martedì 31 marzo 2020

Mauro Pietropaolo Montacchiesi scrive su Carmen Moscariello: Carmen Donna; Carmen in Letteratura.


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Mauro Pietro Paolo Montacchiesi CARMEN MOSCARIELLO
Questo breve essay su Carmen Moscariello, tantissimo è già stato scritto su di lei e sulle sue opere, non entra nel merito della sua biografia né in quello della sua vastissima produzione artistica. Si limita ad alcune soggettive riflessioni dell’autore compendiate in “Carmen Donna” e in “Carmen in Letteratura”.
(L’autore)
Carmen Donna

Carmen ha un’icastica personalità, cospicuamente proclive verso la vita associativa, sempre orientata verso armoniche, universali simmetrie. Carmen è la vita che ab aeterno si rinnova, è il rizoma che ciclicamente penetra nella madre terra per nutrire, arricchire l’albero della vita, per germinare, ogni volta, neonate gemme a primavera. E Carmen, osmoticamente, è un unicum con l’albero della vita, mantenendo sempre i piedi ben piantati per terra. Per quanto governata dalle sensazioni, Carmen permane una donna pragmatica. E’ un’edificatrice diligente, alacre e costante, che mai abiura le sfide, pur di attingere i target che si era preposta. Carmen è una donna passionale, dagli aneliti pulsanti, incoercibili. E’ affabile, calorosa, cordiale, affidabile e leale. E’ una donna che preferisce la sicurezza all’insicurezza. Di prassi prende tempo nell’intraprende e realizzare molte cose, ma ciò esclusivamente a vantaggio dell’estetica e dell’accuratezza. Il suo cuore pulsa nel pathos del futuro. Elargisce la sua fiducia e l'amicizia con oculata moderazione, ma quando lo fa, si concede totalmente alla persone in cui ripone la sua fiducia. Carmen è amore, equilibrio, bellezza femminile, estetica ars inveniendi, perseveranza, conoscenza ad limina della gnosi, misericordia e armonia. Carmen, nella sua magnitudine spirituale, vive in simbiosi con il panismo, in un sentimento di gioiosa comunione con la natura, con l’osservanza delle tradizioni, con il senso di giustizia. Carmen vive gli umani sentimenti come l’ambrosia della vita e, per questo, la turris eburnea non trova struttura nel suo dna. Carmen, vibrante di sensualità e di gioia di vivere, si contraddistingue per una prorompente femminilità, per il culto del bello. E’ dotata di un’infinità di predisposizioni artistiche, ma, per quanto dinamica e poliedrica ella sia, non le può umanamente intraprendere tutte. In molti, d’émblée, hanno avuto la fallace sensazione di un’entità frale, tout court ricredendosi, tout court realizzando di trovarsi al cospetto di una donna sostanzialmente tetragona, nel cui cuore, tra l’altro, l’Amore e l’Amicizia sono due cardini monolitici e inderogabili.
Nella sua prima fase esistenziale, verosimilmente, Carmen, a cagione della forma mentis, delle tradizioni culturali del microcosmo di origine, si è dovuta preoccupare (chissà inconsapevolmente) di esaudire le istanze altrui, piuttosto che affermare sé stessa, la propria personalità. Pur di non disilludere le aspettative dell’ambiente circostante, ha dovuto negligere, postergare i propri aneliti, le proprie aspirazioni, i propri ideali. In itinere vitae, crescendo, maturando, Carmen ha prima cautamente poi repentinamente virato, ha optato per le proprie convinzioni, per le proprie idee, per le proprie posizioni, fino a diventarne strenua paladina, fino a diventare, deflegmata dalle scorie del microcosmo (soggettività condizionata), indiscussa leader nel macrocosmo (universalità incondizionata). Il faro che ha illuminato e che continua ad illuminare questo iter vitae, si chiama indipendenza sociale, psicologica, spirituale, sociale e culturale.

