venerdì 31 maggio 2019
Poesie di Carmen Moscariello
Dicono che mi assomigli
È vero.
Così buono e anche così ribelle.
Vorrei che assomigliassi alla tua mamma,
devota amata figlia.
Rimango ferma al centro del mondo
né la testa è di peso al corpo
essa è un vortice come di un fiume
fa girare ruote e secchi.
venerdì 24 maggio 2019
Renato Filippelli. Un cammino in poesia e in preghiera. "Da Frequenze Poetiche"
Renato Filippelli
Nove anni dalla sua morte
Un cammino in poesia e in preghiera
Ho molto
paura della morte e ancora di più dei morti, non sono mai andata a
salutare o baciare una persona morta,
l’unica volta che l’ho fatto è stato per Filippelli.
Quando la
sera del 20 maggio 2010 mi telefonarono
dicendomi che Renato non c’era più, mi sono precipitata all’ospedale
Dono Svizzero di Formia per accertarmene, non credevo alla notizia, anche
perché fino a qualche giorno prima avevamo lavorato insieme per interi
pomeriggi per preparare lo spettacolo “Gli Alumbrados” che si era tenuto al Castello Di Minturno, in quella occasione a
me dedicò la sua ultima poesia scritta per
Giulia Gonzaga.
Non solo ci
vide impegnati in questo lavoro, ma avevamo tenute le riunioni per il Premio
Sebastiano (detto il Minturno) e avevamo
definito i verbali e i vincitori sotto la sua guida (Assente, purtroppo, alla premiazione).
L’avevano già composto nella bara, c’era il
figlio Pierpaolo, sconvolto: figlio che
Renato adorava, l’adorata moglie Mimma
al suo capezzale, e qualche amico che come me aveva saputo della notizia.
Furono giorni orribili, soprattutto per la sua famiglia che egli aveva amato
sopra ogni cosa. Per tutto il Sud Pontino è stata una perdita che ha
depauperato il territorio. Egli era una guida per tutti noi!
La nostra
amicizia durava da quarant’anni, a me confidava ogni suo pensiero, ancor di più
durante la malattia, non l’ho mai trovato
spaventato o in condizioni di frustrazione, l’andavo a salutare quasi tutte le
settimane e si lavorava come se il futuro fosse ancora tutto da venire.
Quando io mi
trovavo da lui lo telefonava spesso il prof Giuseppe Limone, grande amico del
Poeta ed egli stesso poeta. Continue le telefonate del figlio Pierpaolo, grande, coraggioso magistrato dell’antimafia, del quale Renato
era orgogliosissimo. Per lui mi chiamava la mattina alle otto per pregarmi di
portargli i giornali, poiché c’erano
pagine dedicate al lavoro del figlio. A scuola eravamo un’unica voce, abbiamo
insegnato per trenta anni insieme al magistrale “Cicerone “ di Formia. Quando
io ho ottenuto la cattedra di Italiano e Latino in quella scuola egli aveva più
di quarant’anni, era già molto famoso e in contemporanea aveva la cattedra di Italiano al Suor Orsola
Benincasa. Posso dire che egli mi ha insegnato a scrivere, a leggere e capire
la poesia. Quando ho iniziato a fargli leggere i miei versi era molto severo,
pur sapendomi permalosa, mi diceva
quello che pensava, senza mediare. Quando mi regalava i suoi libri di
poesie mi diceva con voce severa “leggili”.
Ho tenuto
per la sua poesia tre corsi pomeridiani, frequentatissimi, soprattutto dai
giovani, le alunne e gli alunni l’amavano; ancora oggi , con orgoglio dicono: “
Io sono stato alunno di Filippelli”.
A scuola
cercava di non far pesare la sua grandezza, non interveniva mai nei collegi, (era
sempre presente) ascoltava, senza replicare.
