domenica 30 settembre 2012

"Io dirò la verità. Giordano Bruno oltre il rogo"

I N V I T O

"Io dirò la verità. Giordano Bruno oltre il rogo."
Quattro incontri sul pensiero del filosofo Nolano guidati dallo studioso Guido del Giudice

Il ciclo di incontri si terrà presso la Sala Consiliare della Provincia di Napoli all’interno del Complesso di Santa Maria La Nova, con il seguente programma:
Giovedì 4 ottobre ore 17.30 – Un frate “restio e bizzarro” (Profilo storico-caratteriale)
Giovedì 25 ottobre ore 17.30 – Il profeta dei mondi infiniti (Mago o scienziato?)
Giovedì 8 novembre ore 17.30 – Mnemotecnica e Magia naturale (Mnemotecnica e Magia naturale)
Giovedì 22 novembre ore 17.30 – “Natura est Deus in rebus” (Umbratilità e Furore eroico)

Segui l'evento su Facebook
www.giordanobruno.com

sabato 29 settembre 2012

Foto della città di Milano

Foto di Barbara Vellucci

Galleria Vittorio Emanuele, interno

Duomo

Duomo

Galleria Vittorio Emanuele, Piazza Duomo

Monumento Equestre a Vittorio Emanuele II

Foto della città di Vercelli

foto di Barbara Vellucci

Basilica di Sant'Andrea

Basilica di Sant'Andrea, interno

Chiostro della Basilica di Sant'Andrea

Basilica di Sant'Andrea

Sinagoga

venerdì 28 settembre 2012

Carlo Maria Martini Intervista Testo proposto da LaRecherche.it

L'ultima intervista a Carlo Maria Martini a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri. Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l'8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».


Come vede lei la situazione della Chiesa?
«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (…) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?
«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vede nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media? Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (…) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (…). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti. Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (…). L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: “Signore non sono degno…” Noi sappiamo di non essere degni (…). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Il "pedagogista" Rousseau tra metafisica, etica e politica - Convegno di studio

1-3 ottobre - Il "pedagogista" Rousseau tra metafisica, etica e politica - Convegno di studio proposto dal Dip. di Scienze umane e sociali e dal Centro di Ateneo per la Qualità dell'Insegnamento d dell'Apprendimento



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venerdì 21 settembre 2012

COMUNICATO STAMPA * * * Pronto “Il Foglio volante” di ottobre


Il numero di ottobre del “Foglio volante”, che sta per essere spedito agli abbonati, si apre con un articolo relativo al 79° Congresso di Esperanto tenuto a Mazara del Vallo. Vi compaiono poi, oltre alle solite rubriche, testi di Giancarlo Albisola Albertalli, Loretta Bonucci, Aldo Cervo, Antonio De Angelis, Pietro Paolo Dionisi, Georges Dumoutiers, Amerigo Iannacone, Pietro La Genga, Adriana Mondo, Fryda Rota, Carlo G. Zizola.
Per abbonarsi al mensile cartaceo o anche ricevere copia saggio, ci si può rivolgere a: edizionieva@libero.it o al numero telefonico. 0865.90.99.50.
Riportiamo, qui di seguito, l’articolo di apertura, una poesia di Adriana Mondo e un breve testo dalla rubrica “Appunti e spunti - Annotazioni linguistiche”.


Mazara del Vallo, 79° Congresso di Esperanto
Persone con persone: l’intuizione multietnica di Zamenhof

Storia, arte, mare, sole, ospitalità, buona cucina. Siamo a Mazara del Vallo per il 79° Congresso Italiano di Esperanto che si è svolto dal 17 al 25 agosto, con 328 partecipanti. Congresso italiano, ma almeno la metà dei congressisti proveniva dall’estero e non solo dall’Europa ma tutti e cinque i continenti, perfino dal Brasile, dal Canada, dal Madagascar, dall’Australia, dalla Russia, dalla Corea del Sud, dall’Angola, dal Costa Rica, ecc.
Tema del Congresso “Sed homoj kun homoj: la pluretna intuicio de Zamenhof” (ma persone con persone: l’intuizione multietnica di Zamenhof). L’espressione è una citazione dal discorso inaugurale di Ludwik Lejzer Zamenhof, l’iniziatore dell’esperanto, al Primo Congresso Universale di Esperanto tenuto in Francia, a Boulogne-sur-Mer, nel 1905.
«Ni konsciu bone – disse allora tra l’altro Zamenhof – la tutan gravecon de la hodiaŭa tago, ĉar hodiaŭ inter la gastamaj muroj de Bulonjo-sur-Maro kunvenis ne francoj kun angloj, ne rusoj kun poloj, sed homoj kun homoj.» (Dobbiamo essere ben coscienti di tutta l’importanza della giornata odierna, perché oggi tra le ospitali mura di Boulogne-sur-Mer sono convenuti non francesi con inglesi, non russi con polacchi, ma persone con persone.)
A Mazara, fin dai primi contatti, il comitato organizzatore del Congresso ha trovato nel Sindaco Nicolò Cristaldi non solo grande disponibilità, ma un’adesione entusiasta agli ideali esperantisti, che ben si sposano con le caratteristiche di una città multietnica e multiculturale, ospitale e aperta, come Mazara del Vallo. Una città che il Sindaco stesso auspica possa diventare città-simbolo dell’esperanto.
Numerose le attività congressuali (relazioni, corsi di lingua per principianti e corsi avanzati, spettacoli teatrali, concerti, relazioni su vari temi, convegni, ecc.), ma non sono mancate escursioni nelle bellissime località della Sicilia occidentale, da Marsala ad Agrigento.
Tra le attività, collegate al Congresso o da esso suscitate, corsi di esperanto tenuti in tutte le scuole di Mazara, cui hanno partecipato piú di 500 studenti e nuovi corsi sono programmati per l’anno scolastico 2012/2013. Molto importante, poi, è stata la pubblicazione di un’antologia di scrittori e poeti siciliani, Luigi Pirandello kaj aliaj Siciliaj Aŭtori (L. P. e altri autori siciliani). Un’antologia, 356 pagine, di notevole pregio, curata da Carlo Minnaja, con traduzione di vari scrittori esperantisti, oltre che da Pirandello, da Capuana, Quasimodo, Verga, Rosso di San Secondo, Buttitta, Brancati, Vittorini, Sciascia, Lampedusa, Camilleri, Consolo, Bufalino, Dolci, De Roberto, Rapisardi.
L’80° Congresso Italiano di Esperanto, si terrà a Castellaro (IM), nei pressi di Sanremo, nell’agosto 2013.
Amerigo Iannacone


Dolomiti

Il giorno aleggia nel fondo valle,
là in fondo le cime
si stagliano come un sogno
nel cielo limpido.
Il sole accarezza questi odori di vita
che non avranno mai il tempo di morire,
portando gioia a tutti gli uomini,
lievitando risonanze per canti silenziosi.

