venerdì 26 gennaio 2024
Oggi il nostro amato Presidente Mattarella ha ricordato lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Con parole d'amore e riconoscenza ha ricordato i nomi di molti Giusti che sacrificarono le loro vite per aiutare gli ebrei. Tra questi grandi ha citato anche il nome di un mio amato parente Giovanni Palatucci.
Giorno della memoria. Vi comando queste parole.
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giovedì 18 gennaio 2024
Nel solco di Campanella
Intervista a Dante Maffia
Di Gianni Mazzei. Pace Edizione
La prima cosa che salta agli occhi
nella sua armonia di colori e immagini è la copertina: ben fatta e molto
significativa, si stagliano frontalmente due profili importanti quello di
Campanella e quello di Maffia. La forma del viso, la piega delle guance, le
labbra fanno pensare che sono due fratelli di sangue.
L’autore dell’intervista, Gianni
Mazzei, anch’egli calabrese e amico e conoscitore delle opere di Maffia, sa
guidare con maestria e garbo le domande, che alla fine ci danno un quadro completo
del grande Autore, dei suoi rapporti con la Calabria, del suo percorrere ab
origine tutte le tappe della gloriosa arte di Maffia. Non ci viene nascosto niente, né le vittorie, né i dolori. La lotta impari
di un uomo che parte dalla sua intelligenza, dalle sue origini umili, che senza
l’aiuto di alcuno diviene un Dio della cultura non solo italiana, ma oserei
dire mondiale. La recente pubblicazione
dei suoi splendidi haiku che il Giappone ha fatto tradurre e pubblicato
testimoniano la sua netta posizione ai
vertici di un sentire che lega i popoli, li innalza nella maestosità dell’arte
e della fratellanza.
Si, Maffia è un poeta, saggista,
narratore che affascina, ammalia, è un uomo che dialoga con l’infinito, brucia
e ti fa sobbalzare con le sue analisi. E’ uno che ha sacro rispetto per gli
umili, li ama, li difende , si schiera contro la storia dei potenti e degli
imbroglioni, di questi non salva nessuno. E’ irruento, ha nel cuore la lava incandescente,
che annienta e purifica. Da quel mare calabro dal quale mai si è distaccato ha
imparato ad
apprezzare anche l’ultimo filo d’erba,
a purificarsi al movimento delle onde che lievi si infrangono sulla spiaggia,
qui le tempeste lo hanno sorpreso, qui il vento di maestrale bussa di notte
alla sua porta. In questi luoghi sacri in cui la cultura greca lo ha nutrito
fin da ragazzo, ha dato vita alla sua arte, al suo carattere. L a sua immensa cultura, il suo carattere dolce, ma
anche fermo e tempestoso emergono punto per punto con levità e grazie nell’intervista di Gianni Mazzei.
Dante Maffia nella sua splendida
strada ha rilasciato sessanta interviste, molte le conosciamo anche noi, e
sempre abbiamo imparato dalle sue parole come tenere la barra dritta, ma
ora questa che stiamo esaminando, è un
libro più di cento pagine, ben scritte, sgorgano da quella fonte che ha
pubblicato centinaia di opere, senza sosta, non si fa in tempo a finire di
leggere una sua recente pubblicazione e già ne sono pronte altre, mai che il
tono sia scontato, o che si ripeta, ogni giorno rivoluziona e ribalta, scombina
le carte, quasi a volersi mettere alla prova, ricerca quel mistero, lo afferra come un raggio di
luce, vorrebbe stanarlo, regalarlo al
mondo, fare in modo che tutti possano avvicinarsi al mistero delle nostre
esistenze, al verbum sacro che chiarifica e lotta per comprendere. In questo libro ci racconta davvero molte
cose della sua vita, delle sue amicizie, dei suoi nemici, del razzismo che
invade non solo il mondo, ma la stessa letteratura. Su questo argomento vengono
riportate le parole di Borges, quelli del Sud dice il Poeta, sono terroni, puoi
aver fatto cose grandiose, queste terre possono aver dato i natali ai più
grandi della storia, si rimane terroni fuori, con divieti d’accesso, sparano a vista
a chiunque faccia ombra ai loro
“prediletti”. E’ il potere economico e politico che stabilisce la
classifica di chi è bravo nel mondo del sapere e in ogni altro campo. Molto ha
da dire anche sulla compilazione delle antologie e delle letterature destinate
alla scuola,
che inseriscono secondo criteri
scandalosi gli autori creando classifiche nettamente distinte tra “i minori” e
i “grandi autori”. La storia recente ci insegna come poeti immensi come Rocco Scodellaro
, Salvatore Quasimodo, Bufalino, Vittorini, Serao, Ortese e tanti altri grandi autori del Sud sono stati
cacciati dalle Antologie scolastiche, né la rivolta di tanti intellettuali del
Sud è riuscita a far cambiare idea. La posizione del Poeta contro queste
aberrazioni è terribile. Queste e tante
altre cose rabberciate nel mondo della cultura scavano ingiustizie, deviano i
percorsi della Grazia.