Eravamo così amici che negli
spazi liberi tra un’ora e l’altra passeggiavamo per ore nei lunghi corridoi
della scuola, ci raccontavamo tutto delle nostre vite e del variegato mondo
culturale. E’ stato lui a farmi conoscere il poeta Elio Filippo Accrocca,
Francesco D’Episcopo, Giuseppe Limone, Domenico Rea, Michele Prisco (questi
ospite nella sua casa di Scauri), L’ ultima
grande personalità che mi ha presentata e stata Maria Luisa Spaziani (era
ospite a Formia per presentare il suo
libro su Giovanna D’Arco), ci recammo insieme al Grande Albergo Miramare di
Formia per renderle omaggio e per regalarle il Tomo dell’Enciclopedia, dove
Filippelli aveva scritto di lei e di Montale (Io ero la volpe, lui l’orso) ,ci trattenemmo a lungo e la Spaziani recitò per noi “l’anguilla” ,(la conosceva tutta a memoria ).Quando
andammo via mi disse: “ Ha ancora delle
bellissime gambe! ”. E’ stato lui ad inserirmi nelle commissioni di moltissimi
premi, dove egli aveva il ruolo di Presidente .
Avendo io
scritto per quindici anni per “Il Tempo”
e, Filippelli conoscendo la mia natura propensa a mettersi nei guai con
articoli spesso diretti contro la camorra o contro uomini politici
potentissimi, mi ha sempre difeso, mettendosi, a baluardo contro tutti e contro
tutto, fino a pochi giorni prima della morte, ha scritto per me una perizia
giudiziari a difesa di un mio testo poetico, aveva seri problemi alla mano
destra e lo fece redigere sotto la sua sorveglianza alla figlia Fiammetta. ( Sarò
grata ad entrambi in eterno!). Questa sua generosità e questo suo sovrumano
amore per la giustizia e per i più deboli non l’ha mai abbandonato.
A scuola
tutti noi l’adoravamo.
Ricordo che
in uno dei miei ultimi incontri, mentre gli leggevo i versi degli “Alumbrados” ad un certo punto,
lui che non si poteva più alzare, fece un grande sforzo e mi abbracciò,
dicendomi: “Sarai una grande poetessa!”.
Rimane per me una presenza viva, un maestro
d’umanità incomparabile, parlo con lui come se fosse vivo e gli chiedo aiuto
come se potesse ancora soccorrermi.
Ma ci ha
lasciato un ultimo dono al quale tutti noi possiamo attingere: i versi della
sua malattia, pubblicati postumi dall’adorata figlia Fiammetta (la più simile a
lui, Scrittrice e Professoressa di
grande valore e umanità). L’opera è
stata titolata “Spiritualità” Guida Ed , 2012 ,[1]segna
passo dopo passo il velo luminoso della sua vita di uomo e di poeta, egli ha
voluto ancora donarci quest’ultima
gioia. Nei versi si consegna alla sua
famiglia con un singhiozzo coraggioso
per la sua malattia, l’opera ha come protagonista la moglie, i figli, la
vecchia suocera, un passerotto, la morte del fratello maggiore e della nipote,
un’opera che si apre al cielo: la parola è luminosa come una cometa portatrice
d’Avvento. Una vita che non si chiude, che non ci abbandona, tutt’altro l’abbraccio è un velo bianco corolla di sposo alla parola
del Vangelo e al percorso che l’uomo ha fatto durante la sua vita.
Ha pubblicato,
oltre che magnifici testi di poesia, infiniti libri per le scuole superiori,
famosa e fortunatissima la sua grammatica di Italiano “L’italiano comè,” Il Tripode, prima edizione febbraio 1980, a
seguire1983, 1986 , credo ci siano state 10 edizioni[2]
di questo capolavoro.
In tutte le
antologie e le letterature che ha pubblicato ha quasi sempre riservato una
spazio alla mia poesia. Prima di morire mi disse che stava lavorando a una
nuova grande antologia e mi promise con gioia che ci sarebbe stato spazio
per le mie opere, aveva già pubblicato
da alcuni anni un’enciclopedia in nove volumi della Letteratura italiana, affiancata
dai testi antologici curati dalla figlia Fiammetta. Un lavoro immenso “che mi ha fatto ammalare…”[3].