Adriana Mondo
Reano (Torino)



Appunti e spunti
Annotazioni linguistiche
di Amerigo Iannacone

Il pidgin televisivo

Si sente spesso dire che la televisione ha avuto il grande merito di unificare l’Italia dal punto di vista linguistico e non si può negare che per lo meno ha contribuito.
Racconta Luciano De Crescenzo che avendo trovato una foto del padre in divisa della prima guerra mondiale con una fascia al braccio con la scritta “Interprete” gli chiese: «Ma, papà, che interprete facevi se tu non conosci nessuna lingua straniera?» E il padre gli spiegò che faceva l’interprete tra gli ufficiali e i soldati provenienti dalle varie regioni italiane, che parlavano solo il dialetto stretto.
In effetti era questa la situazione linguistica nei primi decenni del XX secolo.
La televisione – ma parliamo della televisione degli anni Cinquanta-Sessanta – ha contribuito, possiamo dire, a creare l’italiano, ovvero un codice linguistico comune a tutta l’Italia e con ramificazioni anche in alcuni paesi esteri, come Svizzera, Malta, Albania, ecc. Ma se nei suoi primi decenni di vita la televisione ha contribuito a creare la lingua, oggi sta facendo di tutto per distruggerla e cosí oggi si parla, in ambito strettamente televisivo, di format, reality, fiction, talent, ecc., e poi la televisione, in quanto medium o megafono, ogni giorno, non solo nei programmi di intrattenimento ma anche in quelli di informazione, crea o sdogana nuovi inutili anglismi, come premier, welfare, ticket, e cosí via, mettendoci di fronte a un bastardo pidgin che ci fa perdere l’identita e anche la dignità. Posso suggerire? Un pizzico di orgoglio!

Premio Nazionale di Poesia “Il Presepe”


Premio Nazionale di Poesia
IL PRESEPE”
10a Edizione - 2012/2013


L’Associazione turistica e culturale “Pro-Pesche” con il patrocinio del Comune di Pesche (Provincia di Isernia, Regione Molise), indice per il 2012/2013, la 10a edizione del Premio Nazionale di Poesia “Il Presepe”, intendendo cosí valorizzare la nostra tradizione cristiana che è sentita e rappresentata nel Presepe.
  1. Il Premio si articola in due sezioni: A - Adulti; B - Ragazzi fino a 17 anni.
  2. Tema, per entrambe le sezioni, è “Il Presepe”.
  3. Si partecipa facendo pervenire entro il 30.11.2012, uno o due componimenti inediti in 7 copie, tutte firmate e con nome, cognome, indirizzo, recapito telefonico e indirizzo di posta elettronica, al seguente indirizzo: Associazione Turistica e Culturale “Pro-Pesche”, Piazza Roveto - 86090 Pesche (IS). Ai fini della realizzazione dell’antologia, si prega di inviare i testi anche in formato elettronico all’indirizzo concorso.poesia@virgilio.it, per la sezione B va indicata anche la data di nascita.
  4. La partecipazione è gratuita. Non è richiesta tassa di lettura, né alcun altro tipo d'impegno.
  5. Premi:
- Sezione A - 1° premio: 400,00 e targa; 2° premio: € 200,00 e targa; 3° premio: € 100,00 e targa; eventuali segnalazioni: attestati.
- Sezione B - 1° premio: 150,00 e targa; 2° premio: € 100,00 e targa; 3° premio: € 50,00 e targa; eventuali segnalazioni: attestati.
  1. I lavori pervenuti non saranno restituiti e potranno essere oggetto di eventuale pubblicazione in antologia.
  2. La cerimonia di premiazione, alla quale tutti i concorrenti sono fin da ora invitati, si terrà a Pesche nella Sala Consiliare del Comune di Pesche in Piazza Don Sante Tommasini, il 5 gennaio 2013 alle ore 16,30. I premiati dovranno ritirare personalmente i premi loro assegnati. I premi eventualmente non ritirati non saranno spediti.
  3. I vincitori saranno avvisati telefonicamente. Le opere vincitrici con relative motivazioni saranno pubblicate sul sito istituzionale del Comune di Pesche: www.comune.pesche.is.it.
  4. La giuria è composta da Amerigo Iannacone (Presidente), Barbara Avicolli, Maria Benedetta Cerro, Ida Di Ianni, Giovanna Maj, Giuseppe Napolitano, Giulia Abbati (segretaria con diritto di voto).
  5. La partecipazione implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento.
  6. Per eventuali informazioni, tel. 0865.460130 fax: 0865.460363 /3896906440; posta elettronica: concorso.poesia@virgilio.it

lunedì 17 settembre 2012

Su una curiosa “Bibliografia bruniana 2001-2010" - di Guido Del Giudice

L’ennesimo spunto per un’amara riflessione sul mondo accademico me l’offre stavolta la pubblicazione, in appendice ad un volume di atti congressuali, di una “Bibliografia bruniana dal 2001 al 2010” curata da Maria Elena Severini. Si tratta di un lungo elenco in cui figurano, senza nessun criterio selettivo, una gran quantità di lavori pubblicati in questi anni. O meglio un criterio selettivo c'è: eliminare tutti gli scritti di Guido del Giudice! Perfino dalla sezione “Opere”, in cui sono raccolte le poche traduzioni di opere bruniane pubblicate nel periodo, sono state espurgate unicamente le quattro traduzioni inedite realizzate dal sottoscritto.  Avrei fatto volentieri a meno di evidenziarlo, primo per non dare risalto ad un lavoro di cui nessuno si sarebbe altrimenti accorto e, secondo, per non dare l’impressione di una ripicca. Il problema serio però non è questo, bensì l'evidenza delle punte di degrado raggiunte in Italia dagli studi universitari e da coloro che li gestiscono. Mi dite che valore può avere per lo studioso moderno una bibliografia che riporti soltanto gli autori graditi all'apparato di potere universitario? Ha senso che l'accademia per "difendersi" dall'emergere di nuovi, più acuti e dinamici ricercatori, finga di ignorarne l'esistenza anziché riconoscerne i meriti o anche solo confutarne i risultati? A Maria Elena Severini, "curatrice" della bibliografia, vorrei dire due parole. E' già mortificante che a una ricercatrice in Studi Umanistici venga assegnato il compito di compilare una bibliografia del genere: un lavoro che oggi anche un bambino, con un PC a disposizione, riuscirebbe a fare meglio in dieci minuti. Ma addirittura piegarsi al diktat di colui che le ha conferito il dottorato (indovinate di chi si tratta? Ma dell’ineffabile Michele Ciliberto naturalmente!) di eliminare tutte le opere di un determinato autore "sgradito" è il colmo dell'umiliazione. Vuol dire non riconoscerle nessuna autonomia intellettuale, oltre a manifestare un assoluto disprezzo per le Sue capacità. Ora, voglio anche capire che Lei abbia scelto di sottomettersi al sistema, nella speranza di ottenere un giorno una cattedra di insegnamento, come accaduto in passato a tante altre “collaboratrici”, ma quando quel giorno verrà,  quale obiettività, quale rigore intellettuale trasmetterà ai suoi allievi? Cosa gli insegnerà? A discriminare i vari autori in base all'asservimento al sistema? A screditare i "nemici" di carriera? A plagiare le opere altrui, sostituendo qualche frase qua e là e pubblicandole come proprie? Insomma quello che le ha insegnato in questi anni il suo "maestro"? Che pena! E lo dico con sincero dolore, augurandomi che queste mie parole l'aiutino a recuperare un minimo di orgoglio intellettuale. Che i miei testi non siano presenti nella Sua bibliografia è cosa per la quale, francamente, non mi strappo i capelli. Anzi, mi onora saperli nell' Index librorum prohibitorum, accanto agli originali del grande Nolano! La Sua bibliografia resterà in un polveroso scaffale, i miei libri continueranno a diffondere il verbo bruniano ovunque vi sia fame di vera conoscenza, e per fortuna ce n'è tanta nonostante voialtri. Potete scrivere all'infinito che nel 2009 è stata pubblicata una traduzione del Camoeracensis Acrotismus, ma tutti sanno che si basa sulla prima pubblicata da me un anno prima col titolo "La disputa di Cambrai". Potete nascondere la mia traduzione delle due "Orationes" e quella dei quattro dialoghi su Mordente, ma chi ha voglia di conoscenza e vuole leggerle le troverà lo stesso. Per non parlare della Somma dei termini metafisici, la cui traduzione, attraverso le scoperte sui rapporti tra Bruno e i Rosacroce, ha aperto un nuovo, importante filone di ricerca, che sta dando frutti interessanti, ispirando scrittori, studiosi e perfino registi cinematografici. Tutto ciò non lo cancellerete certo con queste patetiche bassezze, che rivelano soltanto rabbia impotente. Il “peggio che Lerneo mostro” della vostra pedanteria è capace soltanto di distruggere, di imbrattare con il guano di una cinica ottusità tutto ciò che non riesce a sfruttare. Ecco che Gerardo Marotta vi accusa di aver portato alla rovina l'Istituto Studi filosofici, ecco che tanti giovani, promettenti intelletti si perdono per essersi rifiutati di sacrificare anche la magra soddisfazione di compilare un elenco di libri, ma di farlo almeno in modo completo e imparziale. E il guaio maggiore è che son cose che tutti sanno e nessuno dice. La "Casta degli accademici" è una delle poche ad essere finora sfuggita alla frusta dei moderni Savonarola. Come mai i Travaglio, gli Stella non hanno ancora osato pubblicare uno dei loro corposi dossier sulle "porcate" di questa casta?. Eppure di materiale ne avrebbero a iosa. Quello in mio possesso l'ho pubblicato in rete a più riprese ma, a parte qualche moto di sorpresa più che di sdegno, non ha avuto seguito. Quanto ai giornali manco a parlarne: i rapporti economico politici con costoro a livello editoriale sconsigliano qualsiasi attacco. E allora? Io continuo nel mio donchisciottesco impegno, con i limitati mezzi del mio sito e dei social network, tra i "Chi te lo fa fare?” e i “Perché ce l'hai con loro?”, sostenuto soltanto da chi ha subito le loro angherie e chi si ostina ad aver fiducia nell'avvento della meritocrazia intellettuale. Ma soprattutto da chi crede con sincerità nell’insegnamento e nell’esempio,  fermo ed inequivocabile, che ci ha trasmesso il grande filosofo Nolano.

