martedì 30 agosto 2022


"Per Manu" " di  Antonella Prudente- Opera di Poesia.



Prefazione all'opera di Carmen Moscariello



Gli archetipi del pensiero  

 

 

Questi versi di Antonella Prudente dedicati alla figlia appena nata, non sono una ninna nanna, come invece ci aspettavamo. Sono occhi aperti sul dolore della vita. Sono un’esperienza di affannosa ricerca affinché l’amore, tutto l’amore possa camminare in fuochi di speranza. Non so se questo credo raggiunga i suoi effetti, troppo saggio lo sguardo sull’esistenza. Non sfugge nulla , si cerca negli abissi quel filo bianco , quel cesto di gelsomini, quell’augurio delle fate affinché alla giovane vita tutto venga donato. Quello che sorprende e affascina in questa versi è quel cordone ombelicale che seppur tagliato, continuerà a travasare linfa vitale, dolci carezze, infinito ed eterno amore. Il fascino della nascita qui è anche preghiera, volontà di cercare strade che siano di pace, di abbracci, di legami. Antonella è una grande quercia, è uno di quegli alberi di montagna che il vento difficilmente potrà sradicare, che i venti avversi potranno produrre solo altra poesia e musica, e carezze e desideri di essere con lei. Questi versi sono poesie scritte circa venti anni fa, scoperte ora, ritrovate, affinché la figlia sappia tutto il suo amore, tutte le sue ansie, tutto il fervore e la gioia che ha accompagnato questa santa nascita. Anche la costruzione del verso che all’inizio può sembrare aguzza, poi ti conquista, ti attira nel mistero della vita di quella che ora è e di quella che sarà. In certi spartiti ho creduto di trovare quella levità e quel candore che è dei poeti del Dolce Stil Novo.

Questo passaggio di consegne è di madre in figlia, dalle ginocchia e dall’abbraccio dell’anziana madre della poetessa, all’abbraccio di una nuova generazione in cui si ripone e si realizza il desiderio d’infinito, un cammino che è anche di dolcezza, di unione, di forte unione., inscindibile unione madre- figlia, così in eterno il calice delicato del fiore che avvolge e contiene…che protegge!.

 

 

Carmen Moscariello


sabato 20 agosto 2022

"Ospite sulla nave di Gheddafi" di Carmen Moscariello

 













Ospite sulla nave di Gheddafi

Di Carmen Moscariello

 

Quel viaggio l’aveva sempre affascinata.

I fiordi sono come un abbraccio, tanti fiori e le casette nella quali aveva sognato di abitare fin da bambina.

Un luogo che era già annidato, come tante altre cose, come tanti altri luoghi e persone nelle sue precedenti vite, da esse  affioravano e le chiedevano ragione del freddo, dell’amore, di Dio, delle sue ricerche di donna libera.

Circa 20 anni fa era partita per il Polo Nord, il viaggio seppur bellissimo per tanti aspetti era stato un disastro. Aveva preso un aereo ad Amsterdam che  l’aveva posata con una ventina di persone su un palmo di terra al Polo Nord ,  aveva avuto l’impressione che l’aereo atterrasse sulle acque gelide. La luce era accecante faceva male agli occhi, non sapeva che fra qualche giorno l’avrebbe rimpianta. Il periodo scelto era tra i più difficili, tra poco vedere il sole naufragare nel mare sarebbe stata un’inutile speranza. Poi la follia di scendere dal Mare del Nord verso i paesi del Mar Baltico con i postali, questi erano piccole navi fornite di rompighiaccio, adibite a portare la posta agli abitanti dei fiordi,  si infilavano in essi e ne uscivano con grande maestria per poi proseguire il loro viaggio fino all’Estonia. Era fantastico, ma  le acque di quel mare, anche quelle del mar Baltico spesso le apparivano tetre, un colore mai visto, tra il nero, il grigio e le onde  alte oltre i cinque metri. Per molti giorni aveva sofferto il mal di mare e aveva creduto di morire. Lei in cabina e gli avventori, per la maggior parte del posto, mangiavano aringhe affumicate e bevevano birra fin dalle sette del mattino, gli apparvero insaziabili, per  loro quel mare era una carezza.[1]Così pian piano dalla punta più alta scendeva dai fiordi verso la Norvegia, l’Islanda e la Germania. Un viaggio “al contrario”. Ancora oggi si chiedeva come aveva potuto realizzare un’idea così malsana.

