domenica 19 agosto 2018

"L'Arcisenso.Dialettica della solitudine" di Aldo Masullo.


L’arcisenso. Dialettica della solitudine. Opera di Aldo Masullo Quodlibet Studio.

Rilettura di Carmen Moscariello

Il vero senso della vita

“L’Arcisenso” è un viaggio che  pone come uno dei suoi obiettivi quello di  sfuggire all’esilio della coscienza dall’’uomo, è l’ascensione della bellezza, è il segnale di liberazione della terra dall’orrore della sua fine. L’Emerito Professore Masullo in  un percorso trepidante  ci conduce all’incontro di un  silenzio metafisico che si traduce in un ‘attenzione strenua alla vitalità della coscienza, a un incontro del sé nella sua più alta bellezza e solidarietà. L’epicentro dell’opera è un girasole che vuole portare la luce là dove le tenebre potrebbero divorare il mondo. L’occhio del filosofo scruta attento l’esterno e l’interno dell’uomo e procede per riordinare la storia, concentrando la sua analisi su aspetti fondamentali del percorso umano.  Sgomitola con lemmi esplicativi le categorie della vita, partendo dalla paticità (L’intoccabile tocco) ossia dalla tensione emotiva del sé che permette all’uomo di sentire nel più profondo, prosegue con il dolore (La scelta di Chirone), la solitudine (Leopardi, sentire corporalmente il pensiero), il silenzio (L’”indecenza della parola”), la Sapienza,  (Nel relativo è la salvezza), La Grazia (Il repentino della poesia). Rimane fondamentale al suo pensiero l’intersoggettività, ma in quest’opera  il  Perturbante  va molto oltre, il suo pensiero filosofico così frenetico di analisi e riflessioni è, qui, percorso da incommensurata umanità: quasi padre che prende per mano i suoi figli perché non si perdano: se gli alberi non fossero /e tutto il mondo muto delle cose/che accompagna il mio viver sulla terra,/ io penso che morrei di solitudine/Or questo camminare tra gli estranei/questo vuoto d’intorno m’impaura/e la certezza che sarà per sempre./ Ma restan gli occhi crudelmente asciutti. Questi endecasillabi di Camillo Sbarbaro ci mettono di fronte a quanto sia grande la separazione tra gli uomini, cosa ampiamente analizzata, quasi spolpata dal Professor Masullo,  perché nulla venga lasciato al caso, ma il filosofo va oltre il poeta,  la sua grande sfida  è stata e rimane l’urgenza di espiantare il gelo che esiste tra gli uomini, gelo che si trasforma in violenza, guerra, bestemmia. Per farci comprendere ancor meglio il Professor Masullo  si serve per le sue esplicazioni di  alcuni versi dell’inconfondibile amato Fernando Pessoa che ci descrive gli ultimi attimi di un condannato a morte: C’era una rapida storia /nello sguardo che ha fine…/Bella donna della memoria …/E con la benda annodata , /quella improvvisa pressione/ gli ricorda il gesto e quando egli lieve,/ di dietro il viso e l’altra mano/pose su quegli stessi occhi. Breve/quando stava così nel silenzio. La proposta dei versi di Pessoa serve  a meglio introdurci nella paticità, per portarci in una codificazione del  repentino rappresentato  nei versi di Pessoa   da quella lieve carezza sugli occhi che fa ricordare al condannato, la carezza ricevuta da una donna, un fatto, forse lontanissimo e che niente ha a che fare con quanto sta accadendo . ….il repentino che ci “toglie terreno sotto i piedi”, e ci “fa precipitare, fa crollare il presente ma non il suo corredo di futuro pedissequo, che in un modo o nell’altro riprenderà il suo inveterato passo interrotto. All’opposto, quel repentino che nell’eternità dell’istante innalza “al settimo cielo”, sul limite del tempo e del determinismo causale, come in un lampo fa intravedere un’altra via, tutt’altra da quella finora percorsa… la grazia è repentino irrompere liberatorio nella vita degli uomini. Vengono da essa distrutte pigre resistenze e spazzate via ingombranti macerie: si annuncia finalmente non impossibile che una nuova libertà vinca la necessità dell’ossessivo ripetersi. Di autentica bellezza ed eleganza sono queste pagine del Perturbane come pure quelle   dedicate alla Poesia che altro non è se non la Grazia, una strada importante che ci fa sentire la nostra coscienza, le nostre emozioni, ci permette di arrivare all’epicentro del vivere, lontani dalle seduzioni e dagli inganni, ci fa  accedere all’l’Arcisenso, ossia al vero autentico senso della vita, una vita lontana dalla superficialità, non abbrutita dagli egoismi,   che la coscienza  vibri in noi come una scossa elettrica che ci riporti alla luce. Il  repentino e il lungo meditato guardarsi dentro di sé in ore di approfondito silenzio,  ore di solitudine che si traducono in colloquio con se stessi e con  il prossimo, tese alla  riconquista del sé e del prossimo sulla tastiera del bello, dell’onesto, della pace, se non della felicità. In verità Aldo Masullo usa quest’ultimo termine  con molta parsimonia, il suo pensiero in eterno movimento  tende verso questo Infinito che è il sentire e toccare l’anima, rinascere ogni ora  e vivere la nitidezza dell’universo. Il libro ha tanti percorsi, il suo studio ci permette di inoltrarci in un bosco tenebroso e poi pian piano scoprire  gli itinerari del pensiero che ci portano a percorrere la strada del pensiero pensante  che si trasforma in luce, ci libera permettendoci di  ascoltare tutte le forze che vanno a definire una sinfonia d’archi, una narrazione in poesia della filosofia, un liberarsi