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Istituto Studi filosofici: Cronaca di una morte annunciata - di Guido del Giudice

Dispiace per il destino dell' Istituto Studi Filosofici e certamente l'immagine emaciata, un po' decrepita di Gerardo Marotta, che sprofonda con i suoi libri in un maelström senza ritorno, testimonia la tragicità della situazione, oltre all'eroica, nobile impresa portata avanti negli anni da questo indomito vegliardo innamorato della filosofia. Certo anche lui non è esente da colpe (nessuno di noi lo è), ma in momenti come questo bisogna schierarsi a difesa dell'Idea, senza indulgere all'analisi spietata delle responsabilità. Di quella Università che oggi Marotta addita come principale responsabile della "ruina" dell'Istituto, egli è stato complice consapevole e pertinace. Sono certo che si è trattato di una necessità, che nel corso degli anni si sia presentata ai suoi occhi come l'unica possibilità di sopravvivere, ma non può non suonare tardivo e un po' ipocrita questo "J'accuse" finale. All'Università egli si è appoggiato, facendosi trascinare nella logica spartitoria e ricattatoria di alcuni baroni autoctoni, che si sono serviti dell'Istituto a loro piacimento, e se parlo così, lo faccio a ragion veduta. Non lo condanno: probabilmente le dolorose scelte determinate dalle necessità economiche che si è trovato a fronteggiare, lo hanno posto dinanzi ad una cruda alternativa: soccombere o cedere, un passo alla volta, ai compromessi e alle imposizioni degli accademici. Si badi bene, ciò va visto come un ulteriore motivo di vanto. Sarebbe stato facile, con un atto d'orgoglio, compiere un gesto eclatante di rifiuto nei confronti di questi piccoli aiuti "usurai", che gli consentivano di resistere, decretando però la fine di una entusiasmante impresa, che rimarrà in ogni caso indelebile nella storia della cultura di Napoli e dell'intero Paese, per non andar oltre. Sarebbe stato certo più facile ribellarsi una volta per tutte contro le piccole, dolorose umiliazioni sopportate, con l'unico intento di difendere con i denti il lavoro e i sacrifici di un'intera vita. Invece, tante chiacchiere e pochi fatti, un passo dopo l'altro, un cedimento dopo l'altro hanno finito (e la politica è spietatamente abile a mettere in atto questa strategia di asservimento) per determinare il suo completo accerchiamento, fino all'attuale, ennesimo disperato appello. L'Istituto va salvato a tutti i costi e va dato atto a Marotta dell'eroismo della sua impresa, ma è anche vero che per dare una prospettiva futura a questo progetto, per far si che non rimanga un'impresa personale e isolata, che si esaurisca con la vicenda umana del suo creatore, è necessario un progetto di ben altro respiro. Non basta un ulteriore, limitato reperimento di fondi per permettere in extremis il salvataggio di una sia pur mirabile biblioteca o delle vetuste e gloriose stanze di un palazzo. Sono sicuro che lo stesso Marotta abbia le idee chiare su a chi affidare la sua eredità. Pur celebrando, come è giusto, il ricordo delle voci illustri che hanno echeggiato nelle antiche sale del palazzo Serra di Cassano, non bisogna dare l'immagine di qualcosa che voglia sopravvivere inalterato nella sua vetustà, senza adeguarsi ai tempi. Perché oggi la filosofia è tutt'altro che morta, anzi è in piena rifioritura, grazie anche all'apporto di tecnologie che consentono nuove forme di comunicazione. Bisogna lottare, perciò, per un nuovo Istituto, aprioristicamente libero dalle ingerenze "politiche" di una Università allo sbando. E' un'impresa possibile? Noi, strenui difensori del sapere in tutte le sue forme, abbiamo comunque il dovere di provarci, con la stessa convinzione che faceva dire al Nolano: "ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi et opre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati".

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Premio di Poesia “Giovanni Cianci”


ASSOCIAZIONE CULTURALE “PRO TERRA”
Codice Fiscale 92059610805
Via Vittorio Emanuele I,n.1 - 89050 FIUMARA (RC)



Premio di Poesia “Giovanni Cianci”

