Ugo
sta lì di lato, si catapulta
quasi
di fuori, al margine
del
quadro, e della scena. La lena
che
lo tiene per mano lo disanima.
Poi
torna qui, soave, insieme all'anima
di
un animale enorme che lo abbraccia.
Eugenio
Lucrezi
Il
fine della critica è quello di carpire lo spirito dell’autore e,
per questo, è fondamentale discendere, viaggiando nella intensità
della scrittura, nei recessi della sua intimità, dove giacciono i
sedimenti dell’esperienza e della conoscenza; e tanto più ciò
vale quanto più la vita vissuta è stata complessa, ricca,
proteiforme, come nel caso di un intellettuale sagace e appercettivo
qual è Ugo Piscopo. Per l’azione di tale modalità a me sembra
davvero importante il capitolo Oboe
per flauto traverso di Carmen Moscarielo ,
da cui vien fuori la personalità dell’uomo e dello studioso,
appalesandosi, a forti tinte, il carattere forgiato sulla natura dei
luoghi originari, che, secondo Vico, “si adagiano e vi durano”
nell’anima, da cui nel tempo aggallano non nella tonalità di una
nostalgia di cose perdute, ma nella sublimità di cose ritrovate.
Piscopo è troppo colto per soccombere ai tranelli psicologici:
essendo un sapiente dominatore del linguaggio, astutamente,
polemicamente, ideologicamente, sempre cosciente, manipola per balzi
cognitivi il flusso delle sensazioni, dei sentimenti e delle
impressioni primarie nella logica delle distorsioni linguistiche:
rompe la struttura sottesa alla scrittura per trasmettere il sé
inquieto tramite le inquiete fratturazioni semantiche, o la
contrazione all’essenza raggiunte grazie alla massima
esemplificazione dell’immagine, o un distorto immaginario volto a
ricreare un clima di contumacia della finzione dell’essere.
D’altronde domina, in lui, sovente, la virtù di un ludico
divertissement
verbale, per es. : “un capolavoro di viola violato violante/che
sviolina a te e a me e a tutti e tre/e se dici quattro male non
è/perché tre o quattro siamo/più di trentaquattro e più a
ancora”. È nella poesia che egli esercita l’affinamento
essenziale della conoscenza raffigurandosi in un polimorfismo che,
prima di essere espressivo, e quindi di intenzione sperimentale, è
un sentimento di interrelazione, in conformità al mondo odierno in
cui sono caduti limiti e barriere di culture e lingue. La primitiva
educazione a questa visione gli proviene, come sottolinea la
Moscariello: “Nella Poesia di Piscopo, la sua origine “montana”
ha influito non poco e non solo nel temprare un carattere guerriero,
ma gli ha donato un cuore che ascolta fino all’ultimo diesis le
vibrazioni dei suoni o silenzi della vita: “. Insomma, in ultima
istanza, allora il linguaggio è allegoria della terra natale, il
mondo dove, a rebours, tutto si stringe e si mescola e si ricrea.
Ciro
Vitiello
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