domenica 30 dicembre 2018

Attilio Bertolucci- Il beato egoista.










Attilio Bertolucci- Il beato egoista

Di

Carmen  Moscariello





“Il Bertolucci ha quel che si dice un temperamento; ha vena, fantasia, respiro”. Così Montale recensiva una delle prime opere poetiche di Attilio Bertolucci, Fuochi in novembre e consacrava la nascita di uno dei più grandi poeti del Novecento. Nato a Parigi nel 1911, fu legato da profonda amicizia a Vittorio sereni, Mario Luzi, Giacinto Spagnoletti, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia ,Sandro Penna, Giorgio Bassani (compagno d’università),egli  ha contribuito non poco alle svolte culturali e artistiche del Novecento. Tuttavia, la sua poesia rimane un canto unico e lontano dalle altre voci ermetiche e dalle Neo-avanguardie della seconda generazione. Sembrerebbe, infatti, prevalere, fin dagli esordi, una ricerca profonda di toni umili. Il raffinato lessico o lo sperimentalismo dei poeti lombardi o toscani, suoi coetanei, rimane fuori dai suoi temi ideologici.

Fin dai primi volumi ”Sirio” (1929), “Fuochi in novembre (19234), l’opera poetica di Bertolucci rievoca un gusto evocativo legato al mondo agreste, alle piccole voci quotidiane. Un crepuscolarismo che lo avvicina al Montale minore e che lo porterà più tardi a una poesia non priva di originalità e unica per la limpidezza del suo verso. Queste prime due opere rappresentano, dunque, l’inizio di un monologo mai interrotto con il proprio io. ”Il beato egoista”, (così lo chiamava Vittorio Sereni, per il grande amore verso la sua famiglia) non manca, però, di “colpi d’ala” (Montale), che fanno presagire fin dal lontano 1934  svolte nuove per la poesia italiana.

Nell’intervento sulla rivista “Pan” (Firenze)ancora Montale ci proponeva versi come questi: mi ha svegliato il tuo canto-solitario/triste amica/ dell’ottobre/dell’ottobre/innocente civetta/ Era la notte /brulicante di sogni come api (La notte d’ottobre).

Molte delle composizioni di “Sirio” e “Fuochi in novembre”, il poeta le farà più tardi confluire nella “Capanna indiana”(1951), un’opera di più ampio respiro anche se non si avvertono fratture evidenti di contenuto e di tono rispetto alle raccolte precedenti. D’altronde, il poeta, includendo nella “Capanna indiana” le prove giovanili intendeva forse sottolineare l’unità di ispirazione di tutta la sua poesia. Qui lo spirito virgiliano di Bertolucci, avviato alla maturità, si manifesta nel desiderio di cogliere le minime vibrazioni del tempo. Il verso ampio, diventa descrittivo per meglio esprimere lo stato di stupore e di attesa. Quei colori accesi che a volte potevamo notare in “Sirio” assumono definitivamente le sfumature autunnali e si avviano a una monocromatica musicalità  suadente, non priva di una sottile ansia: la mattina dei nostri anni perduti/ i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,/ i compagni che andavano e tornavano ,i compagni/che non tornarono più….. Il contenuto diaristico della “Capanna indiana” è sempre riscattato da una grande delicatezza del verso spoglio. Non meno mordente nella raccolta e il leitmotiv della vita familiare: era l’ora che dietro alle persiane/la famiglia si desta amaramente/l’ultima mosca ronza moribonda/nella chiusa cucina ove la brace/dei primi fuochi autunnali dura/sino alla prima donna frettolosa//giovane strega, montanara falsa….Gli accenti intimistici di questa poesia hanno ben poco in comune con lo scenario raffinato, letteratissimo di un Quasimodo, di Luzi o di un Parronchi, o Bigongiari; e, tuttavia, Bertolucci dalla sua chiusa soggettività  fa scaturire un concerto di voci e la sillabazione discreta e il modo quasi svagato di raccontare per immagini, nulla tolgono alla purezza del verso.

Il poema autobiografico si amplia con “Lettere da casa”(1955), soprattutto, in quest’ultima opera prevale il senso discorsivo con preposizioni e periodi più lunghi e con una serie di coordinate e subordinate che fanno scivolare senza attrito la poesia nel romanzo evocativo. L’assenza di punteggiatura e l’uso di enjambements in “Viaggio d’inverno”(1971) nulla toglie al racconto e al monologo che cresce d’intensità. Avvertiamo anche una adesione simpatetica e un amore francescano (più che generica pietas segnalata dalla critica più avveduta)) del poeta per il mondo. “avere visto due fratelli, l’uno/di quindici l’altro di dieci anni lungo/il fiume, intento il primo a pesca ,il secondo a servire con pazienza e gioia? Il sole pomeridiano colora/i visi così simili e diversi /come una foglia a un’altra foglia/nella pianta, una viola e un’altra viola in terra./Oh, se durasse eternamente questa mattina che li svela e li nasconde/come erra la corrente tranquilla / e li congiunge sempre se un silenzio/ troppo dura tra loro e li opprime /così da cercarsi una voce e trovarsi intatte membra, intatti cuori, rami/ chela pianta trattiene strettamente/”.

Si noti in questi versi come Bertolucci passi dal tono colloquiale  a un lirismo sempre più intenso. Le coordinazioni del polisindeto servono ulteriormente a rendere sinergici aspetti della natura e quelli umani. . Inoltre, nella seconda parte, la punteggiatura sempre più sporadica, intensifica le emozioni che si sovrappongono. La fluente commozione del poeta  risulta chiara fin dalla seconda strofa e va via via accentuandosi senza che il campo semantico perda di modestia e di semplicità tonale.

