mercoledì 24 giugno 2020

Destini sincronici di Carmen Moscariello. Presentazione dell'opera a Pianeta Poesia Firenze di Maria grazia carraroli.












Carmen Moscariello, Destini sincronici di Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro, Guida Editori, Napoli 2015, pp. 140



LOTTA E POESIA

Carmen Moscariello è poetessa, drammaturga, regista e giornalista. Corrispondente per il Tempo e Avvenire ha dedicato articoli su Tangentopoli e altri importanti fenomeni sociali del nostro tempo.

Delle sue competenze e della sua passione trasuda il saggio Destini sincronici- Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro, saggio che emana amore da ogni riga : amore nell'incontro d'anima e intelletto dei protagonisti del saggio ; amore per il Sud, in particolare per le meravigliose terre dimenticate : l'Irpinia dell' autrice, così vicina alla Basilicata di Rocco, per troppi anni, quest'ultima, trattata come terra d'emarginazione e di confino...

Un amore che in questo saggio, ma non solo, fa spesso rima con dolore.

I protagonisti ne portano cocenti ferite : Rocco in primo luogo, per le delusioni provate durante il suo impegno sociale / politico ( fu socialista convinto ) da sempre a fianco ai suoi cafoni contro il potere dei latifondisti. Giovanissimo , a ventitre anni, fu nominato sindaco di Tricarico e per vendette politiche ingiustamente accusato e messo in prigione , anche se poi venne assolto con formula piena...

E poi, Amelia, ammalata di ferite sempre aperte : la tragica morte, mai del tutto metabolizzata, del padre Carlo , poi quella della madre e ultima, la morte improvvisa di Rocco dopo soli tre anni dall'averlo incontrato...

Si erano conosciuti a Venezia nel '50 in un Convegno, e fu subito amicizia affettivamente intensa, forse amore. Uno schianto per lei l'improvvisa scomparsa di Rocco che l'aveva fatta conoscere poco prima alla madre in Lucania... Squassata nella mente e nel cuore, a nulla valsero le cure della Clinica svizzera in cui fu ricoverata, epilogo drammaticamente premeditato, poi, il suicidio, nello stesso mese e giorno dell'amata poetessa più volte tradotta, Silvia Plath, l'11 febbraio 1963

La nostra autrice Carmen Moscariello scrive di Amelia e di Rocco con partecipazione molto viva, anche per aver conosciuto personalmente la poetessa e, attraverso le frequentazioni con Vittorio Foa, importante personaggio della politica e del giornalismo italiano, sentendo da lui stesso parlare con ammirazione del giovane attivista e intellettuale lucano, Scotellaro.

Il libro percorre le due drammatiche esperienze umane dei protagonisti, sottolineando la funzione salvifica della letteratura, specie, come nel caso di Amelia e Rocco, quando i tempi e gli spiriti vengono invischiati nel groviglio dell'ingiustizia, della delusione e del male di vivere.

Moscariello entra in quei tempo e in quegli spiriti, documentando da par suo la vita e l'opera dei due , corredando il volume con fotografie e aggiungendo un importante carteggio del sindaco/poeta con lo scrittore Michele Prisco.

Non manca una ricca bibliografia. Ma la nota che rende particolarmente originale il saggio sono due poemetti in cui Carmen si cala con intensità lirica ed emotiva nel sentire dei due poeti, divenendo l'Amelia ferale e urlante di fronte alla morte maledetta dell'amico Rocco, a cui l'eco della Taranta dà nuova voce di fraterna solidarietà con il popolo contadino per cui tanto lottò. E chiama la donna a condividere il suo vissuto con lui, perché -dice :

ti conobbi bella e luminosa/ mi apparisti come 'na Madonna/ Amelia, e come la Madonna/ sull'Altare io ti amai ( p.103 ).

Un saggio, questo di Moscariello che, come scrive Annella Prisco nella prefazione, è un mosaico di ricordi, approfondite testimonianze storiche, spaccati di umanità e lirismo con lo sguardo sempre vigile all'ambiente, la Basilicata, in cui si muovono i protagonisti...il tutto reso unitario e di godibile lettura non solo per quello che Aniello Montano nell'Introduzione definisce garbo stilistico, per le ricche citazioni ed i rilievi critici, ma anche per la cifra empatica di cui è denso e per l'accento emotivo di cui sono pervase le descrizioni degli episodi di vita dei protagonisti, unite a quelle degli scorci naturalistici in cui le loro storie fioriscono.

