiesa, in base alle leggi di allora, assicurò a Bruno un processo regolare. Nemmeno questo era una cosa facile, perché la storia non aveva incontrato un uomo come Giordano Bruno. Ma chi era Giordano Bruno? A mio modo di vedere, Giordano Bruno forse fu essenzialmente un poeta, più che un filosofo, perché solo i poeti autentici sono capaci di intuizioni rivoluzionarie come quelle di Bruno in ambiti così diversi oggi come l’astronomia, la matematica, la filosofia, la religione, la libertà di pensiero. Bruno - tra magia e arte della memoria, tra nuove concezioni astronomiche, e nuove e più moderne visioni della natura e della religiosità - è l’uomo che chiude un tempo e ne apre un altro, e di questo bisogna tenere conto anche per capire le sue contraddizioni. Il risvegliatore degli animi dormienti era un libero pensatore insofferente a qualsiasi potere, una mente brillante, sostanzialmente un anarchico, nemico di ogni legge e di ogni dogma, un intellettuale europeo come pochi lo sono stati fra gli Italiani. Era un eretico, sì, ma un eretico che non meritava il rogo, che ha vinto la sua battaglia contro un titano della Chiesa come Roberto Bellarmino. Roberto Bellarmino, il futuro Santo e Dottore della Chiesa, che non era solo un gesuita, un cardinale, era anche un grande teologo, uno scrittore, uno degli uomini più colti e intelligenti della Chiesa di quel tempo. Bruno ha potuto vincere la sua battaglia contro Bellarmino e la Chiesa di allora perché era un moderno. Moderno perché era un uomo che non voleva far progredire la scienza o la filosofia ma l’uomo, moderno perché aveva compreso il dramma dell’uomo, l’impossibilità di perseguire la pace e la felicità solo attraverso il progresso tecnico e scientifico. La scienza, sostiene Bruno, anche se porta tanti vantaggi, se non serve all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo. Giordano Bruno è l’uomo, l’uomo moderno, l’uomo nuovo, l’uomo tormentato, geniale, che annuncia e anticipa i tempi, e per fare questo fatica a liberarsi dell’antico. Egli ha capito ciò che serve per comprendere l’universo e giungere alla verità. Dio, la natura, l’uomo: sembra Hölderlin. Un pensiero romantico, bello, moderno. Il Buddismo. L’Induismo. Forse è panteismo. È comunque un’eresia, non è più Cristianesimo. Bruno è moderno perché il suo pensiero è rivoluzionario ma non sempre coerente. È un uomo che ha i piedi nel Rinascimento e nel Medioevo e la mente già nel Settecento. Una mente sterminata, profonda, impressionante, una delle più straordinarie presenze nella cultura europea di quel tempo e di oggi. Il ribelle, il rivoluzionario, il mistico. L’intellettuale immenso, il poeta e il filosofo, lo scrittore facondo. Egli stesso si definiva stupore del genere umano. È moderno anche perché il suo pensiero non è sempre coerente, ha molti punti oscuri, zone d’ombra. Non si può sostenere in nome della ragione l’assurdità della fede e poi praticare la magia e l’arte della memoria. Anche se quella che allora si chiamava magia faceva parte della vita e della conoscenza. La Chiesa si avviava a imparare la lingua degli uomini per potere parlare la lingua di Dio. Forse, in quel momento, come adesso, il Cattolicesimo non era nemico della libertà, forse il Cattolicesimo voleva che la libertà fosse ancorata alla verità. Anche se, questo Bruno sosteneva, nulla si deve frapporre fra l’uomo e la conoscenza, perché solo così si conquista la verità. E la libertà. Bisogna ricercare la conoscenza al di là di ogni logica di mercato. Si deve studiare per capire il mondo, non per accumulare ricchezza e potere. La vita non va separata dalla filosofia, non ci deve essere scissione tra sapere e vita. Bruno è l’uomo nuovo, l’uomo moderno che cerca la conoscenza, il senso dell’essere, la vita. è un uomo il cui pensiero è molto più avanti del suo tempo e del suo spazio, e trova punti fecondi di contatto col pensiero induista e buddista, come per esempio la sua credenza nella metempsicosi o l’idea che la morte altro non sia se non la dispersione di scintille di energia vitale nell’universo, energia che pervade e crea altra materia. Io non credo che Bruno avesse come obiettivo la rifondazione di una Chiesa corrotta e dissoluta sul piano morale, incapace di qualsiasi progresso teologico o culturale. Le sue idee ormai erano troppo al di fuori dei dogmi della Chiesa, per esempio il suo rifiuto della transustanziazione e della Trinità, di un Dio personale. Bruno restituisce la Terra all’uomo, anzi l’universo, e fa dell’uomo il centro della storia. Giordano Bruno fu un grande filosofo, un matematico, un teologo, ma fu soprattutto un uomo moderno, un poeta, perché solo la potenza di un sogno poteva comprendere la realtà dell’universo infinito, di mondi infiniti, di un Dio che pervade tutte le cose dell’universo. Del Giudice, lo studioso napoletano che ha dato - con molti libri e un’attività eroica - un contributo decisivo per la riscoperta e la corretta interpretazione della vita e del pensiero del filosofo di Nola bruciato vivo dalla Chiesa cattolica in Campo de’ Fiori a Roma il 17 febbraio del 1600, non è solo divulgatore dell’opera del Nolano. è un esegeta, un acuto e intelligente interprete che sa penetrare nelle pieghe più riposte del pensiero, anzi negli infiniti mondi di un grande intellettuale, di un uomo che voleva risvegliare l’umanità dormiente coi suoi eroici furori. Lo fa in questo libro con una scrittura chiara e precisa, che nelle domande e soprattutto nelle risposte di Bruno è anche rigorosa perché filosofica; una scrittura poetica, in quanto si interna nell’anima di un pensiero complesso e affascinante, e ne riproduce il pathos, l’afflato, la tensione lirica di uno dei pensatori più inquietanti dell’umanità.