Carmen in Letteratura
“La santa voglia d’esto archimandrita” (Par. XI, 99). Archimandrita, ovvero grande pastore di anime, è il titolo che Dante attribuisce a San Francesco. E archimandrita, ovvero grande pastora di anime, allegoricamente, è il titolo attribuibile a Carmen Moscariello, in virtù del suo elato magistero, del suo mirandoliano scibile …

< de omni re scibili et quibusdam aliis>
<di tutto lo sibile e di qualcos’altro ancora>
“Un passaggio delle Novecento tesi difese dall'umanista Giovanni Pico della Mirandola a Roma nel 1486”

… che lei ha, che lei continua, indefessamente e con filantropico amore, a propalare “urbi et orbi”! E dall’oblio non possono non riaffiorare i “philosophe”, gli Intellettuali Illuministi i quali, a differenza di quelli organici (ciambellani lacchè) all’Ancien Régime (depositari esclusivisti di una cultura reazionaria), si assursero al ruolo, alla funzione di maître-à-penser (questo sintagma, nondimeno, verrà coniato molto più tardi), nonché di diffusori universali di un’inusitata cultura laica da superstizioni e da pregiudizi. Anima sostanziata di inconcussa ortodossia estetica, anima permeata di sublime aretè (latina virtus, valore spirituale e bravura morale), la sua. Anima che intelligentemente, sensibilmente reifica il proprio valore spirituale, la propria bravura morale ed i propri émpiti traducendoli, veicolandoli in afflati lirici, come pure in forme letterarie emancipate da qualsiasi regola metrica o ritmica, in virtuosismi letterari trasposti in recitazione scenica, in ecdòtica, ovvero in filologia testuale strumentale, finalizzata alla ricerca, funzionale all’interpretazione di fatti o personaggi, in virtù, talora, rapsodicamente, dell’esame di testi e documenti o su notizie storiche. Cum hoc vel post hoc, ergo propter hoc (lat. «con questo o dopo di questo, dunque a causa di questo»), in senso etimologico, verosimilmente la sua cospicua, poliedrica, “policroma” produzione letteraria non cessa di estollersi a dharma, a legge morale, dei diritti e dei doveri sociali. Tutti i prefati elementi conferiscono al complesso e composito tòpos letterario di Carmen Moscariello la lineare potenza, metafisica, per avventurarsi nella catabasi della sua anima, laddove deflagra tutto il suo pathos, laddove perpetua riluce ogni sua palingenesi, ogni sua morte-rinascita, resa cogente dall’istanza ineluttabile di universalizzarsi alla realtà in divenire: πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός/panta rhei os potamòs/tradotto in tutto scorre come un fiume, parafrasando Eraclito. E’ d’uopo libare la letteratura di Carmen Moscariello centrifugando ogni sintesi (pars costruens: contingente, relativo), per contro centripetando arguta analisi (pars destruens: metafisica, assoluto), onde poter ben comprendere e metabolizzare ogni singolo afflato lirico, ogni singola pericope prosastica. Soltanto così, almeno a tratti, si potrà intravvedere la specularità del proprio IO, ovvero l’opportunità di un’autoanalisi da tempo improcastinabile, ma sempre supinamente preterìta. L’opportunità di una rinascita, di una ripartenza: Post nubila Phœbus/dopo la pioggia il sole. La Musa si emulsiona con la sua stessa letteratura, rendendola, rendendosi, icona di soggettiva dignità filosofica. Ma, del resto, non potrebbe essere altrimenti, contemplando la relatività del postulato di qualsiasi verità. La Letteratura di Carmen Moscariello, in ogni sua più immanente piega, declina qualsiasi cristallizzato cliché estetico, abiura qualsiasi fossilizzata ortodossia accademia e fluisce emancipata da coercizioni formali verso fastigi dialettici latori di universale, elativa, a tratti gnostica, divinamente rivelata, conoscenza. Il topos letterario di Carmen Moscariello, ovvero un topos letterario tangibilmente pregnante, riverberante di totalizzanti aneliti di trascendenza.
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Mauro Montacchiesi