Appena aperto il libro ci appaiono vertiginosi i calanchi lucani che tra le righe finali del saggio riemergono aspri e lunari ai ritmi di musiche sefardite ( ebraiche antiche p.117 ) : uno splendido, irto scenario che ben s'attaglia al profilo drammatico, forte, originale di due vite che amarono, lottarono, soffrirono, scrissero per una società a misura d'uomo.

(Mariagrazia Carraroli)








(Dopo la presentazione alla Casa di Dante la poetessa e storica Franca Bellucci ci ha inviato questa lunga e profonda riflessione sul libro, che volentieri pubblichiamo, auspicando ulteriori interventi da parte dei lettori sugli argomenti che nell'articolo vengono evidenziati.)

ROCCO SCOTELLARO E AMELIA ROSSELLI NELLA STORIA DEL NOSTRO PAESE

A fine marzo 2017 il libro Destini incrociati di Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro fu occasione di un incontro, cui presi parte, che suscitò forte emotività presso il Circolo degli Artisti Casa di Dante, organizzato da "Pianeta Poesia", bella e durevole realtà culturale intorno al poeta Franco Manescalchi. L'effetto suscitato fu merito di come Maria Grazia Carraroli impostò la presentazione del libro, preferendo, anziché una recensione sistematica, coinvolgere il pubblico nella lettura di pagine scelte: «Un libro come un romanzo», questa la sua suggestione. L'ascolto diventò per i partecipanti discesa nella interiorità propria, oltre che dei personaggi protagonisti, e nella percezione storica della loro cornice: contribuirono le testimonianze, ad opera della stessa autrice Carmen Moscariello, dell'amica Annella Prisco, figlia dello scrittore e meridionalista Michele, di Franco Manescalchi, una presenza incisiva in Firenze, nel senso della sperimentata coerenza poetica e umana. La sintesi della serata può dirsi una esperienza condivisa di cultura come espressione. Poesia, lingua, comunità, rigore, lavoro responsabile: devo dichiarare la traccia dei temi nella circostanza poiché, risultata efficace in quella circostanza, io stessa ora la confermo in questa nota di lettura. Il libro introduce ad un romanzo di spessore decisamente storico: induce infatti a riflettere, nel segno della solidarietà scevra da ogni pregiudizio e strumentalità, anche sui grandi temi storici, nazione, nord-sud, lungo meridionalismo.

È un particolare versante di meridionalismo che l'autrice accoglie, e che subito si mette a fuoco cogliendo i legami culturali dichiarati in appendici e apparati: si vedano in particolare le lettere inviate da Rocco Scotellaro e dalla fidanzata Isabella Santangelo a Michele Prisco, custodite dalla Banca Popolare Pugliese. La postfazione (pp. 121-124) di Carmela Biscaglia, Direttrice a Tricarico del Centro di documentazione "Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra" - sorto nel 2003 a 50 anni dalla morte del poeta - evidenzia l'apporto di Carmen Moscariello al «rinnovato interesse» che porta a riscoprire il progetto di Scotellaro ed interlocutori per la ricostruzione nel Sud dopo la guerra. Nelle tesi, nei provvedimenti, negli eventi effettivi, già oggetto di contese politiche, non si previde comunque, dice l'autrice, quanto oggi si constata: allora vinse di abbandonare gli agricoltori puntando su poche industrie e migrazioni in massa. Oggi «i ricchi industriali dopo aver ben spremuto il Paese migrano anch'essi» e «sono molti economisti a invocare il ritorno alla terra» (p. 43).

Se teniamo da parte appendici ed apparati, il corpo del libro consta di quattro capitoli, circa settanta pagine. Il titolo centra il tema in modo calzante: rifocalizzata «l'attenzione sul legame tra la Rosselli e Scotellaro» (così Biscaglia, p. 122), i due poeti sono proposti dall'autrice in un accostamento fecondo e determinante, per lo sviluppo letterario e storico che riguarda le lettere italiane in generale, oltre che le loro esistenze. Ma, nella profonda diversità delle storie e delle poetiche che ciascuno di loro elabora - e che l'autrice esamina soprattutto nel secondo capitolo - il contatto intenso e fugace conservò a distanza l'impulso costruttivo, originale per ciascuno: Destini sincronici continuarono a guidarli, poiché molte rispondenze, elaborazioni, esplorazioni si assomigliano, quasi che un campo magnetico comune continuasse ad inscriverli, nella lontananza di fatto di luogo e di tempo.