REGOLAMENTO

  1. L’Associazione Culturale “PRO TERRA”, in collaborazione con l’Associazione Culturale “CALABRIA e CALABRESI” e con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Reggio Calabria, indice la X Edizione del Premio Poesia “Giovanni Cianci”.
  2. Il concorso, riservato ad opere inedite, si articola in due sezioni:
    1. Liriche a tema libero in lingua italiana;
    2. Liriche a tema libero in vernacolo calabrese.
Ogni autore potrà partecipare con un massimo di 2 poesie per ogni sezione.
  1. Le opere dovranno pervenire, entro il 22 Ottobre 2012 alla Segreteria dell’Associazione Culturale “PRO TERRA” (Via Vittorio Emanuele I n. 1 – 89050 FIUMARA (RC)) redatte in 6 copie (4 copie per la sezione in vernacolo), di cui una debitamente firmata dovrà recare in calce nome, cognome, indirizzo e numero telefonico dell’autore e quanto previsto dal successivo art. 5.
  2. È possibile inviare le opere tramite e.mail all’indirizzo premiogiovannicianci@gmail.com (va inviata la scansione della copia debitamente firmata e con i dati sopra indicati e la ricevuta del versamento di cui al punto 6).
  3. I partecipanti dovranno sottoscrivere l’autorizzazione all’utilizzo dei dati personali, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196/2003, nonché l’attestazione con cui si dichiara che le opere presentate sono inedite e non sono state non premiate in altri concorsi.
  4. Non è prevista alcuna tassa di lettura ma un contributo di 10,00 Euro da versare sul c/c postale n 89789762 intestato all’Associazione per spese di segreteria e corrispondenza.
  5. Il premio per il vincitore della sezione in lingua italiana consiste in una Targa ed in un gettone di presenza di € 300,00. Ai 2°, 3° classificati sarà consegnata una Targa ed un gettone di presenza di € 100,00.
  6. Il premio per il vincitore della sezione in lingua dialettale consiste in una Targa ed in un gettone di presenza di € 300,00. Al 2° e 3° classificato sarà consegnata una Targa ed un gettone di presenza di € 100,00.
  7. Le spese di soggiorno e viaggio (treno 2° classe) per i finalisti di entrambi i concorsi sono a carico dell’organizzazione.
  8. Gli autori finalisti saranno avvisati in tempo utile per poter essere presenti alla premiazione del 25 Novembre 2012 alle ore 17,00 a Fiumara (RC).
  9. I premi dovranno essere ritirati il giorno della premiazione dagli interessati o da persone espressamente delegate.
  10. Gli elaborati inviati non si restituiscono.
  11. L’Associazione Culturale “PRO TERRA” si riserva il diritto di un’eventuale pubblicazione delle poesie pervenute.
  12. La partecipazione al Premio impegna all’accettazione di tutte le clausole del presente regolamento.

venerdì 14 settembre 2012

Carmen Moscariello - "Proserpina"


PREFAZIONE DI ALDO CAROTENUTO
Dare forma.
A delle istanze interiori, a delle esperienze, alla riflessione su di esse. Dare forma alle emozioni, cioè configurarla intorno a una sensibilità e una disposizione interiore particolare, oppure collegarla ad un sentire più diffuso e generale è, probabilmente, una delle funzioni principali dello scrivere. Sicuramente è il motore primo dell' opera della Moscariello.
Per forma intendiamo quell'insieme di codice e comunicabilità, di intenzione e di simbologia manifesta, di narrazione e di diffusione di significati che si muove dalla interiorità soggettiva all'espressione compiuta e manifesta dell'opera.
In questo tragitto che procede dall'interno all'esterno, che si muove da un quadro intimo e spesso non condivisibile direttamente, a volte persino inconscio e oscuro per il soggetto stesso, fino all'emersione di un prodotto finito e fruibile dall' "altro", si compie un processo. Che è quello della traduzione di un linguaggio personale in uno condiviso e collettivo, comprensibile e utilizzabile. Che possiede sì degli elementi inconsci individuali, ma codificati in un insieme semiotico collettivo.
In questo territorio intermedio - per certi aspetti "transizionale", come direbbe Winnicott - si pone quel prodotto del tutto particolare della cultura che è il mito.
Il mito quale esempio, per eccellenza, di una rappresentazione dell'esperienza umana. Un paradigma esplicativo di vissuti e situazioni, di strade possibili per il vivere umano. E per un vivere a tutto tondo, gravido di sentimenti e di emozioni, di angosce e di dolore, di scelte e di volontà. Anzi proprio per l'intensità della rappresentazione mitologica è possibile utilizzarne il contenuto come paradigma esplicativo dell'umano sentire. Della vita umana che si condensa in personaggi caratteristici, in eroi, dèi e percorsi, che si cristallizza in figure riconoscibili. Tale riconoscibilità e rintracciabilità mitologica vale a sostanziare il valore esplicativo del mito.
D'altronde, che vi sia un passaggio tra "significato" e "significante", attraverso, il quale il primo non soltanto trovi una rappresentazione il più adeguata possibile nel secondo, ma che il secondo possa addirittura trovare una sua propria autonomia è quanto, attraverso la riedizione di miti e racconti, si evidenza con forza.
In questa ottica, quasi di una autonomia del significante rispetto al significato soggiacente, ai processi, alle proiezioni, alla cultura che lo ha prodotto, anche la Proserpina della Moscariello trova una sua collocazione.
Una Proserpina, dunque, che non ripete, come in un ennesimo racconto della medesima fiaba popolare, una storia fin troppo nota, bensì una Proserpina che si carica di sfumature nuove e significati particolari, che le derivano tutti dalla volontà e dalla mano dello scrittore che la ha ricreata. Riproporre una trama mitologica, così come scrivere di qualsiasi cosa o riscriverne, non è un semplice processo di copia o di riattualizzazione di un'anima già vecchia e consunta, quanto piuttosto un ricreare, un dare luce, nuovamente e per la prima volta, a qualcosa di già emerso in altre coscienze, ma che però trova ogni volta, sulla carta, attraverso la penna del suo autore, una nuova, irrepetibile, specifica vita.
Così la Proserpina dell'autrice, così come Demetra, assume nuovi volti che non sono imbellettamenti di facce stanche, bensì nuovi occhi e nuovi sguardi. E, probabilmente, per capirne il segreto, o per capire da dove essi traggano origine, bisogna leggere proprio la dedica che l'autrice pone all'inizio del suo manoscritto: "a tutte le madri che hanno perso un figlio".
Soltanto con la consapevolezza di questo pubblico interiore e tutto personale cui l'autrice si rivolge, possiamo intuire che probabilmente più che tre atti dedicati a Proserpina, i versi scritti sono mossi dalla consonanza e dall'empatia, forse dal riconoscimento, con Demetra.
Il che significa riferirsi ad una precisa costellazione inconscia di immagini e di significati, di temi e di vissuti. Su questa linea interpretativa l'opera della Moscariello non è, allora, una composizione sul mito di Proserpina, sull'immagine della femminilità che essa veicola, n?, sostanzialmente, sulla sua vicenda. D'altro canto, sicuramente Persefone non è simbolo di indipendenza né di forza - come invece Afrodite - ma rappresenta la possibilità di crescere e di trasformarsi. Non è di questa trasformazione, probabilmente, o almeno non soltanto di essa, che l'autrice intendeva comunicarci il percorso ed il mistero, bensì di quel vissuto lacerante che prima o poi capita ad ognuno di sperimentare sulla propria strada: la perdita, il distacco, l'abbandono. O meglio quella perdita ancor più pungente perché allude direttamente ad uno strappo, ad una lacerazione improvvisa ed incontrollabile, da un punto di vista emotivo persino irreversibile. Quasi una riedizione del "trauma della nascita", ma vissuto dall'altra parte, con lo sguardo materno.