L’auscultazione della vita nelle pieghe più segrete raggiunge la massima felicità espressiva nell’ultima opera in versi “La camera da letto”(19884-88). La storia vissuta dall’autore si fa epicamente, direttamente poema e gli affetti familiari finiscono per occupare un ruolo centrale e totalizzare l’evocazione. Il tempo prustiano che ha inebriato i ritmi della sua vita e dei suoi versi, qui diventa accorata attesa di un Assoluto instancabilmente perseguito con discrezione, una sorta di parabola che prelude il miracolo. Così che poesia e prosa si uniscono in una sintesi imprevedibile per gli effetti di chiarezza , di immediato confluire delle sensazioni : “…..le nuvole/ non s’erano fermate, bisognava andare avanti, era sempre Appennino profondo anche se altri/ mandriani più miti già vi avevano/cresciuto agnelli e figli: non poteva/quell’infinito ondulare, di valli/ celesti nel silenzioso mezzogiorno/deluderli in eterno, mentre il vento/si placava declinando/il giorno sui crinali in un calore/cui conveniva accucciarsi, cavando/pane e formaggio per la cena./ Poi venne un’ora limpidissima , l’ora/ del pastore / che passa per ogni cima uno smeriglio/di luce solitaria; ma le valli /questa volta non echeggiarono del suono/cristiano che aiuta ad affrontare/ la notte.”

Questo preludio dell’opera ha la stessa modulazione di una ouverture verdiana, lì dove il senso del misterioso coinvolge ipnoticamente il lettore conducendolo in un universo di meraviglie sospese tra fiabesche e quotidiano.

Infine nella pubblicazione della Garzanti “Aritmie” i  battiti del cuore di Bertolucci trovano realizzazione non solo nella poesia, ma anche in una variopinta vertiginosa mole di interessi culturali. Qui la stetoscopica auscultazione, non solo del muscolo cardiaco, offre un ampio panorama musicale per il cinema, per l’arte, per la musica, per la poesia classica, francese e inglese. In questa “Summa” vengono raccolte tutte le esperienze culturali di mezzo secolo e più di vita. Un’autobiografia letteraria ,dunque, comprendente saggi, ,recensioni, articoli incontri.

Vittorio Sereni, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Roberto Longo sono alcuni dei personaggi raccontati con giovialità e freschezza da Bertolucci. E, ancora,  le intermittenze del cuore , che esplodono improvvise e incontrollabili, portano il poeta ad evocare la sua Parma, la Versilia, Busseto. Una descrizione minuziosa, dove la geografia dei luoghi si arricchisce della presenza di figure familiari, di ricordi letterari ed artistici intensi.

Quella musicalità monodica che abbiamo colto nelle raccolte di poesia, si trasforma in quest’opera in una polifonia di stile e di temi. Spesso il titolo iniziale dei numerosi paragrafi è solo l’occasione per oltrepassare le Colonne d’Ercole e guidare lo spirito nell’armonia pulsante.




venerdì 28 dicembre 2018

Bando "Tulliola-Renato Filippelli" 2019


Bando “Tulliola-Renato Filippelli” 2019


L'associazione culturale "Tulliola" bandisce la XXV edizione del Premio "Tulliola- Renato Filippelli". Anno 2019






Bando di Concorso  “Tulliola- Renato Filippelli” 2019



Presidente onorario Emerico Giachery
Presidente della Giuriail Poeta Dante Maffìa
Giuria:i nominativi saranno resi noti solo dopo la proclamazione dei vincitori











Premio Internazionale di Poesia, Narrativa, Saggistica



“Tulliola – Renato Filippelli”



XXV edizione – 2019



Il Premio è stato Insignito di medaglia dal Presidente della Repubblica  Giorgio Napolitano per gli alti meriti culturali, è stato  fondato da Carmen Moscariello che lo presiede.
La partecipazione al premio è gratuita. 
Il Premio non riceve alcun aiuto economico né da enti istituzionali, né da privati. Il Signor Aldo Zangrillo contribuirà con l'acquisto delle targhe e delle coppe. Le altre spese del Premio sono sostenute dalla Presidente Carmen Moscariello


ART. 1



L’Associazione culturale “Tulliola” in Formia (LT) (insignita anch’essa di medaglia dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per alti meriti culturali) bandisce la XXV edizione del Premio internazionale “Tulliola Renato Filippelli”, Premio  di poesia edita, narrativa edita  e saggistica edita .



La partecipazione al Premio è aperta a tutti i poeti, narratori, saggisti residenti in Italia o in uno dei 
Paesi dell’ Unione Europea o del mondo che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età alla data di scadenza 
del presente bando, la partecipazione è assolutamente gratuita.  



 ART. 2
Il Premio si articola nelle seguenti sezioni:



A - Poesia editata;



B -Narrativa edita (romanzi o raccolte di racconti); 



C - saggistica a tema libero edita ;



D Saggistica sulla figura e/o l’opera di Renato Filippelli , compreso articoli di giornali. Le opere possono essere edite o inedite;



Tutte le opere delle sezioni A, B, e C devono essere state pubblicate in lingua italiana, in formato 
Cartaceo, a partire dal 2015; 



E Poesia, saggistica narrativa straniera in   lingue araba, cilena, indiana, serba può essere edita e inedita, l’inedita non deve superare le  tre cartelle per ogni sezione,  Questi contenuti possono essere spediti anche in via telematica agli indirizzi che indicheremo innanzi.