 Poi in tempi recenti, un desiderio di purezza, di trasparenza, di fresco, di lontananza l’aveva portata a prenotare in una mattinata di folle caldo questo viaggio. Il primo approdo fu  all’ aeroporto di Helsinki, lì aspettò la nave (non i postali) per due giorni, visitare la città fu un’esperienza indimenticabile. Aveva lasciato la sua terra tormentata dagli incendi  e con una puzza di fumo stomachevole. Difficile raccontare il travaso di anime dannate nei luoghi in cui viveva che aumentavano il caos in folli corse in milioni di macchine verso le spiagge. Qui , ad Helsinki era così bello, i concerti per le strade attiravano la sua attenzione facendole dimenticare ogni cosa. Pochissime le persone per strada, ovunque andava era coccolata ed amata, come se fosse tornata in una terra che  l’aspettava da tempo . La temperatura qui non superava i dodici gradi. La mattina dopo aveva l’imbarco alle 10. Scoprì che Helsinki aveva decine di porti e fu costretta a chiamare la compagnia  per sapere da quale porto partiva la sua nave. Alle 13 le avevano già assegnata un bellissima cabina al tredicesimo ponte, la nave era immensa erano 3000 passeggeri e 2500 uomini dell’equipaggio. Tutto era ovattato .Il personale era gentile e professionalmente perfetto. La nave di notte navigava e correva come un cavallo di razza. Si partiva alle 19, si viaggiava di notte e si sbarcava alle sette del mattino per nuove escursioni in terra ferma. Il mare le appariva così duro e amaro, ma  veniva tagliato dalla nave, come se le acque fossero burro, essa riusciva ad entrare nei fiordi come in un vestito aderente.     






Lei restava durante gli approdi a guardare gli ormeggi, senza fiato , pensava che prima o poi sarebbe avvenuto qualcosa di grave, solo qualche volta la nave rimaneva ad attenderli e a dondolarsi nelle parte più larghe dei fiordi, scendevano nelle scialuppe e in breve approdavamo sulla terra ferma. I fiordi, erano uno più bello dell’altro. La visita era a piedi, a volte le escursioni duravano più di sei ore. Nel pomeriggio alle diciassette,  le scialuppe li attendevano, facevano decine di viaggi per ricaricare  tutti i passeggeri e  partire  alle 19 in punto  per un nuovo fiordo. Comprese  al fine come era possibile che una nave così immensa  potesse inserirsi nei fiordi e viaggiare come  una moto d’acqua. A farle capire qualcosa furono gli arredamenti, le opere d’arte che arricchivano la nave. Poi  gli oggetti le ricordavano sempre di più il mondo arabo. Lei aveva viaggiato più volte con quella compagnia , ma questa nave era diversa da tutte le altre . Si camminava e ci si muoveva come tra le nuvole. Tutto era studiato affinché il mare potente e violento non arrecasse fastidii agli avventori. A farle capire molte cose furono i quadri, avevano immagini africane che esaltavano la cultura di quel popolo  del deserto. Andò a documentarsi e scoprì che questa era la nave di Gheddafi, il figlio del dittatore Annibal curatore della flotta navale libica, l’aveva costruita per il padre ed era dotata di motori particolari, di un’agilità che la faceva rassomigliare a un aereo, ma  è più giusto dire ad un delfino, si confondeva con questi meravigliosi animali che a volte la  inseguivano per ore, senza possibilità di raggiungerla. I luoghi di divertimento avevano ancora una certa severità. Notò che alcune piscine poste all’esterno, avevano forme capienti molto particolari, apprese che quelle erano state destinate agli squali e potevano contenere centoventi tonnellate di acqua di mare. L’aveva chiamata “Fenicia, c’erano colonne e statue alte molti metri, i soffitti dei saloni raggiungevano i venti metri e statue neoclassiche addobbavano ogni angolo della nave. Era una nave di centoquarantamila tonnellate ed era progettata anche con una piattaforma per la partenza e l’atterraggio di piccoli aerei. Soprattutto era velocissima, ad ogni pericolo poteva volare come il vento e mimetizzarsi. Oggi le sue sale  ospitavano cantanti e musicisti provenienti da tutto il mondo. Durante la navigazione si poteva andare a teatro, applaudire  bellissimi ballerini brasiliani (c’era il meglio di ogni popolo), pranzare in sale meravigliose con cuochi di ogni nazione . Correre e mantenersi in forma sui ponti della nave e in grandiose palestre, godere di cure per il benessere del  corpo e della mente, eppure non riusciva a liberarsi del pensiero di Gheddafi, aveva paura che le comparisse davanti da un momento all’altro, per  gettarli tutti o in bocca agli squali o nelle acque gelide e nere del Mare del Nord e del mar  Baltico. Programmava , per allontanare la paura, le sue discese a Lubecca, nella casa dei nonni di Thomas Mann, casa oggi trasformata in un magnifico museo, o visitare le mura antiche della città di Tallinn, un museo sotto il cielo, oppure nei saloni della reggia fatta costruire da Pietro il Grande per la moglie Katerina  imperatrice di tutte le Russie, o ad  Oslo, dove  vedere finalmente nel museo dedicato a Edvard Munch “L’urlo”.