venerdì 10 agosto 2012

Saggi critici - "Non è ancora l'addio", opera poetica di Leone D'Ambrosio

di Carmen Moscariello

Leggendo l’opera poetica di Leone D’Ambrosio, batte nel cuore la voce della Callas che canta “Che farò senza Euridice”, fiati di nostalgia struggente che avvolgono ogni alba, ogni domani.
La tunica di fuoco del Poeta rende inimmaginabile, quanto la morte, appartenga alla vita. Infatti, in questo testo fascinoso, non c’è solo una Poesia in memoria, il messaggio è ben più grande.
Si apre a ventaglio, come se nessuno spazio bastasse, per una consegna d’affetti che ha suoni gutturali, placati da una forza misteriosa che avanza in silenzio; un  passo d’addio intessuto di crepuscoli, di una natura contadina che col suo richiamo al quotidiano riporta di nuovo ordine, ricompone ciò che la morte voleva frantumare. La presenza di Dio è consapevolezza di una promessa sicura, è la corsa del tempo per ritrovarsi per mano. Pur se la fede non è mai apertamente dichiarata, rimane la tela filata che congiunge il primo all’ultimo verso.
La poesia di Leone D’ambrosio ha temperamento, sgorga come olio da un frantoio a goccia a goccia, mentre la formidabile concretezza del linguaggio crea muri di pietra che consolidano speranze, pietre di sogno che proteggono dalla rovinosa tempesta.
Nei suoi versi si avverte una consacrazione del pane all’altare, mentre si circoscrive un altrove  dominato da un unico stilema: La devozione per il padre che come letto di un fiume abbraccia la casa e la famiglia.
Devozione che comprende anche la malattia, cucita alla sofferenza, intessuta di pareti bianche, di canti di rondinelle, dove il freddo è lodato e la luce neutra non ha voce per interrogarsi sul perché un uomo muore.
La grandezza del Poeta è nella bellezza trasfigurante del dolore e della malattia, trasformando così il nero della morte in canto. Come Orfeo, nelle notti  illune Egli compone per lodare il freddo e la vita per poter morire senza timore. L’alto brulicare del tempo senza storia, si allunga infinito, spazia in galassie sconosciute alla ricerca di Dio che congiunge, non lacera. Quella notte chiara dà ai versi compostezza; le finestre in attesa, statiche si aprono su un nuovo mondo, tracciano un nuovo incontro.
Dalla rupe furono gettati i tormenti, da seppellire sotto erba leggera, ma quante lacrime per farla leggera e levigare il passo d’addio.

Saggi critici - Il Dio ignoto nella poesia di Renato Filippelli

di Carmen Moscariello

Se un cristiano si sofferma sulla passione di Cristo non può che piangere per i tormenti che gli inflissero.
Il percorso al Golgota fu lento e doloroso.
Leggere quest’ultima preziosa raccolta del Poeta Renato Filippelli è stato come la cerva del salmo/fiutando sorgenti lontane mi ha stretto il cuore in una morsa  di dolore purificante, strenuo Cche mi diede  conferma ,come dissi in una conferenza a Minturno, che per me la poesia di Filippelli è come il vangelo di Luca.
A ragion veduta, poiché mai come in questi versi si ha   la constatazione di una grande estenuante ricerca dell’uomo nella sua crisi più distruttiva, nella sua luce più fiammeggiante; pur essendo stato Egli sempre sostenitore della Poesia come anima, anche quando il gioco del verseggiare e l’alchimia  della parola approdava ad un prato brinato, Egli  sempre dilaniato,cantava i gemiti della gente del Sud (la sua gente protetta dal manto della Poesia che denunzia).
Ma, qui a guidarci è l’esperienza di Dio , imponderabile soffio, estenuante sussurro, rabbioso urlo: diviene ora un mezzo per dare alla parola un senso divino  che mentre approccia al nulla, tra le nebbie del mare si innalza come croce del firmamento a sottolineare che l’essenza dell’uomo è solo in Dio nel suo splendido annientante desiderio di vivere e morire.
Morire per attraversare il dolore, per lasciarsi indietro quell’esperienza di “figlio” che è  del Poeta che affronta l’ oceano sulla fragile foglia, baciata dalla  rugiada della carità, dall’urgenza del bene che nella Poesia e nella vita di Filippelli si è tradotta nella sua grande opera di educatore, di guida ed aiuto agli artisti  gemmanti,  di sdegnoso giudizio contro la corruzione e la malvagità . Egli ha donato alla nostra terra e al mondo un flusso di civiltà, di mansuetudini, di rispetto per ogni creatura dell’universo, non a caso nella sua poesia anche il suo cane ha una centralità catartica  di struggente solitudine e di amore.
Il Dio di  Filippelli non più creatore, ma soglia agognata, liberazione , preghiera, abbandono, approdo di un uomo non acquietato, ciò che Egli contiene  esplode come lance conficcate nel costato e al padre non implora, ma urla, protesta.
L’altare del dio ignoto non ha fiori  da offrire al divino , ma le infinite tribolazioni di noi sofferenti, dubbiosi, smarriti.
Il vincolo vita-morte diviene così approdo a un ampio e delicato dibattito che si muove in versi modulati al canto della vita, alla disperazione dei giorni , al candido scoprirsi implume come pettirosso appena nato , ma il canto è della buona novella, di un uomo che non si arrende e ricerca e costruisce ciò che rende l’uomo simile a Dio.
 
Sulla mia strada di Damasco
mancò la segnaletica
verso Gerusalemme.Quando
cadevo all’urto
dei Tuoi cavalli un altro si torceva
in me, Ti domandava
aspro e gemente: “Perché mi perseguiti?”
 
