domenica 30 maggio 2021
venerdì 21 maggio 2021
Dante Maffia, Il Candidato al Nobel con il suo stile unico, grintoso e audace ci parla della morte dei sogni e di una società che ha "tirato le cuoia" ."Evviva la pandemia" di Dante Maffia
EVVIVA LA PANDEMIA
Per la prima volta al mondo, grazie al Covid, siamo tutti
uguali e a parlare sono soltanto gli occhi, che, come si sa, sono lo specchio
dell’anima.
Ho notato che ci si saluta spesso pensando di avere
riconosciuta la persona e magari è solo una parvenza di quella che pensavamo.
Comunque c’è maggiore attenzione agli altri, una curiosità che spinge a vedere
chi si nasconde dietro le mascherine.
All’inizio personalmente ho avuto un enorme fastidio nel
vedere la processione di mascherati che si muovevano per strada, nei caffè, nei
parchi, nelle piazze, nei supermercati. Poi lo spettacolo ha cominciato a
interessarmi, anzi a piacermi perché si è fatta scommessa, scoperta,
improvvisazione, possibilità di agire in maniera anonima mettendo in primo piano
la parola, il parlare, il saper o non saper dire, perfino il chiedere senza
ammiccamenti e senza sorrisi.
Adesso che il teatro è al completo, e le parti sono state
assegnate, ognuno interpreta il ruolo che gli è stato assegnato e lo fa senza
preoccuparsi se riesce nella parte oppure no.
E’previsto dal regista che molti sbaglino sia le parole e sia il tono, e dunque
nessuno fa caso al disastro che ne scaturisce. La confusione è sovrana. La
Bibbia l’aveva previsto e scritto chiaramente: le lingue si sarebbero confuse
creando uno spaccato tra prima e dopo, ribaltando i valori, rendendoli anime
vaganti in cerca di adozione.
Ero abituato a vedere le maschere a Carnevale o in qualche
spettacolo del Settecento e invece mi trovo perennemente maschere davanti che
però non hanno un volto, una fisionomia, ma sono uniformi, a parte i colori e
qualche bizzarria dei cinesi o dei miei nipoti che ci hanno appiccicato le
immagini dei cartoni animati.
Perché qualcuno ha voluto, ha deciso di mascherare tutti, di
rendere tutti anonime presenze che vagolano
come spettri dando l’impressione di non sapere dove andare?
Niente accade per caso, specie quando, come in questa
occasione, la tragedia si presenta ridicola e scoraggiante e invita a ricamare
barzellette.
Chi sono gli uomini con le maschere? Che devono fare? Le
donne che cosa faranno, truccheranno le maschere? Si faranno costruire maschere
alla Cleopatra? O accetteranno di convivere con la loro faccia così com’è e
accettaranno anche di condividere la sorte con il primo che starà loro accanto?
C’è chi colleziona enigmi, chi note di tarantella, chi immagini
(da incubo) dei due Maestri assoluti della canzone di tutti i tempi di cui si
continuano a celebrare i funerali senza interruzione: una forma di idolatria
che pare paghi alla grande per risolvere le cancrene psicologiche che
aggrediscono le donzelle aride e i giovanotti irascibili. Ormai si recita solo a soggetto, tutto è
predisposto nella mediocrità più assoluta, i sogni sono sati cancellati, non
per decreto ministeriale, semplicemente perché guazzare nel fango sembra che
dia brividi inediti, le finestre sono chiuse, gli aquiloni non sono di moda e
gli arcobaleni, appena escono, vengono sfracellati dai pompieri in agguato da
quando la Protezione Civile ha sparso la voce che sono probabilmente bombe
all’idrogino.
Si campa, cioè si vive aspettando l’ora dell’apertivo da
prendere in compagnia per sfoggiare il pantalone nuovo o la camicetta appena
acquistata alla boutique, aspettando l’ora del pranzo o della cena per aprire
le scatolette del primo o del secondo e le bottigliette delle vitamine. Tutto
in scatola, ormai.
Di solito si mangia davanti al televisore assistendo alla
quattrocentesima puntata del “Matrimonio in pericolo” o del “Commissario
imbroglione” e si sbadiglia aprendo la bocca con grida da iene in calore.
Poi c’è l’ora del fumetto, sempre con la maschrina ben
salda, per non dare la tentazione ai personaggi di uscire dal libro o dallo
schermo a condividere la gioia della noiosa giornata.
Davvero il Covid è stato salutare per ridimensionare le
impurità sociali, le ingiustizie, le disparità e non so che altro, a detta dei
sociologi che ne sparano più dei preti sull’altare.
L’anima è un opzional, una distesa di spine che bisogna
estirpare dando aiuto al vicino in difficoltà. E così le spine si accumulato
sulle strade, nelle piazze, nei campi sportivi, sulle spiagge per creare i
nuovi monumenti, per ricordare che le rose hanno anche le spine.
Eppure, essendo una recita a soggetto, ognuno conosce bene
la parte.
Che cos’è che si è rotto? Che cosa non funziona?