Per ogni sezione saranno premiate cinque opere a pari merito;
Per la valutazione delle opere straniere ci sarà un'apposita giuria in lingua.


ART. 3



 Tutte  opere edite  devono essere inviate in sei copie al seguente indirizzo:  



Alla Presidente del  Premio “Tulliola- Renato Filippelli”c/o prof.sa Carmen Moscariello, via Paone San Remigio, snc – 04023 FORMIA (LT)



Le copie devono essere accompagnate dalla Scheda di partecipazione allegata al presente bando.



ART. 4



Le sei copie dell’opera, unitamente alla Scheda di partecipazione, devono pervenire alla Presidenza 

del Premio entro il termine improrogabile del 31 dicembre  2018. 
Le opere non saranno restituite.





È possibile partecipare a più di una sezione, in questo caso le opere dovranno pervenire in plichi 
separati, con distinte schede di partecipazione. 



ART. 5



Il giudizio della Giuria è insindacabile.



La giuria rimarrà segreta fino alla proclamazione dei vincitori. 
L'associazione culturale "Tulliola" si riserva di apportare modifiche al premio, se necessarie.

Art. 6 La poetessa Claudia Piccinno coordinerà le opere che vengono dall’estero

Per le opere straniere la Giuria è così formata: Raed Aljishi Arabia Saudita,  Santosh Alex India,  Milica Lilic Serbia,  Hilal Karahan Turchia ,Oscar Limache Perù.


Art.7 Il premio non può essere ritirato da terzi. L'eventuale assenza dell'autore alla cerimonia di premiazione avrà il significato di rinunzia la premio.










Premio per la Legalità VII Edizione




1)      l' Associazione Culturale "Tulliola"  sceglierà,  a suo insindacabile giudizio,alcune personalità distintesi  nella difesa dello Stato, delle donne e nel perseguire il crimine. Per questi saranno richieste Onorificenze Istituzionali, nel caso di diniego, verranno premiati con medaglie importanti.
2)      In questa sezione saranno premiati (massimo tre a pari merito) con coppe o medaglie artistiche, quei giornalisti che con articoli  di denunzia o con trasmissioni televisive  avranno  contribuito alla formazione dei cittadini italiani.
ART. 1
Per ciascuna sezione, la Giuria individuerà con giudizio motivato cinque opere vincitrici a pari merito e
senza graduatoria. Agli autori delle opere selezionate verrà consegnato il “Premio Tulliola – Renato 

Filippelli” – XXV edizione, consistente in medaglie ,targhe artistiche, diplomi e altre onorificenze.

ART. 2



La Cerimonia di premiazione si terrà presso Il Grande Albergo Miramare  in Formia (LT) ,o in luogo istituzionale a Roma. il  18 Ottobre 2019.

Art. 3 L'Associazione culturale "Tulliola" si riserva di premiare fuori concorso personalità del mondo della Cultura, dell’Arte e della politica.

Art.4

I vincitori, preventivamente informati, s’impegnano a ritirare il premio personalmente. I premi non 

ritirati non saranno spediti. Le opere inviate non saranno restituite. 

La Presidenza del Premio si riserva la facoltà di apportare eventuali modifiche al programma,



dandone tempestiva comunicazione ai partecipanti. 

ART.5 La partecipazione al Concorso implica la piena accettazione del presente bando in tutti i suoi 



La Presidente del Premio



Carmen Moscariello



Il Presente testo del bando è l'unico a cui i concorrenti  devono far riferimento.
































Scheda di partecipazione        Premio Internazionale di Poesia, Narrativa, Saggistica



“Tulliola – Renato Filippelli”



XXV edizione 2019



                           



SCHEDA DI PARTECIPAZIONE



    



Il sott._________________________________



nato/a a_________________il______________



residente in …………………………………….



C.A.P___________Città ___________________



rec. Tel.________________________________



e-mail _________________________________



preso atto di tutti gli articoli del bando della XXIV edizione del Premio Internazionale “Tulliola –



Renato Filippelli”, accetta tutte le norme che lo regolano e dichiara:



- di essere maggiorenne;



- di essere cittadino italiano o di uno dei Paesi dell’Unione Europea;



- di voler partecipare alla sezione ………………….………… con l’opera (titolo/editore)