Figli che mi portate sulle spalle
come pietoso Enea portò suo padre,
se voi non foste il filo che ricuce
brandelli alla speranza della vita,
mi getterei nel vuoto della valle
come un fantasma in fuga dalla luce

Saggi critici - Giuseppe Cassieri "Esame di coscienza di un candidato"

di Carmen Moscariello

Non sai mai leggendo un romanzo di Cassieri, se ti troverai di fronte all’assurdo, alla bizzarria o alla fantasia più sfrenata, oppure se ti trovi di fronte a situazioni che trovano radici profonde nella realtà.
E’ questo strano arcolaio che prende l’animo del lettore: ora in modo ilare e leggero, ora per impigliarlo in situazioni umane e di pensiero dolorosamente vive e vere.
Il sempre nuovo che scandisce la sua genialità e fantasia, inesauribile, costipato per volontà dell’autore in personaggi tormentosi, incerti, dilavanti di fisime e paranoia, che tentano appena di affacciarsi alla vita per essere immediatamente assorbiti nel gragnuolo di sconfitte e di paure.
I personaggi dei suoi ultimi tre romanzi Tommaso Redi (I festeggiamenti, 1983), Giovanni Cermenati (Colombina, 1991), e Ciro Medina (Esame di coscienza, 1993) ai quali Cassieri ha dato vita in uno spazio brevissimo di tempo, ti lasciano a fiato sospeso, un po’ per le condizioni più strane che riguardano la loro professione e le afflizioni paranoiche che ciascuno ha, un po’ per quella dimensione di sogno e di sensualità fortemente presente soprattutto nell’ultimo romanzo.
Vorremmo far notare al di là di quello che i critici da più di trent’anni hanno detto del suo genio e della sua arte e cioè dell’elegante ironia, della sorridente indulgenza con cui rappresenta i vizi del mondo, della sua disponibilità all’avventura, dell’uso straordinario che fa della satira, la sua spasmodica irrequietudine. Questo lo ha portato a cercare, a scavare e ad esplorare, servendosi della sua prosa raffinata e ricca di neologismi e di parole inusitate all’uomo comune, al quale pure egli sa rendere i termini familiari.
Ottimizza” gli eventi, si muove e si sbraccia in situazioni apparentemente atipiche.
Nell’ultimo suo romanzo titolato Esame di coscienza di un candidato, Cassieri narra la storia di un professore, storico delle tradizioni popolari dell’Università di Roma esperto e patito dell’ex-voto (la stessa copertina è rappresentata da un significativo ex-voto del 1836).
Sicuramente nell’opera c’è qualcosa di autobiografico. Possiamo dire, senza ombra di dubbio che ci sono tutte le bellissime cittadine e frazioni che si affacciano sul Golfo di Gaeta, dei quali posti l’autore è attento conoscitore visto che qui passa una parte della sua vita. Così tra Scauri, Minturno, Gaeta, Formia e Tremensuoli si snoda anche una storia intrisa di eros, irruenta, dettata da una passione tutta cerebrale, combattuta e infine distrutta dalle mille incertezze e dalla insipienza del personaggio principale.
Quello che ci sorprende non poco nell’esame di quest’opera è che mentre constatiamo la straordinaria fantasia dell’autore che si muove senza lacci ed è in grado di raccontarci e di coinvolgerci nelle cose più inverosimili, in contemporanea ci rendiamo conto dello straordinario radicamento dell’opera nei nostri tempi.
Il rapporto personale e di comodo che il professore ha con la moglie, personaggio, questo sempre teso a “ottimizzare” ogni aspetto dell’esistenza, fino a distruggere in questo modo ogni impulso creativo e libero che pur esiste nel Medina.
Dall’altra parte la passione che lo rode per Marica, la ninfa minturnese impegnata nella lotta con la centrale nucleare del Garigliano e coordinatrice de “Il cerchio” fresco e ambizioso movimento politico, è alimentata dal fatto che Ella va alla ricerca di un candidato al di sopra di ogni sospetto per le prossime elezioni politiche e scopre proprio in Medina la persona giusta per lo scopo.
Quest’ultimo punto rende straordinariamente attuale l’opera che si articola sull’esame di coscienza che Medina fa isolandosi a Villa Flacca che, appunto si affaccia sul Golfo di Gaeta. Qui è dibattuto tra le sue fisime che si acutizzano e le esigenze della moglie che tende ad ottimizzare persino il suo seno facendoselo rifare e ancora tra gli ex-voto che appaiono e scompaiono per dar ragione alle sue meditazioni.
Intanto l’eros divampa nel povero Professore che ne resta annichilito e aperto, solo nel sogno ad ogni esperienza.
Così egli rammenta che Marica Delfi è una figura emergente, il nome circola per così dire negli interstizi dei giornalisti parlamentari, i quali la puntano più che l’appuntano, non sfuggendo a nessuno che la coordinatrice minturnese è arcanamente bella.
A bloccarlo nella sua torrentizia vitalità è l’attacco casualgico, una misteriosa somatizzazione, che è campanello d’allarme della gravissima crisi esistenziale che il Professor Medina sta vivendo.
Sottolineiamo anche una contrapposizione tra l’irruente ardito fraseggio e il linguaggio agile come una punta di fioretto contro le mille incertezze del personaggio: anche queste ultime cose rendono l’opera di immediata leggibilità, senza pause accompagna il lettore al riso, alla sorpresa e alla riflessione.
Se poi pensiamo alla documentazione, fin nelle minuzie, alla voglia e alla mille mosse tattiche per attirare Marina nella sua tana, e ancora alla descrizione succosa delle località del Golfo, nonché alla miriade di personaggi che si muovono nel burrascoso e tedioso quotidiano, ebbene tutto questo rende l’opera di inusitato movimento, attraversata dall’inizio alla fine dalla Ninfa tellurica e acquatica. Il fatto giustificato dalle riflessioni del sociologo Edward Morris che compare e scompare continuamente nell’opera come il tic nervoso del Professore, gli ex-voto o la passione sempre rincorsa e mai realizzata di possedere Marica.
 
tratto da “Oggi e Domani” – rivista mensile di cultura e attualità, anno XXI, n.9, settembre 1993, pag. 57-58

Eleusis



Video dell'evento teatrale Eleusis. Il rito di fine millennio, del 2000, girato dalla grande regista tedesca Digne Marcovich. Verso i tre quarti camminata sul fuoco in nome di Giordano Bruno.