Naturalmente,
tutte le mie alunne hanno studiato sui libri di Filippelli, grazie ad essi,
agli esami di Stato alcune di loro ottenevano valutazione che superavano l’otto, anche il
dieci. Anche di fronte a tale
magnificenza c’è sempre qualcuno (un’
unica collega)che la pensa diversamente: uno dei miei ultimi collegi Docenti
per la scelta dei libri di testo, durò
fino alle quattro del mattino, ma alla fine tutto il Collegio votò a favore
della Letteratura dei Filippelli. (Renato era orgogliosissimo di questo fatto e
lo raccontava a tutti!) . L’enciclopedia ha avuto così grande fortuna da essere
recensita più volte sul Corriere della sera e su infinite riviste
specialistiche, è tuttora adottata in numerosissimi licei , questo splendido
capolavoro, possiede una scrittura creativa così eccezionale che in un breve
periodo (tre righe), ti dice tutto del personaggio da studiare. Le pagine
curate da Fiammetta non sono di minor valore, camminano al passo del grande
Poeta
E’ stato un
uomo buono che ancor più nell’ultimo decennio della sua
vita ha ricercato Dio nella via della Croce. Ho confessato al figlio Pierpaolo che
nei lunghi colloqui che ho avuto con lui, soprattutto negli ultimi anni prima di morire, avevo chiara la certezza che avesse intrapreso la strada di un’assoluta spiritualità, quasi
un percorso da lui stesso segnato verso il Golgata. L’anima sua pulita, la sua
tenerezza per le creature del mondo, il suo animo generoso, la sua furiosa
onestà, la difesa della sua dignità e del decoro degli uomini tutti, lo hanno portato
a dare soccorso a tutti coloro che glielo chiedevano.
Ho conosciuto Renato Filippelli all’età di 25
anni, da lui ha appreso il severo percorso della poesia, ho insegnato con lui
per ben trent’anni (beati gli alunni che
hanno goduto del suo sapere), l’ho sempre considerato come un Dio,
nonostante gli scontri durissimo, per le nostre due personalità incandescenti . Molti miei libri portano la sua prefazione o sempre
una sua generosa e preziosa testimonianza. Tutt’ora provo disagio e dolore a
non averlo al mio fianco nelle
premiazioni del “Tulliola” e negli eventi culturali a cui partecipo. Egli è stato Presidente del “Tulliola”
fin dalla sua nascita, nonché membro fondatore insieme a me e alla moglie Mimma
dell’Associazione “Tulliola”, a lui oggi ho titolato il “Premio Tulliola- Renato Filippelli”.
Grazie alla sua prestigiosa figura di Poeta, professore universitario stimato, oggi il Premio, che nei primi tempi appena
costeggiava le spiagge di Gaeta, è divenuto Premio internazionale ambito, con più di mille poeti e scrittori partecipanti non solo dall’Italia.
Oggi è alla sua XXV Edizione e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
l’ ha premiato con una medaglia preziosa
, per gli alti meriti culturali conseguiti.
