martedì 23 novembre 2021

Premio per la Legalità contro le mafie . Oltre la paura di Saverio Angiulli Secondo classificato


 Oltre la paura di Saverio Angiulli

 

Un saggio che indaga e presenta il fenomeno mafioso, con richiami storici sulle condotte della politica, sugli illeciti, l’omertà, i conti utilizzati dalla mafia per la negoziazione, il contrabbando di tabacco e il traffico di droga.

Un excursus dettagliato e documentato in modo certosino, sul fenomeno del pentitismo, sulle uccisioni e l’azione di uomini d’onore e personaggi di spicco di Cosa Nostra; sull’impegno profuso dalle forze dell’ordine e il giornalismo; sulla professionalità di settori di polizia e magistratura che hanno permesso, attraverso un percorso impegnativo, di venire a capo e svelare realtà mostruose di estese organizzazioni criminali che hanno il controllo sul territorio nazionale e internazionale. In risalto le indagini e l'azione di contrasto da parte di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le figure di questi due uomini che resteranno indelebili nella memoria collettiva come esempio morale e civico.

Un testo che affonda la penna in modo incisivo sullevoluzione nel tempo della criminalità organizzata, sulle lobbie che detengono fette di potere.

Un saggio, un percorso culturale che vuole ricercare la verità: che ha riportato e documentato cronologicamente i delitti di mafia; gli ultimi aggiornamenti sulle indagini e sui processi riguardanti le stragi di Capaci e di via D'Amelio.

Un autore completo degno di lode, per le sue approfondite competenze e il suo sguardo attento su un ventaglio di fenomeni che riguardano la storia del mondo

Vincitore assoluto del Premio Tulliola-Renato Filippelli - sezione Poesia è Marco Onofrio con "Anatomia del vuoto"


 Il poeta si interroga sul vuoto esistenziale e su suoi silenzi/misteri. Sperimenta linguaggio e cammino con occhio di eterno viaggiatore.  Seziona i tessuti del dubbio e delle assenze, talvolta prossimi al nulla. Sutura le ferite lacere e sanguinanti  dello smarrimento e degli interrogativi con  bisturi  di parole, che causticano o anestetizzano. La sua scrittura/poesia - rimanendo nel campo della medicina - si apprezza come salutare fisiopatologia, che sa trarre dalle resistenze di cuore e mente  la forza rigenerativa e le  risorse attrattive dell'amore, sempre possibili di nuova umanità e futuro. Un  travaso dall'intimo per altri echi..

Fiori di mandorlo per la ragazza fantasma di Carlo Bramanti

 Sezione Narrativa.

Secondo classificato


1)      “Fiori di mandorlo per la ragazza fantasma”

 di Carlo Bramanti – casa editrice Kimerik

Con la motivazione che l’autore in una esposizione chiara, semplice ed emotivamente forte ha messo in risalto, in un connubio delicato altamente poetico e pertanto fortemente simbolico, il sentimento e l’anima nuda dell’uomo con l’atrocità della realtà umana.

Una storia d’amore delicata, impossibile e piena di sentimento viene annichilita da una realtà drammatica dove l’interesse ed il profitto estremo produce l’annientamento dell’umanità.

I valori della convivenza, della capacità umana di creare un universo sensibile fatto di sentimenti profondi deve fare i conti con una divinità che osteggia l’uomo, quel profitto, quell’aspetto della modernità che si dona al dio denaro che in tutta la storia dell’uomo ha prodotto miserie e tragedie.

domenica 14 novembre 2021

Nota critica di Carmen Moscariello sulla poesia di Giuseppe Iuliano

 