Il tempo, anzi, diventa baratro, con la morte precoce di Scotellaro nel 1953, giovane di trent'anni. Amelia Rosselli, di sette anni più giovane, prosegue, concludendo con il suicidio a Roma l'11 febbraio 1996, scegliendo il giorno anniversario del suicidio della scrittrice Sylvia Plath (1932-1963): è un'altra epoca la chiusura del XX secolo, rispetto al secondo Dopoguerra, per la storia del nostro Paese e per quella del mondo, con l'evoluzione profonda dei criteri concordati per i blocchi geopolitici dopo il secondo grande conflitto.

Analoga anche l'attitudine all'ascolto che si chiede al lettore, o allo spettatore, pur nella diversità delle scelte poetiche. Occorrono variazioni di empatia, sia di fronte al "lapsus" lucido della Rosselli sia per l'"anacoluto" di Scotellaro. Entrambe le soluzioni poetiche sono intrise del magma della vita, delle tempeste delle rispettive pagine biografiche. Con la profonda differenza che per Scotellaro la tempesta si specchia nella terra e nei conterranei, nella Lucania, mentre Amelia è e resta fondamentalmente una cittadina del mondo, senza avere né cercare un suo porto d'approdo. Così Scotellaro, malgrado la brevità della vita, è tra gli scrittori eminenti entro la produzione che sprona all'energia e al fare collettivo, una sezione letteraria in più puntate nell'Italia dell'Otto e Novecento, che Carmen Moscariello esamina particolarmente nel terzo capitolo.



Riprendo le parole di Carmen Moscariello per la poetica della Rosselli: nel procedere della parola mai abusata, dice, «l'errore-il lapsus-il monstrum-il prodigio occupa spazi fondamentali», rinnovandosi nel ritmo talora metafisico, tal altra figurativo (p. 61). E per Rocco Scotellaro la Mascariello dice che con i suoi "anacoluti strozzati" «il Sindaco-Poeta ha voluto essere la parola che non esce [... sc. per un mondo] sparpagliato lungo la schiena di un burrone, sospeso tra cielo e terra, affollato di neve e migrazione» (p. 76): egli partiva da Carlo Levi, allora vicino, quindi dal mondo contadino del Sud effettivamente affollato, «attraversato da lingue misteriche che parlano a molti mondi», ma contestando che potesse costringersi, come l'intellettuale voleva, «tutto nel mito». La sua interpretazione del Sud si incontrava piuttosto con quella di Michele Prisco, autore nel 1949 del libro La provincia addormentata: si erano incontrati in quell'anno a Macerata (p. 115), in un convegno, che, in vista del riassetto da compiere in Italia, proponeva il tema della provincia.

Amelia Rosselli, nata in Francia nel 1930 nell'esilio del padre Carlo, antifascista, dopo il suo assassinio nel 1937 si era formata nella frequentazione di sistemi scolastici tra Stati Uniti ed Inghilterra. Poliglotta, ricorreva in prevalenza all'inglese della madre Marion Cave ed era raffinata musicista. Tradizioni letterarie e musicali nella famiglia erano consuete, ma la scelta di applicare la versificazione in lingua italiana alla sua urgenza compositiva maturò dopo la conoscenza e l'incontro con Rocco Scotellaro, al convegno del 22-24 aprile 1950, a Venezia, su La Resistenza e la cultura italiana: entrambi i poeti successivamente ebbero modo di dichiarare l'importanza, nella vita affettiva e nella determinazione poetica, del colloquio intrapreso. Scotellaro stava dando una svolta alla sua vita, nella direzione della ricerca: doveva virare, dopo il percorso politico condotto nel 1946, a 23 anni, come sindaco della ricostruzione a Tricarico. Per false accuse, subito confutate, aveva fatto breve esperienza del carcere in quell'inizio del 1950, dal 9 febbraio al 25 marzo; aveva appena accettato di compiere studi sociologici presso l'Osservatorio di Portici di Manlio Rossi Doria.