RECENSIONE DI NICOLA TERRACCIANO

Il passaggio dalla raccolta poetica ad un testo teatrale non è raro, ma implica sempre una sfida che può avere esiti problematici. La Moscariello ha deciso questo passo con la caratteristica tensione emotivo-creativa, coinvolgendosi totalmente, interamente, consapevole dei passaggi ardui di questo tipo di impegno, con un collaterale approfondimento critico, che ha reso densa e stratificata la parola poetica. Ha fatto ricorso non solo al sondaggio del suo cuore, ma ha cercato consonanze di emozioni e di pensieri negli autori più vari della letteratura occidentale, classici e contemporanei, che avessero toccato il territorio espressivo prescelto.
Ne è nato il lavoro teatrale “Proserpina” in tre atti, preceduto da un preludio, edito con cura e gusto grafico dall’Editore Bastogi di Foggia (luglio 2003, 77 pagine), con cromatica illustrazione in copertina della sensibile e creativa pittrice Palma Aceto.
Nella prefazione di Aldo Carotenuto, l’illustre psicologo richiama il valore del mito “paradigma esplicativo di vissuti e situazioni, di strade possibili per il vivere umano”, individua nella “Proserpina” della Moscariello una figura “che si carica di sfumature nuove e significati particolari... Così la Proserpina dell’autrice, così come Demetra, assume nuovi volti che non sono imbellettamenti di facce stanche, bensì nuovi occhi e nuovi sguardi”.
Il mito di Proserpina è pretesto poetico per afferrare profonde verità umane, nel nesso che sembra (ma non è) paradossale tra dolore, disperazione e speranza. “Il dolore sembrava avesse lasciato solo sterpi e gelo, ma il cuore della donna-madre trova la forza di riprendere il sacco della vita e scegliere la strada dell’esistere con le sue salite e discese, con i suoi passaggi che incantano, coi suoi morsi gelati e le sue stagioni senza foglie... Proserpina è la signora della morte e della vita, a cui la sorte ha regalato la resurrezione dal lutto”. Sono alcune delle parole di forte espressività poetica che l’autrice pone a introduzione.
L’ambientazione spazio-temporale del testo si svolge sia negli Inferi che sulla terra, in Sicilia, in particolare ad Enna. Mondi solo apparentemente contrapposti, poiché ad uno sguardo sapienziale “in verità la stessa Proserpina rappresenta l’eterno fluire della vita nella morte e della morte nella vita”.
I personaggi sono soprattutto femminili, essi “rivendicano il ruolo sacrale della donna come creatrice, generatrice della vita e della morte”. Ma tutto l’universo mitologico, in relazione all’umano destino, è segnato e condizionato dal femminile: da Venere a Minerva alle Erinni, alle Parche. Ma tra le figure femminili brilla Proserpina nella predilezione della Moscariello, che in essa proietta la propria esperienza di dolore e di speranza, la propria vocazione di messaggera di speranza attraverso il dolore. “Proserpina riassume la coscienza e l’esperienza della resurrezione (rinascere alla vita dopo la morte, dopo il dolore...), presente nelle forze stesse della natura (il ciclo delle stagioni, l’eterno ritorno... o la speranza di ritornare alla vita dopo la morte, o di una vita diversa al di là della morte!). Un confine che non spaventa! Un limite che si illumina, che si allarga, che si nutre del domani, della definitiva vittoria del Bene sul Male, del riscatto dal Nulla eterno, dal nichilismo asfissiante dei nostri tempi, di tutti i tempi”. Le scene, le pagine sono scandite da richiami poetici, religiosi, filosofici illuminati, da Ungaretti alla Bibbia, al Vangelo, a Gerolamo, ad Abelardo, a Claudiano, a Quasimodo, a Omero, a Lucano, a D’Annunzio, ad Aristofane, ad Euripide, a Pavese e accompagnate da musiche di Monteverdi, Lulli, Paisiello, Saint-Saens, che hanno scritto opere su Proserpina.
La struttura della vicenda si articola essenzialmente nella protesta di Plutone a Giove per avere una compagna, a conforto della solitudine e del regno dei morti, nella decisione di Giove, con l’aiuto di Venere, di concedere la vergine Proserpina, figlia di Cerere, nel rapimento e nel possesso, nella disperata ricerca della madre, nel destino finale della vita di Proserpina, che si alternerà nell’anno tra il mondo delle tenebre e quello della luce.
Negli atti costruiti con perizia scenica e drammatica brillano intensi paesaggi poetici, nei quali più affiora la forza espressiva dell’autrice.
Negli inferi Plutone è furioso contro Giove “tu hai preso tutto il bello del mondo”, mentre a lui “non canti, non donne, non l’amore, non l’abbraccio del figlio”. Invoca una compagna, una sposa. Giove lo invita a realistica riflessione, sulla base dell’esperienza con Giunone “insopportabile dea con le sue vendette e gelosie”, sui limiti di una compagnia banale e sempre uguale, sui “mille fastidi della vita coniugale”. Ma Plutone contrappone “la sofferenza della solitudine”.
Giove a Venere che dice “Chi mai vorrà sposare il Dio della morte?” risponde “Vi sono destini sconosciuti ai  molti... dalle lacrime di una madre e dal dolore di mia figlia nasceranno il grano e l’aratro”.
A Proserpina rapita e piangente Plutone confessa emozioni e promesse “Il mio cuore è in armonia con il tuo cuore... Non piangere. Tu sarai testimone della vita e della morte. Tu sarai il sole che scompare, risorge ogni giorno. Tu sarai il seme che muore nel buio della terra, per rinascere rigogliosa spiga alla luce del sole. Tu sarai la resurrezione della morte, la definitiva vittoria, la vita non è che un breve sogno”.
Proserpina confessa “nell’abbraccio delle ombre... nei fuochi dell’inferno tutto ho percorso il corridoio delle lacrime”, ma ritornando alla luce “mi abbandono al soffio leggero dei venti, alla carezza dell’alba, al desiderio di vivere, ai sussurri dei nidi”.
E alla madre Cerere “Ritornerò, stanne certa. In primavera, con i rami del pesco della valle girgentea e con i loro fiori rosa, valicherò l’inferno per tornare al tuo abbraccio... Ci ritroveremo nello splendore dei cieli. Ogni primavera brilleremo agli uomini, tu stella con la spiga fulgente, io luna, cuore dei poeti”.
Tornano metafore care alla sensibile poetessa Moscariello, che non tralascia l’altra nota del suo carattere, quella dell’indignazione verso il male, la violenza, la insensibilità, come emerge dalla raffigurazione infernale sulla bocca di Cerere “Negli Inferi imperatori e servi, donne e uomini, artisti e lestofanti rendono conto della loro vita, si sottopongono silenziosi, non più garantiti da avidi avvocati, al giudizio inesorabile del Nulla, a niente servirebbe mentire o produrre falsi testimoni”.

Carmen Moscariello - "Il tempo dell'infinito silenzio e lo spazio infinito dell'amore"


Carmen Moscariello - "Il Presente della Memoria"


PRESENTAZIONE DELL'AUTORE
Mi entusiasma l'attività di giornalista!
Amo questa professione per tanti motivi: in primo perchè mi ha permesso di conoscere e, in molti altri casi di diventare amica, di grandi personaggi del nostro tempo. Ricordo il timore, quasi reverenziale, che ho provato nel momento in cui ho avuto la fortuna di intervistare Turi Vasile, Vittorio Foa, Domenico Rea e Davide Maria Turoldo: conservo con gioia il loro ricordo e la loro parola.
Questo libro è testimonianza della mia attività di giornalista, quello a me più caro: di critico letterario che ho avuto la fortuna di esplicare sul giornale "IL TEMPO", sulla prestigiosa rivista letteraria "OGGI E DOMANI" diretta da Edoardo Tiboni sull'altra rivista, non meno importante, fondata da Francesco Compagna, "Nord SUD".
Questo libro contiene dunque alcuni dei miei articoli apparsi sui giornali menzionati sopra e pubblicati negli ultimi due anni (1992-93).
Quasi tutto quello che ho scritto l'ho scritto col cuore, in quanto gli autori di cui mi sono occupata non me li ha imposti nessuno. Lo studio che ho dedicato alle opere e al pensiero di poeti, pittori, scrittori e musicisti è scaturito da autentica passione e da scelte mai dettate dalla moda o dal numero di copie vendute. Le opere su cui ho scritto rappresentano un aspetto meraviglioso della vita umana, quello più vero e, che per me è stato motivo di gioia ricostruita, anche di fronte a grandi dolori.
Sono grata, dunque a Davide Maria Turoldo (per me sempre in vita!), a Renato Filippelli, a Franco Ferrara, a Claudio Scimone, a Giuseppe Cassieri ad Alessandro Petruccelli e a tutti coloro che oltre a farmi dono della loro arte, mi hanno personalmente incoraggiata avendo avuto parole di apprezzamento per la mia poesia e per la mia attività di critico e di giornalista.
Carmen Moscariello


