Riflessioni
di Carmen Moscariello
Quando ci
penso, che il tempo è passato,
le vecchie
madri che ci hanno portato,
poi le
ragazze, che furono amore,
e poi le
mogli, le figlie, le nuore,
femmina
penso se penso a una gioia:
Sono versi
del più dissacrante poeta del nostro tempo.
Edoardo
Sanguineti il rivoluzionario del verso, principale e ardito membro del Gruppo
63, anarchico della parola, che in giro prende la vita e il suo banale nulla
quotidiano; neanch’egli riesce a sottrarsi al romantico bello della donna nei
suoi differenti parametri di madre, moglie e figlia(sic).
Qui , però vogliamo
occuparci di alcuni poeti meridionali
che hanno costruito una parte del loro
poetare cantando la donna e con essa
l’amore. Come gli Stilnovisti con stile e rigore, eleganza della parola
poetica, hanno posto la Dea-Donna a guardia del focolare della grazia.
Il demiurgo
della vita li ha ispirati, coinvolti e stravolti, dando vita a pagine delicate, passionali, facendo
diventare la protagonista regina della nona sinfonia di Gustav Mahler
Versi
struggenti o anarchici: in nenie di terra, di sole e di grano nella
poesia di Filippelli; costruita in fili di gomitolo o con mantello di cane per
Ugo Piscopo;
o ritrovarla nell’amore candido e giovane di Rocco Scotellaro, il Poeta –contadino,
il sindaco socialista di Tricarico, che
si innamorò della donna elegante e raffinata, poeta anch’ella, figlia
di Carlo Rosselli, parliamo di Amelia. Infine è da considerare l’amore passionale e
carnale di Dante Maffia che canta alla pari di Guido Guinizelli e di Catullo,
una poesia molto radicata nell’immensa cultura classica, e nutrita di fervide
letture modernissime non solo europee, ma del mondo
Ho
Conosciuto e conosco personalmente i cinque poeti che vado a trattare, sono
stata legata da affetto profondo e da grande amicizia e stima a Renato Filippelli
e alla sua famiglia. Così per Ugo Piscopo, che ho studiato in modo attento e
assiduo, dedicandogli ben due pubblicazioni di grande successo di critica e di vendite. Egli dal fianco ispido e il cuore di miele è irpino
come me, è un’altra delle voci d’azzardo
della poesia italiana che si rigenera in fluidi magici e sconosciuti.
Vorrei
iniziare con Amelia Rosselli, (non è del Sud, Ella appartiene al Mondo, ma il
suo legame con Rocco Scotellaro me la fa pensare e amare di più come Donna del
Sud ) . Dolcissima donna. La conobbi nelle aule bige del magistrale qualche
anno prima della sua tragica morte, seppur avanti negli anni, mi apparve tenera
e indifesa come una bimba.
Le chiesi,
dopo il dialogo con gli alunni, di Rocco Scotellaro, più volte, sempre
sfuggente , con dolcezza non volle dirmi niente
Su altre risposte meno invasive, Ella colmò il
vuoto e mi disse di Lei, di come aveva iniziato a scrivere versi, mi disse che ciò
avvenne subito dopo la morte di Scotellaro.
Io mi
sentii, quando la vidi per la prima volta, come Rocco Scotellaro, mi sembrò di
stare davanti a una Madonna, era umile, generosa, grata per il mio affetto; mi
pregò di considerarla mia amica e di non
metterla su nessun piedistallo.
Poi, nel
tempo l’incontro con Rocco mi fu raccontato, parlò dell’amico, del poeta
generoso e libero, delle terre del meridione, della madre contadina di Rocco,
della calda ospitalità che ebbe in questa casa a Tricarico, del dolce tepore
che vi trovò.
Rifanno il giuoco del girotondo | i mulinelli
spirati nella via. | Anch'io c'ero in mezzo | nei lunghi giorni di fango e di
sole. | Mia madre dorme a un'ora di notte| e sogna le mie guerre nella strada |
irta di unghie nere e di spade: | la strada ch'era il campo della lippa | e
l'imbuto delle grida rissose | di noi monelli più figli alle pietre. | Mamma,
scacciali codesti morti | se senti la mia pena nei lamenti | dei cani che non ti
danno mai pace. | E non andare a chiudermi la porta | per quanti affanni che ti
ho dato | e nemmeno non ti alzare | per coprirmi di cenere la brace. | Sto in viuzze del paese a valle | dove ha sempre battuto il cuore | del
mandolino nella notte. | E sto bevendo con gli zappatori, | non m'han messo il
tabacco nel bicchiere, | come per lo scherzo ai traditori; | abbiamo insieme
cantato | le nenie afflitte del tempo passato | col tamburello e la zampogna.”
Sulle grondaie dei ricordi si tesse e si fila il futuro. Appare la madre, contadina accorta
e generosa. Il Poeta ha un amore tenerissimo per lei.
Si tesse, ma
il futuro non c’è.
Non ci sarà per Scotellaro, che muore a
trent’anni d’infarto a Napoli, non ci sarà per Lei che dopo la morte del Poeta
fu a lungo ricoverata. E, se quando conobbe Rocco si stava appena riprendendo dal
dolore per la morte violenta del padre e più recentemente della morte della madre, con la perdita di Rocco il calvario riiniziava. Però, Rocco Scotellaro
le aveva fatto dono di una nuova strada, quella della Poesia, Lei musicista delicata e
attenta , appassionata dell’esagramma,
diviene da allora compositrice di versi
avvolti di nebbia e di suoni arditi, crepuscolo degli dei fu la sua
poesia, cartilagine di Dio, da allora pubblicò bellissime e raffinate raccolte di versi .
