venerdì 21 maggio 2021

Dante Maffia, Il Candidato al Nobel con il suo stile unico, grintoso e audace ci parla della morte dei sogni e di una società che ha "tirato le cuoia" ."Evviva la pandemia" di Dante Maffia



 

EVVIVA LA PANDEMIA

 

Per la prima volta al mondo, grazie al Covid, siamo tutti uguali e a parlare sono soltanto gli occhi, che, come si sa, sono lo specchio dell’anima.

Ho notato che ci si saluta spesso pensando di avere riconosciuta la persona e magari è solo una parvenza di quella che pensavamo. Comunque c’è maggiore attenzione agli altri, una curiosità che spinge a vedere chi si nasconde dietro le mascherine.

All’inizio personalmente ho avuto un enorme fastidio nel vedere la processione di mascherati che si muovevano per strada, nei caffè, nei parchi, nelle piazze, nei supermercati. Poi lo spettacolo ha cominciato a interessarmi, anzi a piacermi perché si è fatta scommessa, scoperta, improvvisazione, possibilità di agire in maniera anonima mettendo in primo piano la parola, il parlare, il saper o non saper dire, perfino il chiedere senza ammiccamenti e senza sorrisi.

Adesso che il teatro è al completo, e le parti sono state assegnate, ognuno interpreta il ruolo che gli è stato assegnato e lo fa senza preoccuparsi se riesce nella parte oppure no.
E’previsto dal regista che molti sbaglino sia le parole e sia il tono, e dunque nessuno fa caso al disastro che ne scaturisce. La confusione è sovrana. La Bibbia l’aveva previsto e scritto chiaramente: le lingue si sarebbero confuse creando uno spaccato tra prima e dopo, ribaltando i valori, rendendoli anime vaganti in cerca di adozione.

Ero abituato a vedere le maschere a Carnevale o in qualche spettacolo del Settecento e invece mi trovo perennemente maschere davanti che però non hanno un volto, una fisionomia, ma sono uniformi, a parte i colori e qualche bizzarria dei cinesi o dei miei nipoti che ci hanno appiccicato le immagini dei cartoni animati.

Perché qualcuno ha voluto, ha deciso di mascherare tutti, di rendere tutti anonime presenze che vagolano  come spettri dando l’impressione di non sapere dove andare?

Niente accade per caso, specie quando, come in questa occasione, la tragedia si presenta ridicola e scoraggiante e invita a ricamare barzellette.

Chi sono gli uomini con le maschere? Che devono fare? Le donne che cosa faranno, truccheranno le maschere? Si faranno costruire maschere alla Cleopatra? O accetteranno di convivere con la loro faccia così com’è e accettaranno anche di condividere la sorte con il primo che starà loro accanto?

C’è chi colleziona enigmi, chi note di tarantella, chi immagini (da incubo) dei due Maestri assoluti della canzone di tutti i tempi di cui si continuano a celebrare i funerali senza interruzione: una forma di idolatria che pare paghi alla grande per risolvere le cancrene psicologiche che aggrediscono le donzelle aride e i giovanotti irascibili.  Ormai si recita solo a soggetto, tutto è predisposto nella mediocrità più assoluta, i sogni sono sati cancellati, non per decreto ministeriale, semplicemente perché guazzare nel fango sembra che dia brividi inediti, le finestre sono chiuse, gli aquiloni non sono di moda e gli arcobaleni, appena escono, vengono sfracellati dai pompieri in agguato da quando la Protezione Civile ha sparso la voce che sono probabilmente bombe all’idrogino.

Si campa, cioè si vive aspettando l’ora dell’apertivo da prendere in compagnia per sfoggiare il pantalone nuovo o la camicetta appena acquistata alla boutique, aspettando l’ora del pranzo o della cena per aprire le scatolette del primo o del secondo e le bottigliette delle vitamine. Tutto in scatola, ormai.