……...…………………………………………………………………………………



…………………………………………………………………………………………………………







Firma ___________________________________


giovedì 27 dicembre 2018

Da
Frequenze Poetiche
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CARMEN MOSCARIELLO, La preghiera dei Padri saraceni
dicembre 26, 2018 da frequenzepoetiche
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(Scotellaro non si tocca, è stato già fin troppo perseguitato in vita!
Toccare lui è come offendere per l'ennesima volta il Sud - C. M.).
Rocco Scotellaro nacque il 19 aprile 1923 a Tricarico (Matera) da famiglia artigiana. Suo padre era calzolaio, la madre, Francesca Armento, era sarta-casalinga e “scrivana” per i compaesani: preziosa fu la sua disponibilità a leggere e scrivere le lettere degli emigrati di Tricarico. In una pubblicazione ha narrato anche la vita del figlio dalla nascita fino alla morte di Rocco [1]. Il Poeta la tenne sempre in grande considerazione, per lei ha scritto versi bellissimi. Nell’ultima lettera scritta alla madre, la esortava a comprare una stufa per il suo ritorno e a non preoccuparsi della spesa, perché i problemi economici della famiglia si sarebbero risolti. Amò il padre: nella biografia dell’Uva puttanella (incompiuta) il poeta vive un processo identificativo con il genitore, soprattutto per la malasorte che li aveva accomunati e perseguitati, in particolar modo il disonore di aver subìto entrambi il carcere. Dalla sua famiglia apprende i valori morali che lo formeranno, fino a farlo divenire un simbolo eroico nella lotta per i più deboli contro i padroni: la sua vita, il suo pensiero, la sua poesia hanno sempre più assunto nel tempo la forza e l’urgenza di riscatto del Sud. Gli studi, come per molti di noi del Meridione, furono alquanto tempestosi, o meglio travagliati, nel senso che il vento della brughiera ti lascia cadere là dove vuole, là dove la sorte ti pone senza un disegno preciso: Rocco, come i suoi genitori, non scelse gli istituti dove studiare, passò dall’uno all’altro, sempre con molti sacrifici e senza lamentarsi, d’altronde la molteplicità di scuole e gli studi condensati in pochi anni, sempre per esigenze economiche, furono alfine un presupposto positivo, poiché permisero al poeta di conoscere luoghi diversi da Tricarico. Questo  sviluppò in lui la capacità di adattarsi (seppur nessun luogo mai sostituì Tricarico nel suo cuore); la possibilità di conoscere luoghi e persone nuove, aprì i suoi orizzonti culturali e nel contempo si rese ancora più conto che le condizioni dei suoi concittadini erano davvero molto dolorose rispetto alle altre realtà (Trento, Cava de’ Tirreni, Potenza, più tardi Napoli ecc.). Lo stesso Giovanni Russo, suo caro amico e studioso della sua opera, ci racconta: «Nel 1939 a Potenza arrivammo imbacuccati per il freddo del cortile del liceo ginnasio “Orazio Flacco”: Scotellaro era nella prima liceo e io nel quarto ginnasio. Era rosso di capelli, il viso coperto di efelidi e diceva che tutti quelli che avevano i capelli rossi erano fratelli». Dal punto di vista cronologico, iniziò i suoi studi presso il convitto Serafico dei Cappuccini a Sicignano degli Alburni, più tardi a Cava de’ Tirreni e a Potenza, infine a Trento. In questa ultima fase fu influenzato dalle lezioni del suo professore Giovanni Gozzer, antifascista; determinante fu in questo periodo la presa di coscienza sui gravi disagi economici e umani dei suoi compaesani; gli anni tra il 1940-43 furono altamente formativi anche perché si confrontò con la realtà diversa dell’Italia del Nord, sentì profondamente l’ingiustizia a cui troppi uomini erano sottoposti e seppur giovane contestò il fascismo, tanto che nel novembre del 1940 venne espulso dal liceo-ginnasio per aver partecipato ad una manifestazione antifascista. Tra il 1943 e il 46 conobbe Carlo Levi, Manlio Rossi Doria, Camilla Ravera, Franco Venturini, Emilio Sereni, Guido Miglioli. Importante fu anche l’amicizia con il suo compaesano Rocco Mazzarone, medico, tisiologo, soprattutto quando fu eletto sindaco di Tricarico; Mazzarone fu molto vicino al poeta e comprese la bellezza del suo animo e la lucentezza del suo coraggio. Rocco fu il sindaco più giovane d’Italia, aveva solo ventitré anni quando fu eletto con il “Fronte Popolare Repubblicano” formato da PSIUP, PRI, PCI, PDA (20 ottobre 1946) e subìto i cambiamenti non si fecero aspettare; fece costruire un ospedale, inaugurato 7 agosto 1947 (qui la presenza e i consigli di Mazzarone furono preziosi), migliorò le condizioni sanitarie ed economiche del paese; anche la scuola conobbe un’importante evoluzione; lottò con tutte le sue energie contro l’analfabetismo, espandendo più tardi questa sua lotta a tutto il meridione d’Italia. Era convinto che la causa dell’arretratezza del Sud era da attribuire soprattutto all’ignoranza. Tutti l’amavano a Tricarico, ne è testimone l’accoglienza trionfale che i suoi compaesani gli tributarono quando fu liberato dal carcere e riconosciuto innocente. Ma il dolce appassionato Rocco fu un personaggio scomodo per chi deteneva il potere e quel giovane troppo effervescente, incontrollabile, cominciava ad apparire pericoloso come spesso accade per i più onesti; iniziarono a calunniarlo, a denunziarlo per crimini che non aveva mai commesso, a perseguitarlo fino all’incriminazione e al carcere. Credo che i grandi e i piccoli autori che si sono occupati di Rocco lo abbiano scelto, per la sua umanità che affascina e conquista, per la purezza dei suoi sentimenti, per l’abnegazione che aveva nel dedicarsi a chi soffre. Bisognerebbe molto indagare sulla sua religione della terra e del sacro amore per i deboli. C’è nella sua opera una non distinzione della sua vita da quella dei più poveri e più sofferenti: Rocco è tutti loro, e i braccianti lo riconoscono, lo amano. Ci sono stati tanti altri appassionati e grandi studiosi del Sud, ma essi rimangono fondamentalmente estranei al mondo del proletariato e dei cafoni. Al contrario, in questo caso, i suoi contadini, uomini chiusi, incapaci di esprimersi, con Rocco parlano lo stesso linguaggio, non lo temono, credono come lui in quello che fanno, lo seguono nella speranza del cambiamento. Rocco è un leader: capeggia la rivolta contro il latifondo, fonda una sezione del PSI a Tricarico, viene rieletto sindaco per la seconda volta (8 maggio 1959), quindi arrestato con l’accusa di peculato. Nella vita di Rocco Scotellaro gli amici-contadini sono per il poeta i successori dei “padri saraceni”, santi protettori degli umili. Ci sono anche le bellissime lettere tra Rocco Scotellaro e Manlio Rossi Doria: due grandi uomini che si prendono per mano: sono testimoni gli scritti di fulgente amicizia, lettere che i due si scambiarono e che oggi sono possedute e custodite da  Anne Lengyel, moglie di Manlio. Nel maggio 1950 si dimise dalla carica di sindaco, nella quale era stato reintegrato dopo l’assoluzione. Lasciò Tricarico e si trasferì a Roma, dove lavorò per qualche mese da Einaudi. In quest’anno conobbe al convegno di Venezia Amelia Rosselli, che amò e venerò