A partire dal primo inatteso incontro al
Convegno di Venezia del 1950: qui, Amelia
era da sola, seduta nelle ultime file e il poeta- contadino, nonostante la
giovane età, era già considerato come il
simbolo del risveglio contadino del Mezzogiorno.”La incontrai a Venezia,
le chiesi chi era, ma non capii. … Quando capii il suo nome, non so se mi
rafforzò il pensiero di esserle amico e di innamorarmi di lei o piuttosto di
venerarla come la figlia di un grande martire. Forse mi innamoravo e la veneravo
insieme. Sui poggioli delle sedie di ferro i nostri gomiti si toccavano.
Pensavo di vederla alta come me, quando ci fossimo alzati. E io chi ero? Lo
dissi. Mi sapeva. Aveva letto le mie poesie. Accennò dei giudizi non
completamente lusinghieri, ma ciò
permise uno scambio di sguardi che mi fecero più ardito. Uscimmo insieme. Mangiava al mio stesso
ristorante ed era una coincidenza calzante. La presentai a tutti, me la sentivo
già mia”
La poesia di Filippelli è un ensemble, uno
spaccato musicale ora ferrigno, quasi oggettivo, ora sublime e delicato.
Essendo stati noi due molto amici, quarant’anni di stima di collaborazione, di
guida per me, mi raccontava i suoi pensieri. Si innamorava come un bambino e
nei suoi versi c’è quella purezza oggi introvabile anche nell’universo poetico.
Le opere più belle sono le ultime Come “Plenilunio nella palude”
è quella che più amo, qui l’amante del poeta è la croce di Cristo che egli stesso portò
sulle spalle per quasi dieci anni a causa di una malattia cardiaca che,
nonostante le sofferenze, gli permise di
lavorare fino agli ultimi attimi della sua vita.
Abbiamo
collaborato al Castello Di Minturno per la messa in scena di una mia opera”
Gli Alumbrados", fino a quattro giorni prima della sua morte.
Io posso dire con voce serena che non l’ho mai abbandonato. Sono
andato a trovarlo anche negli ospedali, ero insieme a Fiammetta, la più devota di tutte le figlie.
Non so chi mi dava quel coraggio! Guai se non l'avessi fatto, non me lo sarei mai perdonato.
Per Ugo
Piscopo c’ è stata una grande intesa culturale. Io l’ho sempre considerato il
mio Maestro, era un uomo onesto, a volte ispido, come in genere siamo noi
irpini, la troppa onestà e il rispetto per
la verità lo portava ad essere rigorosissimo. La poesia di Piscopo fin
dagli inizi ha voluto essere una svolta, un’urgenza di togliere al verso il
superfluo e dargli una forza morale quasi granitica e nel contempo drammatica.
Non abbiamo poesie vere e proprie d’ amore nei suoi quasi 100 libri o forse di
più, in questi nessuna donna troneggia, emerge un solo amore chiaro e
dichiarato per la sua Ulpia, la sua cagnetta. Egli sviluppò un dialogo profondo con tutti i cani e i gatti del Vomero, con essi
amava confrontarsi . Nei suoi versi c’è un amore più grande di tutti, quello
per gli emigrati, e una pietas cristiana (non era credente) per gli umili.
Anch’io e mio nipote Giuseppe abbiamo avuto la sua tenerezza. C’è una poesia
scritta a quattro mani dedicata a me e a mio nipote ( "Il bimbo con
due madri") che io custodisco come perle
baccarat
La poesia
d’amore di Dante Maffia è un oceano inquieto , invade le molte migliaia dei suoi versi d’amore. Sono
uscite nell’arco di due anni quattro volumi tutti dedicati all’amore.
Sono le più
belle poesie d’amore.
Mai
nessun poeta si è così tanto concentrato, compiaciuto su questo sentimento.
Gran parte della sua scrittura scalpita.
Sa
travolgere e coinvolgere lasciare senza fiato il lettore. Egli ha scritto una
vera e propria enciclopedia d’amore dove la donna, sempre cangiante, occupa l’altare della divinità. Questi suoi versi, ogni volta che li leggo e li rileggo mi
trascinano nelle opere di Donizetti, da
“Il furioso nell’isola di San Domingo” (1833),
alla più intensamente coinvolgente che con i versi mi si allinea nella mente è “Lucia di Lammermoor” .
Anche nella
Poesia (come nella musica) l’Amore è follia?,.
Quando il verso si stende sul grano al sole e i suoi profumi arrivano al cielo, allora diviene
irresistibile, tutto avvolge in un divino coro.
Il suo inno
all’Amore diviene così più penetrante del diluvio, capace di azzittire ogni
guerra.
Inno all'amore di Dante Maffia.
M’inchino davanti alla tua bocca
che odora di muschio e di luna,
dolcemente apro le tue labbra
che hanno trilli d’uccelli marini.
Amore dolce, rugiadoso, caldo,
che puoi compiere miracoli,
fa’ che il miele delle tue ascensioni
sia sempre pronto a spargersi e a lenire
le mie angosce. Senza di te
la vita si fa grigio adempimento,
fatica, povertà, miseria.
Tu sei l’incanto, il fine e il principio,
tu sei la corsa pazza verso il senso,
la via larga per rinnovare il mondo,
la salita alle stelle, la compiutezza,
l’ardore che sa tessere il sublime.
Sei la strada che apre il sentimento
a Dio in persona, che dà la conoscenza
del mondo e dei segreti della vita;
sei la voce infinita che mi porta
nel cuore della luce e mi rinnova
la carne e la parola.
E’ vietata
qualsiasi riproduzione.
Orchestra esagramma inclusiva di voci e strumenti.