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA
DELL’ITALIA MERIDIONALE
Sezione SAN LUIGI
Via Petrarca, 115 - Napoli
Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia
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Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia:
Iscrizioni aperte ai tre indirizzi di studio

comunicato stampa 8 agosto 2012

Aperte le iscrizioni, per l'anno accademico 2012-2013, ai tre indirizzi di studio della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia, giunta al settimo anno di vita.
Il primo indirizzo, Percorsi interdisciplinari di arte e teologia, riguarda un approfondimento teoretico e pratico del rapporto tra la teologia e le arti visive, ma anche la musica, la letteratura, il cinema, il teatro, la danza, il fumetto, mediante lezioni articolate in moduli, dibattiti, visite guidate etc., anche all’interno di uno specifico percorso tematico, che quest’anno sarà Il volto.
Gli altri due indirizzi mirano ad approfondire su un terreno più applicativo e professionale aspetti di particolare attualità. Nel secondo indirizzo, Laboratorio di Architettura Sacra, l’attenzione è infatti centrata sulla costruzione di chiese. Il percorso formativo riguarderà in particolare la progettazione di chiese e l’adeguamento liturgico delle chiese esistenti. Il terzo indirizzo, Promozione e gestione di beni ed eventi culturali, riguarderà L’arte sacra e il turismo religioso, ambiti di grande interesse, anche in una prospettiva lavorativa, e ancora poco sviluppati.
Non mancheranno, all’interno dei citati indirizzi, percorsi specifici e particolari moduli di approfondimento, come quello dedicato agli insegnanti di religione e riguardante l’utilizzo dell’arte per l’insegnamento della religione cattolica.
I corsi avranno inizio con la cerimonia inaugurale nella seconda metà di novembre 2012 e proseguiranno fino a giugno 2013. Si svolgeranno in genere presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi (via F. Petrarca 115, Napoli), di cui è decano il prof. Sergio Bastianel S.I.
Come ogni anno la Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia, di cui è direttore il prof. Giuseppe Manca S.I. e condirettore il prof. Giorgio Agnisola, gode del patrocinio di vari uffici della Conferenza Episcopale Italiana.
Per iscriversi o conoscere informazioni dettagliate sui programmi, consultare il sito della Scuola www.scuolaarteteologia.it o telefonare al 338.1527842.

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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE
sezione SAN LUIGI - via Petrarca 115, NAPOLI 80122
Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia
www.scuolaarteteologia.it - www.pftim.it/sluigi - tel. 338.1527842 direttore.arteteologia@pftim.it -
segreteria.sl@pftim.it - segreteria.arteteologia@pftim.it

comunicazione e media relations: Mary Attento m.atten@tin.it

Alberto Magnelli e le avanguardie musicali del Novecento: incontro a Gaeta il 18 agosto




Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta”
Alberto Magnelli
opere 1910-1970
dal 9 giugno al 16 settembre 2012



Alberto Magnelli e le avanguardie musicali
del Novecento: incontro a Gaeta il 18 agosto

Sabato 18 agosto 2012 proseguono a Gaeta (LT) gli appuntamenti organizzati nell'ambito della mostra “Alberto Magnelli, opere 1910-1970”, allestita nella Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta” (via De Lieto n. 2, Palazzo San Giacomo).
A partire dalle ore 19,00 si terrà un incontro con il maestro Claudio D'Antoni - docente dell'Università Lumsa di Roma, pianista, critico - su “MAGNELLI E LE AVANGUARDIE MUSICALI DEL NOVECENTO - Reciprocità tra forme visive e forme musicali”.
In programma, dopo la conversazione con Marcello Carlino tenutasi il 27 luglio, l'incontro con Giorgio Agnisola - critico d’arte e curatore scientifico della mostra - sul tema “Magnelli da vicino: L’autore, le opere”, che si svolgerà il 31 agosto alle ore 18,30.
È disponibile in Pinacoteca un ampio catalogo che documenta in maniera dettagliata l'uomo Alberto Magnelli e la sua attività artistica.
Un apposito sito web (www.magnelli-gaeta.org) e una pagina facebook (Mostra Alberto Magnelli) sono riservati all'evento, in corso fino al 16 settembre 2012.

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INFO:
Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta”
Palazzo San Giacomo, via De Lieto n. 2/4, cap 04024 Gaeta (LT)
0771.466346 info@pinacotecagiovannidagaeta.it - info@magnelli-gaeta.org
facebook: Mostra Alberto Magnelli
sito web: www.magnelli-gaeta.org


Comunicazione e Media Relations:
Mary Attento (responsabile), m.atten@tin.it
Sandra Cervone, sandra.cervone@alice.it
Lisa Lieto, lisa_alena@yahoo.it

Spaini & Partners, matilde.meucci@spaini.it

martedì 7 agosto 2012

Saggi critici - Francesco D'Episcopo, Enzo Striano

di Carmen Moscariello

La città dei Lazzari, di Lenor, di Enzo Striano, di Michele Prisco, di Domenico Rea, di Mario Alberto Morioni. Napoli nella sua bellezza stravaganza, bizzarria e genio è colta tutta nella sua unicità mitica e umana da Francesco D’Episcopo nella monografia su Enzo Striano apparsa recentemente nei tipi della Liguori.
Non è nuovo questo saggista alle interpretazioni quasi carnali (tanto sono profonde e precise le sue analisi) di poeti e scrittori contemporanei. Resta un punto fermo nella nostra letteratura quella sua opera dedicata ad Alfonso Gatto “Picaro e Poeta” “un bel saggio di critica totale, nel senso che non trascura nessuno degli aspetti” (Vittoriano Esposito, Poesia del 900 italiano, Bastogi, pp. 660). E ancora sono da ricordare i suoi recentissimi studi su Sinisgalli e la sua attenta analisi su Francesco Iovine. E, non ultimo, il merito grande di questa monografia su Striano che rende giustizia a uno scrittore troppo presto dimenticato e certamente trascurato in vita.
Il discorso circolare sulle opere edite e inedite di Striano, senza sottovalutare la sua attività di saggista e giornalista, si innerva anche nella conoscenza chiara del critico di tutto ciò che è napoletaneità. Picaresca, umana, intellettuale e bambina, Napoli nei romanzi di Striano vive la sua storia intessuta di miti, di entusiasmi fanciulli, di cadute fatalmente connaturate all’esistenza dei personaggi (vedi soprattutto “Il resto di niente”).
Il raggio di verità non circoscrive o isola la traiettoria futurista, di chiara analisi su problematiche economiche e politiche, come ad esempio il riesame critico del marxismo fatto molti anni prima della sua caduta.
Ma, l’irripetibile impronta che Napoli ha dato a grandi scrittori e, dunque allo stesso Striano, è colta da D’Episcopo con un gusto capace di catturare l’impalpabile. Così, in una sintonia simpatetica di umori, emozioni, intese culturali che vanno molto al di là di un esame attento e scrupoloso, si provvede a scavare nelle pieghe e a quel sapere afferrare con fermezza le luci e le ombre.
Senza iato “il tutto sfiora la soglia del niente” (Enzo Striano, p. 159) e soprattutto nell’ultimo romanzo di Striano, “Il resto di niente” il furore delle sensazioni non impedisce il naufragio delle idee e dell’amore, anche se infine la città ingloba bonariamente nella sua stoica melanconia la vita stessa dei personaggi.
Il saggio ha cura anche della biografia di Striano e offre curiosità e scoperta di fatti, interessanti non solo per meglio comprendere l’opera, ma anche per visionare il mondo culturale che si muove intorno al romanziere, così non mancano riferimenti a Giorgio Saviane, a Mario Alberto Morioni, a Domenico Rea.
E, ancora il critico dopo aver puntigliosamente tracciato “le stagioni della storia di Striano” esamina i quattro romanzi editi: I giochi degli eroi, Il delizioso giardiniere, Indecenze di Sorcier e Il resto di niente. Né vengono trascurate le opere inedite, che spesso servono all’autore da supporto per meglio capire e interpretare il pensiero, vedi per esempio le continue citazioni di “Un’etica per Narciso” (Napoli 1969) e di articoli apparsi sul Corriere di Napoli, La Provincia, La Repubblica.
In tutto il percorso, dunque affiora continuo ciò che il critico aveva precisato nell’ “Antilla”: “Questo libro nasce dall’esigenza di meglio capire, attraverso la biografia intellettuale di uno scrittore napoletano, le ragioni-non ragioni del nostro problematico destino di uomini e di studiosi”. Su questo principio si innesta il procedere attento dello studioso, emergono così le affinità geografiche (Napoli li accomuna), di emozioni, di formazione culturale e umana. Questi presupposti hanno reso più facile al critico la lettura nel profondo, permettendogli di intuire ogni lacerto di pensiero e tutte le cause dalle quali l’opera è germinata.
 