PREFAZIONE
Tralasciando - forse per il loro taglio cronistico - i numerosi articoli pubblicati su "Il Tempo", dove pur apprezzammo il coraggio e la coerenza della militanza civile a specchio di una rigorosa deontologia professionale, Carmen Moscariello ha qui raccolto gli scritti che documentano i suoi interventi nel settore della letteratura e dell'arte.
Si tratta di pezzi a mezza strada fra l'articolo recensivo e il saggio di più larga economia: prove, questi e quelli, di un'intelligenza intuitiva esercitata fuori dagli schemi scolastici e delle formule canoniche, e perciò mobile e fresca nel gioco delle interpretazioni.
Carmen, sia che profili Bertolucci o Turaldo, Maraini o il sottoscritto, fa vibrare la corda di una sensibilità nervosamente reattiva al nucleo vitale della poesia.
Poetessa lei stessa, coglie d'istinto, e delimita con strumenti elementari e quasi rabdomantici, la zona in cui l'evento creativo brucia le ultime scorie della convenzione letteraria o del mestiere. L'adesione sintonica (un impulso, certo, ma pure un metodo che richiama Renato Serra ed altre spine nel fianco della critica togata e robotizzata) spiega, anche, negli scritti qui antologizzati, l'assunzione di un linguaggio duttile e sciolto, dove il concetto si veste di immagini ed apre un colorato ventaglio metaforico.
Occupandosi anche di scrittori ed artisti del SUD Pontino, Carmen dà ulteriore prova della sua apertura alla vita culturale della zona geografica in cui vive e lavora.
Ricca di fermenti, di potenzialità, di preziose riserve intellettuali è questa zona: ma sembra davvero che la sovrasti, come una maledizione biblica, l'antica sentenza per cui nessuno è profeta nella propria patria. Fuor di metafora, scrittori e artisti ragguardevoli restano, qui da noi, nell'anonimato negletti non solo dalla così detta cultura ufficiale, che impone costi altissimi dai  quartieri di tangentopoli, ma anche a chi, salito appena di un gradino sulla scala dei presunti valori gerarchici, disdegna i vecchi compagni di viaggio...
Carmen ha rotto questa vile consuetudine provinciale. L'amore per l'arte, così istintivo in lei, ha trionfato sul gretto calcolo delle opportunità e sulla logica dell'invidia. Ecco un altro titolo di benemerenza per questo libro al quale auguro simpatie e fortune.
Renato Filippelli

INDICE


PARTE I - POETI CONTEMPORANEI

 
Attilio Bertolucci

Rosa Bottone
Franco De Luca
Franco Ferrara
Renato Filippelli
Dacia Maraini
Ludovica Ripa Di Meana
Erasmo Magliozzi
ARTISTI OLTRE IL MITO
Vittorio Nocella
Amelia Rosselli
Davide Maria Turoldo
PARTE II - RECENSIONI
Giuseppe Cassieri
Francesco D'Episcopo
Cosmo Di Milla
Marguerite Duras
Vittorio Foa
Michele Graziosetto
Luigi De Liegro
Antonietta Macciocchi
Salvatore Mignano
Alessandro Petruccelli
Domenico Pimpinella
Domenico Rea
Claudio Scimone e i solisti veneti
Lidia Scuderi e Aldo Lisetti
Nicola Terracciano
D'Amico - Zadra
Turi Vasile
PARTE III - PITTORI CONTEMPORANEI
Antonio Conte
Ernesto D0Argenio
Gerardo De Meo
Raffaella Fusciello
Domenico Purificato
Giovanni Simione

Foto della città di Roma

Foto di Barbara Vellucci

Basilica di San Paolo
 
Basilica di San Paolo, interno

Via Dei Fori Imperiali

Basilica di Santa Maria Maggiore, Esquilino

Piazza Di Spagna

Trinità Dei Monti

giovedì 13 settembre 2012

Carmen Moscariello - "Figlia della Luna"


PREFAZIONE
Non so se chi coniò per me l'espressione "Figlia della Luna" pensava alla bellezza dei versi del Leopardi dedicati alla Luna, o se, piuttosto, la mia passione nel contemplare il cielo il mio sussurrare alla notte, l'abbiano convinto della opportunità e assonanza (con la mia anima) di questo nome.
Sta di fatto che io me ne sono appropriata e mi sento "Figlia della Luna".
Mi comunica una sensazione di levità, di danza, di gioia nella notte e, quando questo suono rivisita con l'amore il mio cuore, ecco che il mistero mi prende per mano, ancora per insegnarmi nuovi percorsi, nuovi versi lievi come i sospiri, leggeri come le lacrime.
I testi poetici miei sono in quest'opera completati dalla presenza maschile assorbita dalla Poesia e resa anch'essa pura e sostegno all'insostenibile peso del vivere.

INDICE
Prefazione
Parte prima - Anima di mare
Parte seconda - Danaë e la pioggia d'oro (ovvero degli amici)
Parte terza - Figlia della Luna
Parte quarta - I giorni che ho atteso
Parte quinta - Djerba
Parte sesta - Remembre Samos


"RECENSIONE DI MARINA ARGENZIANO" 