Di Carmen Moscariello

Il  Raggismo è logos

Giuseppe Iuliano  è un poeta che pubblica opere di estrema finezza e sensibilità da più di quarant’anni. La sua Poesia ha trovato nel tempo importanti estimatori ; lì, nell’Irpinia dove vive, è un faro. Il suo logos trova radici solide in quei monti aspri, un tempo abitati dai lupi, in popolazioni alle quali la pazienza ha cucito una corona di spine. Non penso che la sua poesia possa vivere senza questo sangue acido che chi appartiene a questi luoghi deve “farsi”  per mantenere intatti la forza , l’orgoglio, la speranza. Questo “vento di fronda”  non è cosa di poco conto: nella Poesia di Peppino, spesso i versi si trasformano in coltelli ben molati per tagliare anche le venuzze più profonde: E’ da tempo che sono cecchino/di parole assassine. Insomma, chi si pone di fronte a questa scrittura non può pensare di fare un excursus e voltare pagina, qui c’è la vita e la morte, qui c’è il dolore, l’amarezza della speranza eternamente delusa. Manca la gioia, essa è un privilegio che non appartiene al Poeta, saprebbe di falsità, poiché chi scrive ha il cuore  calloso che ha seppellito e disseppellito molteplici  asce: E’ ancora sibilo, serpente nascosto/che striscia nelle viscere e le rivolta./Urlo di terra_spasimostrazio-/trascina nel vortice sotterra  i presepi/ e ferisce i santi e le cento chiese.[1]Nonostante il dolore c’ è la volontà  del poeta di scuotere e ridare vita a chi muore e a chi è infradiciato dal cancro dell’indifferenza, dove l’anima è un antico ricordo e se si volesse  incontrarla dovremmo  prendere gli   antichi Vangeli o la grande filosofia del mondo greco. Il padre, il figlio, il filosofo e lo stesso poeta debbono essere ottimi nocchieri per non inabissarsi anch’essi. Così è per Peppino Iuliano, egli è un ottimo scalatore di cime silenziose e nel contempo attraversate nella loro pancia dal mugghiare  di onde magnetiche e demoniache , che,  ad ogni cadenza stabilita o no,  sono  pronte a sventrare la vita ancestrale di quei paesi- presepe che vivono di abbandoni e usurpazione. Questa terra ardente dove Marte ha fatto il nido è il libro di lettura dal quale il poeta attinge, né il suo essere credente nella potenza di Dio creatore attenua o ammolla la sua visione logica del mondo. Ogni particella, ogni atomo di pensiero trova sistemazione in un legame  rigoroso e inattaccabile, essa è raggiera dalla  quale tutto si sprigiona per illuminare il  cuore di tutti quelli che si avvicinano ai suoi versi: qui si verifica uno strano sortilegio,  ci si sente quasi irradiati dal suo logos, condotti in un mondo di coraggio e di protesta: Scavo nei lacerti/e mi ritrovo con mani tremanti/ a disegnare croci/traiettorie di pietà/pratica cristiana da imitare/per noi ciurmaglia/nella quiete del perdono/Ricordo Mammella [2]le tue litanie severe antiche/come la tua bocca sdendata/di latino acciso/voce avara di bestemmie/prodiga di pazienza….. Anche lo sdegno mi avvampa./l’altra voce, la mia/è fuoco di fila che si sfoga/e s’arrende nel rifugio dell’anima/in un’arrangiata preghiera.. [3]. La parola irradia pietre e trova radici armoniche di chi con pazienza e amore ha creduto e  comunque ama la vita. Lo sdegno per l’indifferenza dimostrata per questo mondo lontano e presente   si aduna nella sua poesia, essa non è mai banale speranza, piuttosto furia di pietre, saetta di raggi ,che  la disperazione e l’impossibilità di poter cambiare il mondo e le cose, illuminano chi ancora possiede un’anima e soffre dello stesso dolore. Direi che la poesia di Iuliano è una lotta aspra contro il demonio che è qui determinato dalla miseria economica, dall’obbligo ieri, come oggi, di abbandonare quelle terre e cercare altrove la fortuna. Egli è forte come i castagneti della terra irpina, concreto come tutti i quelli che si levano all’alba per il loro tozzo di pane,  come essi è padre doloroso, messo lì dal buon Dio a difesa di quelle popolazioni selvatiche, affinchè  il canto dolce, scocchi come dardo ardente e  penetri anche negli abissi  scavati da quei movimenti selvatici , da quei terremoti a cui la terra e la gente è sottomessa. Chi ha visto, mentre fuggiva al riparo dei castagneti, congiungersi i tetti dagli opposti lati e perdere il cielo in un unico urlo della madre e dei figli che cercavano scampo tra una scossa e l’altra, non può che appartenere alle  porte dell’Ade, che  lì sono molteplici e si aprono e chiudono a piacimento.  Questo Poeta che Francesco D’Episcopo chiama per onorarlo poeta Meridiano, dandogli uno scettro di comando per la difesa di tutti i miseri e gli abbandonati del mondo, elogia questa poesia che non è solo impeto, ma generosità d’amore. Il poeta senza trono , è esperto di dolore e di lotte spesso mortali, pronto a caricarsi sulle spalle il dolore del mondo: Amica ritorna la voce tra silenzio e pianto/ed apre le portedel cuore come tende di Giacobbe./tra scarti di grano e sorsi di vino acido/è mio il dolore degli uomini.  E’ questo il destino, infine,  dell’autentico uomo-poeta: non  giocare con le sillabe, ma saettare il fuoco vivo che non gli permette riposo. Egli è così, ,come a sito decreto[4], la voce di tutti quelli che non hanno voce. Essa si leva alta: denunzia corruzione e malaffare, evidenzia senza paura o timore i lai dei dannati: Invidio la mano felice/che anima strisce di murales/manifesti color verde oro/affreschi impasto rosso sangue. Stendo murales di parole e segni/e vi scorgo verbi senza bocca/Voci senza volto./Costretto da un’inquieta fatica/ mi tocca prendere tutto alla lettera.[5]L’itinerarium mentis in Deo  è un tragitto difficile, non privo di cadute, lì l’Irpinia devota si inerpica sui santuari di dolore e le litanie salgono al cielo affinchè gli dei si plachino e diano finalmente pace. L’uomo irpino ,in particolare i nostri padri temevano la calma e i cieli stellati, certi che per essi non c’era pace, sapevano che la natura si  sarebbe improvvisamente e furiosamente svegliata  per portare dolore e morte. Questa sera di novembre/ di nessun autunno qui da noi/malo segno per vecchi savi/che leggono stranezze del tempo/con occhi di veggenza/Che pace rubata al sogno/questo giorno di tanto sole/che ti sbraca torpido e ti ubriaca/carne e sudore! Almeno un premio_-giusto atteso premio-/a questa terra di venti scrosci e geli/che bruciano ossa e midollo/ e annate di raccolti./Dolce sera non duri./ Sbotti in fragore e schianti/poi sprofondi./ Funesta vertigine rovesci la terra/ e pazza e incosciente uccidi/Silenzio di un minuto senza scampo/che pare eterno/che diventa eterno/che geme e urla ad altro silenzio/Ballo tarantolato senza musica/Ballo di terra e canto di dolore/Monti d’Irpinia, monte Calvario a più croci.[6]

 

 



 

[2] Nel gergo irpino significa nonna

[3]Rosso a sera  Segni e sdegni, pg 68,Delta3.

[4] Dante, Paradiso, cantoI, verso 124.

[5] Op. cit, Rosso sera,  pag 66

[6] Verso la cruna,Terrae motus Storia e Storie, pg.35Altrirpinia edizione.