Rinascenza
e perdonanza, la rivoluzione poetica di
Carmen Moscariello
di Giuseppe Iuliano
Poesia
e fede, due distinte profezie. Anzi due verità, canto di una poetessa e pratica
esistenziale di una donna, che da sempre professa la religione della vita e una
vita di religione. Entrambe fino all’eresia, scelta di “coerenza” avverso il
sonno delle coscienze e le anestesie del coraggio; amore di verità alla ricerca
di se stessa nella gratuità dei servizi, nell’adesione alle responsabilità,
nella disponibilità all’impegno.
Donna
e poetessa. Due distinti caratterizzanti profili, fors’anche possibili di
antagonismi, eppure paralleli e speculari. Entrambi significativi di scelta e testimonianza. Entrambi un insieme di vero e
sacro, una o più identità, combinazione e sintesi di Parola e parole,
versi e metaversi, canti e disincanti. Questa è la mission apologetica e
testimoniale di Carmen Moscariello per annunciare Il
Vangelo in poesia, aderenza laica di una conversa che attende a pratiche e
servizi con gli entusiasmi di una novizia.
Moscariello
è una scrittrice che individua e decritta le parabole borghesi – oggi vocazioni mercatali – povere di esempio,
vetrine dell’apparire, che riducono il vero alla convenienza; non conosce
compromessi e desistenze e continua a mostrare guancia e sorriso, convinta
dell’imprescindibile salvezza dell’umanità; coltiva da sempre, tra misticismo e
realismo, la politica dell’amore in una società che venera l’amore
della politica e dei suoi desiderata, talvolta contraddittori e
negazione dei principi e delle ragioni per cui si dovrebbe agire. Una scelta,
quella della Nostra, ancora più apprezzabile oggi che la Chiesa è in sommo affanno, “in grande ribellione” e “sta
vivendo momenti molto difficili”. Infatti, tra congetture e relativismi,
Moscariello aspira alla costruzione di un cristianesimo ancora possibile dei
respiri del mondo. Ecco i fondamenti del suo libro. “Quest’opera – per sua stessa ammissione dovrebbe valere raccordo, intesa, pacificazione – racconta
dunque non solo la storia di un Santo e
di un grande Dottore della Chiesa,
(Celestino V e Benedetto XVI), ma narra anche “di Papa Francesco, di Gioacchino da Fiore,
di Angelo Clareno, di Pietro Giovanni Olivi, degli Spirituali, dei Padri predicatori, dei
francescani, dei monaci benedettini, dei loro monasteri, dei canti, dei
perseguitati dalla chiesa e dalla politica, dell’eco del silenzio, di un popolo
che non vuole arrendersi ai soprusi dei potenti di ogni tempo, della bellezza e
del mistero della Maiella”. Eremi, cenobi, romitori, abbazie, monasteri tra
terre d’Abruzzo e del Gargano e del nostro Centro-Sud, custodi di segreti,
messaggeri di speranza. Luoghi simbolo di raccoglimento e contemplazione, di rinascenza e perdonanza.
Il Vangelo moscarielliano, stesura in due
capitoli, persegue e coniuga unità d’intenti, un filo invisibile (ma
consistente) – passato remoto e prossimo – che ha
portato papa Ratzinger a
posare il suo pallio sulla tomba di Celestino a L’Aquila, cosa che “nessun papa
fino ad allora aveva osato farlo”.
Quanta Chiesa del silenzio, della meditazione e
dell’invocazione ha suggerito le coordinate dell’umano sentire, nei drammi
dell’umanità, nelle fatiche ossessive della storia e nella letizia dei giorni!
Una successione di dinamiche spirituali e di fratture geopolitiche fino alla Chiesa dei rumor odierni e
delle grandi speculazioni teologico-filosofiche – assistiamo
da tempo a spinte ed accuse di progressismo e immobilismo.
Moscariello ha scelto il
Vangelo dell’esempio, la novella della solitudine e della meditazione. Una
visione, insieme ascetica e trascendentale ma mai avulsa dalla realtà, – è la
linfa e l’ossatura della Chiesa – per una pastorale degli ultimi, votata alla comunione
e all’ecumenismo per “tutti i figli d’Eva” (Manzoni, La Pentecoste).
Essa trova punti di riferimento in Celestino V (san Celestino) e Benedetto XVI,
che all’autorità hanno preferito l’autorevolezza, all’imperium il
servizio, ai sermoni la meditazione e la preghiera.