tratto da “Oggi e Domani” – rivista mensile di cultura e attualità, anno XX, n.6, giugno 1992, pag. 28

Saggi critici - Il mare caraibico nel cuore di Hemingway

di Carmen Moscariello

“Siete una generazione perduta”: così la signoria Gertrude Stein disse in The Sun Also Rises (Fiesta 1926). E, fu questo il cardine di tutta l’opera di Hemingway e di altri scrittori suoi contemporanei. Pound, Fitzgerald, Hemingway appartennero a questo buio senza stelle dell’epoca nuova che oltre al male e alla guerra sembra non regalasse e non regali più niente all’uomo. Eppure, Hemingway, sperduto nel buio, andò alla ricerca esaltante della vita in quei paesi dove il mare, il cielo e le stelle potessero ancora parlare al suo animo ormai sull’orlo dell’abisso.
Ed ecco perché alla sua grinta di inviato di guerra, a seguito della prima e della terza armata (1944-45) incorpora la voglia di conoscere luoghi incontaminati, lontani dalla civiltà del business, con nel sangue un flusso che rompeva le vene: la Cina, l’Africa, l’India, Cuba diventano i luoghi dove la sua irrequietudine trova sfogo e la sua vena poetica esplode nelle sue forme più alte, fino a portarlo, dopo l’incidente aereo in Africa (1954), al premio Nobel per la letteratura (1954) che non potrà ritirare personalmente proprio per i postumi dell’incidente.
Noi in un nostro soggiorno a Cuba abbiamo voluto seguire i luoghi e le tracce di Hemingway e molto è rimasto di lui: tra le onde coralline il mito ha preso il posto della ricerca e dello studio attento del suo pensiero. Nella “Rivista de Avance”, che accoglie la critica togata dell’isola, il pensiero di Hemingway segue i ritmi afro-cubani, come se lo scrittore avesse avuto come impostazione artistica solo i luoghi caraibici. E la casa di Finca Viga è divenuta un museo da mostrare con orgoglio ai visitatori. Va riconosciuto a Castro che nell’antiamericanismo fortemente propagandato ha salvato la figura di Hemingway e quella di straordinari pittori futuristi, impressionisti e surrealisti che risentono fortemente della cultura occidentale, come Wilfredo Lam, o Raul Martinez  e Pedro Mariano Rodriguez.
Nella casa di Finca Viga l’autore dimorò per quasi venti anni, qui sotto il cielo dell’Havana bevve fiumi di cocktail, poi descritti nella loro composizione d’arcobaleno in molte sue opere e articoli: il ron carta blanca con mentuccia (hierbabuena), limone soda e ghiaccio, il cuba libra, il mojito, il daiquiri, l’emingway si possono gustare in tutte le taverne dell’Havana, di Camaguey e di Santiago de Cuba e sentire nel cuore il gusto raccontatoci del grande demone, e di come la malinconia allentava i suoi lacci e lo faceva convolare a nozze per la terza volta con la giornalista Martha Gelhourn.
Qui tutto è rimasto intatto. Anche Gregorio Fuentes, il protagonista de “Il vecchio e il mare”, grande amico dello scrittore, con il suo sigaro e le rughe profonde fiuta il vento che viene dal mare. Chiediamo, vogliamo sapere di quando usciva con lui sulla Pilar e lo portava oltre la barriera corallina a vedere gli squali e i “curiosi” barracuda. La Pilar è ancora ormeggiata sulla spiaggia e sembra aspetti il suo padrone per rimettersi in mare, e di fronte c’è l’oceano: immenso, inghiotte il cielo e la sabbia morbida come talco leggero fumo di pensieri e di attese. Ci incamminiamo verso il centro del villaggio, abitato da pochi pescatori e da tanti bambini tutti scalzi, ma allegri e disegnano gli aironi rosa – immobili corolle sul canalone, con la penna regalatagli dal visitatore e che loro trattano come un oggetto prezioso. Ci incamminiamo verso una piazzetta che al centro ha un busto severo di Hemingway con i baffi spazzolati. Di fronte si erge la nera fortezza di Cojamar. Da qui Hemingway scriveva i suoi pezzi, curava il divorzio con la sua seconda moglie, si sposava con Martha per divorziare subito dopo e sposare Mary Velsh. Nelle cinque camere del cottage senza vetri alle finestre (come tutte le case a Cuba) e l’ingresso senza porta si sente solo il rumore dei nostri passi sul legno del pavimento e il fruscio di microscopici pappagallini che spiano il silenzio dal soffitto. Alle pareti decine di manifesti di corride e tra i suoi libri, a centinaia, ne scopriamo uno di Palazzeschi nella edizione della Villardi e una vecchia cartina dell’Italia insieme a fotografie che ritraggono l’artista a Venezia e in Spagna. poi negli angoli della casa la lenza e le reti; appoggiato in un armadio di frassino, un vecchio fucile a due canne...!
Ci avviamo, infine, alla sommità della torre che affianca la casa con ancora impiantato il suo telescopio: da qui Hemingway esplorava l’incanto di Cuba e l’avvicinarsi dei tifoni nella stagione autunnale. Pensiamo a quanto furono esaltanti questi luoghi per l’animo, pensiamo ai riflessi del sole sul mare tropicale alle rughe di Fuentes “antiche come erosioni di un deserto senza pesci” alle piogge tropicali che puntuali alle cinque della sera lavano i pensieri, ai bambini cubani scalzi e affamati con negli occhi lo stesso colore del mare.
 
