Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perchè gli uomini vi vivano, ha creato il deserto perché gli uomini vi ritrovino la propria anima.
Sinopsi
dell’opera
La
parabola del deserto
L’opera è tesa alla scoperta del senso
nascosto delle cose. 
E’ assoggettata al disordine della memoria,
alimentata da  una scintilla di speranza
che crea  fuochi di passioni. Si
contrappongono alcuni passaggi e ricostruzioni, demoliti da scosse  distruttive, per dare voce alla preghiera dei
ruscelli,  al nettare d’agave e a cogliere
la luce di Dio dalla polvere dei venti del deserto. L’opera attraverso il
racconto della vita di Charles de foucauld esplora fisicamente il deserto e
aspira  a realizzare  la presa di coscienza del valore dell' esistenza. Si pone   in una
costanza meditativa, come percorso e desiderio  di 
abbandono del   mondo  desertificato.
Lo scritto apre le porte a un’analisi  spietata della profonda crisi di civiltà di tutto
il mondo occidentale. C’è un’esigenza ariosa, asprigna, nell’ostinato desiderio
di  dare  un obiettivo nobile alla vita. Si sceglie il
deserto per disancorarsi, in un viaggio doloroso, ai limiti della morte.
Gradualmente, i graffi della lotta contro i limiti della natura e dello spirito
piegano e rivoluzionano l’intero modo di porsi davanti a Dio. L’autrice racconta
un’esperienza effettivamente vissuta, quella dell’attraversamento del deserto
del Sahara con lo scopo di raggiungere il Romitaggio di Charles Eugène De Foucauld,
nei pressi di Assekrem. L’esperienza assume con gradualità i colori della
fratellanza e sviluppa per il popolo Tuareg un grande amore. Cè nella scrittura
un’oscillazione tra la poesia e  il pensiero
meditativo, dando ampio spazio alla speranza.
Il tema della vita, quello religioso e dell’amore
hanno  un ruolo determinante, testimone
ne sono le dune  del deserto. Questi lembi
formano una rete densa di significati i cui fili s’intrecciano senza
sciogliersi e portano un’anima quasi dannata ad abbracciare la croce di Cristo.
Perché bando alle chiacchiere, signori
miei: l'infelicità non ha solo il volto della fame e del freddo. Ha anche
quello della solitudine che gela quando appartieni a un mondo scomparso o
incompreso, quando sei costretto a vivere in un ambiente nel quale non ti
riconosci e vieni schernito ridicolizzato perseguitato dalla volgarità.
(Oriana Fallaci)
Foto di Carme
n Moscariello
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Le antiche rotte dell’ Ahaggar
Di Carmen Moscariello
ll cielo che porta sole e terra e luna e stelle, è
fiero di portarle. Come lui, il cielo, sii tu fiero di portare la tua vita[2]
 
I
canto
 
Si 
perse a Fez, era  incantevole,
 le
sue mura sfumavano nella sabbia
del
deserto. I vicoli della medina erano
 così
stretti, a volte, maleodoranti, non c’era
 anima
viva, eppure si sentiva fissata da molti
 occhi
di donne e uomini; occhi bramosi,
 curiosi
della straniera: “Si è persa!”.
 Erano
le voci del silenzio
anche
di quelle che provenivano
dalle
porte acidule e scure
 di
sospiri, anche di quelle che accompagnavano
a
fiotti i ricchi emiri, le tante giovani mogli,
non
parlavano mai,  avevano occhi pungenti
 e
le mani e le dita colorate da preziosi
 tatuaggi,
sembravano carte geografiche,
 fatte
per territori inesplorati. Quando
i
vicoli la portavano su una torre più alta
 poteva
vedere i cammelli al tramonto
 (inimmaginabili
per bellezza e mistero
 i
tramonti rossi-arancio del deserto), i cammelli
erano
anch’essi statue di sabbia si muovevano
 appena,
impercepibile il loro dondolarsi,
solo
le code rompevano il vento.
La
rosa dei venti soffiava dai mille
vicoli
che aprivano e chiudevano attese.
 