Mauro (Roma 1956), poeta, scrittore e saggista, vive a Roma. Bancario di professione. Note onorifiche ricevute: Console Ad Honorem di Fiaba (Fondo Italiano Abbatimento Barriere Architettoniche); Anthai (Associazione Nazionale Tutela Handicappati ed Invalidi); socio onorario dell'Associazione Culturale "AnteRem"; "Maestro Lirico" e "Letterato del XXI secolo", titoli conferiti dall'Accademia Internazionale "Francesco Petrarca" di Capranica; Accademico dell'Accademia "Il Convivio"; Direttore del sociale e del volontariato Onlus "Mecenate" di Arezzo; responsabile "Artisti dello Stretto"; membro di "World Poetry Forum"; socio dell'Accademia "Giuseppe Gioachino Belli" di Roma. Co-fondatore del "Labirintismo" movimento artistico ideato dal prof. Massimiliano Badiali.
Ha pubblicato: Quando l'anima parla (2008, poesia), E' la voce del cuore (2008, poesia), Il diorama del mio labirinto (2008, saggio sul labirintismo), Teocentrismo (2008, poesia), Labirintismo (2009). Ha vinto i seguenti primi premi: 2008: "Mario Dell'Arco", Roma; "Parole ed immagini", Mellana; "Auxilium", Palermo; "Aics", Grosseto; "Nicola Martucci", Valenzano; "Omaggio a Van Gogh"; "Maddaloni-Città degli angeli"; "Città di Castellana Grotte"; 2009: "La Contessa Lara". E' presente nell'Enciclopedia "Ali-Penna d'Autore", nella "Grande Antologia dei Poeti Italiani Contemporanei (Montedit) e nelle antologie; "Vittorio Alfieri; "Gaetano Errico"; "Gennaro Sparagna"; "Dedicato a... poesie per ricordare (2007); "Tra un fiore colto e l'altro donato" (2007); "Fili di parole" (2008); "I grandi temi della poesia" (2008); "Habere Artem"; "I porti sepolti" (2008).
Sulla sua produzione letteraria ha scritto: M. Barile «M. rende vibrante la sua visione che si materializza nelle liriche che sprigionano genuinità: come a conservare nel cuore i frammenti della vita che vengono plasmati in poesie impregnate d'un continuo riferimento alle zone segrete dell'anima, come a muoversi in atmosfere silenti e rarefatte, davanti all'inesorabilità della vita, in balìa degli eventi come a peregrinare senza méta, come a consegnare all'oblìo i ricordi dei momenti goduti.».
www.e-stories.org
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Descrizione: Carmen Moscariello

giovedì 26 marzo 2020

Quando la neve si scioglierà di Carmen Moscariello





Quando la neve si scioglierà
Si aguzzano i rumori, si leggono libri
si ascolta Chopin e il Lohengrin
mi rende amazzone felice.
Tanti libri, bussa il postino
solitario con mascherina e guanti nel deserto di voci
gli faccio un cenno di saluto
 da dietro ai vetri. Mi metto a ballare, a ballare dico.
Mi chiedo chissà se il mio amico giovanotto di 94
anni sta bene, poi penso ai miei amici poeti a quello di Pisa
a quello irpino, a quello di Roma li immagino nelle loro casa 
che aspettano i rumori del silenzio, penso ai miei morti.
 A volte mi sfiora il ricordo di qualche nemico
 sento il mio animo purificato, scorre
la neve oggi che è primavera
copre i miei monti irpini sento i campanacci
 delle mucche sapienti
sento un tenue belare, un fruscio,
 un piccolo palcoscenico di anime
Chissà se ci salveremo?
Appena egli andrà via non scenderò
più dal mio aereo, sorvolerò tutte le ebbrezze del mondo,
mi porterà fino a te.
Ascolto più in profondità
la mia anima mi prende per mano, mi illumina
l’immenso cielo il dolce pensiero di voi.
Finirà, si , finirà  questo disastro.
Qualcuno medita sulla mia poltrona, sei tu?
 Odore di falerno brindi col tuo amico Fromm,
 Balli?, balliamo  tumba la laica,  le girandole
 di fumo della tua sigaretta…. Intravedo
 la Segreta simmetria del tuo Diario; così dolce sei,  
così mansueto, cosi immenso
il tuo pensiero e la tua anima.
Infine ci ritroveremo tutti, i morti con i  vivi
capiremo quale piccola distanza ci divide
ci riabbracceremo,  conteremo i giorni
di neve al profumo del gelsomino bianco.
Di Carmen Moscariello, Formia 26 marzo 2020