dalle paure e ascoltare la propria unicità, scansando i totalitarismi e la massificazione del sé. Non a caso la presentazione dell’opera, avvenuta presso la Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli è stata nelle sue strutture, finanche negli aspetti stilisti formali rielaborata da grandi professori, quasi  tutti discepoli del Perturbante. La vita, l’opera, il pensiero di Masullo si concretizzano nell’esempio della sua vita, instancabile pronto a lavorare per gli amici che stima,  a mettere il suo pensiero e la sua arte educativa al servizio di  chi vuole apprendere il vero, autentico in ogni sua manifestazione umana e di pensiero: tutti lo amano, non a caso, per molti di noi Egli è fonte inesauribile di bellezza e speranza. Il pubblico (la sala della Feltrinelli straripava)  lo ha acclamato con amore, riconoscente di tutto quello che ha dato e che ancora darà (questa è l’ottava opera pubblicata  dal giorno del suo pensionamento).L’ incontro ha avuto come suo protagonista anche  il dolore che nel suo dinamismo è superabile e nel contempo insuperabile, perché si ripropone in veste sempre diversa  sui binari del tempo che intanto ha valore solo se interpretato nel “Sé”. Alla  rabbia del tempo, del nostro tempo in particolare nello scontro dell’uomo contro l’uomo, fenomeno sempre più doloroso e invadente,  il prof. Aldo Masullo  contrappone la ricerca e la ricchezza di una vita interiore da trovare nel silenzio dell’anima e nel rapporto costruttivo con il prossimo. Rapporto che non deve essere un vuoto ciarlare, ma pensare insieme per trovare e percorrere la strada della verità.  Il percorso della filosofia  non è altro che rispondere al bisogno di chiarezza, aiutata nell’esplicare il valore dell’Arcisenso dalla poesia che permette alla tragedia del vivere di trasformarsi in gioia di vivere. Importante è la società in cui l’individuo cresce, il Prof la distingue in società calda e società fredda. Crescere in una società calda dove l’individuo è tenuto in conto per la sua umanità e cultura, è curato e coccolato, dove i sentimenti sono espressi nella loro pienezza, onestà, bellezza è un presupposto per stare bene con se stessi e con gli altri un inizio di cambiamento dove si possa finalmente vivere non distrutti dall’ansia di essere o di possedere. Non che sia facile dare vita  a una coscienza armonica, bisogna non far spegnere mai l’urgenza della vita, ella deve avere sempre un senso costruttivo, l’uomo d’intelletto,  colui che conosce la strada del sé che è strada di conoscenza e analisi non può che dare, donare agli altri. La mente patisce il proprio essere, patire significa  sentire il proprio essere e approdare  all’Arcisenso che è capacità di ascoltare e amare se stessi, ma anche rispettare e aiutare l’altro uomo. In questa strada di chiarezza si immette la poesia che è grazia, pagine intense sono dedicate al Leopardi, il grande poeta patisce il senso di sé e nel contempo patisce per i suoi simili. Nella tensione verso il sé l’uomo si magnifica, diminuisce le sue sofferenze e fa in modo che diminuiscano anche le sofferenze degli altri uomini. La precarietà delle cose, la mutevolezza dell’essere , “non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua” l’insicurezza dell’essere portano l’uomo ad inabissarsi, a sperimentare la precarietà come dolore e non senso, “la coscienza diviene così contingenza straripata”.(Emmanuel Lévinas, L’evasione1984).Empedocle stesso suggerisce la conclusione appropriata. Egli chiama Grazia “ l’amica delle Muse”. Il luogo della grazia non è pratico, cioè teologico, o giuridico, o politico, o etico, bensì puramente estetico. E’ la bellezza, proiezione oggettiva della poeticità. In un recentissimo libro autobiografico, una giovane coppia di ipertecnici informatici narra l’avventura vissuta. L’uomo, investito da una traumatica diagnosi di cancro al cervello, un giorno, repentinamente, decide di lottare e chiede alla compagna di aiutarlo a rasarsi, alla maniera punk, come un guerriero moicano. Lei ora scrive, la parola del repentino che innalza: Quel giorno qualcosa è cambiato. Eravamo stati investiti dall’onda fortissima della malattia, e dal fondo iniziavamo a risalire verso la superfice…Una consapevolezza si apriva nel mio cuore: non la molle speranza di un lieto fine, ma la certezza che la bellezza non ci avrebbe abbandonato. La stessa bellezza capace di sbocciare lì dentro l’anonimo bagno di un ospedale.[1]  Questo riferimento chiaro e intenso e le altre molteplici  motivazioni che nella recinzione accorta rendono l’opera profondamente godibile e soprattutto ricca di una umanità palpitante. Il pensiero del Professor  Masullo, pur così logico, costruito stilema su stilema per arrivare alla verità, ha un conturbante procedere su una linea di confine che ci porta gradualmente su binari espressivi che ottengono quello scuotimento e dritti nidificano nella nostra anima e ci rendono partecipi, quasi un palcoscenico che si apra anche per noi per  godere il più bello che la vita ci può sempre donare in qualsiasi attimo inaspettatamente.  Leggere quest’opera significa acquisire maggiore consapevolezza per la propria vita, si sente dentro un vento mobilissimo capace di scuotere gli uomini  condannati all’immobilismo o  a una  velleitaria “felicità”.(Pubblicato da Silarus, n. 317, maqggio-agosto 2018)