Egli ha amato la poesia sopra ogni altra cosa,
è essa che oggi dopo la sua morte, ci mantiene vicini alla sua anima profonda. “Spiritualità” è un
trait d’union con il suo cuore, quest’opera è guida per la sua amatissima
famiglia, è consegna d’amore per tutti loro, ma anche messaggio per noi ,
poiché in questi versi le vele di lino della sua poesia costeggiano gli
infiniti orizzonti di ciò che nella vita conta davvero. Determinante, a tal punto, la poesia nella sua vita, che
anche quando la morte aveva calato le sue carte, (lui aveva ben capito) , non
un lamento, il suo cuore “inossidabile”
scriveva ancora , e l’opera “Spiritualità” è frutto di questi giorni in cui si tiravano le somme, si guardava nelle fessure del tempo, ci si interrogava sui tanti tracciati che attraversano come vene
azzurre la vita di un uomo. Fino all’ultima sua ora egli mi parlò della sua terra,
(era nato a Cascàno di Sessa Aurunca nel 1936), dei suoi genitori, della
speranza che i suoi figli potessero amare quelle zolle, come lui le amò e cantò
nei suoi versi, mi parlò della morte del
fratello, della morte della piccola nipote, sembrò che il colloquio con i suoi
morti, sempre presenti nella sua poesia, divenisse più intenso, soprattutto con
i suoi genitori, la madre è stata spiritualità
viva negli ultimi mesi della sua vita
terrena. Nella sua casa, a Scauri trionfa la foto del nipote che porta
il suo nome,(per i suoi nipoti era
disposto a sopportare ogni sofferenza, pur di vederli crescere) A Fiammetta, scrittrice di indubbio valore,
ha lasciato il compito di curare la pubblicazione dei suoi ultimi scritti e lei
lo ho ha fatto con la devozione di sempre, (quante volte ho raccolto le sue
lacrime), aveva compreso che quello che era successo era un colpo
insopportabile per il padre.
Millenaria
Spiritualità dove il presente, il passato e il futuro hanno la fragranza di
quel pane di San Giuseppe (pg 27) che intreccia ai baccanali dell’uomo la
devozione per il cielo e per la vita.
La sua
poesia è una spiaggia di bianca
organza che ci lega al sovrumano e alla
bellezza della vita.
Carmen
Moscariello (Pubblicato da "Frequenze poetiche", 20 maggio 2019.
[1]
Due importantissime opere sono uscite postume , a cura della figlia Fiammetta:
“Spiritualità”, pag.50prefazione di raffaele Nogaro e “Renato Filippelli .Tutte
le Poesie, 527 pagine, prefazione di Emerico Gyachery, postfazione di Francesco
D’Episcopo, Gangemi Editore, maggio 2015.
[2]
L’opera è dedicata ai figli: Fiammetta, pierpaolo, Chiara.
[3]
L’enciclopedia a cui faccio riferimento è “L’eredità Letteraria” Simone
Editore. Di questa immensa opera sono stampate quattro edizioni: 2004; 2005;
2006; 2007.
mercoledì 8 maggio 2019
martedì 7 maggio 2019
Eleonora dalle belle mani di Carmen Moscariello Teatro in versi.
Spettacolo Teatro Romano di Cassino
Proserpina, opera e regia di Carmen Moscariello
Eleonora, spettacolo Teatro di Viterbo.
“Eleonora dalle belle mani” di Carmen Moscariello
Bastogi Editore, Prefazione di Renato Filippelli, post fazione di Alessandro Petruccelli
Dalla prefazione di Renato Filippelli
Eleonora
Duse, “La Divina” Eleonora, la grande tragica che D’Annunzio suo celebratore e
carnefice, identificò con l’emblema del” patimento creatore” ,fornisce a Carmen
Moscariello la materia di questa pièce che credo poter collocare fra i più
interessanti frutti della stagione letteraria in corso.
Evocare la
Duse senza mettere accanto o di fronte l’autore de ”Il Fuoco” (quel D’Annunzio che fu suo amante, sempre in bilico tra
l’ammirazione per l’attrice ed un sostanziale rifiuto per la donna, gracile e
malata di etisia)sarebbe stato un azzardo.
La
Moscariello non nuova a queste appassionate rivisitazioni di personaggi
femminili, sacri alla storia antica e moderna dell’umanità, ha voluto che il
messaggio esistenziale della celebre Lenor
passasse attraverso l’esperienza del suo amore per L’Immaginifico. Di qui la
decisione di aprire ampi spazi al Pescarese e di illuminare, con tocchi rapidi
e incisivi, la personalità contradittoria, con le sue cadute nell’animalità
dell’istinto sessuale, ma anche con le sue impennate verso le plaghe della
spiritualità e della poesia mitizatrice.