tratto da “Oggi e Domani” – rivista mensile di cultura e attualità, anno XXIII, n.12, dicembre 1995, pag.14

Saggi critici - Domenico Purificato

di Carmen Moscariello

Quella generazione del 15 e del 17 ebbe del divino! La terra fondana partorì miti che dureranno nel tempo, anzi il tempo gli sarà più forza e vigore. “Che cosa felice – scriveva De Libero a Guido Ruggiero – il bel quadro Degli amici nello studio che Menico ha impiantato”. Nel quadro, sublimato dalla staticità, si vedono chiari: Domenico Purificato, Libero De Libero, Peppe De Santis, Pietro Ingrao, Guido Ruggiero, Nino Peppe, Leopoldo Savona, Dan Danino Di Sarra, Marcello De Vito e i fratelli del Maestro, Adelmo e Oddino – quasi a fondere amicizia e parentela di sangue -.
E’ questa la generazione dei grandi che Fondi ha partorito in un’età felice che fece dire al filosofo Franco Lombardi che ci troviamo di fronte a una cultura della “fondanità”.
Ebbene, sicuramente il caposcuola fu Libero de Libero e si tirò indietro tutti gli altri. Lì, a Roma nella galleria “La cometa” trovarono il loro giusto spazio il pittore, il poeta, lo scrittore, il regista, il grande politico.
Lì, Purificato si confrontò con Valery, Strawinski, Coeteau, con Cagli e Mafai, si appassionò al cinema e diede sfogo alla sua vena di scrittore, la sua delineata umanità trovò i suoi spazi e la giusta comprensione.
Comunque, il cenacolo, che si formò nella galleria La cometa doveva dare vita a cose grandiose che hanno riportato Fondi agli splendori dei Gonzaga.
Felice chi questi personaggi li ha conosciuti tutti. Quest’anno è stato funesto (1993), un altro ramo rigoglioso è stato strappato via: Giudo Ruggiero se n’è andato con i suoi ricordi: era straordinario ascoltarlo, quando ci parlava di Libero, della sua scontrosità, ma anche della gracilità di cuore del poeta, generoso e triste, eppure anch’egli stregato dal mito di Fondi: quando ci parlava di Menico, della sua gioia di vivere dell’amore profondo che aveva per gli amici.
Anche questo c’è nei quadri del Maestro, gli amici, la gente di Fondi, le sue contadine con gli zigomi sagomati, il mistero dei luoghi, l’attesa di qualcosa di umanamente grande.
L’arte di Purificato vibra di compostezza, nei visi dei suoi personaggi brucia uno spirito tessuto nello spazio dei campi, degli aranceti, nelle braccia abituate alla fatica, eppure morbide, pronte all’abbraccio, comunque all’estasi.
Le immagini raffigurate nei diversi capolavori sono come il ricordo di qualcosa di straordinario, accaduto nel passato e che potrebbe da un momento all’altro concretizzarsi.
I suoi personaggi conoscono la paziente attesa: anche le nature morte, tutte tondeggianti quasi si accomodano nello spazio che il Maestro gli ha riservato e anche il loro sapore è quello della vita, di un’umanità sensibile, semplice, senza orpelli e straordinariamente vera.
Purificato non voleva sbalordire con le sue opere, eppure è proprio questa infinita mitezza che lascia l’osservatore incantato. Senza aver mai creato il nuovo per il nuovo, ha saputo scavare nella sua sensibilità di uomo e di artista consegnandoci opere come la morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta. E’ questa, come molte altre opere, un lavoro complesso di difficilissima realizzazione, eppure Menico ce la rende nella sua immensità con immediatezza. I molti personaggi in essa raffigurati catturano il nostro sguardo, sgomentano per l’armonia, lo stupore e anche una sconvolgente malinconia che apre le porte a tutto ciò che la vita riserva all’uomo, agli animali e alle cose, accomunati insieme, sempre dalla morte, anch’essa trasformatasi in dolce attesa. Le spade, il Cristo, i colori arlecchineschi, il povero e il ricco hanno perduto ogni sostanziale differenza, quasi un coro pronto a creare dolce armonia. La guerra e la morte, pur se messe in primo piano, appaiono sostanzialmente dimenticate per dare spazio, unico spazio, a ciò che è umano, a quello che la vita crea e distrugge, in una curiosità senza tempo, senza storia. Altre opere di straordinaria bellezza sono I Gabbiani (1971) e Fidanzati e gabbiani (1983), questi due capolavori sono il segno chiaro che al di là dell’apparente staticità, pur esse misteriosa e grande, si muove nell’opera di Purificato un desiderio atavico di cogliere il divino anche nel volo di un gabbiano o nella fredda luna che adocchia e sospira come tutti gli uomini. Abbiamo trovato una situazione simile anche il alcuni lavori di Giuseppe Supino, in un’opera titolata anch’essa “I gabbiani”, lì si respira la stessa grandezza, con l’aggiunta di un’inquietudine, provocata anch’essa dal grandioso mistero della vita.
Un cenno vorremmo dedicare ai volti e alle mani dei personaggi di alcuni grandi quadri di Purificato: ebbe un esempio straordinario dell’uso della gestualità è nella Ragazza di Fondi (1969), in questo quadro la mano poggiata sul petto ha la delicatezza di una preghiera e quasi eterea, lunare, il gesto è esaltato dalla scollatura tondeggiante della fanciulla. Tutto si sposa, dalle labbra ai capelli raccolti dietro la nuca, con un qualcosa di profondamente conosciuto, amato, studiato, una madonna, sembra di Raffaello. Ma, Purificato, insistiamo ha saputo rendere nei personaggi dei suoi quadri insieme all’aureola divina qualcosa di profondamente umano, terrestre, primitivo, mitico che nasce dalle viscere della terra per ridestarsi dall’età dell’oro per ridarci orgoglio, desiderio, gioia. Tutto questo è anche nei versi, Menico ne ha disegnati tanti, da quelli familiari (ritratto del padre (1945), della madre (1945) di ODDINO (1948), a quelli di straordinaria bellezza delle fanciulle fondane, di ragazzi e di contadini, in queste opere meritano un discorso particolare i capelli, gli occhi e il collo: questi tre aspetti hanno sempre un’eleganza discreta, danno al personaggio una dignità che li pone al di sopra di tutte le cose belle. La mestizia del taglio degli occhi dà all’uomo quella dimensione che il cristo gli riconobbe, è la sintesi del sacrificio, dell’umile lavoro, del rispetto per il prossimo. Non c’è mai in questi volti aggressività, trasgressione, tutto è straordinariamente misurato per dar vita a una musicalità d’organo le cui canne più alte e più basse sanno raggiungere il cielo.