La composizione dei due poeti è diversa, ma per entrambi coraggiosa, intrisa di intima sperimentazione: tanto che la Moscariello è tra quanti ritengono che si debba tornare ad esplorare gli espedienti formali già individuati dai critici (appunto, come detto, l'"anacoluto" di Scotellaro e il "lapsus" della Rosselli), per sondarne senza pregiudizi il senso, nel loro nodo di forma-contenuto. Sullo sviluppo pluricorde ed intimo del poetare della Rosselli l'autrice si addentra nel quarto capitolo: Amelia guarda ad occhi aperti la sua contemporaneità, concentrata in modo essenziale sulla propria maturità interiore, in una situazione di estrema originalità: «...non va trascurato il suo totale coinvolgimento umano in quelli che sono i fatti politici e sociali dell'ultimo millennio; inoltre ebbe occhi bene aperti sui poeti contemporanei» (p. 88). La poetessa volle trarsi fuori però dai riti e dalle cerimonie dei gruppi e dell'industria culturale, estranea «a una poesia stantia o fintamente innovativa o creativa, approdante a un'ipocrita modalità nel vano tentativo di liberarsi dal tartufismo» (pp. 85-86). I confronti con altri autori, anche presenti nella biografia in forma di frequentazioni, come Pasolini o gli autori del 'Gruppo '63', portano sempre a marcarne la differenza. Pure la sua via è solo in apparenza introversione: le conferme sul suo valore si accentuano, dopo la prima tributata da Pasolini nel 1963, presso i critici che riflettono sulla poesia novecentesca: «...un grande poeta antiermetico, autrice che ha scelto una sperimentazione inesausta», così Mariella Bettarini (p. 31). Lucidità critica, "occhi aperti", appunto, non freddezza. Uno stile diverso dall'esuberanza, dalla espressività estroversa di Rocco Scotellaro: ma non divergente. L'intesa nel profondo fu autentica, breve nel tempo ma determinante: a lui la Rosselli in modo esplicito dedicò canti, ispirata dai moduli di veglia funebre del Sud, e componimenti.




La contingenza del contatto Scotellaro - Rosselli è un episodio già conosciuto ed anche, presso certi autori, già scarnito in riduzioni banalizzanti. La Moscariello si diffonde nel primo capitolo sulle motivazioni che l'hanno spinta a questo saggio-romanzo: un percorso carico di emozioni di cui offre varie testimonianze. In appendice, infatti, essa propone suoi poemi ispirati ai due personaggi: l'oratorio Al Margine, i versi in forma di Taranta per Rocco Scotellaro. Il primo componimento si ispira alla morte di Amelia Rosselli: qui la voce in prima persona della poetessa si alterna ai lamenti esterni, corali, che ripercorrono le vite tragiche degli intellettuali - della Rosselli, di Scotellaro, di Pasolini - come lutti collettivi inestinguibili e amalgamati alla disperazione del Sud. La disperazione del Sud è tema anche del secondo canto, nel tono esuberante e valente del Poeta-Contadino, il Pilirusso, espresso in parte in dialetto lucano, frammisto a materiali del folklore e dedicando una strofa, la X, ad Amelia Rosselli: «Prima dell'occlusione della vena/ ti conobbi bella e luminosa/ mi apparisti come 'na Madonna/ Amelia, e come la Madonna/ sull'altare io ti amai».

Per la Moscariello informarsi, rivivere, meditare su Scotellaro e la Rosselli è un po' meditare e scegliere intorno alla propria vita: ci sono state, certo, le letture di entrambi i poeti (le cui opere in ordine cronologico e le bibliografie leggiamo alle pp. 125-135), anche le numerose conversazioni capitate con Amelia Rosselli, c'è poi l'informazione fornita dalla propria città, Formia, c'è il desiderio di recuperare e spianare i frammenti di memorie rimaste sospese nei luoghi e nei vicinati, dal tempo del fascismo ad oggi. C'è l'emozione di rivivere, di rivedere a distanza, poiché «Nulla avviene per caso» (p. 23), come sottotitola il Capitolo I, quello delle motivazioni e quindi della vita dell'autrice.


Nelle sue attività di intellettuale, vivendo a Formia, Carmen Moscariello ha spesso organizzato incontri. La sua città era divenuta buen retiro di molti Padri della Patria, già resistenti ed anche confinati nella vicine isole di Ponza e Ventotene come Foa e Nenni. Dei racconti sullo scompiglio durante fascismo e guerra all'autrice sono giunte versioni non rituali, tramite i ricordi locali e le testimonianze dei protagonisti. In questa lunga ricerca appassionata ed anche autobiografica, l'autrice coglie come snodo decisivo, vincente sul piano culturale, le figure dei due poeti. Confermata dalle parole della stessa Amelia Rosselli (ne ha parlato brevemente a Giacinto Spagnoletti, come di "amicizia intensa, molto ricca e naturale", p. 31, con una certa misura ironica a Plinio Perilli, "io l'ho conosciuto poco, ma più come due adolescenti che si incontrano", p. 56) dà nuovo rilievo al loro incontro umano. Vita e letteratura: due specifici, in teoria, ma amalgamati e annodati nel tempo quotidiano, con una elaborazione sperimentale, ma non solitaria, almeno nelle soluzioni di Scotellaro, nel panorama d'allora. Lì era il nocciolo di una cultura nazionale finalmente intrisa di democrazia, di forza costruttiva: capace di eludere ogni impaccio, malafede, persecuzione.