Difficile
era il governo artistico di due personaggi così complessi e sfuggenti, così
radicati nel magma dell’esistenza e così protesi alla fictio di una vita ideale, così pervasi di terrestrità e così
disposti alla sublimazione onirica. Occorreva uno sguardo capace di cogliere al
fondo di tante incarnazioni effimere un nucleo morale stabile, da assumere come
chiave interpretativa unificante. In altre parole, si poneva la necessità , per
quanto riguarda la Duse, di attingere il segreto della sua verità anche quando
l’attrice continuava ad essere tale, pur essendo uscita dalla finzione scenica,
e per quanto attiene al D’Annunzio, occorreva
rimuovere le incrostazioni delle pose superomisiche e dei cinismi
d’epoca per portare allo scoperto le fonti della più autentica ispirazione
poetica e i tratti di un’umanità fragile, in fondo, e bisognosa di rifugi
protettivi.
La
Moscariello ha dimostrato di possedere questo metaforico sguardo che giunge
alle radici dell’anima e le abbraccia con trepida pietas. Lirica per vocazione,
ella ha colto in questo suo dono un rischio ai fini della strutturazione
drammatica, e l’ha tenuto sotto controllo, fino a quando le situazioni non
postulassero l’abbandono all’onda spiegata della poesia come ritmo e canto.
Voglio dire che il testo in questione attua la è propria articolazione teatrale
anche attraverso inserti di situazioni e di di azioni realistiche aspre e crude. Si veda l’incipit
dell’opera: Quell’esplosione di invettive di Maria Gravina, amante insaziata,
contro D’Annunzio, scoperto infedele e si considerino anche gli scatti della
stessa Duse di fronte ai comportamenti del suo poeta, che in Lei tradisce la donna e l’artista, e
ancora le aggressive rampogne di Matilde Serao all’uomo che continua a
infliggere disastri morali e finanziari alla grande attrice. In questi passi
dell’opera la Moscariello si serve di un radicale espressionismo in funzione
felicemente caratterizzante, ma subito dopo, come a garantire l’equilibrio
tonale dell’insieme, inventa un dialogo tra i due amanti, che ha la grazia di
un’indubbia conquista poetica su registri sommessi e come incantati.
Questi
momenti pervasi dalla pura liricità lasciano prevedere il tema del finale trionfo
della fede nell’arte come unica certezza in un labile e illusorio movimento di
ombre.
A
ripercorrere il testo di questa autrice ,il lettore difficilmente dimenticherà
l’ultimo atto, che dà rilievo di statua sacra alla Duse ,ma altresì umanizza la
figura di D’Annunzio che alla grande tragica chiede il sostegno di una
comprensione materna.
All’ombra
della donna da Lui umiliata e offesa in più luoghi de “Il Fuoco” ora il Poeta potrebbe dire quel che disse alla madre in una celebre
lirica del “Poema Paradisiaco”: “L’anima sarà semplice com’era / e a te verrà,
quando vorrai, leggera/ come vien l’acqua al cavo della mano”
Nel
suggestivo testo di Carmen Moscariello la Duse si fa mediatrice di questo
junghiano ritorno del Poeta alla semplicità e all’innocenza del suo tempo
d’infanzia.
Renato Filippelli
mercoledì 1 maggio 2019
Domenico Purificato e l'età d'oro della città di Fondi
Analisi critica
Di
Carmen Moscariello
Quella
generazione del 15 e del 17 ebbe del divino! La città di Fondi partorì miti che
dureranno nel tempo, anzi il tempo gli darà più forza e vigore.
”Che cosa
felice-scriveva De libero a Guido Ruggiero- il bel quadro degli Amici nello studio che
Menico ha impiantato”. Nel quadro sublimato dalla staticità si vedono: Domenico Purificato, Libero De
Libero, Peppe de Santis, Pietro Ingrao,
Guido Ruggiero, Leopoldo Savona, Don
Danino Di Sarra, Marcello De Vito, Nino Peppe e i fratelli del maestro Adelmo e
Oddino,(si fondono nel quadro amicizie e parentele di sangue).
Ho la fortuna e la gioia di averli conosciuti quasi tutti e li ho nel cuore.
Ho la fortuna e la gioia di averli conosciuti quasi tutti e li ho nel cuore.