Saggi critici - Turi Vasile

di Carmen Moscariello

Nella grande serata dedicata a De Sica, a testimoniare l’antico sodalizio con il grande artista c’era Turi Vasile, il regista che per la prima volta diresse come attore e che fu anche produttore dell’ultimo film girato come regista da De Sica.
Turi Vasile è stato produttore di ben 130 film, ha lavorato con registi di fama mondiale, quali Rossellini, Risi, De Sica appunto e tantissimi latri che hanno segnato la storia del cinema.
Ha diretto e prodotto film con protagonisti quali Totò, Sofia Loren, Manfredi, Panelli, ecc., ed ha anticipato tematiche politiche e sociali oggi di grande attualità.
Infatti, fu produttore di Musica nelle vene, film che aveva come tematica la droga e la cui rappresentazione si ebbe in anni in cui il problema iniziava appena a comparire e ne denunziava già allora tutti i pericoli e le conseguenze sulla società e in particolar modo sui giovani.
Ritornando al rapporto di Turi Vasile con De Sica, egli ci fornisce una testimonianza simpatica e briosa di questo personaggio: “Il primo film che io ho diretto ha avuto come protagonista De Sica, il fatto volle che io fossi produttore anche del suo ultimo film Il viaggio con Sofia Loren e Richard Burton”.
-         Egli era già appannato dall’ala della morte
-     Quali erano i rapporti di lavoro con De Sica?
-     Era un uomo estremamente ricco d’ironia
-     Dei suoi film quale ama di più?
-     Il tulipano di Arlams, diretto da F. Brusati; non mi rese una lira anzi fu un grande fallimento. Un altro film che amo molto è Lo scialo di Pratolini, diretto da Francio Risi.
-     Alla sua età che cosa può dirci della vita?
-    La vita mi è sembrata un inganno. Sono nato nel 1922: mi hanno ingannato tutti da Mussolini a     Stalin. Questo secolo è il più sanguinario della storia. Si parla tanto di diritti, ma mai diritti umani sono stati così violentemente calpestati.
-    Crede di più nel valore della parole o dell’immagine?
     -    Ormai si è verificato il graduale passaggio dalla parola all’immagine. L’elettronica darà all’uomo          l’era del secondo Prometeo.

"La pietra della bellezza" Atto unico di Gerardo Picardo

di Guido Del Giudice

Da anni Gerardo Picardo è un attento osservatore di cose bruniane. E, periodicamente, la gran mole di informazioni e di pubblicazioni che riesce a filtrare, arricchita da una passione tenace, sedimenta in scritti di grande efficacia. E’ il caso di questo atto unico “La pietra della bellezza” (Stamperia del Valentino, 10€), in cui convergono alcune esperienze bruniane che non fa fatica ad identificare chi, come me, ne segue da tempo il percorso intellettuale. Del resto lo stesso Picardo cita nell’introduzione le sue fonti di riferimento. Ed è suggestivo ripercorrerle attraverso le pagine di questo libretto, composto sono parole sue, “giocando di notte con parole e pensieri, per raccontare una storia che è un esempio di libertà”. Così, nella rappresentazione scenica si intuiscono le suggestioni del “Fuoco del Sole” lo spettacolo che Giancarlo Zagni allestì, con encomiabile determinazione, a Napoli in Piazza Mercato nell’ormai lontano 2001. Seguimmo insieme quell’evento, deludente soprattutto per un cast inadeguato e una discutibile interpretazione di Massimo Ghini nelle vesti del Nolano. E si intuisce altresì, l’influenza del mio recente “Io dirò la verità”, il dialogo intervista tra Giordano Bruno e i suoi due inquisitori, di cui proprio Picardo ha scritto una esaltante recensione. Che il mio libro abbia ispirato un ingegno valoroso come il suo, sta a significare che l’obiettivo che mi ero proposto è stato ampiamente raggiunto. L’ordito della sua piéce è lo stesso, dall’ambientazione in carcere, agli argomenti affrontati. Identico, naturalmente, l’esito finale, ma l’interlocutore del filosofo diventa uno soltanto: Clemente VIII. Il dialogo è una vera e propria miscellanea di contributi testuali, in cui citazioni dirette del filosofo si saldano a brani provenienti dalle fonti dichiarate dall’autore e da suoi precedenti lavori. Naturalmente grande la soddisfazione di veder scandita l’azione da numerose citazioni letterali, tratte dalle mie opere, fino all’estremo omaggio, che Gerardo ha voluto farmi, chiudendo l’azione scenica con i versi finali della poesia “A Morgana”, che fu, nel 2000, la prima cosa da me pubblicata in onore del Nolano: “Saremo due falchi nel vento,con le ali palpitanti e gli occhi inquieti persi nell’Infinito”. Insomma una piccola, ma densa lettura, uno stimolo in più ad avvicinarsi a Bruno, regalataci da un giovane, appassionato cultore che, con umiltà e competenza, si definisce: “contadino prestato al giornalismo”.