Seguendo la lettura avverto nell'autrice l'intuizione innovativa: l'incontro breve, quasi un urto, giunse ai due poeti empatico e sconfinato come è concesso all'adolescenza. Anzi, nel momento particolare, fu, tra le sofferenze, aurora di un nuovo mondo. Questo racconto emozionato si propone a lettori e studiosi per nuove interpretazioni: riguardo ai due poeti e all'intero contesto. Ora su questa parte, su quel caos di contese su cui Mascariello riaccende la memoria, quel diverbio di tesi, ricette anche autoritarie per il Sud, varrebbe la pena di tornare: non per approdare alla verità ultima, ma per percorrere ipotesi non pretestuose nella prospettiva attuale.

Vengo dunque, l'avevo premesso, ai frammenti sospesi che il libro sparge e non esaurisce. Uno riguarda la prospettiva femminile: sarebbe da riprendere più ampiamente, coinvolta nella parola "coppia" e "madre", ma non solo, ritengo.

Nella Mascariello si affaccia più volte, a mezza bocca, la tentazione di raffigurare la sincronia dei poeti come una vicenda essenziale di coppia amorosa. Poco plausibile, e comunque troppo ovvio, di fronte all'originale profondità raggiunta, specialmente dalla Rosselli nei poemi. A livello di biografia, per altro, nell'appendice alle pp. 119-120 figurano relazioni presunte: con Carlo Levi, con Renato Guttuso, con Mario Tobino. Altra mezza affermazione, non è definito il referente della parola "madre", pur ripetuta: madri come identità individuali, certo, quando si menzionano entro le biografie dei due protagonisti, ma anche parola inopportunamente generalizzata come risorsa salvifica. Madri di identità abissalmente diverse, madre-specchio, concentrata sul figlio quella di Rocco, ma madre-prisma divisiva quella di Amelia. Madri di diversa antropologia: per altro, viene da riflettere su come ci siano conti sospesi con la pagina antiebraica del Paese e che allora dovevano pur avvertirsi.

Non è meramente complanare alla parola "madre" l'altro importante frammento, la "donna": è menzionata spesso come portato essenziale della poesia e dell'universo di Amelia Rosselli (p. 60, p. 61, p. 65, p. 85). La Moscariello ha il merito di sottolineare questo elemento, ma in parte glissa. Certo, nel proporre questo tema in poesia per la Rosselli non fu d'aiuto la folla di intellettuali, tutti nomi maschili, che la accompagnano nei contesti illustrati dal libro, al tempo di Scotellaro e dopo la sua morte. Un tutoraggio soffocante intorno alla poetessa: trovo molto significativo il suo rifiuto ad appoggiare combriccole letterarie, e straordinariamente significativo il fatto di aver scelto, come giorno della sua morte, l'anniversario del suicidio di Sylvia Plath: una consonanza di biografia, di letteratura, di militanza trasversale, di cultura letteraria testimoniata in un panorama Italia-Stati Uniti, che resta eccessivamente elusa.





La Moscariello disegna, intorno al riconoscimento reciproco Scotellaro - Rosselli, la storia del nostro Paese, opportunamente vista come storia di uomini e donne, di memorie e di tradizione, di risorse e di ambiente, anzi proprio di terra roccia acqua: di rispetto e quindi di dignità. È la sua stessa storia, il formarsi della coscienza dall'adolescenza alla maturità di intellettuale, che l'ha condotta ad una sensibilità storica complessa. Quelle intuizioni meriterebbero sviluppi di ricerche specifiche: troppo è accaduto di ripetere i miti e gli stereotipi, troppo poco si interpretano le relazioni del Sud, approdo cosmopolita del Mediterraneo e per un altro al Paese tutto. Prende atto la Moscariello che le narrazioni già note, fino all'epoca della morte di Pasolini, sono ora esaurite e smentite. A me lettrice sembra che sia ora di nuove ricerche: non già revisioni. Due mie obiezioni voglio menzionare. Una, che la mia infanzia in Toscana si è nutrita di incontri provenienti dalla Lucania e più in particolare da Tricarico: dignità e lavoro, tutt'altro che il primitivismo descritto da Carlo Levi. L'altra incongruenza: migliaia di antifascisti (2500, p. 20) destinati dal regime fascista a vivere in Lucania, come misura punitiva a carico di sradicati. Ma per il regime fascista, quale era il piano ed il guadagno? E più in generale, quale si ricostruisce il bilancio civile e militare del Sud, dal primo Dopoguerra, al secondo, ad oggi? Da mettere in conto eccellenze nazionali, come il lucano Luigi Frusci, decorato nel 1938 e nel 1948, sotto regimi diversi. Mi sembrerebbe l'ora, su questi quesiti, di mettere in chiaro i dati, archiviando i miti suggestivi che oscurano la riflessione.