(“Ospite sulla nave di Gheddafi” di Carmen Moscariello, opera in pubblicazione.)

 



[1] Molti anni fa, per un breve periodo “il Tempo” dedicava un’intera pagina perché Walter Mauro  e Carmen Moscariello e altri giornalisti potessero narrare le loro esperienze di viaggio.

lunedì 1 agosto 2022

Quotidiano del Sud "Fratelli tutti" di Carmen Moscariello




 



Il Poeta Peppino Iuliano scrive su Fratelli tutti di Carmen Moscariello Gangemi Editore. Lo scritto è tratto dal Quotidiano del Sud 16 luglio 2022.

 

 

 

 

 

Fratelli tutti, la regola dell’a m o re Un libro che si “fa memoria” dell’incontro con San Charles de Foucauld Charles de Foucauld tra i Tuareg del deserto ai confini col Marocco Il volume Il romanzo di Moscariello sulle tracce del fraticello del deserto” eletto agli onori degli altari dal Papa Giuseppe Iuliano C i sono libri che, oltre ad esaltare la bellezza della scrittura, sanno coniugare poesia e memoria; e, di essi, alcuni valgono vocazione e testimonianza, riuscendo a spingersi fino alla conversione. Libri di indagine e scandaglio, di coscienze laiche e della loro forza morale ma anche di anime inquiete e fervorose alla ricerca della eterna Gerusalemme. E se l’Asia è la culla delle religioni, l’Africa, continente degli ultimi, degli invisibili, si conferma eterna terra di mission. Con questi avvisi ci giunge la novità del libro Fratelli tutti(Gan - gemi Editore, 2022) della scrittrice irpino/formiana Carmen Moscariello, un’incredibile storia vera ma anche il romanzo dell’amore sociale. Un libro/album – una composita antologia narrativo/fotografica - nato sulle tracce di Charles de Foucauld (1858-1916), il “fra - ticello del deserto” eletto agli onori degli altari da papa Francesco (15 maggio 2022), che svolse il suo apostolato tra le popolazioni tuareg ai confini di Marocco e Algeria e che di “fratelli tutti” fece regola nella sua congregazione: “virtù dell’umiltà” e “centralità della povertà”. Deserto e desertificazione, luogo fisico e mentale. Nel racconto della Moscariello il suo attraversamento è reale e familiare, vissuto assieme alle figlie Lara e Silvia tra le antiche rotte dell’Ahaggar fino all’hermitage del Santo nei pressi di Assekrem. Un itinerario che non si risolve in “un libro di studio” della Nostra ma piuttosto in un libro che si “fa memoria” dell’“incontro con San Charles de Foucauld, […] per “far germogliare la sua gioia credente” - così Padre Andrea Mandonico, Vice-Postulatore della causa di canonizzazione e il deserto e le sue piste, luoghi d’erranza, si confermano momenti per “disancorarsi, in un viaggio che sfiora la morte”. Leggenda vuole – sottolinea la scrittrice – che i Tuareg, provenienti dall’isola di Atlantide e scampati in pochi al suo affondamento, siano “i più grandi conoscitori del Sahara… i più temuti predoni e i più bravi addestratori di cammelli. Non a caso, erano chiamati i Signori del deserto”. Il libro, ricco di connotazioni geografico-antropologiche, ha aspetti meditativi – anzi, come da felice aforisma della Moscariello, contempl-attivi – intesi alla riconciliazione del mondo/anima. O più adeguatamente in senso opposto, dalla dispersione dell’anima tra vuoti, sbandi e solitudini verso i figli del mondo. Così de Foucauld dalla Francia al Marocco, a Nazareth, alla Trappa, al Sahara. Seguace e imitatore della vita di Cristo, conoscitore delle guerre coloniali, coltivò la pace incoraggiando il confronto tra islamismo e cristianesimo. Esploratore, cartografo di grande valenza, fine umanista – ri - cordiamo tra le sue opere Reco - naissance au Maroc, Chants touaregs – tradusse il Vangelo in tuareg ma la sua evangelizzazione fu più quella dell’amore che della Buona novella. Edificare una “città del sole” per un mondo di luce che, pur incappando in tante cadute, avrebbe dovuto continuare ad operare e credere nella rinascita. Così la sua missione fino all’estre - mo sacrificio. Un libro di più orizzonti e coordinate, come lo definisce Marcello Carlino in prefazione: un orientamento verticale dalle asperità della sabbia alla gloria del Cielo ma anche una direzione orizzontale per quegli afflati umani che trovano consonanza nella reciprocità, nella fraternità appunto che è condivisione di comuni destini. Ce lo spiega la stessa Moscariello: “Fratelli tutti forse trae spunto dagli scritti del Poverello d’Assisi e in particolare dalle Ammonizio - ni di San Francesco: “Guardiamo, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce”. E tanto si impreziosisce, poi, del pensiero e dell’esempio di Père Charles. Nel libro troviamo nuove appendici de La mia Africa (struggente film di Pollack del 1985). Africa, madre dell’umanità con la staffetta Meryl Streep/Carmen Moscariello. Due viaggi/pellegrinaggi, intensi, oltre ogni finzione filmica o letteraria; ognuno con le sue incertezze inquiete o paniche, ma anche adattative; ognuno in attesa della sua redenzione (sempre prossima ai valori della solidarietà e dello spirito). Siamo partecipi di una salvezza reale che esplora e misura la storia. E di un’altra misterica, carica di idealità, che vuole avvicinare la realtà a Dio. Chi ha fede non ha paura e “sposta le montagne” (Marco 11,22). Convinzioni, entusiasmi, dottrine agiscono in modo rivoluzionario dentro ed oltre il possibile. L’unica certezza resta quella dello spirito che incoraggia i senza voce e le loro carovane nomadi o stanziali: un mondo dagli occhi ardenti, spalancati, indagatori, immensi. Moscariello è una scrittrice vivace e immaginosa, delicata come un bucaneve e tenace come un giglio della montagna irpina; ma sa librarsi anche come un falco dei Picentini – consi - dera i rapaci “portatori di bene” – che sa sfidare vastità ed orizzonti. E l’incontro/svelamento, verità tra buio e luce, dolcezza e selvaticità, poesia e silenzio, aiuta ad uscire dal vecchio guscio: “ero nomade e apolide dalla nascita, orbitavo nella galassia come una cometa e le mie rotte mutavano al sorgere del sole e al suo tramonto”. Il deserto è stupore e paura; raccoglie e disperde; “ha tante voci, ombre corte e ombre lunghe, possiede in ogni granello di sabbia l’illimite”. La sua immensità e il suo pieno/vuoto - asperità e aridità trasferite nella vita degli uomini - diventano metafora della loro mancanza di ideali che Nietzsche chiama “crescita del deserto”. La nostra società dolente e le sue continue erosioni necessitano di argini più robusti per evitare cedimenti o tracimazioni. A volte anche la sola forza del vento con le sue “danze irrefrenabili” può mutare la natura e gli eventi. La scrittura di Moscariello ne è algoritmo. Tra páthos e téchne ci irretiscono la bellezza misteriosa del paesaggio magrebino, i tramonti rosso-arancio del deserto, in cui “i cammelli erano anch’essi statue di sabbia e si muovevano appena, impercepibile il loro dondolarsi, solo le code rompevano il vento. L’unico suono era il mio passo leggero e un fiato caldo che cresceva nel suo ululato”. Prosa e poesia ci accompagnano: fondali e arabeschi, ombre ostili, rifrazioni accecanti, natura cruda e cangiante; arcani e trepidazioni; gamme di colori cangianti; costumi dalle dominanze indaco-azzurre; spezie e profumi; monili di ogni foggia e bellezza. La scoperta di questa parte di mondo porta con sé l’altra faccia della medaglia, ovvero sacrificio e riscatto, perché “colloquiare con la croce”, icona della sofferenza, “acco - glie le miserie” e “sana le ferite”; restituisce all’uo - mo pozzi d’acqua e oasi di pace. Tra “granelli di mansuetudine, piccoli passi” ci “avvicinano a Dio” e alla comprensione degli uomini. Noi dell’Alta Irpinia, pur essa area di marginalità e desertificazione, accogliamo il libro/messaggio di Carmen Moscariello. E qui al Goleto, luogo dello spirito, abbiamo apprezzato per anni il servizio della comunità Piccoli Fratelli di Jesus Caritas, oggi rientrata all’abbazia di Sassovivo. Questo nostro lembo di terra guarda con perseveranza verso tutti gli orizzonti dell’universo, che è civiltà dei viventi.

Peppino Iuliano