Guido Del Giudice - "A Morgana"


lunedì 6 agosto 2012

Saggi critici - Domenico Rea

di Carmen Moscariello

All’impronta della trasgressione l’incontro organizzato dai Lions di Formia con Domenico Rea presso l’Hotel Ariston. Sconcertante perché oggi è sempre più difficile trovare persone vere e soprattutto, persone libere da qualsivoglia schematismo – lo scrittore napoletano ha portato gioia e grinta, dimostrando di essere sempre grande e che la sua vena artistica è rimasta intatta nonostante gli anni. Rea ha sorpreso molti, o perlomeno, coloro che non lo conoscono nella vitalità e negli effetti sensazionali, che molto spesso fanno parte anche delle sue opere. Difficile raccontare i fatti, poiché nella negazione di ogni norma, le cose dette da Rea sono, forse, rimaste confuse nella mente di molti, ma per chi è stato capace di seguirlo al di là della parola, il messaggio trasmesso è stato della coscienza, nonostante il lungo silenzio letterario, di continuare a rimanere un protagonista non solo della letteratura contemporanea, ma anche di uno spartito di storia sintetizzato nelle esperienze della sua vita. L’immagine di un uomo fuggiasco, ironico, giocoliere di un’esistenza che va al di là del reale dell’uomo contemporaneo, singolare e forse indecifrabile personaggio. Qualcuno ha detto è espressione della “napoletanità”, ma il folklore e il parossismo apparente del gesto e della parola, nascondono, a nostro parere, aspetti rarissimi di emozioni e di autenticità che lo rendono straordinario ed esuberante. I suoi settant’anni, (nato nel 1921 a Nocera Inferiore) non gli hanno tolto il gusto per le cose belle della vita: veste abiti firmati e se ne vanta, corteggia con disinvoltura le belle signore e mentre sembra che sia perso in cose futili, ti sorprende con una riflessione che solo una mente geniale poteva pensare.
E’ Rea un uomo nato e cresciuto nel disastro del dopo guerra (è in questo periodo che conosce Michele Prisco) si è autonomamente costruito, rinnovandosi, ma senza adattarsi alle mode e al tempo. I Lions hanno assommato all’incontro con Rea anche la mostra di pittura di tre importanti artisti: SOSCIA, BARTOLOMEO e SIMIONE. Rea ha sottolineato che questi artisti fanno parte di quel gruppo sparuto di uomini che ancora crede all’arte e al bello. Numerosi i quadri esposti da Soscia, che partono da pennellate di affreschi pompeiani e forse etruschi (soprattutto le figure femminee) per rarefarsi verso un simbolismo elegante. Simione e Bartolomeo giocano tra colori ed echi dell’inconscio, aprendo squarci all’incredibile e all’assurdo. Mostra, a nostro parere, da ammirare.
 
(*) Apprendiamo con dolore, durante la correzione delle bozze, che DOMENICO REA è morto.

Saggi critici - Alessandro Petruccelli

di Carmen Moscariello

In una società malata di formalismi nasce un libro autentico, libero da condizionamenti e avvolto da serenità ineguagliabile. Un’altra opera di Alessandro Petruccelli, che come le altre che l’hanno preceduta (Un giovane di campagna; premio Rapallo e premio Monza, Editori Riuniti 1976 e Due compleanni e una città, Editrice Le Stelle, 1985) resterà riferimento sicuro per la cultura.
“Una cartella piena di fogli”, così è il titolo, edito da Editori Riuniti, con prefazione di Geno Pampaloni, narra la storia di due giovani di paese, Mario e Francesco, chiamati nella capitale per un impiego all’ufficio di censimento.
La storia si snoda in tanti momenti, in tante storie di uomini, che si affacciano per un attimo nella vita del protagonista. Le situazioni chiare sicure si susseguono, umanizzate dal sorriso saggio di chi non giudica mai il prossimo. E Mario, protagonista del romanzo, riesce con semplicità e con timidezza ad accattivare e coinvolgere.
Rivivono in una luce, da troppi dimenticata, Ventosa, Minturno, Scauri e la stessa Roma: spettatrici e protagoniste nello stesso tempo, accompagnano i due amici nel loro nuovo ed imprevedibile cammino. Consegnano fogli per il censimento e bussano ad ogni porta per catalogare e registrare. Dallo spiraglio di ogni casa che si apre, il protagonista si sente coinvolto e facente parte di quegli amici nuovi. Anche l’arroganza di qualche romano sa di familiare e così il robusto macellaio con i baffi viene accostato nel suo modo di fare ad una donna della sua campagna: “Elisa, questo era il suo nome. Poiché non poteva lavorare, né aveva rendite di alcun genere, viveva con quello che i vicini le davano. Però, quando qualcuno le portava il paniere con un piatto caldo o con una frittata di formaggio, frutta o altro, lei se lo prendeva dicendo: Se ti fa piacere lascia poi vedrò se il maiale lo vuole”.
Questa e tante altre situazioni, che all’occhio non smaliziato, ma intelligente di Mario si presentano. Così egli incontra chi si illude di essere un grande scrittore, o il vecchio “con la barba e i capelli bianchi, come i vecchi di una volta”, un signore adirato “con una calvizia luccicante”. Tante storie che trovano sintesi rassicurante nell’animo di chi le osserva e in un linguaggio chiaro preciso, che pur essendo senza pretese, stupisce poi per la sua intensità. E dominano, anche se citati nel romanzo in modo esplicito una sola volta, Dio, la coscienza, il prossimo e la ragione. Un libro che molti uomini dovrebbero leggere e in particolare perché racchiude messaggi di speranza e grande umanità per i giovani.
Vorremmo infine sottolineare il grande miracolo che questo scrittore possiede, rarissimo soprattutto nei tempi attuali: ci riferiamo alla mitezza, alla discrezione, alla sensibilità, presenze preziose nella sua opera, ma ancor più sacre perché effettivamente presenti nell’uomo, nel suo modo di essere, nella sua attività di docente e in generale in tutti i rapporti umani che lo riguardano.