[1] S. Iaconesie O.Persico, La cura, Codice, Torino 2016, pg 79

mercoledì 1 agosto 2018

la casa delle allodole di Michele Urrasio.



Rielaborazioni sulla  Poesia di Giuseppe Iuliano

Di Carmen Moscariello

Il  Raggismo è logos

Giuseppe Iuliano  è un poeta che pubblica opere di estrema finezza e sensibilità da più di quarant’anni. La sua Poesia ha trovato nel tempo importanti estimatori e; lì, nell’Irpinia dove vive, è un faro. Il suo logos trova radici solide in quei monti aspri, un tempo abitati dai lupi, in popolazioni alle quali la pazienza ha cucito una corona di spine. Non penso che la sua poesia possa vivere senza questo sangue acido che chi appartiene a questi luoghi deve “farsi”  per mantenere intatti la forza , l’orgoglio, la speranza. Questo “vento di fronda”  non è cosa di poco conto: nella Poesia di Peppino, spesso i versi si trasformano in coltelli ben molati per tagliare anche le venuzze più profonde: E’ da tempo che sono cecchino/di parole assassine. Insomma, chi si pone di fronte a questa scrittura non può pensare di fare un excursus e voltare pagina, qui c’è la vita e la morte, qui c’è il dolore, l’amarezza della speranza eternamente delusa. Manca la gioia, essa è un privilegio che non appartiene al Poeta, saprebbe di falsità, poiché chi scrive ha il cuore  calloso che ha seppellito e disseppellito molteplici  asce: E’ ancora sibilo, serpente nascosto/che striscia nelle viscere e le rivolta./Urlo di terra_spasimostrazio-/trascina nel vortice sotterra  i presepi/ e ferisce i santi e le cento chiese.[1]Nonostante il dolore c’ è la volontà  del poeta di scuotere e ridare vita a chi muore e a chi è infradiciato dal cancro dell’indifferenza, dove l’anima è un antico ricordo e se si volesse  incontrarla dovremmo  prendere gli   antichi Vangeli o la grande filosofia del mondo greco. Il padre, il figlio, il filosofo e lo stesso poeta debbono essere ottimi nocchieri per non inabissarsi anch’essi. Così è per Peppino Iuliano, egli è un ottimo scalatore di cime silenziose e nel contempo attraversate nella loro pancia dal mugghiare  di onde magnetiche e demoniache , che,  ad ogni cadenza stabilita o no,  sono  pronte a sventrare la vita ancestrale di quei paesi- presepe che vivono di abbandoni e usurpazione. Questa terra ardente dove Marte ha fatto il nido è il libro di lettura dal quale il poeta attinge, né il suo essere credente nella potenza di Dio creatore attenua o ammolla la sua visione logica del mondo. Ogni particella, ogni atomo di pensiero trova sistemazione in un legame  rigoroso e inattaccabile, essa è raggiera dalla  quale tutto si sprigiona per illuminare il  cuore di tutti quelli che si avvicinano ai suoi versi: qui si verifica uno strano sortilegio,  ci si sente quasi irradiati dal suo logos, condotti in un mondo di coraggio e di protesta: Scavo nei lacerti/e mi ritrovo con mani tremanti/ a disegnare croci/traiettorie di pietà/pratica cristiana da imitare/per noi ciurmaglia/nella quiete del perdono/Ricordo Mammella [2]le tue litanie severe antiche/come la tua bocca sdendata/di latino acciso/voce avara di bestemmie/prodiga di pazienza….. Anche lo sdegno mi avvampa./l’altra voce, la mia/è fuoco di fila che si sfoga/e s’arrende nel rifugio dell’anima/in un’arrangiata preghiera.. [3]. La parola irradia pietre e trova radici armoniche di chi con pazienza e amore ha creduto e  comunque ama la vita. Lo sdegno per l’indifferenza dimostrata per questo mondo lontano e presente   si aduna nella sua poesia, essa non è mai banale speranza, piuttosto furia di pietre, saetta di raggi ,che  la disperazione e l’impossibilità di poter cambiare il mondo