martedì 16 settembre 2025

La parabola del deserto: un’analisi spietata della profonda crisi di civiltà di tutto il mondo occidentale. di Carmen Moscariello

 Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perchè gli uomini vi vivano, ha creato il deserto perché gli uomini vi ritrovino la propria anima.

 

 








Sinopsi dell’opera

La parabola del deserto

L’opera è tesa alla scoperta del senso nascosto delle cose.

E’ assoggettata al disordine della memoria, alimentata da  una scintilla di speranza che crea  fuochi di passioni. Si contrappongono alcuni passaggi e ricostruzioni, demoliti da scosse  distruttive, per dare voce alla preghiera dei ruscelli,  al nettare d’agave e a cogliere la luce di Dio dalla polvere dei venti del deserto. L’opera attraverso il racconto della vita di Charles de foucauld esplora fisicamente il deserto e aspira  a realizzare  la presa di coscienza del valore dell' esistenza. Si pone   in una costanza meditativa, come percorso e desiderio  di  abbandono del   mondo  desertificato.

Lo scritto apre le porte a un’analisi  spietata della profonda crisi di civiltà di tutto il mondo occidentale. C’è un’esigenza ariosa, asprigna, nell’ostinato desiderio di  dare  un obiettivo nobile alla vita. Si sceglie il deserto per disancorarsi, in un viaggio doloroso, ai limiti della morte. Gradualmente, i graffi della lotta contro i limiti della natura e dello spirito piegano e rivoluzionano l’intero modo di porsi davanti a Dio. L’autrice racconta un’esperienza effettivamente vissuta, quella dell’attraversamento del deserto del Sahara con lo scopo di raggiungere il Romitaggio di Charles Eugène De Foucauld, nei pressi di Assekrem. L’esperienza assume con gradualità i colori della fratellanza e sviluppa per il popolo Tuareg un grande amore. Cè nella scrittura un’oscillazione tra la poesia e  il pensiero meditativo, dando ampio spazio alla speranza.

Il tema della vita, quello religioso e dell’amore hanno  un ruolo determinante, testimone ne sono le dune  del deserto. Questi lembi formano una rete densa di significati i cui fili s’intrecciano senza sciogliersi e portano un’anima quasi dannata ad abbracciare la croce di Cristo.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Perché bando alle chiacchiere, signori miei: l'infelicità non ha solo il volto della fame e del freddo. Ha anche quello della solitudine che gela quando appartieni a un mondo scomparso o incompreso, quando sei costretto a vivere in un ambiente nel quale non ti riconosci e vieni schernito ridicolizzato perseguitato dalla volgarità.

(Oriana Fallaci)

 

 

 

Foto di Carme


n Moscariello

 

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Le antiche rotte dell’ Ahaggar

Di Carmen Moscariello

ll cielo che porta sole e terra e luna e stelle, è fiero di portarle. Come lui, il cielo, sii tu fiero di portare la tua vita[2]

 

 


 

 

I canto


 

Si  perse a Fez, era  incantevole,

 le sue mura sfumavano nella sabbia

del deserto. I vicoli della medina erano

 così stretti, a volte, maleodoranti, non c’era

 anima viva, eppure si sentiva fissata da molti

 occhi di donne e uomini; occhi bramosi,

 curiosi della straniera: “Si è persa!”.

 Erano le voci del silenzio

anche di quelle che provenivano

dalle porte acidule e scure

 di sospiri, anche di quelle che accompagnavano

a fiotti i ricchi emiri, le tante giovani mogli,

non parlavano mai,  avevano occhi pungenti

 e le mani e le dita colorate da preziosi

 tatuaggi, sembravano carte geografiche,

 fatte per territori inesplorati. Quando

i vicoli la portavano su una torre più alta

 poteva vedere i cammelli al tramonto

 (inimmaginabili per bellezza e mistero

 i tramonti rossi-arancio del deserto), i cammelli

erano anch’essi statue di sabbia si muovevano

 appena, impercepibile il loro dondolarsi,

solo le code rompevano il vento.

La rosa dei venti soffiava dai mille

vicoli che aprivano e chiudevano attese.

 

II canto

Qui nessuno si insinuerà al tuo seguito!

