Marcello Carlino Il regionale
delle sei e quarantatré, Biblioteca del Vascello, Robin Edizione.
Rilettura
dell’opera di Carmen Moscariello
Le saboteur
tranquille
Un senso
fortissimo di fastidio gli aveva stretto lo stomaco in quell’oretta seguita al
risveglio; perché Erdogan era Erdogan ma era più di Erdogan. Se li ricordava
bene, ne aveva fatto altre esperienze, i manifesti formato lenzuolo con il
furbone di turno che ti si presenta che renidet usque quaque; il furbone, l’utilizzatore
di turno, ora aviatore, ora operaio con l’elmetto, ora più ora meno sempre
furbescamente forte del potere economico che tutto sbianca e non c’è bisogno
d’urina, come gli suggerivano quei frammenti di latinità di cui conservava
memoria, sbiadita memoria è bene precisare. Ma non si trattava solo di averne
conferma che il denaro può tutto, che tutto decide, una storia vecchia come il
cucco questa ;…..
Siamo a pagina 13 del libro e se il lettore si mette bello comodo per
assaporare un romanzo e rilassarsi, ha sbagliato libro, nonostante l’autore si
sforzi in quarta di copertina di darci una trama, siamo di fronte a un uragano insolito e
incontrollabile come mai si può fare con gli uragani. In verità, non voglio
dire che l’inizio della rilettura mi
abbia sconvolto, ma certamente mi ha molto incuriosito. Nei primi periodi di
descrizione di certi ambienti cimiteriali in cui la vita ci costringe a vivere,
sembra di sfogliare qualcuna delle opere di René Magritte, ma anche affondare le fauci in certi
ambienti paranoici di Salvator Dalì. Si sa, Marcello Carlino è un grande
esperto e conoscitori di molteplici linguaggi,(anche linguaggi mediali), di tutta
l’arte del Novecento dalla pittura alla musica, senza contare la Letteratura
del Novecento, l’ ha esplorata in lungo e largo con particolare predilezione
per Gadda (Le lettere a Tecchi) e per Landolfi (Landolfi il fantastico); ha
studiato, prediligendoli, soprattutto i
linguaggi dello sperimentalismo, dell’ avanguardismo, del futurismo,
intervenendo su una lunga serie di autori e di opere strettamente
contemporanei, e dedicando speciale attenzione a Savinio e a Dante, esplorato questo con studi di grande
rilievo culturale e attribuendogli una funzione di centralità di importanza a
livello mondiale: del grande Fiorentino ci indica i punti più salienti del suo
Essere (poeta-Filosofo-conoscitore dell’umano destino): La modernità del messaggio dantesco risiede
nella sua estrema varietà, e quindi nella capacità che la sua poesia ha di
costruire una rete amplissima di significati. Si tratta di un poema che mette
insieme linguaggi e culture diverse. È un’opera fondamentalmente
multiculturale; è un poema che interviene su grandi questioni di carattere
filosofico e scientifico, inserite all’interno di pagine di straordinaria
liricità. Si tratta, insomma, di una poesia a 360 gradi, che tra l’altro ha
delle immagini di straordinaria modernità: io ricordo il XXV canto
dell’Inferno, che sembra persino anticipare alcune scene di film horror
attuali. […] È anche un’opera che consente, volta per volta e frammento per
frammento, di godere di elementi, di
rappresentazioni, di riflessioni, che sono di fondamentale
valore. […] la Commedia,
proprio per questa sua ricchezza di proposte, si presta esattamente
all’esercizio della conoscenza……. Quanto detto, non va inteso come proemio alla rilettura dell’opera,
ma come parte integrata e integrante di quanto scriverò. Non vi è ombra di
dubbio che nella narrazione in oggetto, le Avanguardie fremono con tutte le loro forze
telluriche, sconvolgono tutte le strutture del perbenismo; la parola ben detta
e ordinata secondo le grammatiche di tutte le lingue classiche e moderne che
l’autore conosce in sommo grado, ha improvvisi frullamenti, è una “ scrittura in stato d’assedio”, con colori ben
separati come un cuba libre preso all’Avana. Carlino, dall’apparenza quieto,
raffinato, elegante professore, che con le sue mani delicate, quelle mani che fin da neonato hanno scritto
e raccontato, sempre in movimento e che sembrino accarezzare le parole e affascinare gli ascoltatori, qui,
al contrario, si scatena in un
linguaggio amaro, consortile, quasi non voglia creare differenza tra le parole
e il suo popolo disperato e vittima di cui ci racconta. Soprattutto, il
linguaggio vive in un atto nuovo della
scrittura e anche i contenuti, che vanno a perlustrare fino in fondo, in fondo
quando l’uomo può essere piccolo e meschino, degradato, offeso, derubato, sono
come un porta bandiere che sfida i venti affinché si comprenda ciò che siamo o
che siamo diventati!. Emerge, insomma, una energia nuova, crescente nell’opera:
i samaritani li vedi pure, per quel poco che c’è da vedere nella nebbia, che
rimbrottano, magari con una semplice occhiata in tralice che è più difficile da
vedere per chi narra nella nebbia, rimbrottano i curiosi divertiti e un po’
irridenti(oggi a me domani a te, chiosa di suo e promette mal augurando il
narratore, che prende le parti pure il pronome di prima persona dei derelitti attesi
dai cessi).Insorgono pure e quasi minacciano busse allo sferzatore con sferza
di lingua, che correndo, e assecondandoli, e dando fiato sul collo, e quasi
facendo le mosse di spingerli con mani premute sul didietro, sollecita i
signori in processione: che si diano una mossa, che non facciano i lavativi,
che corrano che tanto più che debbano correre al cesso e al cesso da che mondo
è mondo si corre, che bisogna completare la marcia su uffici e ministeri ed
enti di diritto pubblico che ci hanno il loro cartellino da timbrare; e quando
li recuperi i ritardi che si mangiano le ferie?