Comunque la conta dei morti è salutare. Se in Italia si arrivasse almeno al
trenta per cento dei decessi poi si vivrebbe meglio. Meno pensioni, meno
ospedali intasati, popolazione tutta giovane e lavoro per tutti.
E’l’obiettivo, in fondo, degli economisti. Finalmente, per
la prima volta, dopo più d’un secolo, il bilancio dello Stato in parità.
Non sarebbe male che non si facessero i funerali, forse
occorre una legge immediata per proibirli. La società ha fretta, deve crescere
il pil, troppe energie e troppe spese per qualcosa che in fondo poi…
“Signore e signori, si apre il sipario, ecco la nuova favola
che Collodi ha tenuta inedita per troppo tempo. E’quella di Pinocchia, la bella
fanciulla che si trasforma in burattino. La sorte che toccherà a molti e a
breve”.
Dalla sala:
“Ah Capocomico, ma che dici? Non vedi che ormai tutte le
donne sono dei burattini?”.
“Buturrino sarai tu”, ribatte Carmen La Sconsolata, “e tutti
gli uomini sono dei burattoni”.
“Va bene, lo spettacolo sta per cominciare. Chiudete i
cellulari- Ecco Pinocchia, l’essenza del genere femminile”.
Un lancio di cipolle guaste e di pomodori acidi arriva
dritto in faccia al Capocomico.
“Ah bello, buturrino sei tu, cocco di mamma”.
Giù le maschere.
Evviva la Pandemia!
DANTE MAFFIA
[UW1]dare
giovedì 20 maggio 2021
Premio "Tulliola Renato Filippelli". Pubblicazione dei risultati.
SI AVVERTONO TUTTI GLI AUTORI CHE HANNO PARTECIPATO AL PREMIO "TULLIOLA- RENATO FILIPPELLI "2021 CHE I RISULTATI RELATIVI AI LIBRI VINCITORI E SEGNALATI VERRANNO PUBBLICATI ENTRO LA FINE DI GIUGNO. A PRESTO. LA PRESIDENTE DEL PREMIO
CARMEN MOSCARIELLO
PRESIDENTE DELLA GIURIA IL GRANDE POETA DANTE MAFFIA
martedì 18 maggio 2021
Emerico Giachery: "...testimoniare il sapore e l'emozione di una stagione storica lontana"
L’occasione
di testimoniare il sapore e l’emozione di una stagione storica lontana e
intensamente vissuta è tra i doni più preziosi della senectus. Al tempo, per me e per tanti miei coetanei magico,
dell’aprirsi all’ “Europa dell’incontro” nell’immediato dopoguerra, ho dedicato
con amore parole e pagine: ero vicino al Movimento federalista europeo di
Altiero Spinelli. Qui mi è soprattutto caro ripensare quel tempo nel segno
della poesia.
Nel febbraio del 1945 cominciano a
uscire a Roma, già liberata da mesi ma con una parte d’Italia ancora occupata
dai nazifascisti, i “Quaderni internazionali di Poesia”, diretti da Enrico
Falqui. Il quale scrisse, in apertura al primo quaderno e all’intera serie:
«Sarà la voce dei poeti a soccorrere, quale concreta manifestazione di
fratellanza tra uomini di buona volontà. Mostrò Vico che il mondo nasce, e di
continuo rinasce, come fantasia e poesia. Rifacciamoci dunque a più
ansiosamente cercare nella poesia di ieri, ed in quella che intorno già
ricomincia a parlarci, la sorgente luminosa di ogni nostro orgoglio ed amore ».
Quei quaderni accoglievano, interpolati da scritti sulla poesia, testi poetici
d’ogni paese: accanto alle più significative voci nostrane contemporanee, poeti
francesi della resistenza, poeti russi proletari, poeti cinesi. Tra tanti
altri, Eliot, Machado, Jiménez, Pessoa, Trakl, Cavafis, Arghezi. Ad alcuni di noi quella “Internazionale della
poesia” sembrava ( e non sbagliavamo) il fiore d’una civiltà.
Ero
ancora studente liceale quando mio padre, conoscendo il mio amor di
poesia che risaliva agli anni del ginnasio, mi regalò il primo quaderno.
A torto quella serie di quaderni - ai quali seguì una breve serie dedicata alla
prosa e diretta da Gianna Manzini - è stata dimenticata (tra i pochi a
ricordarla credo sia stato Antonio
Barbuto, nella serie dedicata alle riviste italiane del Novecento). Forse anche
non abbastanza ricordata fu l’importanza che ebbe per i giovani e per i meno giovani l’antologia della poesia
italiana contemporanea di Giacinto Spagnoletti: la prima edizione Vallecchi è
del 1946, la seconda, nelle edizioni Guanda, è del 1950. Molte indicazioni e scelte di
Spagnoletti si dimostrarono in seguito illuminate e appropriate.