lunedì 23 marzo 2020

Carri incolonnati dal silenzio





Piega il vento tenue di questo mattino
i miei passi sicuri mi portano alla discesa al mare della mia casa
silenziosa casa, non conto più gli scalini che scendo
sento già sotto i miei piedi il tremolar della marina.
Le corolle non sono ancora aperte
ma gli uccelli felici cantano, fra i mirti mi accolgono
sembra che plaudano non so bene per cosa.
Questa natura così felice e il mio cuore così stanco è infelice!.
Orde di coronavirus invadono il mondo e il mio giardino e il mio  mare plaudono alla morte.
Le onde sono ferme, mai le ho viste così tranquille
eppure le previsioni danno tempesta,
indifferenti, vestite di rosa e d’azzurro
saltellano come fanciulle
che giocano a palla.

Che succede?
Perché tu Natura ci abbandoni?
Quanto è arrabbiato il buon Dio con Noi?


Mi fermo lì sulla risacca, non c’è anima viva
Nessuno può uscire
Il vento è vago, indifferente
nemmeno assorto.
Ed ora anch’egli mi ha abbandonato.
Sulla spiaggia pulita come non l’ho mai vista
ci sono i giocattoli pietosi, le   barche
rovesciate dal vento di Giuseppe e Leonardo,
non li vedo da un mese da quando siamo reclusi.
Risalire la strada verso casa è duro
vagheggia il sole un arancio sconosciuto, lì
tra il melo selvatico e un fiorire di mimose.
Da giorni ho guardato il mare solo dal mio balcone
gli ho chiesto disperata perché, perché tutto questo? E gli uomini,
ancor più le donne ,  non affievoliscono la loro rabbia,
l’odio, le loro miserie aleggiano nell’aria come il coronavirus
non si vedono, ma colpiscono a morte.
Si sbiancano le mie mani accarezzando la sabbia, lei indifesa e morbida
si lascia abbracciare senza fiatare, non è lei la voce di castigo,
non è lei che ci rimprovera, chi dunque o mio Dio?
E’ questo il dies irae,? Morte maledetta
 bastarda anche tu incolonnata dal silenzio, in carri
 funebri senza fiori , senza preghiere,
il pianto è dei vivi e dei morti, anch'essi in solitudine
 miserabile donna  risparmia almeno i bambini.
Formia, San Remigio, ore 7,47
Carmen Moscariello