come una madonna. Manlio Rossi Doria si attivò molto per cercargli qualche collaborazione nei quotidiani, in una lettera del 31 ottobre del 1950, citata anche da Giovanni Russo, leggiamo: «Caro Rocco, con grande sorpresa ho saputo, arrivando a Roma, che tu non eri più lì e che ti trovavi in crisi di occupazione. Ho cercato qui a Napoli di vedere se era possibile trovarti un’occupazione al “Mattino d’Italia”, ma non mi sembra che per ora questo sia possibile. Cercherò qualche altra cosa. Ad ogni modo penso che la cosa migliore è che tu venga immediatamente a Roma, non preoccuparti se per qualche tempo dovrai restare ospite mio e di Carlo, il resto verrà, fammi sapere qualche cosa». Manlio Rossi Doria lo chiamò successivamente a Portici presso l’Osservatorio di Economia Agraria, dove partecipò alla stesura degli studi preliminari del Piano regionale della Basilicata, commissionato dalla SVIMEZ. Dobbiamo a questo punto ancora sottolineare la partecipazione di Rocco Scotellaro a comizi politici in tutta la Basilicata e non solo. Fu protagonista acclamato e amato dal popolo, i suoi comizi erano affollatissimi e avevano larghissima eco. Ricordiamo a riguardo alcuni articoli ritrovati nella Biblioteca di Pietro Nenni (anch’egli appassionato cultore di Rocco Scotellaro) a Formia, essi fanno riferimento alla sua instancabile attività politica: L’unità antifascista, «La voce», Napoli febbraio 1944; Da Tricarico, «Il lavoratore», Potenza 22 novembre 1944; Comizio socialista a Stigliano, «Il lavoratore», Potenza 2 giugno 1945; La manifestazione a Matera per la giornata della Costituente, «La voce», Napoli 20 ottobre 1945; Intemperanze reazionarie rintuzzate a Matera, «Avanti», 18 novembre 1945; Una campagna nazionale contro l’analfabetismo nel Mezzogiorno, «La voce», Napoli 1947; Rocco Scotellaro, «La strada», febbraio-marzo 1947. Rocco Scotellaro seppe ben coniugare impegno civile e letteratura, le due cose non possono essere lette separatamente; in entrambi i casi l’entusiasmo, l’ardore lo portarono al compimento di grandi progetti. Basti pensare alle opere sanitarie e scolastiche che fece nella sua Tricarico, realizzate in pochi anni. Con due mandati a Sindaco (entrambi non portati a termine: il primo mandato cadde con la vincita a livello nazionale della Democrazia Cristiana, il secondo sotto la fraudolenta accusa di peculato, con conseguente carcerazione) egli seppe costruire l’ospedale di Tricarico, fiore all’occhiello di tutta la Basilicata, e attivò un processo di alfabetizzazione anche per gli adulti. Non si risparmiò per il bene del suo paese, anche il suo spostarsi a Napoli comprendeva la  promessa di un ritorno, dopo essersi fortificato, dopo aver trovato appoggi a livello nazionale alle sue idee di crescita e di libertà, tanto che nel 1952 accettò di candidarsi nelle elezioni provinciali, senza però essere eletto. Nel gennaio del 1953, agli inizi di dicembre, pochi giorni prima di morire, fece un viaggio in Calabria. Rocco appare in profonda crisi, anche se in questo ultimo, difficile periodo, scrive due opere supreme (seppur entrambe incompiute): Contadini del Sud e L’uva puttanella.
Lo sostennero nei suoi progetti Manlio Rossi Doria, Carlo Levi, Adriano Olivetti: coraggiosi antifascisti, eccelsi pensatori, che avevano sfidato ogni pericolo per il trionfo delle loro idee di libertà, anch’essi sono i “Padri Saraceni” di Rocco, lo proteggono, fin quando la morte non ha il sopravvento e anche dopo la morte, lo difesero. Questi grandi, compreso Rocco, pensarono a un Paese ben oltre il comunismo, proposero un’organizzazione politica e sociale che ponesse al centro non l’interesse privato e il solo sistema economico, ma l’uomo e la sua vita, considerando il lavoratore con sommo rispetto. Questo è il grande iato tra i tre grandi e gli operatori economici del tempo: la crescita economica ad ogni costo non era il loro ideale, né costruire ricchezza a scapito dell’ambiente naturale e della bellezza delle città; la sottomissione dell’uomo alla schiavitù del lavoro non era il loro obiettivo. L’esempio lo dà Adriano Olivetti, che alza il salario per i suoi operai del 20% in più rispetto alla Fiat e alle altre grandi fabbriche, che, in verità, l’aumento effettivo rispondeva all’80% se si valutano anche altri benefici offerti agli operai: l’asilo, la casa, il pagamento degli studi per i figli, il sabato e la domenica di riposo. Prevalente per questi grandi contava il rispetto per l’ambiente, lo studio delle nuove architetture di costruzione delle città e delle fabbriche e non ultima la volontà di salvare il Sud dell’Italia e non farlo diventare luogo dove prelevare manodopera a basso costo, svuotandolo di ogni iniziativa di crescita; in questo furore di idee, di sogni, di urgenza del bene comune, vive Rocco ed è partecipe attivo. È in questo fervore di idee illuminate, di libertà, che nella vita e nell’opera di Adriano Olivetti trovano concreta attuazione le sue fabbriche, sorte in tutto il mondo sono studiate e apprezzate. Queste idee erano condivise con i suoi intellettuali di «Comunità», della quale lo stesso Rocco e Amelia Rosselli erano  simpatizzanti. I confinati politici Adriano Olivetti, Carlo Levi, Manlio Rossi Doria influirono non poco sulle scelte del socialista Rocco. Egli si iscrisse al partito Socialista il 4 dicembre 1943 e nello stesso mese fondò a Tricarico una delle prime sezioni, titolandola al martire del fascismo “Giacomo Matteotti”. Nonostante fosse di idee fortemente rivoluzionarie, non fu mai comunista e tenne sempre ben separata (intendendole come realtà di vita e di lavoro diverse) la vita degli operai delle fabbriche  e  i destini dei contadini del Sud. Nel 1942 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ed ebbe un posto di istitutore in un collegio di Tivoli. Nel novembre del 1949 a Macerata, in occasione di un convegno su “La cultura nelle provincie”, portò un importante contributo al dibattito in aperta polemica con Ugo Betti. L’8 febbraio 1950 fu arrestato con l’accusa di concussione riguardo a fatti che risalivano all’agosto 1947 e al febbraio 1948; il 24 marzo 1950 la Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Potenza non solo lo prosciolse e ne ordinò la scarcerazione “per non aver commesso il fatto” e “perché il fatto non costituisce reato”, ma nella sentenza si legge che “fu vendetta politica”. Qualche mese prima della morte si recò in Calabria con Carlo Levi per verificare gli effetti della Riforma agraria; il resoconto di questo viaggio è testimoniato da alcuni importanti suoi “Appunti”. Il 15 dicembre 1953 si chiude la vita di questo giovane dagli occhi tristi e dai capelli rossi. Ai ritmi di musiche sefardite, chassidiche, yiddish, calanchi lucani, e le grotte gutturali di Matera gridano il suo nome, vessillo di libertà per il Sud e per tutti quegli uomini e donne che non si piegano alle ingiustizie.
_______________
[1]  Rocco Scotellaro, Una vita agra di Giovanni Russo, elzeviro del «Corriere della Sera», mercoledì 22 dicembre 1999, p. 35.
Biografia di Carmen Moscariello