L’Autrice,
già pellegrina in Africa, ove ha seguito le orme di Charles de Foucauld e il
suo percorso di evangelizzazione e conversione tra la popolazione berbera per
trovarsi “fratelli tutti”, nell’attualità ha rinunciato ai viaggi esplorativi,
alle scarpinate di meditazione e penitenza, alle tempeste di sabbia, riuscendo
a trovare Dio nel prossimo adiacente, consapevole della certezza di Geremia
(23,23): “Sono io forse Dio solo da vicino – dice il Signore – e non anche Dio da
lontano?”
Dal silenzio degli
eremi scaturiscono saggezza ed unione con Dio.
La Parola rimbomba come tuono e valanga per annunciare il Verbo
e non si lascia sprofondare nel “mistero dell’abisso”. La montagna, asperità e
discesa, natura ed accoglienza, diviene la vera protagonista: “un
delirio di luce che abbaglia e sembra ci porti ad un passo dall’infinita
bellezza”. Un quadrinomio che si scompone in passaggi vitali, “trasformazione,
ascetismo, bellezza espressione di Dio e consapevolezza della sua presenza tra
gli uomini”, per una necessaria palingenesi morale e sociale.
Ci pare di rivisitare gli anfratti
irpini del Terminio tra voli di sparvieri ed aquile reali e la montagna del
Salvatore, quest’ultima con le sue stazioni di Via Crucis, per un’ascesa
rigenerante e liberatoria, compagni i generosi castagni e i folti boschi, qui
altra grazia di Dio.
La Nostra, animata
dalla dolcezza e dal fervore di pietà verso la croce, ne scrive un’ispirata
poesia. È l’incipit, ago che indirizza la bussola de Il Vangelo in
poesia: “C’è in Basilica a Lenola (Latina) uno
smunto crocifisso / […] La fede è nello scarno crocifisso” che ha uno “sterno rinsecchito con seni
avvizziti, quasi immagine di fame, che ricorda gli ebrei nei campi di
concentramento”. Questo spaccato rimanda inevitabilmente alla figura del suo
consanguineo Giovanni Palatucci, questore di Fiume – Beato per la Chiesa
cattolica e Giusto tra le nazioni per gli Ebrei – cui il libro è dedicato, morto di sevizie e stenti a
Dachau, dopo aver salvato migliaia di Ebrei. Ecco forse la risposta
convincente, essenza d’amore supremo – nell’anticipo di apocalisse, inferno di terra di spiriti malvagi – per chi si chiedeva “Ad Auschwitz Dio dov’era?”
Alla
tardiva comparsa di Dio, nascosto dalle tenebre – è stato il timore di Benedetto “che la vita del
mondo e della chiesa venga attaccata dal caos, dal nulla eterno”, Moscariello,
memore della parabola delle vergini
savie, prepara opportunamente olio e lampada, convinta che si possa “Amare Dio con la catechesi del bello e dell’arte,
della musica e della poesia”. Un mondo di armonie e sonorità, magie ed eco di
venti, voci umane di incontri, raduni, annunci per sprigionare faville di
misericordia e perdono, e “diffondere la Grazia”. Anche un libro può diventare
“rappresentazione del mondo attraversato da cuori” e, Moscariello, ormai vi
provvede senza requie. La fede è un’ancora con la sua catena da avvolgere o srotolare
per affrontare flutti e mareggiate e garantire gli ormeggi della comprensione,
dell’indulgenza e della solidarietà. Così si cementificano ponti o muri e si permettono nei fatti – difficile
mantenere gli equilibri – il “nascere e il morire delle nazioni”.
In questo
difficile compito e nell’ansia di ritrovare se stessa, la Chiesa può affidarsi
– è accento e refrain dell’Autrice – ai tre “campioni” che ne incarnano spirito e
magistero: Celestino V “spirito mansueto
e guerriero” che affrontò la “corruttela
del mondo politico e religioso, contro i demoni che affollavano montagne e
grotte e città”, e da “grande guerriero ed esorcista, intraprese un duello critico contro la
sciatteria dell’uomo”; Benedetto XVI, “pastore coraggioso, inespugnabile”, esempio
di inquietudine “per la chiesa, per i confratelli, prega per chi lo
tradì e gli rubò la fiducia”; Francesco, infine, “con la sua fede militante,
lotta strenuamente contro i demoni della nostra Storia”. Una trinità papale che ha seminato, nel tempo e in
sinergia, la passione di Cristo e delle Chiesa ma ha dovuto scontrarsi
con prove e sofferenze: “molte pagine delle loro vite, queste sono tessute
d’amore, di sapienza, di speranza, sono dei ‘sovversivi’ intendendo con questo
termine niente di violento, le loro intenzioni furono e sono quelle di
sovvertire, non solo mutare, il mondo e il modo di rapportarsi a Dio”. Pagine
esemplari, uniche, che dovrebbero diventare il “diario” di bordo del nostro
viaggio di riconciliazione con Dio (metanoia).