Auspico che il sentire profondo e anticonformista della Moscariello relativo al Sud spinga ad altre ricerche, bussando presso gli storici così che si impegnino a trovare gli archivi adeguati ed una esplicazione ampia.

(Franca Bellucci)

venerdì 12 giugno 2020














Il Romanzo di Campanella di Dante Maffìa
La brace e l’alchimia.
Se si vuole davvero conoscere Campanella, la sua filosofia, le sue profezie, il suo sentire, il suo essere monaco e uomo bisogna leggere Il romanzo di Tommaso Campanella di Dante Maffìa, Ilisso-Rubettino, pagine 169, dicembre 2006. E’ un’opera delicata, armonica a fiato, ampolla di verità, scuro inchiostro di poesia.
E’ bellezza.
Leggerla è come ascoltare una pioggia lieve, nel fogliame il  vento che appena si muove, è pari per vertigine ai Notturni di Chopin,[1] note misurate, quasi aggrappate alla vaghezza di un’onda, tutto è raccontato con immensa dolcezza, posto come se le cose accadute, anche le più terribili, non potevano essere che quelle.

Prima di ripartire , entrarono nella Parrocchia a ringraziare il Signore. Nella chiesa era esposta una Madonna di marmo di Mastro Antonello Gaggini. La Madonna stringeva il Bambino . A Giandomenico l’opera fece impressione: Madre e Figlio sembravano di carne, persone vive.
Era vero che gli avevano sorriso, sussurrato qualcosa? Sulla via del ritorno non si unì alle chiacchiere degli altri paesani, cercava di ricordarsi le parole sussurrate dalla Madonna di ricordare esattamente il sorriso del Cristo. Come era possibile che delle statue parlassero?[2]
Sono granelli di stelle che cadono sulla vita di un fanciullo che si appresta a diventare monaco e a farsi chiamare Tommaso Campanella, spogliandosi alquanto della prima vita, poiché gli studi pazzi gliene avrebbero preparata un’altra  molto intensa e a tratti burrascosa.
Incandescenti sono i luoghi narrati che trovano sposalizio con gli eventi. Quando Giandomenico lascia la sua casa a Stilo, con nel cuore gli affetti più cari, andando incontro al mistero della sua scelta, imposta dal destino, così gli appare il convento domenicano che per primo l’accoglierà: Il convento è un uccellaccio appollaiato sopra una collina; con le prime ombre ha il piglio sinistro di un mostro in agguato. [3]
Le bocche assetate, gli occhi stanchi l’insaziabile sapere, lo scorrere dello sguardo oltre la vista approdano a un simposio di idee, di pensieri, di fatti. La narrazione ha gli stessi movimenti delle onde, le mille sfumature dei mari dei cieli. Una vita scorre, sembra già segnata dall’Onnipotente, nulla possono i piccoli uomini di fronte all’Immenso. Mille roghi per mille  esperienze che partono da una terra resa povera dagli uomini prepotenti e voraci per arrivare fino alla Corte del Re francese che accoglie il fraticello con tutti gli onori. Maffìa ha iniziato il suo romanzo proprio dal dialogo di Tommaso Campanella con il re Luigi, quasi volesse presentarcelo con la sua veste migliore. Il frate  ha il capo che gli duole per il troppo pensare, ha rispetto per l’amico che lo ha protetto ed accolto, dopo infinite peripezie e molti anni di carcere, tramati dalle maldicenze e dall’invidia. Lo incontriamo per la prima volta  nella reggia francese , qui discorre  con il Re Luigi, con Richelieu, come fossero suoi parenti prossimi, ce li presenta con orgoglio  e chiude il romanzo con parole forti e determinanti:” Apparteneva alla famiglia dei più nobili da che furo gli uomini in terra. Dio mette il fiato in menti siffatte per mostrare una briciola della Sua potenza del Suo intelletto e dona le qualitate così grandi, si e no ogni trecento anni”. [4]L’erede  predestinato è il grande Poeta, è colui che sa e ha un cuore grande e onesto. Ecco un lato che  geneticamente  li accomuna, li rende fratelli di sangue.  Geneticamente Maffìa ha aspetti del suo essere che sono simili a quelli del frate domenicano, molti suoi critici parlano della  sua memoria immensa, di un sapere privo di confini, di un uomo che si avvolge e si svolge nei libri, con essi vive, con essi costruisce, con essi parla. Così Tommaso: “… appariva soltanto nell’ora della preghiera comune o all’ora dei pasti : restava in silenzio, pensoso ,assorto come un essere che abita lontano e per caso si trova in mezzo a estranei. I frati cominciavano a prendere le distanze e i superiori a verificare se il giovane domenicano fosse davvero e fino a che punto capace di discostarsi dalla comunità e vivere appartato tra i libri. Studiava dodici ore al giorno , a volte parlava da solo durante la passeggiata o nei corridoi del convento, portava il cibo alla bocca con fare indifferente, borbottava tra sé frasi in latino, in greco, in dialetto calabrese , come un vecchio svampito, incapace di orientarsi dentro se stesso e che si lascia andare a suoni di memorie remote.[5]