Di solito si mangia davanti al televisore assistendo alla quattrocentesima puntata del “Matrimonio in pericolo” o del “Commissario imbroglione” e si sbadiglia aprendo la bocca con grida da iene in calore.

Poi c’è l’ora del fumetto, sempre con la maschrina ben salda, per non dare la tentazione ai personaggi di uscire dal libro o dallo schermo a condividere la gioia della noiosa giornata.

Davvero il Covid è stato salutare per ridimensionare le impurità sociali, le ingiustizie, le disparità e non so che altro, a detta dei sociologi che ne sparano più dei preti sull’altare.

L’anima è un opzional, una distesa di spine che bisogna estirpare dando aiuto al vicino in difficoltà. E così le spine si accumulato sulle strade, nelle piazze, nei campi sportivi, sulle spiagge per creare i nuovi monumenti, per ricordare che le rose hanno anche le spine.

Eppure, essendo una recita a soggetto, ognuno conosce bene la parte.

Che cos’è che si è rotto? Che cosa non funziona?
Comunque la conta dei morti è salutare. Se in Italia si arrivasse almeno al trenta per cento dei decessi poi si vivrebbe meglio. Meno pensioni, meno ospedali intasati, popolazione tutta giovane e lavoro per tutti.

E’l’obiettivo, in fondo, degli economisti. Finalmente, per la prima volta, dopo più d’un secolo, il bilancio dello Stato in parità.

Non sarebbe male che non si facessero i funerali, forse occorre una legge immediata per proibirli. La società ha fretta, deve crescere il pil, troppe energie e troppe spese per qualcosa che in fondo poi…

“Signore e signori, si apre il sipario, ecco la nuova favola che Collodi ha tenuta inedita per troppo tempo. E’quella di Pinocchia, la bella fanciulla che si trasforma in burattino. La sorte che toccherà a molti e a breve”.

Dalla sala:

“Ah Capocomico, ma che dici? Non vedi che ormai tutte le donne sono dei burattini?”.

“Buturrino sarai tu”, ribatte Carmen La Sconsolata, “e tutti gli uomini sono dei burattoni”.

“Va bene, lo spettacolo sta per cominciare. Chiudete i cellulari- Ecco Pinocchia, l’essenza del genere femminile”.

Un lancio di cipolle guaste e di pomodori acidi arriva dritto in faccia al Capocomico.

“Ah bello, buturrino sei tu, cocco di mamma”.

Giù le maschere.

Evviva la Pandemia!

 

DANTE MAFFIA

 

 

 

 

 

 


 [UW1]dare

giovedì 20 maggio 2021

Premio "Tulliola Renato Filippelli". Pubblicazione dei risultati.
















 





SI AVVERTONO TUTTI GLI AUTORI CHE HANNO PARTECIPATO AL PREMIO "TULLIOLA- RENATO FILIPPELLI "2021 CHE I RISULTATI RELATIVI AI LIBRI VINCITORI E  SEGNALATI VERRANNO PUBBLICATI ENTRO LA FINE DI GIUGNO. A PRESTO. LA PRESIDENTE DEL PREMIO


CARMEN MOSCARIELLO


PRESIDENTE DELLA GIURIA IL GRANDE POETA DANTE MAFFIA

martedì 18 maggio 2021

Emerico Giachery: "...testimoniare il sapore e l'emozione di una stagione storica lontana"



 

L’occasione di testimoniare il sapore e l’emozione di una stagione storica lontana e intensamente vissuta è tra i doni più preziosi della senectus. Al tempo, per me e per tanti miei coetanei magico, dell’aprirsi all’ “Europa dell’incontro” nell’immediato dopoguerra, ho dedicato con amore parole e pagine: ero vicino al Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli. Qui mi è soprattutto caro ripensare quel tempo nel segno della poesia.    