Nella poesia di Carmen, pur in situazioni diverse, è sempre di scena il sentimento, che, concedendo poco spazio al mestiere, si offre autentico e naturale, senza schermi o difese di straniante ironia. D’altronde – si chiedeva H. Hesse – “dove percepiamo la vita se non nei nostri sentimenti?” Ed è l’amore, con il suo gemello d’ombra, il dolore ad intrecciare tra incontri e distacchi, tra coinvolgimenti e congedi, i fili dell’ispirazione poetica di Carmen: “E questo amore timido come i nostri pensieri/ come le foglie/ impacciate e ignude/… Passeranno gli alberi e il grano/ passeranno le rondini  festose/… Passerai anche tu tenero germoglio… Già mi rivedo camminare da sola”.
E’ l’amore ad imprimere le corrispondenze con gli amici: “Interroghiamo il nostro animo fanciullo, dei sogni che continuano a germogliare”; è l’amore a scandire le vicinanze del cuore e gli strazi del distacco “nel trasloco opaco della vita / ti ho vista tra lacrime e stanchezza/ non ho soffocato, amica,/ il mare del ricordo”; è l’amore a saldare  il legame con le figlie, Silvia, dal cuore di miele, e Lara, figlia e compagna, tenera come la neve di marzo, come Alya, l’amatissima figlia e compagna di Marina  Cvetáeva: “così anche noi due appena alzate cantiamo, due pellegrine, il mondo ci nutre”.  Ed è sempre l’ amore che circola nei luoghi della storia, della cultura e della natura, non certo spettacolo esterno , ma geografia dell’anima :”. Le bianche, tenere rose, la morbida guancia di un bimbo e il mio amore”.
E di amore sono intrisi i trasalimenti della memoria che possono assumere la voce del rimpianto per ricolorarsi subito di speranza. Ed è, certo, l’amore che mantiene chiusi gli occhi  fanciulli, pronti ad aprirsi in giovani sguardi, alla speranza del sole che bacia l’erba di un prato, sul quale tolti i tacchi a spillo, Carmen cammina a piedi nudi e sente più forte la vita; l’amore  conferisce alla sua poesia, pur nei soprassalti del dolore, un sapore di freschezza sempre nuova: “ il mare inabissa e risorge speranze”.
Anche il richiamo ad altri poeti, : “l’inebrio della vita nuova che si dischiuse”( riportabile  ad una tipica struttura montaliana” Il vento che stasera suona attento; La folata che alzò l’amaro aroma”);  o  la clessidra/ della storia di un tempo/ che attesi  per millenni”(correlabile all’ungarettiano:”nonnulla  di sabbia che trascorre/ dalla clessidra muto  e va posandosi…”),  assume una particolare coloritura nella poesia della Figlia della Luna. Nel volume il suo sguardo interagisce con quello di un ignoto, straordinario, interlocutore maschile, il quale, con sorprendente capacità, che non è intelligenza della mente, ma intuizione totale ed immediata, coglie la natura di Carmen e della sua poesia. Carmen, Anima di mare-  Figlia della luna.
E subito le pareti del tempo si fanno porose, aprono  varchi, invitano a transiti; e si sprofonda  nel mito.
Carmen, appare, allora, portatrice privilegiata di un sapere particolare che trova nell’archetipo lunare  il suo simbolo più incisivo. Un  sapere del cuore, a contatto con i più profondi segreti, non  disgiunto dall’inconscio. Una conoscenza vitale che non ha bisogno della grande luce che regola il giorno della ragione, ma della luce diffusa che governa la notte dell’istinto, e delle oscure percezioni dell’intuitivo mondo interiore. Questo femminile conoscere lunare, come scrive Neumann in La psicologia del femminile “è inafferabile dalla coscienza scientifica.”
Psicologicamente, infatti, la luce della coscienza razionale ed  egoica corrisponde al principio maschile, mentre l’oscurità, il segreto, l’elemento umido sono collegati al principio femminile. Questo richiamo archetipico mi sembra suggestivamente colto anche dal quadro di Alma Aceto, L’incantesimo delle acque, che illustra il volume.
Di questa dimensione connaturata alla donna possono avere esperienza gli uomini creativi  , gli artisti.
In uno dei primi abbozzi di Casa di bambola, nel 1878, Ibsen scriveva: “la donna è dotata di un istinto che inconsapevolmente colpisce nel segno. Ed è questo che la donna ha in comune con i veri artisti.”
Il processo creativo, infatti, non si svolge sotto i raggi cocenti del sole, ma alla luce della luna, quando intorno grande è l’oscurità. Così la pensava  Nietzsche profondo conoscitore della creatività, così la pensava, per passare ad un’area tutta italiana, il “cerebrale” L. Pirandello, che riconosceva la nascita dei personaggi da “altrove” da un luogo misterioso e segreto non certo identificabile con la coscienza diurna. Nella prefazione del ’25 ai Sei personaggi , Pirandello scriveva: “Quale autore potrà mai dire perché un personaggio gli sia nato nella fantasia: il mistero della nascita artistica è il mistero stesso della nascita naturale”.
Nella dimensione assolata ed essiccata della psiche, avvizzita nei rigidi steli della sola ragione che divide, frantuma, segna le distanze. (“ Essere a fronte, eternamente a fronte, questo è il destino”, cantava Rilke nell’VIII elegia di Duino), Carmen con la sua poesia lunare si fa portatrice di vita, fa circolare l’aria vivificante della connessione, dei legami, della corrispondenza, che tutto unisce……”anima di cielo…..Anima di mare”. E mette in scena un mito che non è quello apollineo della solare coscienza; la poesia di Carmen in questo senso, per riprendere una superba espressione di Keats, diventa “la valle del fare anima”,anima non in senso teologico o filosofico,  ma in senso psicologico,junghiano o, ancora meglio hillmaniano, quell’anima che è in intimo rapporto con la mente poetica, con quell’io immaginale, come lo definisce Hillman, che alla logica preferisce il mito, all’uomo adulto razionale e scientifico, preferisce  il bambino e il poeta.
Il linguaggio poetico, infatti, è la lingua viva dell’anima la cui pronuncia immaginativa, simbolica, fantastica, mitica è attivata dall’amore, l’essenza di tutte le cose viventi , come sembrava a Shelley. L’amore che acceca solo la vista comune, ma ne apre un’altra adatta a penetrare nell’invisibile. Ed è questa seconda vista che ha portato il poeta , la cui voce fa da contrappunto in questo volume , a rintracciare in Carmen i lineamenti di una vera e propria figura d’anima, non elusiva e sfuggente, come in Campana “(bianca come un volo di colombe/ principessa di sogni segreti, regina adolescente ancora ti chiamo, ti chiamo, chimera”), oppure soltanto attesa e sognata , come in Montale, dopo la definitiva partenza di Irma Brandeis-Clizia (l’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito”), ma incontrata e con esaltante percezione, riconosciuta…Figlia della Luna nella quale egli non vede un’eredità arcaica da superare, ma una presenza preziosa per ritrovare i sentieri interrotti del sentimento, dell’emozione, dell’istinto (“l’odore animale delle cose darà umanità al nostro non sapere”). Proprio per questo, esorta Carmen a non inquinare se stessa e la sua poesia , a non darsi” in pasto a pseudo-intellettuali dall’imbecillità congenita “, privi di uno sguardo “altro” . E certo, questo straordinario poeta, non  si pone sulle orme di Giasone che nella Medea di Christa  Wolf,   segue le vie dell’unilaterale razionalità dell’arida prassi o del potere e rescinde il legame con Medea. Quella Medea,  figura di sentimento e di istinto, che conosce il tumulto del cuore, evocata da Carmen nell’ultima sezione del libro,  dove si respira più densa l’atmosfera del mito:”naufragate sulla spiaggia/ donne sole/ portano nera la voce/ per accendere Colchide…..Nel porto delle nebbie non parole, non lacrime, ….”, ma questa assenza di parole comporta  la corrispondenza profonda dell’oscuro  conoscere e conoscersi, indispensabile per cercare, con Hillman, la totalità della psiche in quella coscienza dionisiaca dai transiti imprevisti, che  congiunge gli opposti, che annulla le demarcazioni e che rappresenta la possibilità di trasformazione attraverso il femminile. Non è ad Apollo che dobbiamo guardare, ma a Dioniso, il dio che unisce la polarità dell’umano e del divino , del maschile e del femminile, il dio “tutt’altro” che rappresenta quell’elemento di alterità che ogni essere umano porta dentro di sé. Dioniso che ha una casa nel mare e quando appare porta festa e celebrazione:…”.Dionsio banchetta a questa gioia”, come scrive Carmen.
Vorrei concludere con una riflessione di E. Harding; nei “Misteri della donna” l’allieva di Jung scrive:” gli uomini hanno bisogno del rapporto con il principio femminile, non soltanto in funzione di una maggiore comprensione, della donna, ma anche perché il contatto con il loro mondo interiore non è governato da leggi maschili, ma femminili. Oggi c’è perciò un urgente  bisogno di un nuovo rapporto con questo principio della donna  per controbilanciare l’unilateralità del prevalente mondo maschile nella civiltà occidentale”.
Non ha avuto certo bisogno di questa esortazione colui che ha colto i lineamenti di Carmen e della sua poesia nel cuore profondo del  mare e ne ha inseguito il respiro nel ritmo aperto del vento :“  Anima di mare domani camminerai sulla sabbia nuda/ cercherai motivi  nuovi da raccontare al vento /la tiepida aurora/il gelsomino bianco……….”