E’ questa la
generazione dei grandi che Fondi partorì in un’età felice che fece dire al
filosofo Franco Lombardi che ci troviamo di fronte” alla cultura della Fondanità”.
Chissà chi
di loro fu il caposcuola? De Libero, Purificato? Certamente uno di loro aprì la
porta alla fama e alla gloria, tirandosi dietro gli altri. A Roma alla
galleria “La cometa” trovarono giusta
allocazione: Il pittore, il poeta, lo scrittore, il regista, il grande politico
(purtroppo nei giorni di questa mostra, Ingrao era ricoverato in ospedale a Fondi e faceva temere per la sua vita).Lì si
confrontarono con Valery, Strawinski, Concteau, Cagli, Mafai, la loro
straordinaria umantà trovò giusta armonia.
Ma,
soprattutto Purificato non si dimenticò mai di Fondi, la onorò con mostre,
incontri con i più grandi personaggi del suo tempo, grandi attori di cinema e
di teatro, personalità del mondo letterario.Egli fu per Fondi, come Remigio
Paone fu per Formia.
Chi scrive ricorda
bene Guido Ruggiero, Peppe de Santis, per essi, come inviata della Rai (TG3
Lzio) e de “Il tempo”, ha scritto più volte e da essi ho appreso aspetti importanti
della vita e dell’opera di Purificato e di De Libero.
Qualche tempo fa, al Maestro, presenti i figli dell’Artista, Gaeta dedicò una mostra e, in particolare, espose in modo trionfale nella prima sala “La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta”, tela spettacolare, dove placido si poggia il mistero del tempo nella magica attesa di un altrove senza veemenza.
Qualche tempo fa, al Maestro, presenti i figli dell’Artista, Gaeta dedicò una mostra e, in particolare, espose in modo trionfale nella prima sala “La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta”, tela spettacolare, dove placido si poggia il mistero del tempo nella magica attesa di un altrove senza veemenza.
L’arte di
Purificato vibra di compostezza. Nei visi tessuti dalla terra l’urlo è
smorzato e il corpo placido della donna
si espone in tutta la sua sensualità e bellezza.L’opera va
letta nella sua coralità, fa ricordare la “Cavalleria rusticana” , qui, però, la morte aleggia senza planare. I molti
personaggi sorprendono per l’armonia che esprimono. E’ l’ uso
delicato del colore che annulla le differenze :tra uomini e donne tra Cristo e
l’Universo.Nelle le sue piccole fragili creature, smorzato è il dolore, e la morte è senza falce, accoglie in amorevole abbraccio
Pulcinella. La stessa guerra che è la causa del male appare dimenticata, fuori
dalla porta.Risente
l’opera anche dei fluidi pittorici e letterari del Novecento, di quel
movimento non solo estetico della Generazione del 14 a cui aderirono tra gli altri Sironi e Funi.Un’arte tesa
non solo ad esigenze estetiche, ma anche sociali. I punti essenziali potrebbero riassumersi nel
mito e nella storia.Certe forme plastiche dell’opera riportano a Velazquez
e in particolare a una delle sue opere più grandi: Las Merinos, i personaggi per la grande opera di Purificato sono
posizionati quasi tutti alle spalle dei due protagonisti principali (la
donna col seno denudato e Arlecchino,
quello in primo piano, poiché di “Arlecchino”nell’opera ne appaiono più di uno.
Il linguaggio appare austero, a volte, stemperato dai colori forti che aprono alla magia del mito. Margherita
Sorfatti (collaboratrice di Mussolini) parlò nella mostra sul Novecentismo (erano esposte anche opere di Purificato) inauguratasi a Milano nel 1926 di realismo
magico e di nuovi miti.Sembra che
Purificato in quest’opera voglia
effettivamente rispondere a canoni precisi e a valori umani, sociali, religiosi,
riscontrabili in modo dettagliato anche sulla rivista “Novecento” di
Bontempelli.
Il regista Peppe De Santis
Il regista Peppe De Santis