 Poeti da ricordare

Informazioni su frequenzepoetiche
Giorgio Moio è nato a Quarto (NA) il 25 maggio 1959. Poeta, è stato redattore delle riviste «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest’ultima è anche tra i fondatori). Direttore editoriale di una piccola casa editrice, nel 1998 ha fondato e dirige la rivista «Risvolti», quaderni di linguaggi in movimento. Ha collaborato con numerose riviste, attualmente collabora assiduamente col magazine on line "Cinque Colonne" e con la rivista webzine "Malacoda". Ha pubblicato una quindicina di volumi.
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lunedì 17 dicembre 2018

Il pianto della terra di Michele Urrasio



Apriamo il nostro giorno con la poesia immensa  del Poeta Michele Urrasio


Piove dal cielo il pianto

della terra sorda

ad ogni richiamo.

Invano implora il calore

l’orfano abbandonato

sull’uscio della casa devastata.



II        

E i grovigli di ferro

si moltiplicano, e la pietà

non ha più patria,

e il giorno ignora

il sorriso dell’alba.



III

Sorpresa in un vortice

di flebile tregua,

appare la luna, volto

rigato di spavento, occhi

appannati da nuvole che

disegnano arabeschi di mistero.



IV

Ora la terra, inorridita

dal suo massacro, eleva

verso l’alto braccia pesanti

di ferite e di dolore. E il mondo

risorge in un deserto di croci.



Michele Urrasio



(Appunti grafici di guerra di Salvatore Lovaglio)






giovedì 22 novembre 2018

Apriamo il nostro giorno con l'amato poeta Michele Urrasio: la sua è la poesia del Cuore,dell'eleganza, della passione.


Bagliore di universo





Si perdono gli occhi oltre

la finestra volta al tramonto.

Risalgono lenti i passi dal labirinto

del vivere. Remoto è lo sconforto

delle ore scontate tra ansia

e timore, il richiamo misterioso

della botola nel silenzio

dei vicoli intenti al nostro respiro.



Si leva alto nel petto

il furore della piazza aperta

al grido della contestazione,

il terrore del naufrago

disperso in un mare di incertezze.



Pena infinta è riconoscersi

uomo devastato dall’attesa,

padre di generazioni nutrite

con il pane della pazienza.



Venti di amara indifferenza

hanno segnato il sorgere

della luce: bagliore di universo

che stringo tenace nelle spalle.



Michele Urrasio

giovedì 1 novembre 2018


Carmen Moscariello ci ha donato un’opera preziosa.

Di Aniello Montano



“Destini sincronici. Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro con lettere di Rocco Scotellaro a Michele Prisco”Carmen Moscarielloci ci ha donato  un’opera preziosa e fonte di un grande piacere……..”