e le cose, illuminano chi ancora possiede un’anima e soffre dello stesso dolore. Direi che la poesia di Iuliano è una lotta aspra contro il demonio che è qui determinato dalla miseria economica, dall’obbligo ieri, come oggi, di abbandonare quelle terre e cercare altrove la fortuna. Egli è forte come i castagneti della terra irpina, concreto come tutti i quelli che si levano all’alba per il loro tozzo di pane,  come essi è padre doloroso, messo lì dal buon Dio a difesa di quelle popolazioni selvatiche, affinchè  il canto dolce, scocchi come dardo ardente e  penetri anche negli abissi  scavati da quei movimenti selvatici , da quei terremoti a cui la terra e la gente è sottomessa. Chi ha visto, mentre fuggiva al riparo dei castagneti, congiungersi i tetti dagli opposti lati e perdere il cielo in un unico urlo della madre e dei figli che cercavano scampo tra una scossa e l’altra, non può che appartenere alle  porte dell’Ade, che  lì sono molteplici e si aprono e chiudono a piacimento.  Questo Poeta che Francesco D’Episcopo chiama per onorarlo poeta Meridiano, dandogli uno scettro di comando per la difesa di tutti i miseri e gli abbandonati del mondo, elogia questa poesia che non è solo impeto, ma generosità d’amore. Il poeta senza trono , è esperto di dolore e di lotte spesso mortali, pronto a caricarsi sulle spalle il dolore del mondo: Amica ritorna la voce tra silenzio e pianto/ed apre le portedel cuore come tende di Giacobbe./tra scarti di grano e sorsi di vino acido/è mio il dolore degli uomini.  E’ questo il destino, infine,  dell’autentico uomo-poeta: non  giocare con le sillabe, ma saettare il fuoco vivo che non gli permette riposo. Egli è così, ,come a sito decreto[4], la voce di tutti quelli che non hanno voce. Essa si leva alta: denunzia corruzione e malaffare, evidenzia senza paura o timore i lai dei dannati: Invidio la mano felice/che anima strisce di murales/manifesti color verde oro/affreschi impasto rosso sangue. Stendo murales di parole e segni/e vi scorgo verbi senza bocca/Voci senza volto./Costretto da un’inquieta fatica/ mi tocca prendere tutto alla lettera.[5]L’itinerarium mentis in Deo  è un tragitto difficile, non privo di cadute, lì l’Irpinia devota si inerpica sui santuari di dolore e le litanie salgono al cielo affinchè gli dei si plachino e diano finalmente pace. L’uomo irpino ,in particolare i nostri padri temevano la calma e i cieli stellati, certi che per essi non c’era pace, sapevano che la natura si  sarebbe improvvisamente e furiosamente svegliata  per portare dolore e morte. Questa sera di novembre/ di nessun autunno qui da noi/malo segno per vecchi savi/che leggono stranezze del tempo/con occhi di veggenza/Che pace rubata al sogno/questo giorno di tanto sole/che ti sbraca torpido e ti ubriaca/carne e sudore! Almeno un premio_-giusto atteso premio-/a questa terra di venti scrosci e geli/che bruciano ossa e midollo/ e annate di raccolti./Dolce sera non duri./ Sbotti in fragore e schianti/poi sprofondi./ Funesta vertigine rovesci la terra/ e pazza e incosciente uccidi/Silenzio di un minuto senza scampo/che pare eterno/che diventa eterno/che geme e urla ad altro silenzio/Ballo tarantolato senza musica/Ballo di terra e canto di dolore/Monti d’Irpinia, monte Calvario a più croci.[6]

 (Articolo scritto da Carmen Moscariello, pubblicato da Nuovo meridionalismo, n.213, anno XXXIII, maggio-giugno 2018)






[2] Nel gergo irpino significa nonna
[3]Rosso a sera  Segni e sdegni, pg 68,Delta3.
[4] Dante, Paradiso, cantoI, verso 124.
[5] Op. cit, Rosso sera,  pag 66
[6] Verso la cruna,Terrae motus Storia e Storie, pg.35Altrirpinia edizione.