Nel febbraio del 1945 cominciano a uscire a Roma, già liberata da mesi ma con una parte d’Italia ancora occupata dai nazifascisti, i “Quaderni internazionali di Poesia”, diretti da Enrico Falqui. Il quale scrisse, in apertura al primo quaderno e all’intera serie: «Sarà la voce dei poeti a soccorrere, quale concreta manifestazione di fratellanza tra uomini di buona volontà. Mostrò Vico che il mondo nasce, e di continuo rinasce, come fantasia e poesia. Rifacciamoci dunque a più ansiosamente cercare nella poesia di ieri, ed in quella che intorno già ricomincia a parlarci, la sorgente luminosa di ogni nostro orgoglio ed amore ». Quei quaderni accoglievano, interpolati da scritti sulla poesia, testi poetici d’ogni paese: accanto alle più significative voci nostrane contemporanee, poeti francesi della resistenza, poeti russi proletari, poeti cinesi. Tra tanti altri, Eliot, Machado, Jiménez, Pessoa, Trakl, Cavafis, Arghezi.  Ad alcuni di noi quella “Internazionale della poesia” sembrava ( e non sbagliavamo) il fiore d’una civiltà.

Ero ancora studente liceale quando mio padre, conoscendo il  mio amor di  poesia che risaliva agli anni del ginnasio, mi regalò il primo quaderno. A torto quella serie di quaderni - ai quali seguì una breve serie dedicata alla prosa e diretta da Gianna Manzini - è stata dimenticata (tra i pochi a ricordarla  credo sia stato Antonio Barbuto, nella serie dedicata alle riviste italiane del Novecento). Forse anche non abbastanza ricordata fu l’importanza che ebbe per i giovani e  per i meno giovani l’antologia della poesia italiana contemporanea di Giacinto Spagnoletti: la prima edizione Vallecchi è del 1946, la seconda, nelle edizioni Guanda, è del  1950. Molte indicazioni e scelte di Spagnoletti si dimostrarono in seguito illuminate e appropriate.  

 «A poche cose ha creduto la nostra giovinezza: ma, fra quelle cose, certamente alla poesia», scriveva Sergio Solmi, commilitone di Montale nella prima Guerra Mondiale e autore di poche ma fondamentali pagine critiche sull’amico poeta. Non pochi della mia generazione, da giovani, e per fortuna anche dopo, hanno creduto nella poesia. Leggevamo i poeti stranieri, di solito, nei quaderni bianchi di Guanda o nei volumetti del “Melograno”. Per i poeti italiani, dominava la memoranda collana dello “Specchio”, allora nella sua indimenticata prima veste, con l’immagine, al centro della copertina, di una mano su un libro semiaperto.

      Con ansia aspettavamo la voce di Montale, che tanto amavamo, e che taceva da tempo: per la mia generazione, in quegli anni tra fine dell’adolescenza e nascente giovinezza, soprattutto il  poeta, che ci appariva così vivo e nuovo, delle «trombe d’oro della solarità», di Arsenio, di Riviere.  Con la raffinata qualità delle Occasioni, in cui filtrava il sapore degli anni Trenta percorsi da sommessi presagi apocalittici, ci sintonizzammo più tardi. Come è noto, le poesie di Finisterre, nucleo del terzo libro, erano state   trasportate segretamente a Lugano da Pino Bernasconi, che le aveva pubblicate nel 1943 in un’edizione di 150 esemplari. Finisterre (quasi  finis terrae come finis Europae, minacciata fine di una certa Europa umanistica e illuminata in cui Montale si riconosce e forse si identifica) esce dunque in piena guerra, come «un’appendice alle Occasioni, per gli amici che non vorrebbero fermarsi e far punto a quel libro». Così ci informa lo stesso poeta. Il primo assaggio, per il pubblico italiano, del “terzo libro”, è la lirica intitolata Iride che appare sul secondo quaderno di “Poesia”, e si porge enigmatica a lettori che non hanno ancora una chiave per intendere il senso della figura salvifica che vi prende il volo. La bufera e altro  comincerà a circolare soltanto nel giugno del 1956:  libro di grande ala, come del resto l’autore stesso riconobbe. Carlo Salinari, per pregiudizi ideologici, subito lo stroncò. Aveva ragione il grande critico Harold  Bloom, quando affermava che l’ideologia è nemica dell’arte. Affermazione valida anche a proposito del  recente articolo  di un celebre critico mio quasi coetaneo (“ma non correligionario”, per usare un’espressione di Croce a proposito di D’Annunzio), che  dalla Trimurti - da lui consacrata e offerta ai posteri -  dei classici italiani del Novecento (Fortini, Pasolini, Calvino), esclude Montale perché “algido”. Attesto che nei numerosi corsi monografici che ho tenuto sulla poesia di Montale, ripercorrendo con partecipe gioia e attente soste le tappe del suo cammino poetico,  non vi ho mai notato “algore”.