RECENSIONE DI ALFREDO SACCOCCIO

Per i tipi dell’editore Domenico Fabrizio di Itri, Carmen Moscariello ha editato una nuova silloge poetica, intitolata “Figlia della Luna”, un libro denso, il più prometeico e il più adatto a dare, dei nostri interrogativi attuali, un’immagine completa, cioè di perpetua chiamata in causa. 
La raccolta non comporta che una ottantina di pagine, dicevamo di un’intensità eccezionale. I temi di Carmen Moscariello sono quella della mitologia delle persone amate (le adorate Lara e Silvia), delle amicizie (Elena Machiavelli, proprietaria de “Le Scissure”, Elio, prematuramente scomparso, ed Antonietta Di Giglio, “vista tra lacrime e stanchezza” e verso cui non ha soffocato “il mare del ricordo”), dello stupore pudico, del sogno, in cui sorgono, all’improvviso, le città mitiche di Heraion, Mitilene, Samo, Colchide, Djerba. 
Sono versi impeccabili, in cui si coniugano una nostalgia del sogno e della favola e il dovere di mostrarsi degna di Paul Verlaine o di Paul Valéry. 
La Moscariello, che non ha scritto che testi incantatori, la si legge come si beve un’acqua sconosciuta, ma inebriante. In lei il reale conserva il mistero delle origini e il verbo rivelatore di verità che annunciano qualche intangibile felicità. La Figlia della Luna è il fedele riflesso di questa attitudine, che non manca né di charme né di mordente. 
Carmen, che richiama alla mente l’eroina di Prosper Mérimée e di Théophile Gautier, resa celebre dall’opera di George Bizet, non somiglia ad alcuno dei poeti contemporanei. Scrive alla confluenza dei tempi. Ironica e ludica, affamata di bellezza, la Moscariello si fa scriba di una memoria duale. Duale più che duplice, perché passa dall’uno all’altro aspetto del tempo. 
Come quelli che recuperano cartoni, casseruole, rame rosso, alluminio o nickel, la poetessa della verde  Irpinia ricicla, a spizzichi, dei brandelli di melodie, delle briciole e dei ricordi, dei naufraghi d’emozioni: Carmen sferraglia nell’oro del tempo. 
La scrittura della Moscariello, autrice tra l’altro, di “Friedrich Hölderlin, tra lirica e filosofia”, per i tipi dell’editore romano Lucarini, di una silloge dal titolo “Gli occhi frugano il vento”, per Bastogi Editore, de Il presente della memoria”, un libro sui poeti contemporanei, sugli artisti del Basso Lazio e su alcuni uomini dei nostri tempi, è concisa ma sbocciata, frammentaria e tuttavia armoniosa, riportante sempre all’interiorità. Essa è legata all’azione, al movimento, al cammino attraverso le città o le civiltà. 
Se la Moscariello ha quasi sempre rifiutato la rima, tuttavia è restata attaccata ad una matrice assai regolare. Il suo verso è libero, ma rigetta la scrittura automatica e il surrealismo, perché la metafora non è per lei l’essenza della poesia. Carmen procede per comparazione, non per metafora. E’ una delle ragioni della sua opposizione al surrealismo. Ella si plasma alla constatazione e si accorge che questa constatazione è senza limiti. La sua poesia degli elementi è una poesia dell’inventario. 
Carmen utilizza pochi aggettivi; la frase si limita spesso al nome e al vento, al soggetto e all’azione. Ella va all’essenziale, perché ha un senso dell’economia poetica che la spinge a rigettare ogni parola superflua. Carmen lavora nel senso di una più grande privazione, di una più grande limpidità. 
Possiamo affermare che la poesia ha invaso tutta la vita della Moscariello. Essa è il suo respiro. Le liriche ritagliate in sequenze sposano il suo  respiro corto. Esse segnano la sua approvazione al mondo, la sua comunione con quello che la circonda. Questa comunione proviene dall’adeguamento progressivo tra una forma poetica perfettamente dominata e una maniera di vivere e d’essere al mondo. 
Quelle della Moscariello sono grandi pagine di storia in un pugno di distici senza effetto gratuito, senza lirismo vano. Non una parola esce dalla sua linea, non una che non vi abbia il suo posto. Un’economia da moralista ironica, che sa che tutto si gioca sempre altrove: nella memoria da venire. Memoria capace di sospendere l’avvenuto per l’offerta di un pensiero, di un dispiacere, o per la spina di un sarcasmo, ma il cui potere così bene restituisce l’oblio o cristallizza l’incompiuto di un desiderio, poiché l’unica religione a cui Carmen sacrifica è la bellezza, quella dei giovani uomini o donne, che, come marmi o bronzi antichi, paiono discendere dal loro basamento per abbellire Samos o Mitilene, la notte come il giorno. 
Dei due registri della sua opera (il mondo antico e il tempo autobiografico), il secondo è dedicato quasi totalmente all’amore, che “parla con tenera voce”, all’amore “scaldato dal sole di Roma”, al “bacio dei ragazzi che si amano”. Senz’altra ostentazione che di scrivere chiaramente la felicità di questi brevi e febbrili incontri. 
Per il cammino contrario, il gusto antico ravviva e fertilizza la poesia, come nel brano inerente Mitilene, che evoca la poetessa greca Saffo, soprattutto nei tre versi finali, in cui la coppa ubriacante si trasforma, nell’ultimo sorso, in Gorgone, essere terribile, alato, avente per capelli dei serpenti, mentre il dio Dioniso banchetta. 
Che sia ricordo immediato o lontano (e spesso ci parla del profondo dei tempi, in nome di un dio o di personaggi mitologici), si tratta di una moneta d’oro inalterabile, coniata con le effigi della giovinezza e della beltà. Ma la poetessa di Montella non è solo affascinata dai miti classici. Essa affronta anche temi domestici e familiari come nella “Canzone a Lara”, l’orgoglio della vita di Carmen. Bella l’immagine della figlia, “tenera come la neve di marzo coi biancospini affacciati”. Materna e protettiva è nella lirica “A Silvia”, di leopardiana memoria, in cui la Moscariello rivela la sua comunanza spirituale con Leopardi, fatta di vibrazioni. 
Alcune liriche di Carmen sono abitate dagli spiriti di Matisse, di Theodorakis, di Pirandello e di Rea, quest’ultimi due in Spartito in sol maggiore per Marina, lirica scritta nella notte di San Lorenzo, di tre stagioni fa. Qui Carmen e Marina, accomunate dall’amore per l’arte, si raccontano i sogni e interrogano il loro spirito giovanile sui sogni che continuano a germinare mentre, in mezzo a loro, aleggiano i fantasmi di Luigi Pirandello e Domenico Rea. Forse è proprio in questa lirica, un poco prosaica, che si prende la più giusta misura della poetessa campana, che inaugura una nuova forma di confessione, in cui il passato e il presente si congiungono, in cui una donna di rara intelligenza non ha cessato, sotto le provocazioni, di perseguire una ricerca identitaria. 
Da questa silloge sono stati tratti due spettacoli teatrali (“Anima di mare” e “Figlia della luna”).