I tuoi passi stessi hanno cancellato il sentiero

Dietro di te, e sopra il tuo sentiero sta scritto: Impossibile!

(F. Nietzche)

 

L’unico suono era il suo passo leggero: un fiato

 caldo che cresceva nel polline dell’ ululato.

Impressionante è il silenzio, nessuna parola

 era più chiara. Né il segno di una lampada,

 solo  ombre striscianti di un fruscio senza passi,

onde sottili che confondevano la notte,

 nel rumore senza foglie, c’era un vento

tagliente che parlava ad alta voce, prepotente

 sfidava il mistero delle ombre. La gioia

mansueta della mezzanotte, la profezia

delle mura bellissime che circondano

 la medina e le porte alte che  non avevano

 permesso l’entrata ai  molti  dubbi.

Non tremeranno  al freddo della notte

le gocce di cuore che si innalzavano alle stelle,

avvolte nel mantello della sua anima.

Le piazze piccole si aprivano e si chiudevano,

 quasi a stringerla tra le braccia. Il sole

era da molto tramontato e la visitatrice era estranea,

diversa, bella, aveva un velo con garbate

sfumature di verde, ricamato di perle e zaffiri,

l’avvolgeva tutta; sporgeva solo

 il suo piede nudo e delicato. Durante

 il giorno, quegli occhi nascosti sotto

 tende informi glieli guardavano vogliosi.

Iniziò ad avere paura, sembrava

 che gli spazi tra le mura della città,

fossero penetrabili e facili da esplorare,

 tutt’altro, la città era un labirinto

 di viuzze sempre uguali che si arroventavano

su se stesse. I suoi vestiti leggeri, quasi

trasparenti, erano attraversati dai raggi

 di luce che da secoli si fissavano

sulle mura antiche, che avevano

respirato passioni e guerre. Si trovò finalmente

 davanti all’Università di Fez, forse

 la più antica del mondo arabo, tirò

dritto e, finalmente, a un giovane

che le veniva incontro gli chiese

 in francese come arrivare al Rida

 de La Cheminé Bleue Fas, in prossimità

 della Porta di Bab, luogo dove

si trovava il suo albergo. La medina

fortificata, ormai avvolta da ombre

 dense, non lasciava leggersi in nessuna

sua parte, il grigio giallo delle costruzioni

 era diventato nero, brillavano ogni

 tanto delle piastrelle verdi e blu. Alzò

alfine gli occhi verso il cielo

e le stelle le apparvero così vicine

e lucenti, come mai le aveva viste,

era per lei un capogiro, un sogno di levità

di non appartenenza, se non a quel cielo

 d’anfiteatro, verso i monti dell’Ahaggar,

 albeggiò nell’arcolaio dell’ ampio mantello

del Tahat, mentre le pietre la invitavano

 a percorrere i sentieri sconosciuti.



 

L’ anima riconobbe  strane meteore che veloci

 attraversavano i cieli, brulicavano nelle pieghe

 più scure dei molti soli della  vita,

….  (Versi tratti dall’opera “Le antiche rotte dell’ Ahaggar ” di Carmen Moscariello, opera pubblicata dalla Gangemi Editore Roma.



[1] Pasolini

[2] Antico proverbio tuareg.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo I

 

Miraggio

 

 

 

 

 

Le montagne del Medio Atlante si piegavano su di lei che inciampava nelle strade dissestate con i suoi sandali delicati ornati con pietre luminose,  né le candele accese ai bordi dei  riad davano una qualche speranza di luce. Era stanca e se ne avesse avuta l’occasione si sarebbe volentieri seduta, le orbite di sabbia disegnavano col vento strane ombre, improvvisa ne apparve una gigantesca, alzò gli occhi e intravide un beduino del deserto, così gli sembrò, con gli occhi neri come la pece, il corpo avvolto da una sottana bianca, lo fece sembrare un dio, né si sorprese, quando egli le sorrise e le diede la mano per guidarla, le parlò in un francese perfetto e le disse di non avere paura. Fu lui a guidarla dove voleva che la portasse, e lei ripeté in francese  l’indirizzo del suo albergo. Percorsero delle ampie sca

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