II
canto
Qui nessuno si insinuerà al tuo
seguito!
I tuoi passi stessi hanno cancellato
il sentiero
Dietro di te, e sopra il tuo sentiero
sta scritto: Impossibile!
(F. Nietzche)
 
L’unico
suono era il suo passo leggero: un fiato
 caldo
che cresceva nel polline dell’ ululato.
Impressionante
è il silenzio, nessuna parola
 era
più chiara. Né il segno di una lampada,
 solo  ombre
striscianti di un fruscio senza passi,
onde
sottili che confondevano la notte,
 nel
rumore senza foglie, c’era un vento
tagliente
che parlava ad alta voce, prepotente
 sfidava
il mistero delle ombre. La gioia
mansueta
della mezzanotte, la profezia
delle
mura bellissime che circondano
 la
medina e le porte alte che  non avevano
 permesso
l’entrata ai  molti  dubbi.
Non
tremeranno  al freddo della notte
le
gocce di cuore che si innalzavano alle stelle,
avvolte
nel mantello della sua anima.
Le
piazze piccole si aprivano e si chiudevano,
 quasi
a stringerla tra le braccia. Il sole
era
da molto tramontato e la visitatrice era estranea,
diversa,
bella, aveva un velo con garbate
sfumature
di verde, ricamato di perle e zaffiri,
l’avvolgeva
tutta; sporgeva solo
 il
suo piede nudo e delicato. Durante
 il
giorno, quegli occhi nascosti sotto
 tende
informi glieli guardavano vogliosi.
Iniziò
ad avere paura, sembrava
 che
gli spazi tra le mura della città,
fossero
penetrabili e facili da esplorare,
 tutt’altro,
la città era un labirinto
 di
viuzze sempre uguali che si arroventavano
su
se stesse. I suoi vestiti leggeri, quasi
trasparenti,
erano attraversati dai raggi
 di
luce che da secoli si fissavano
sulle
mura antiche, che avevano
respirato
passioni e guerre. Si trovò finalmente
 davanti
all’Università di Fez, forse
 la
più antica del mondo arabo, tirò
dritto
e, finalmente, a un giovane
che
le veniva incontro gli chiese
 in
francese come arrivare al Rida
 de
La Cheminé Bleue Fas, in prossimità
 della
Porta di Bab, luogo dove
si
trovava il suo albergo. La medina
fortificata,
ormai avvolta da ombre
 dense,
non lasciava leggersi in nessuna
sua
parte, il grigio giallo delle costruzioni
 era
diventato nero, brillavano ogni
 tanto
delle piastrelle verdi e blu. Alzò
alfine
gli occhi verso il cielo
e
le stelle le apparvero così vicine
e
lucenti, come mai le aveva viste,
era
per lei un capogiro, un sogno di levità
di
non appartenenza, se non a quel cielo
 d’anfiteatro,
verso i monti dell’Ahaggar,
 albeggiò
nell’arcolaio dell’ ampio mantello
del
Tahat, mentre le pietre la invitavano
 a
percorrere i sentieri sconosciuti.
L’
anima riconobbe  strane meteore che veloci
 attraversavano
i cieli, brulicavano nelle pieghe
 più
scure dei molti soli della  vita,
….  (Versi tratti dall’opera “Le antiche rotte dell’ Ahaggar ” di
Carmen Moscariello, opera pubblicata dalla Gangemi Editore Roma.
[1] Pasolini
[2] Antico proverbio tuareg.
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Capitolo
I
Miraggio
Le montagne del Medio Atlante si piegavano su di lei che inciampava nelle strade dissestate con i suoi sandali delicati ornati con pietre luminose, né le candele accese ai bordi dei riad davano una qualche speranza di luce. Era stanca e se ne avesse avuta l’occasione si sarebbe volentieri seduta, le orbite di sabbia disegnavano col vento strane ombre, improvvisa ne apparve una gigantesca, alzò gli occhi e intravide un beduino del deserto, così gli sembrò, con gli occhi neri come la pece, il corpo avvolto da una sottana bianca, lo fece sembrare un dio, né si sorprese, quando egli le sorrise e le diede la mano per guidarla, le parlò in un francese perfetto e le disse di non avere paura. Fu lui a guidarla dove voleva che la portasse, e lei ripeté in francese l’indirizzo del suo albergo. Percorsero delle ampie sca






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