E’  storia che questi Titani [6]di Calabria, debbano sedere a tavole regali, senza rinunziare neanche a una briciola della loro dignità o del loro essere. Mi sono chiesta in che rapporto di immensità, Maffia  è con le altre grandi anime della terra calabra? E’ egli inserito da par suo tra i più grandi di questo cielo stellato?  Certo è che tutti loro sono le onde anomale che rompono i tragitti tediosi, spaccano le zolle, sono  demoni e uomini ,divinità e dolore.  Certo, senza accademismi, ha saputo, Maffìa, in quest’opera, portare la sua poesia e il suo pensiero a livelli  ineguagliabili.
Interessanti sono le parole di Norberto Bobbio in merito a questo capolavoro: “: Maffìa riesce a suscitare nel lettore un senso di meraviglia insistendo sull´infanzia e l´adolescenza del filosofo, sulla miseria della sua terra, sull´apprendimento senza maestri, sulla memoria favolosa». E sembra di vederla, «quella figura tozza» da cui «verità e conoscenza sprizzavano con la naturalezza con cui una polla d´acqua sbuca dal foro di una roccia”.
Questo romanzo fascinoso, altero e umile ci permette di conoscere da vicino il grande filosofo, amante e difensore  della filosofia di Telesio (patì molte pene, per aver  difeso il suo amico e maestro); nelle pagine si insegue  la conoscenza del Domenicano, come essa  sia man mano cresciuta nella consapevolezza della  conversazione, nel confronto umano con Dio e la Natura,  alla quale conoscenza neanche il protagonista riesce a mettere limiti, ad arginare, anzi c’è un piacere immenso che lo invade, un fremito  maturato già sui pascoli di Stilo, ragionato con gli uccelli e le pecore che il pastorello guidava nei prati. C'è un'arsura, un desiderio di acqua che invade il racconto  dall’inizio alla fine. L’arsura e la miseria appartengono   anche ai luoghi e alla povera gente di Stilo. Rimandato a casa dal convento, Tommaso guarda ora i luoghi natii con gli occhi dell’uomo, non più del fanciullo: “Per scendere all’Arcivescovado ,attraversò i vecchi viottoli di sua conoscenza, tra i campi aridi e brulli per la siccità; alcune fonti s’erano disseccate, nel greto delle fiumare v’era qualche oleandro, ma senza più un filo d’acqua e le poche mucche sembravano essere sopravvissute alla fame più nera. S’era fermato a parlare con qualche contadino per sapere di più su quell’abbandono…”  La pietà per le condizioni della sua gente è troppo grande, il fraticello si interroga sul perché non si siano ribellati alle “canaglie” che rubano anche quel poco che la natura avara ha salvato  per la loro sopravvivenza. Da questo immenso dolore nasce “ La città del Sole”[7], un luogo dove tutti possano vivere felici e dove la giustizia pervade la storia. Quest’opera non è utopia, Campanella capeggerà una rivolta contro gli spagnoli, una ribellione convinta, metterà in atto i contenuti delle sue opere e del suo pensiero, mai delegati al solo aspetto didattico, politico, filosofico, poetico. Il fraticello riuscì a convincere quel popolo sparso e confuso e gli ridiede (seppur per poco) la dignità.   Maffià ci guida in un mondo che è quello dei poeti, realissimo e nel contempo intriso di alchimie e di mistero, così è per Frate Tommaso, queste corde sono vissute con generosa umanità, con un’intensa capacità di calarsi totalmente, con tutto se stesso, nel caldo e impuro fluire della vita”[8] come se insieme al frate si raccogliessero, in quelle terre assetate di acqua, le idee, i princìpi, le reazioni, i cambiamenti, i valori, la rivolta.
Esistono convergenze luminose tra chi scrive il racconto e il frate, ed è vero, ma non c’è assolutamente la volontà di Maffìa di  identificazione con la  vita e la storia umana e culturale dell’arguto fraticello. E’ interessante soffermarci su questo punto: abbiamo notato fin dall’inizio del romanzo, non solo un atteggiamento fraterno del grande poeta con il filosofo, ma anche una chiara volontà matura che si irradia al di sopra di tutte le cose narrate. La natura, i processi ai quali il fraticello è sottoposto, il carcere, le  umiliazioni, la grande memoria, la povertà, l’orgoglio e la forza di vivere secondo i principi sacri di libertà, non sono semplici apparentamenti a un modo di vivere o un modo di guardare la vita, ma sono palpitanti, vivono mille atmosfere che possono intuarsi nel sole, negli animali, nel canto degli uccelli, nel fetore dei sotterranei, nei sentimenti di amicizia, nell’odio immotivato contro la grandezza, la bellezza e l’intelligenza.  C’ è al di là della storia un Iperuranio che sbarca sulla terra , si fa tenerezza per la grande potente mente che Dio ha creato, che gli uomini piccoli temono e la scambiano per poteri demoniaci. L’opera di Maffìa ci fa comprendere anche a noi che cosa significhi essere grandi, essere così vicini alla divinità da sconvolgere un mondo piccolo, piccolo, fatto da zoticoni, opportunisti, galeotti. Né Maffià, né , dunque, Campanella giudicano il mondo, ma non l’accettano, sono altro, ed essere altro dal mondo può costare molto caro. Maffìa  ci ha consegnato con grazia, quasi Dante che ci parla di Beatrice, la personalità di Campanella, ci ha molto descritto la vita e i pensieri del fanciullo e dell’uomo; c’è un percorso di meditazione che parte dalle cose e dagli ambienti per non avere fine, viaggia in stratosfere d’Infinito, in una purezza e gentilezza d’animo che non permette di odiare il malvagio, anzi questo viene guardato, neanche scorto, come colui che col tempo, potrà capire. E’ un comportamento questo che accomuna Campanella a Giordano Bruno, anche il Fiammeggiante spiegò, volle far capire ai suoi aguzzini  qual è la strada della verità. La verità è levità, è  stupore di fronte alla bellezza del mondo ,è il saper cogliere senza sofismi, in ogni granello la divinità. Dominante è l’ardita frenesia della conoscenza, la capacità di ambientarsi in luoghi sconosciuti, in ambienti in cui l’uomo è tutto: è natura, passione, amore, ribellione, rivolta armata contro le ingiustizie, le mediocrità, la volgarità dei signori di Spagna che divorano vite, che calpestano senza pietà le esistenze degli umili. La scrittura di Maffia affascinante, tessuta in tenera poesia ci ha reso questo personaggio attualissimo, ce lo ha  regalato con i suoi pensieri più reconditi, chi non legge questo libro non conoscerà abbastanza  Campanella. Con garbo ci guida  non solo a scoprire i suoi pensieri, ma come essi crescono nella mente del filosofo, si ampliano a dismisura, fino a divenire temerari, fattivi, rivoluzionari. Maffìa, come solo i grandi scrittori sanno cogliere, ha fatto di questo romanzo un’opera d’arte, mi sono spessa soffermata più volte a leggere delle pagine, dei periodi così luminosi, così immortali da farsi attraversare dalla luce in ogni suo splendore.
Carmen Moscariello