Nel libro si coglie un solco di
dolorosa, lunga amarezza, a volte, quasi di impotenza. Il mondo che si era
sperato di cambiare e riportare, dopo la
seconda guerra mondiale, sulla strada della crescita, dell’azzeramento della
povertà, della morte delle ingiustizie e del rispetto sociale, ha fatto marcia
in dietro. La lotta di Maffia è pari a quella del fratello di sangue Campanella, secondo quanto dice nella
prefazione Norberto Bobbio «Maffìa riesce a suscitare nel lettore un
senso di meraviglia insistendo sull’infanzia e l’adolescenza del filosofo,
sulla miseria della sua terra, sull’apprendimento senza maestri, sulla memoria
favolosa». E sembra di vederla, «quella figura tozza» da cui «verità e
conoscenza sprizzavano con la naturalezza con cui una polla d’acqua sbuca dal
foro di una roccia». Così allo stesso
modo ne parlano in quest’opera Giovanni Pistoia, nella bella e trasparente
prefazione e Gianni Mazzei, quest’ultimo con rigore e chiarezza, direi
amore fraterno verso l’Amico, rivendicando
le affinità tra i due grandi.
Noi, come il Poeta, aspettiamo ancora
la nascita della Città del sole, Maffia ha riportato Campanella nelle nostre
vite, come se fosse anche nostro contemporaneo e conterraneo ridando dignità
anche alle sue poesie e vigore al suo pensiero rivoluzionario.
Il Poeta in quest’ opera ci rega la sua sofferenza, le
sue ansie, i suoi ideali di riscatto, che permangono come nei suoi primi lavori
con lo stesso ardore, con la stessa devozione che ha sempre avuto per la
cultura e per la bellezza.
Riflessioni sull’opera di Carmen
Moscariello
venerdì 12 gennaio 2024
Tu sola sei vera
Ora che ti ho perduta come una pietra preziosaso che non ti ho mai avuta né spina né rosa:
non stavi al fondo della cassa che sarebbe bastato
alzare panni e coperte per rivederti a posto
con pena e occhi incerti nella massa delle cose.
Ti portavo addosso con carte e matite e monete
e sapevo di perderti ma non come pietra preziosa,
credevo che tant’acqua poteva levarmi la sete.
Ora, che voglio fare?, guardare dove non c’eri
dove non sei dove non sarai coi tuoi occhi neri.
lunedì 8 gennaio 2024
Il profetico senso della vita nella Poesia di
Amelia Rosselli
Nell’ampio verso e nei ritmi
dell’endecasillabo si muove il visionario e profetico senso della vita di
Amelia Rosselli. Una polifonia, un ampio doloroso respiro sul suo destino
segnato, ancor prima che nascesse, poiché legato a una famiglia, quella dei
Rosselli, che fa parte di diritto della storia liberale e democratica del
nostro Paese. Sappiamo che prese parte a tutti e quattro gli incontri del
Gruppo 63 e di averli trovati alquanto ripetitivi, non congeniali al suo modo
di intendere la poesia. È assente quel tecnicismo dal mondo visionario e per
certi aspetti violento che riguarda la Rosselli: improvvisi versi esplosivi,
una volontà di potenza e di orrore. Non appartiene alla Rosselli la fragilità
della quale molti critici parlano (il suo destino è pervaso, piuttosto, dalla
lotta contro la fragilità); il suo percorso vitae è molto più complesso, le
profezie dolorose vissute dai suoi versi rendono la sua vita e la sua scrittura
una intricata analisi anche di molti aspetti della storia del Novecento. A una
lettura superficiale di molte sue opere si può dire che il suo linguaggio è
ermetico, incomprensibile, un trobar clus: per certi aspetti la sua scrittura
fa pensare a una trobairitz, sprezzante, ironica, aspra, suscettibile, oscura;
a una erede della lingua d’oc, ma la sua linea di studi è molto più complessa.