domenica 22 marzo 2020


Andrea Battistini
Presentazione di Il privilegio del vivere

Il privilegio del vivere non è soltanto il titolo della raccolta di poesie ma anche la filosofia di Michele Urrasio, che ha sempre considerato un dono inestimabile la possibilità di essere poeta e di essere nato ad Alberona, il borgo che più lo ha ispirato. In questo libro è racchiusa un’intera esistenza, in quanto riunisce i componimenti di cinquant’anni. Michele dunque festeggia oggi le nozze d’oro con la poesia, poco dopo avere celebrato quelle con la sua amatissima sposa. Anche quello con la poesia è un matrimonio indissolubile, contrassegnato da una fedeltà e da una devozione che non ha conosciuto crisi o dubbi. Ma celebrando la sua opera si celebra anche Alberona, perché il suo alto livello conferma e rafforza una tradizione molto radicata che fa di questo luogo un paese particolarmente predisposto alla poesia, lungo la nobile filiera dei D’Alterio, degli Strizzi, dei Caruso, dei quali Urrasio è degnissimo continuatore.
Di solito, quando si compendia l’opera omnia di un poeta, il diagramma che si disegna è quello di una parabola dagli inizi, quelli dell’apprendistato, ancora acerbi; il tracciato di Urrasio invece non conosce punti deboli, nemmeno nel momento dell’esordio, visto che già la prima raccolta, Fibra su fibra, mostra un poeta maturo, nato già formato come Minerva dalla testa di Giove, anche se non ancora trentenne. Se ne avvide subito uno dei suoi più autorevoli pigmalioni, Mario Sansone, che lo incoraggiò a continuare. In seguito non ha mai deluso, e anzi la sua progressione, anziché isterilirsi con l’età, è risultata sempre più feconda nel tempo, tanto che da ultimo la cadenza dei suoi parti poetici si è fatta annuale. Naturalmente, anche se il debutto è tutt’altro che ingenuo, si nota comunque un’evoluzione, testimoniata nel libro dall’antologia della critica che mette in luce la natura poetica di un canto costantemente sommesso ma profondo, assorto, intimo, meditativo, nel quale però gli orizzonti si allargano nel tempo, riflettendo sempre più spesso sui grandi temi della vita civile e politica.
Come si verifica in tutti i poeti autentici, gli accenti del singolo individuo si fanno voce collettiva di un’umanità e di una natura di cui i versi di Urrasio si fanno interpreti partecipi e solidali. Ecco perché il Sindaco e l’amministrazione comunale di Alberona si sono fatti promotori della pubblicazione del Privilegio del vivere, dimostrando una sensibilità davvero rara, se non addirittura unica, avendo compreso che questo pubblico riconoscimento va oltre la persona del poeta, dal momento che questi diventa il portavoce di una cerchia molto più ampia. Indirettamente il loro generoso sostegno a questo libro è un tributo anche a questo paese, non solo perché è oggi diventato la casa della poesia, grazie anche al Premio internazionale a esso intitolato, ma anche perché è la Musa della poesia di Urrasio, il luogo che ha ispirato i suoi versi. Per parafrasare Dante, anche Urrasio potrebbe dire «I’ mi son un che, quando / Alberona mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando». La presenza di questa terra, che nell’introduzione del libro è detta «aspra e forte», pervade ogni pagina del libro, a cominciare dalla copertina, dove la mano artistica di Giovanni Postiglione ne raffigura la solare luminosità, la vastità del cielo, l’incanto del paesaggio. Soprattutto il cardo selvatico che campeggia in primo piano può legittimamente assurgere a simbolo di Alberona perché ne compendia la natura e il carattere degli abitanti, per rappresentarne la forza, la tenacia, la resistenza, il coraggio, insieme con la bellezza, l’eleganza, la gentilezza.
Giovanni Postiglione e Michele Urrasio sono i due Dioscuri del Premio di poesia «Borgo di Alberona» ed è bello che l’uno abbia tradotto in immagini suggestive le voci dell’altro, conferendo al libro una dimensione corale, rappresentativa dell’indole dei loro paesani. Come il cardo che, non diversamente dalla ginestra leopardiana, «il fiore del deserto» dal «grave e taciturno aspetto», resiste con pazienza e coraggio alle intemperie, così, nella poesia La mia gente, questa appare costituita da «uomini piegati / dal tempo e dal lavoro / che sanno di terra», ma pur sempre «accesa d’un amore / lottato / duro / tormentato». Nella poesia di Urrasio non c’è traccia di ottimismo insulso e immotivato, ma consapevolezza del "male di vivere", affrontato però con animo risoluto, fermo, perseverante, «deciso», come si legge in Cammino solo: «Immenso deserto è il mondo. / Affondo deciso / nelle dune del dolore». Sono questi dei versi ancora giovanili, dove il poeta scruta soprattutto in se stesso, faccia a faccia con la solitudine, ma basta andare a una raccolta di trent’anni dopo, Il nodo caduto (1999), per rinvenire, con un gesto di umana solidarietà, l’apertura dall’io al noi:

Visita
il sole la nostra miseria
dal nodo caduto della porta.
Invano. Ognuno coltiva la propria
pena. Ma qui nessuno chiama
o impreca.