Del Professore emerito Aniello Montano

Trovarmi tra le mani un libro, che mi ha fatto respirare aria di famiglia e mi ha parlato di donne e uomini incontrati in carne ed ossa o conosciuti attraverso letture e riflessioni giovanili, mi ha dato una grande gioia. Mi ha rimesso in connessione con quella linea spirituale e morale, oggi un po’ in ombra, che ha rappresentato per la mia generazione la guida nell’impegno civile e culturale. Trovarmi tra le mani un libro che quella linea me l’ha fatta ritrovare in una Terra da me frequentata e amata attraverso la stima e l’affetto nutriti per persone speciali mi ha dato una gioia ancora più intensa. Rievocare la Lucania di Rocco Scotellaro, di Leonardo Sinisgalli, di Maria Padula, di Giuseppe Antonello Leone, e riassaporare il clima culturale di Roma e di Formia all’inizio degli anni Sessanta del Novecento mi ha procurato brividi di contentezza e ha prodotto una cascata di ricordi.

Questo piacere grande me l’ha regalato la lettura del libro dell’amica Carmen Moscariello, Destino sincronici. Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro. Ero un giovanissimo dipendente della Casa Editrice Zanichelli presso l’ufficio di Roma, allocato allora in via dei Ramni, quando, frequentando la libreria “Rinascita”, posta al piano terra della sede dell’allora PCI in via delle Botteghe Oscure, ebbi modo prima di leggere e amare i libri di Rocco Scotellaro e poi di innamorarmi della cultura e dei temi sociali rappresentati dalla cultura lucana. Di formazione socialista e umanistica, idealmente ero molto vicino al programma e ai valori ideali del grande movimento antifascista di “Giustizia e Libertà”. Ne avevo letto la storia. Avevo apprezzato il grande impegno programmatico incentrato su un problema di difficile soluzione pratica: l’equilibrio tra giustizia  e libertà, due valori essenziali in una democrazia liberale. Sapevo bene che i liberali puri, come Benedetto Croce, erano disposti a privilegiare la libertà come vertice della scala assiologica e che i comunisti sovietici, invece, l’avevano completamente sacrificata in nome di una mai realizzata giustizia sociale. E sapevo bene che, senza un giusto limite, un’accorta misura, la libertà, spinta oltre ogni limite, intacca e travolge fino a cancellare gli spazi della libertà altrui.

Nel libro della Moscariello ho trovato entrambi questi filoni culturali, intrecciati insieme. Convivono, infatti, la tensione umana e civile di Scotellaro e degli intellettuali lucani e la vocazione morale e politica dei Fratelli Rosselli e del Movimento di Giustizia e Libertà. Ma c’è anche dell’altro. Si staglia sullo sfondo la Formia da me frequentata, per conto della Zanichelli nei primi anni Sessanta, quando la sera, nella speranza di incontrare e vedere Pietro Nenni, facevo il “sacrificio”, tutto economico, di andare a cena nel bellissimo ristorante “La Quercia”. Di qui il mio entusiasmo nella lettura e la sentita gratitudine per Carmen Moscariello.

A rendere questo libro prezioso e fonte di un grande piacere, però, c’è anche dell’altro. C’è il garbo stilistico e la scioltezza narrativa, la sapienza nel combinare autobiografia, racconto storico e analisi critica, nonché l’accortezza di procedere nella narrazione per sintesi ampie, accompagnate e sorrette da vere e proprie zumate, capaci di mettere in grande evidenza nuclei di saperi intellettuali e morali di grandissimo rilievo.

Carmen Moscariello è scrittrice prolifica, dall’ampio registro tematico. Ha scritto romanzi, testi teatrali, saggi critici, elzeviri per importanti giornali italiani. Ed è fondatrice e Presidente del Premio Internazionale di poesia, saggistica e giornalismo “Tulliola”, giunto ormai alla XXIV  edizione.

In un testo teatrale del 2011, dedicato a Giordano Bruno. Sorgente di fuoco, la Moscariello ricostruì con chiarezza di visione storica e con equilibrata informazione critica il contrasto epocale tra due sistemi di pensiero, tra due mondi storici, entrambi decisi ad ogni costo ad affermare la propria verità: da una parte l’apparato intellettuale, politico e giudiziario della Chiesa cattolica deciso a difendere e a mantenere viva la cultura medievale, fatta di verità assolute, tutte raccolte in una sola filosofia, quella aristotelico-scolastica, dall’altra singoli individui, di scarsa fortuna e di altalenante visibilità sociale come Giordano Bruno, determinati, però, a far sorgere dalla critica all’aristotelismo e al fideismo cristiano, una pluralità di filosofie e di sistemi di pensiero, tutti incentrati sulla ragione critica e tutti liberi e in continua reciproca tensione dialettica.

Destini sincronici tocca un altro momento storico importante, anche se non della stessa intensità dell’altro. È un libro particolare, che mette in gioco l’intreccio tra due figure, entrambe tragiche ed epocali: Amelia Rosselli, figlia di Carlo e nipote di Nello, e Rocco Scotellaro, figlio della Lucania, la parte più interna e più chiusa del Sud nella prima metà del Novecento. Entrambi gli autori oggetto della ricostruzione critica della Moscariello sono caratterizzati da forti sensibilità civili e morali e da una decisa vocazione alla letteratura. Sullo sfondo s’intravede un’epoca, caratterizzata da una folla di intellettuali, di personaggi illuminati e aperti al nuovo.