Per comprenderla davvero bisogna abbandonare la linea del lapsus, niente nella
vita e nella scrittura della Rosselli è involontario, anche l’involontario
trova una categoria di ordine strutturale ben studiato e architettato. Studiosa
di molte letterature, eccellente traduttrice di molti poeti inglesi e francesi,
appassionata di teatro, lettrice di Faulkner, Bergson, di Pascal, scriveva e
parlava il francese (la lingua della sua infanzia), l’inglese (la lingua di sua
madre e anche la sua per aver soggiornato lungamente in Inghilterra e in
America) e infine l’italiano, la lingua di suo padre e di sua nonna Amelia
Rosselli, donna colta e raffinata letterata e a sua volta scrittrice. Amelia
scelse l’italiano per la sua poesia, ma diede a questa lingua un vigore quasi
sconosciuto, una timbrica a volte inebriata e inebriante. Non fu semplicemente
innovativa, ma sperimentò per suo conto una lingua tria corda che potesse
esprimere la complessità del suo sentire primordiale. Il suo verso tessuto
dalle assonanze, da strumentali afasie, da gorgoglii, dagli studi musicali
(pianoforte e violino) che avevano occupato trent’anni della sua vita, 21
determinano una novità, un rifugio in strutture antropologiche che adattano il
verso al suo sentire; dedica ad esso molta cura, ma rimane il fluido sgorgante,
impetuoso, sincero, originale. Spesso i versi si presentano come un contorcersi
di suoni o grida che lacerano. Amelia Rosselli è un grande poeta antiermetico,
autrice che ha scelto una sperimentazione inesausta, del tutto originale e
autonoma, frutto di un acceso e appassionato immaginario, di ampi studi
letterari e musicali, di scavo psicoanalitico, di una razionalità coniugata
all’irrazionale “urgente” e proliferante . La libellula assetata di luce, rimette insieme
gli innumerevoli frammenti esistenziali per creare una poetica di prim’ordine,
si inerpica la parola in gole senza ossigeno, nel dérèglement avaro e ironico.
Il verso volge in anamnesi dell’assurdo, insofferente, primitivo,
sgrammaticato, turbolento. Amelia Rosselli è un caso unico nella poesia
italiana. Carlo Rosselli, Rocco Scotellaro, Pier Paolo Pasolini, Niccolò Gallo,
Dino Campana, Antonio Porta sono nomi che entrano a far parte di diritto nella
vita di Amelia Rosselli. Vivente leggenda di incarnazione della poesia come
incontenibile forza oracolare. Nata nel 1930 a Parigi dove la famiglia si
era rifugiata per sfuggire alle persecuzioni politiche del fascismo, dovette
ben presto(immediatamente dopo l’assassinio del padre) lasciare questa città
per trovare rifugio prima in Inghilterra e poi in America (1940); qui per
sopravvivere svolse anche lavori molto umili. Un episodio importante della sua
vita è l’incontro con Rocco Scotellaro, lo conobbe a Venezia nel 1950, durante
un congresso partigiano. Il fatto è raccontato in Diario oscuro, pubblicato
dalla rivista “Braci”. La poetessa lo ricorda ancora in un’intervista
rilasciata a Giacinto Spagnoletti; dice: Quando conobbi Rocco, avevo vent’anni
e lui morì tre anni dopo. La nostra fu un’amicizia intensa, molto ricca e
naturale, priva di forzature. Mi invitò al suo paese in Lucania, dove stetti
una settimana sua ospite e conobbi sua madre. A Pasolini deve la presentazione
della sua poesia al grande pubblico e al poeta deve anche
un’attenta analisi critica della sua poesia, che si incentra sul concetto di
lapsus, all’uso speciale che la Rosselli
fa della parola poetica e del singolare ruolo di consonanti e vocali. Pasolini
disse che il lapsus ora finto, ora vero rappresentava una profonda liberazione.
Il lapsus consente alla buonora, di liberarsi del peso istituzionale – gravante
su tutta la lunghezza dell’anima – e, nel tempo stesso, di rispettarlo. Non c’è
molto in forma di lapsus che sia tanto cinico, feroce, ironico, sprezzante che
non includa un sostanziale rispetto per la lingua e la istituzione d’uso. E, se
mai ve ne fu, la tipica negatività che afferma. Il fondo del libro della
Rosselli – sono riuscito a dirlo, malgrado il suo totale rifiuto, la sua
pazzesca coerenza che lo salda da tutte le parti come un molle fortilizio – è
la grande cultura liberale europea del Novecento. E lo è con uno splendore del
tutto eccezionale. Direi che non mi sono mai imbattuto, in questi anni, in un
prodotto del genere, così potentemente amorfo, così oggettivamente superbo .