«A poche cose ha creduto la nostra giovinezza:
ma, fra quelle cose, certamente alla poesia», scriveva Sergio Solmi,
commilitone di Montale nella prima Guerra Mondiale e autore di poche ma
fondamentali pagine critiche sull’amico poeta. Non pochi della mia generazione,
da giovani, e per fortuna anche dopo, hanno creduto nella poesia. Leggevamo i
poeti stranieri, di solito, nei quaderni bianchi di Guanda o nei volumetti del
“Melograno”. Per i poeti italiani, dominava la memoranda collana dello
“Specchio”, allora nella sua indimenticata prima veste, con l’immagine, al
centro della copertina, di una mano su un libro semiaperto.
Con ansia
aspettavamo la voce di Montale, che tanto amavamo, e che taceva da tempo: per
la mia generazione, in quegli anni tra fine dell’adolescenza e nascente
giovinezza, soprattutto il poeta, che ci
appariva così vivo e nuovo, delle «trombe d’oro della solarità», di Arsenio, di Riviere. Con la raffinata
qualità delle Occasioni, in cui
filtrava il sapore degli anni Trenta percorsi da sommessi presagi apocalittici,
ci sintonizzammo più tardi. Come è noto, le poesie di Finisterre, nucleo del terzo libro, erano state trasportate segretamente a Lugano da Pino
Bernasconi, che le aveva pubblicate nel 1943 in un’edizione di 150 esemplari. Finisterre (quasi finis
terrae come finis Europae, minacciata
fine di una certa Europa umanistica e illuminata in cui Montale si riconosce e
forse si identifica) esce dunque in piena guerra, come «un’appendice alle Occasioni, per gli amici che non
vorrebbero fermarsi e far punto a quel libro». Così ci informa lo stesso poeta.
Il primo assaggio, per il pubblico italiano, del “terzo libro”, è la lirica
intitolata Iride che appare sul
secondo quaderno di “Poesia”, e si porge enigmatica a lettori che non hanno
ancora una chiave per intendere il senso della figura salvifica che vi prende
il volo. La bufera e altro comincerà a circolare soltanto nel giugno del
1956: libro di grande ala, come del
resto l’autore stesso riconobbe. Carlo Salinari, per pregiudizi ideologici,
subito lo stroncò. Aveva ragione il grande critico Harold Bloom, quando affermava che l’ideologia è
nemica dell’arte. Affermazione valida anche a proposito del recente articolo di un celebre critico mio quasi coetaneo (“ma
non correligionario”, per usare un’espressione di Croce a proposito di
D’Annunzio), che dalla Trimurti - da lui
consacrata e offerta ai posteri - dei
classici italiani del Novecento (Fortini, Pasolini, Calvino), esclude Montale
perché “algido”. Attesto che nei numerosi corsi monografici che ho tenuto sulla
poesia di Montale, ripercorrendo con partecipe gioia e attente soste le tappe
del suo cammino poetico, non vi ho mai
notato “algore”.
Un altro fondamentale “terzo libro”, Il Dolore di Ungaretti, era apparso nel
1947 sull’orizzonte dell’Italia del primo dopoguerra generosamente dedita alla
ricostruzione del Paese. Anche di questo libro,come della montaliana Bufera, troviamo un’ anticipazione sul medesimo secondo volume dei “Quaderni internazionali di Poesia”. Si
tratta di tre poesie: Folli i miei passi,
Nelle vene, Tu ti spezzasti. L’ultima delle tre registra alcune varianti, non
vistose ma significative, rispetto alla redazione definitiva, che ci illuminano
sulla sofferta elaborazione di questo testo così intenso e drammatico. Contesto con forza l’affermazione che il grande
Ungaretti è soltanto quello dell’Allegria.
Invito a rileggere, in proposito, la pagine di una delle monografie più
convincenti (anche se molto meno ricordata del dovuto) sulla poesia di
Ungaretti: quella di Glauco Cambon.
Torniamo
al Dolore. Al parlato semplice e
piano di Giorno dopo giorno,
colloquio struggente e tenerissimo col figlio scomparso, seguono le dense
pagine della sezione Roma occupata,
nucleo e cuore del libro. Esse ci restituivano la temperie di nostri
indimenticabili giorni d’ansia: l’insensato vagare per «strade esterrefatte»,
passanti simili a ombre ai piedi di un impassibile Colosseo dalle orbite vuote.
Librata sulla città, quasi araldico emblema di un libro in gran parte “romano”,
la «cupola febbrilmente superstite», lievitata dal sogno eroico del «teso
Michelangelo» nello sconvolto secolo del sacco di Roma. La poesia del Dolore la sentimmo in quegli anni più che mai vicina e “nostra”.
Emerico Giachery
martedì 11 maggio 2021
Giuria del Premio Mondiale "Tulliola- Renato Filippelli"
La Giuria del Premio "Tulliola Renato Filippelli": Presidente della Giuria Dante Maffia. Presidente Onorario Emerico Giachery. Componenti: Claudia Piccinno,(responsabile per lla sezione stranieri), Lorenzo Spurio, Michele Urrasio, Giuseppe Trebisacce, Giulia Fera,(Curatrice dell'immagine), Michael Musone, Giuseppe Iuliano, Paolo Saggese, Mimma Filippelli, Domenico Pimpinella, Francesco Pungitore, Carmen Moscariello.