Moscariello innalza un Te Deum
intonato ed elegiaco, un tripudio liturgico, un alleluia di benedizioni: “per i tre ci fu il peso della loro Missione
e sotto la mezza luna cantano ancora con giubilo le ore che mancano all’alba.
Con essi gli angeli in coro al battito di ciglia delle farfalle, ai sussurri
dell’alba che inneggia la gloria di Dio, aprono le porte del Paradiso e
finalmente alla visione dell’abbraccio del Padre. Gli uccelli proteggono felici
la grotta del Santo, il romitorio di Benedetto XVI e l’umile casa di Francesco,
si accompagnano agli zefiri mattutini della preghiera. Le campane in lontananza
mandano echi di festa e incatenano progetti di futuro nei chioschi della
Libertà e dell’Eterno”. Un inno di devozione, un salmo stuporoso come un ricamo
meraviglioso, un cantico di gioiosa accoglienza.
Moscariello riprende l’Antico
Testamento e il profeta Daniele che “ci annuncia che
i Saggi brilleranno e con essi la Giustizia, le Stelle, nell’Eternità.” Ad essi
vanno
affiancati i poveri di spirito nel corale innovativo precetto di “soccorrere i
poveri, non solo insegnargli la preghiera e la strada del dialogo, ma, anche la
strada del riscatto, uscire dalla miseria e portare il pane in ogni casa”. E in
aggiunta un insieme di assiomi, credo e percorsi, per la comune salvezza: Dio cercato che si rivela agli umili; somministrare il necessario ai fratelli più bisognosi; compiere, secondo le possibilità, le opere di
misericordia; la fede si vive
non si discute; la natura
ha beneficio sull’uomo, apre il cammino alla luce; credere in Dio altro
non è che abbracciare con consapevolezza l’Infinito; per l’eterno si
diviene martiri. Un nutrito decalogo ovvero uno zibaldone ricco e
cosciente, cui attingere nelle prove e negli scoramenti della vita, e con esso
un novero di autori “da Dante a
Rilke, a Novalis, a Friedrich Hölderlin e a tanti altri” amati da Benedetto XVI.
La storia umana
racchiude ansie di verità: disvelamento, morte e resurrezione. Ma già si presagiscono
altre agonie. La Chiesa delle profezie messianiche si
ritroverà, in una “indescrivibile solitudine”, piccola e povera, schiantata da “l’individualismo,
l’esasperazione dell’identità, l’esacerbazione di primeggiare e schiacciare il
prossimo”. Occorre, invece, invertire la tendenza: avversare i “modelli di vita improntati all'arroganza e
alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all'apparire e
all'avere, a scapito dell'essere” e incoraggiare
l’affermazione del capitale umano e delle sue virtù.
C’è chi continua ad auspicare rivoluzione e
cambiamento; tanto può significare pure la morte della Chiesa. “Ma io sono anche
certissimo – ha detto Ratzinger – di ciò che
rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la
Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella
misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova
fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre
la morte”. Ed allora cominciamo a
ritrovare con umiltà Dio naufragato in “io” e riportarlo a “noi”. Un percorso contrassegnato dall’amore, che
resta il vero motore dell’universo e che non muove solo “il sole e l’altre
stelle” ma smuove mente e cuore degli uomini. Vero è che se indugiamo sul “gran
rifiuto” di Celestino V (Pietro da Morrone) – “galeotto” e tranciante il
giudizio di Dante, sdegnato per il seggio papale di Bonifacio VIII – ignoriamo
che il vero “rifiuto” è l’assenza di Dio, che prima è lontananza, poi estraneità.
Toccherà, ancora, alla chiesa
missionaria, nata da “un piccolo gregge di credenti”, operare il ritorno al
cristianesimo, riavviando le convincenti cause della fede e la sua “rivoluzione in perpetuo”.
Carmen Moscariello, visionaria tra visionari,
testimone di fede e poesia – Sant’Agostino diceva che “l’uomo è un abisso”
e “nessuno, come da congiunzione di
Benedetto XVI (25 dicembre 1969), può
prevedere quello che uscirà da queste profondità”[1] – raccoglie le significative voci della storia per
diffonderne la varietà di grazia e pensiero, auspici nel loro manifestarsi
dell’avvento del nuovo in Dio: uomo, mondo, alleanza.
Postfazione di Franco Mangialardo
Post fazione di Maria Vitale
Reinvio mail
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SOLI DELLA CHIESA Celestino V e Benedetto
XVI
[1]
https://diocesimacerata.it/wd-interventi-vesc/2022-12-31-omelia-santa-messa-col-canto-del-te-deum/