Per la poetessa la sua particolarissima grammatica poetica consiste nelle varie
possibili formulazioni metriche, mai abbastanza rigorose, da potersi
considerare come sistemi filosofici scientifici e storicamente necessari,
inevitabili. La poetessa-musicista risente del pentagramma musicale, creando
una tecnica che studiata nei particolari s’insedia di prepotenza in tutta la
sua opera con vitalità e vigore, a volte con irrazionale casuale violenza,
dando vita ad una poesia assolutamente vera e ispirata. Il Mito
dell’Irrazionalità (mettiamoci le maiuscole) ha, con le poesie di Amelia
Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore: lussureggiante oasi
fiorita con la stupefacente e, casuale violenza del dato di fatto, ai margini
del dominio. E il revival avanguardistico – così tetro presso gli eterni
apprendisti di Milano e Torino – ha trovato in questa specie di apolide dalle
grandi tradizioni famigliari di Cosmpopulis, un terreno dove esplodere con la funesta
e meravigliosa fecondità dei funghi atomici, nell’atto in cui divengono forme.
Oltre i limiti del risguardo non vado. E aggiungo che il tema dei lapsus è un
piccola tema secondario e irrisorio, rispetto ai grandi temi delle Nevrosi e
del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho
seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo. I suoi particolari usi sintattici, le
sgrammaticature, il lapsus di cui diceva Pasolini, il verso chiuso, la forma
cupa l’apolide li chiarisce nello scritto Spazi metrici (1962). Nel dérèglement
sono incorporati una consapevole follia, molte nevrosi vissute, analizzate e
catalogate. Bisogna con Pasolini, considerare che nella scrittura incise la
malattia nervosa, l’assillato studio dell’inconscio, con approfondimenti che si
riferivano non solo a Freud; la struttura poetica è data anche dalle molteplici
sonorità delle numerose lingue che lei parlava, come pure lo studio della
musica (violino e pianoforte), che occuparono gran parte della sua fanciullezza
e giovinezza. Ella stessa dice: ha significato per me ritrovare – pur basandomi
sulla formulazione metrica definita nel 1958 – il coraggio e forse anche il
misticismo di quegli anni adolescenziali: razionalizzandoli fino alle ultime
conseguenze. Spesso i risultati sono violenti, i contenuti sono dei veri e
propri gridi raggiungendo un equilibrio tra la forma del tutto controllata e
contenuto indotto o dedotto, mai automaticamente, ma con grande incidenza
dell’inconscio o per provocazione soltanto letteraria, sia nell’insieme
raggiunto . In questa poetica, seppur unica e originalissima, potrebbero
leggersi lontani echi di Rimbaud, Mallarmé, Kafka, Pound e Montale. La donna e
la poetessa convivono nel senso profondo e misterico. L’ironia, l’inconscio, la
verità, la provocazione, la visionarietà e la scrittura di un verso molto
tecnico creano una poesia senza argini, travolgente e giovane, violenta e
amara.
Carmen Moscariello
venerdì 5 gennaio 2024
ANNO NUOVO
Accesa è la speranza
“Buon anno, amica mia e che Dio ce la
mandi buona!”
Tremare all’apertura del Nuovo Anno,
un subbuglio di paure,
un rotolare di pietre, presagi di
attesa o è meglio
non aspettarsi più niente? . In questo silenzio
di attesa dell’alba del Nuovo Anno
sento l’odore del camino che fuma
nella casa di mia madre e mi parla
la cenere calda che ha trattenuto
il fuoco fino al mattino.
Mia madre, lei si che ha creduto alla vita.
A quest’ora già si sentiva nella casa
il suo passo leggero
e lo sbattere le uova per i panzerotti di castagna.
Sulla piega del mio uscio filtrava la luce
e lei veniva a bussare alla porta
mi parlava dolcemente e mi chiedeva :
“stai scrivendo?”
Era un tempo lontano, un’altra vita ,
mi sembra. Cercavo
ieri
mia madre , come una bimba disperata,
abbandonata nel bosco in mezzo ai lupi. Inerme
l’ho invocata
invano.
Carmen Moscariello. Attendendo Matisse, pg.90