Il paesaggio poetico di Urrasio non è per niente idillico o consolatorio: c’è il deserto, ci sono le dune, c’è la terra arida, ossia la fatica e la pena del vivere. Cionondimeno le sofferenze sono accettate con animo virile, accolte e anzi sopportate di buon grado, compensate delle piccole gioie della vita quotidiana. Nei suoi versi serpeggia il dolore, ma non manca mai la consolazione, il peccato convive con la redenzione, la tristezza con la serenità, l’angoscia con la speranza, l’inquietudine con il sollievo, la morte con la rinascita, in un’incessante dialettica di sentimenti contrastanti, di situazioni opposte, come Il vento e la quiete, i cui confini sono continuamente attraversati. Il poeta si fa partecipe dei drammi umani, il suo animo condivide «la febbre di tante / vite che scuote l’insonnia / delle nostre notti», ma non bisogna aspettarsi proteste urlate e gesti inconsulti: la sua denuncia di poeta civile acquista forza proprio perché non è gridata e guadagna di intensità rastremando all’essenziale le parole, divenute «sillabe di silenzio», o, ancora, «perle» «tra valve / di silenzio». Semmai, per trovare un qualche conforto ai graffi e alle ferite inferti dalla vita, si invoca la presenza degli elementi naturali, chiamati a condividere le opere e i giorni degli uomini, «in questo tempo di poveri / che restano sempre più poveri». Nei versi di Urrasio ci sono tutti i componenti archetipici del creato: l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco, che fanno della sua poesia una sorta di Cantico delle creature la cui contemplazione aiuta ad alleviare gli affanni dell’esistere.
A vegliare sugli uomini c’è il «fuoco estivo» del sole, che di sera diventa «rassegnato», c’è la dura terra dei «dorsi riarsi», ci sono «le acque» che «tracciano […] le pietre / millenarie», c’è l’«aria» in cui «vibra […] il visibile». Viene così a instaurarsi un’ideale solidarietà tra l’uomo e la natura, descritta in termini antropomorfi, come se, umanizzandosi, partecipasse della sua vita. Il paesaggio prende forme umane: le acque dei canali «singhiozzano», il sole è pervaso di «tristezza», il vento «passeggia» e «strappa al sasso / lunghi lamenti», le pietre hanno un «volto» e si fanno custodi del nostro passato, i cipressi condividono l’«angoscia», le foglie diventano «mani», i rami «braccia». E a sancire la simbiosi avviene anche il reciproco: i sentimenti e gli stati d’animo dell’uomo sono espressi ricorrendo al mondo naturale. Il titolo della raccolta dedicata alle Radici del sentimento esprime la volontà di discendere alle origini, alle fondamenta, alle ragioni più profonde dei moti interiori, della percezione affettiva della realtà, di un universo tessuto di emozioni, ma, nell’esprimere questa intima esigenza, compare anche un riferimento metaforico al mondo vegetale, a quell’organo delle piante che le sorregge e le alimenta, assorbendo dal terreno le sostanze vitali. Lo stesso avviene per Urrasio nei confronti di Alberona, una terra nella quale risiedono le radici della sua ispirazione. È una simbiosi felice e rara, che per una volta smentisce il detto secondo cui «nemo profeta in patria», come dimostra il volume con cui i suoi paesani lo hanno definitivamente consacrato loro poeta laureato.