Nell’intreccio tra i due comprimari, però, fa capolino una terza figura, quella dell’autrice, che a Formia nel ’92 conosce Amelia Rosselli e che, ancora a Formia da Vittorio Foa sente a lungo parlare dei Fratelli Rosselli, di “Giustizia e Libertà”, di Gramsci, di Carlo Levi, del ruolo di questi nella formazione di Rocco Scotellaro e del socialismo umanistico del giovane politico-intellettuale lucano. Fu questo Grande Vecchio – ci ricorda Carmen Moscariello – ad aprirle le porte per i suoi studi sulla Rosselli e su Scotellaro. Ma a farle conoscere e a farle amare la figura e la poesia di Amelia Rosselli era stato anche un altro Grande Vecchio: Pietro Nenni, anch’egli a lungo residente a Formia in una bella casa posizionata di fronte all’isola di Ponza.

Pur trattandosi di un libro di letteratura, il testo è pieno di struggenti ricordi, stillanti amore e passione. Un testo che intreccia i ricordi dell’autrice con l’esperienza di vita e di cultura degli autori in esame. Nel racconto dell’incontro intellettuale e affettivo di Amelia Rosselli e di Rocco Scotellaro confluiscono filoni storico-narrativi diversi e destini incrociati: dalla morte di Carlo Rosselli, a quella di Pasolini, dall’impegno di Carlo Levi per la cultura lucana e per le pubblicazioni delle opere di Rocco Scotellaro fino alla richiesta ad Adriano Olivetti di erigere a sue spese la tomba del sindaco-scrittore-poeta di Tricarico morto a trent’anni, all’impegno di Manlio Rossi Doria per il Mezzoggiorno e, in particolare, per la Lucania. Il Libro, insomma, “è la storia di molti uomini in un impegno deciso di speranza e di cambiamento, di libertà”.

Amelia Rosselli era nata a Parigi nel 1930, dove il padre si era rifugiato per sfuggire alle persecuzioni del fascismo. Subito dopo l’assassinio del padre, consumato nel 1937 per ordine di Ciano e Mussolini, dovette abbandonare la Francia. Riparò prima in Svizzera, poi in America, in Germania, in Inghilterra e infine, a guerra conclusa, in Italia. Nella sua interiorità psichica prese dimora e si rassodò il dolore come un grumo insolubile, insuperabile. Il suo giovane cuore era lacerato. La sua poesia lo testimonia con un continuo rimodulamento di un tormento interiore e di una sofferenza inconsolabili. Conosce Rocco Scotellaro a Venezia nel 1950, durante un congresso di partigiani, l’anno dopo la morte della madre, suo ultimo e ormai unico punto di riferimento. Tra loro nasce un affetto profondo. In “Diario oscuro”, un’intervista rilasciata a Giacinto Spagnoletti, la Rosselli afferma: “Quando conobbi Rocco avevo vent’anni e lui morì tre anni dopo”. Al dolore della perdita del padre e della madre, si aggiunse quello ulteriormente destabilizzante dell’uomo che le aveva aperto il cuore a una qualche speranza di normalità esistenziale. La sua vita disperata si concluse l’undici febbraio del 1966, quando Amelia decise di chiudere la sua esistenza lasciandosi precipitare dal balcone di casa sui ‘basoli’ di via del Corallo a Roma.

Rocco Scotellaro era nato nel 1923. Da intellettuale e politico portò avanti una lotta ferma e decisa contro la rassegnazione e l’ignoranza, dominanti tra i contadini della sua Lucania. Terra di confino durante il fascismo, la Lucania ospitò molti intellettuali italiani. Tra questi Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, entrambi punto di riferimento e di sostegno per il giovane politico lucano. L’odio di quanti si sentivano toccati nei loro interessi scatenò una serie di calunnie contro il giovane Sindaco di Tricarico, fino a farlo incarcerare.

La Moscariello riesce a ricostruire questo complicato intreccio di politica e cultura, di dolore e di speranza, con una linearità e una ricchezza davvero encomiabili. Individua come punto focale di questo breve ma intenso rapporto tra Amelia e Rocco il comune, profondo, amore per chi soffre e l’urgenza di una rivoluzione capace di liberare i deboli dalle catene dei regimi dittatoriali. Sul filo di questo amore comune nasce l’intesa tra i due. Erano due anime che si aprivano alla vita: lei dopo due grandi dolori, l’assassinio del padre e la perdita della madre, lui avvilito per un’ingiusta carcerazione e ancora sofferente per la grave umiliazione subita.

La Moscariello dedica ampi e precisi squarci critici alla poesia di Amelia Rosselli e alla poesia e alla narrativa di Rocco Scotellaro, con incursioni, oltre che sulla poetica, anche sull’uso della lingua e sui drammi reali che erano alle spalle di quelle vite e di quelle scritture. Analisi accurate illuminano alcune opere dell’una e dell’altro. Importanti contributi alla migliore comprensione delle due personalità sono la riproduzione di alcune poesie della Rosselli e le lettere di Scotellaro a Michele Prisco.
È un libro bello, pieno di umanità e di vigore critico, una vera e benefica esortazione a ripensare e a capire certe esperienze di vita e la funzione salvifica della letteratura nel groviglio umano e civile di alcune esistenze in tempi storici difficili e duri da superare. Ma è anche una ricostruzione abbastanza fedele e ampia della vita intellettuale e civile di un’antica e nobile Città, Formia, in un momento di crescita in tutti i campi della giovane Repubblica Italiana.  Complimenti e ad maiora, professoressa Moscariello