[1] Nocturne in B flatminor, op.1,2;
[2] Opera cit. pg25;
[3] Dante Maffìa, Il romanzo di Tommaso Campanella, pg 37;
[4] Opera citata, pg 169 E’ il Priore di San Giacomo a pronunziare queste parole,  commosso al funerale di Tommaso  avvenuto a Parigi alla presenza del re il 21 maggio 1639;
[5] Opera citata, pg 44;
[6] Τιτάνες, ,La Teogonia di Esiodo ;
[7] Tommaso Campanella, La città del Sole, a cura di Franco Mollia, Mondadori 1991;
[8] Claudio Magris: Capace di nuda essenzialità e di freschezza primordiale, Maffia è poeta doctus: la sua opera comprende la lirica come il romanzo, la saggistica e la critica. Scrittore che si situa all’incrocio di molte frontiere, Maffia si è confrontato con tante voci della letteratura contemporanea e con i nodi centrali della modernità, una delle caratteristiche più felici è la competenza di sottile e agguerrita coscienza critica, attenta alle ragioni storiche e allo sgomento del divenire, e fantasia mitica, pervasa dal senso dell’immutabile unità dell’essere. Entrambe queste corde sono vissute con generosa umanità, con un’intensa capacità di calarsi totalmente, con tutto se stesso, nel caldo e impuro fluire della vita”.