Un  altro fondamentale “terzo libro”,  Il Dolore di Ungaretti, era apparso nel 1947 sull’orizzonte dell’Italia del primo dopoguerra generosamente dedita alla ricostruzione del Paese. Anche di questo libro,come della montaliana Bufera, troviamo  un’ anticipazione sul medesimo secondo volume  dei “Quaderni internazionali di Poesia”. Si tratta di tre poesie: Folli i miei passi,  Nelle vene, Tu ti spezzasti. L’ultima delle tre registra alcune varianti, non vistose ma significative, rispetto alla redazione definitiva, che ci illuminano sulla sofferta elaborazione di questo testo così  intenso e drammatico. Contesto  con forza l’affermazione che il grande Ungaretti è soltanto quello dell’Allegria. Invito a rileggere, in proposito, la pagine di una delle monografie più convincenti (anche se molto meno ricordata del dovuto) sulla poesia di Ungaretti: quella di Glauco Cambon.

Torniamo al Dolore. Al parlato semplice e piano di Giorno dopo giorno, colloquio struggente e tenerissimo col figlio scomparso, seguono le dense pagine della sezione Roma occupata, nucleo e cuore del libro. Esse ci restituivano la temperie di nostri indimenticabili giorni d’ansia: l’insensato vagare per «strade esterrefatte», passanti simili a ombre ai piedi di un impassibile Colosseo dalle orbite vuote. Librata sulla città, quasi araldico emblema di un libro in gran parte “romano”, la «cupola febbrilmente superstite», lievitata dal sogno eroico del «teso Michelangelo» nello sconvolto secolo del sacco di Roma. La poesia del Dolore la sentimmo  in quegli anni  più che mai vicina e “nostra”.

 Emerico Giachery

 

 

 

martedì 11 maggio 2021

Giuria del Premio Mondiale "Tulliola- Renato Filippelli"

 




La Giuria del Premio "Tulliola Renato Filippelli": Presidente della Giuria Dante Maffia. Presidente Onorario Emerico Giachery. Componenti: Claudia Piccinno,(responsabile per lla sezione stranieri), Lorenzo Spurio, Michele Urrasio, Giuseppe Trebisacce, Giulia Fera,(Curatrice dell'immagine), Michael Musone, Giuseppe Iuliano, Paolo Saggese, Mimma Filippelli, Domenico Pimpinella, Francesco Pungitore, Carmen Moscariello.

Giuria del Premio Tulliola- Renato Filippelli per le opetre straniere.
La Giuria è così formata: Óscar Limache <limh1@hotmail.com> lingua spagnola; Hilal Karahan Dr. <hilalkarahan108@gmail.com> lingua turca; Milicalil@yahoo.com <Milicalil@yahoo.com>lingua serba,; raedaljishi@gmail.com <raedaljishi@gmail.com> lingua araba; Gino Leineweber <info@gino-leineweber.de>lingua tedesca; Mesut Senol <resillient.mesut@gmail.com>lingua inglese prosa ; drsantoshalex@gmail.com <drsantoshalex@gmail.com> lingua inglese poesia. Raed Aljishi Arabia Saudita, Santosh Alex India, Milica Lilic Serbia, Hilal Karahan Turchia ,Oscar Limache Perù

Segretario del Premio con diritto di voto Gianfranco Iodice