Dal punto di vista strutturale sembra di essere nel linguaggio dei
futuristi, la parola è dinamica e la punteggiatura è utilizzata come un motore
acceso, fiammeggiante è la parola di chi racconta. Per i contenuti, sfido chiunque, se questo non fa pensare a un
girone dell’Inferno dantesco (lui, il grande conoscitore di Dante!), dove le anime dannate traghettate lì (non si sa
dove, né da dove) da un maledetto treno, debbono soddisfare i bisogni di
evacuare, tutto si svela nella nebbia in
situazioni grottesche. Il narratore è lui, il Professore che fruga in ognuno di
loro tutte le miserie, che sono anche le sue! Cosa ci si può aspettare da un
mondo defraudato e defraudante? Ma, parlare solo di narrativa o racconto non ci
permetterebbe nemmeno di accedere alla conoscenza vera dell’opera. Egli applica
quegli “espianti pittorici” che sono abituali nelle sue opere critiche, che non
conoscono confini tra la parola poetica- letteraria, quella pittorica, o lo
spartito musicale (tutti campi in cui il
Nostro è grande ). Egli è molteplice e molteplici sono le sue letture che non
conoscono limiti predefiniti, anzi la grandezza è proprio in questo convergere,
quasi lo straripare delle acque del letto di un fiume nel mare, in quel punto
dove non è possibile distinguere le appartenenze. Nel momento in cui il popolo
dei vagoni si agita e cerca conforto nell’urlo, nell’espletare i bisogni
corporali, nelle giocate a carte, nelle maledizioni fragorose, il lettore
dimentica di essere al cospetto di un romanzo e le immagini si susseguono in
sequela come in un museo all’aperto, anch’esso anarchico e rumoroso. Insomma è
come visitare una mostra di Ligabue e uscire dalle sale del Maschio Angioino con
gli urli della tigre di Sandokan nelle orecchie e negli occhi!. Sono effetti
particolari, difficili da descrivere, anche perché non ci sono sbalzi tra i diversi piani di
atmosfere, essi sono tutti metafisici, non direi astratti, né allucinogeni,
tutt’altro, ma vissuti su più dimensioni: in ripiani di suoni, di immagini, di
parole con un luogo fisso: i binari del treno. Scenografia che senza quella freschezza e dinamismo di
linguaggi, che sono propri dell’autore, non solo di quest’opera, leggere,
infatti, un testo di critica dell’Autore è una Beatitudine. Questa fissità,
dicevamo, potrebbe divenire monotonia in
qualsiasi altro scrittore, poiché dopo le prime pagine di incontri dell’autore con
la chiesa e di qualche altro palazzo
malato di morte del nostro tempo, non si incontrano i paesaggi soliti di un
romanzo: i monti, i fiumi, gli alberi per esempio. L’attenzione del lettore si
concentra su Frankenstein e su quella vocina del professore saputello e pedante
, come solo i professori sanno essere, con il loro perpetuo ruolo di insegnare
e far comprendere e perché no, difendere, che analizza anche il quantitativo di
urina che ciascuno ha da pigiare. Forse il libro fa anche ridere; io l’ho letto
anche di notte e due o tre risate fragorose non le ho potuto contenere. E’ un teatro, dove la vita balbetta, non ha
direzionale e ognuno si perde in un’attesa snervante che non porterà mai a
soluzione. Analizzare il proprio percorso di vita? Non sembra! Piuttosto sono
fenditure su ferite aperte e incancrenite, anche la politica è coinvolta in
primo piano in questo gioco al massacro che, ormai, non guarda più in faccia a
nessuno, se non al denaro e al potere. L’opera si snerva, a sua volta, come in teatro, ognuno fa la sua parte e il
bricolage è spettrale, putrido. Non se ne può più di tanta ipocrisia! E poi c’è
la vecchiaia: non ci sono somme da tirare. Non si tira, si affonda.