venerdì 21 febbraio 2025

Celestino V e Benedetto XVI Soli della Chiesa di Carmen Moscariello- Gangemi Editore

 






In forma di oratorio- Dalla Prefazione di Marcello Carlino

 

È un oratorio, al postutto. Tra monologhi e dialoghi e brevi inserti di una voce narrante fuori campo, alla struttura di modo drammaturgico del testo di Carmen Moscariello mancherebbe la musica per poterlo dire oratorio, se non fosse che la musica è l’anima profonda di questa sua scrittura: la prosa vi è lirica e ha timbri musicali, infatti: la scrittura pare mutarsi in musica, infine.

Eccolo un primo, chiarissimo segno distintivo. Come gli altri racconti di esistenze speciali e di incontri di vita, che trovano posto nella bibliografia di Carmen Moscariello, è la passione a farsi intensità e fervore, ed è il fervore a validare un transfert nei soggetti narrati e quasi incarnati, ed è il transfert ad accendere lo stile e accalorare la sintassi voltando i suoi nessi in uno sciame di febbrili, incantate associazioni, cosicché la parola risuona di una pronuncia come sacrale, che muove onde armoniche come di lauda.

In un quadro siffatto la documentazione sopra giuste fonti è di premessa, ma il rigore e la compiutezza filologici sono tutt’altro che necessari: contano piuttosto inquadrature e intonazioni in soggettiva dell’io autoriale, che presta la sua voce ai personaggi, entrato nei personaggi con passione e fervore.

Sono due i protagonisti nel teatro qui allestito da Carmen Moscariello, Celestino V e Benedetto XVI, accomunati dalla scelta della rinuncia al pontificato. Una modulazione particolarmente efficace di questa struttura oratoriale è che Benedetto XVI, nel secondo “atto” in cui è evocata la sua storia, è annunciato ed esposto in lauda da Celestino V, la cui parte in scena contempla più lunghi e frequenti assoli monodici, più stringenti monologhi. Intorno una serie di personaggi intesse una partecipazione corale.

La passione costitutiva della prosa lirica – di quando in quando dei prosimetri – che Carmen Moscariello consegna ai monologhi e ai dialoghi del testo ha tratti peculiari, sorprendenti: il calore della comunanza si fa esaltazione della tenerezza e della meraviglia e su questo doppio paradigma si coniugano le parabole di Celestino V e di Benedetto XVI, “cantate” in lauda spirituale dal primo, che riconosce nel secondo chi da lui ha raccolto il testimone di una ideale staffetta lungo il percorso virtuoso della mitezza e dell’amore.

Celestino V ha recepito e insieme temperato le istanze di una chiesa povera, schierata con gli ultimi; di ciò anche, levatasi da un cuore semplice che vive l’umanità in fratellanza, è voce la rinuncia al potere, allo sfarzo e al lusso di una religione isterilitasi nella torre d’avorio di una dorata separatezza; la ripulsa delle beghe curiali e delle lotte cruente, innescate da una secolarizzazione che insegue prebende ed è profondamente traviata da mire politiche, contiene un messaggio di unità, un invito rivoluzionario (concorde in una certa misura con le attestazioni di un cattolicesimo alternativo e come eretico) alla condivisione e alla misericordia, di cui il perdono è un valore fondante: un messaggio tuttora attuale tanto per i credenti, quanto per coloro che esprimono una cultura laica.  

La scelta di Benedetto XVI, erede di Celestino V, è ricca degli stessi significati: la mitezza, la coscienza dell’umana fragilità, il desiderio di dare accento alla povertà creaturale come virtù e come contravveleno ad una ideologia che premia politiche di potenza.

Benedetto XVI aggiunge alla preghiera, che distingue la solitudine romita di Celestino V nella beatitudine della natura, una cultura teologica che è fatta sposare con la profonda sacralità dell’arte, in specie con l’anima serenante della musica.  E qui il cerchio si chiude riconducendo alla liricità di modo musicale della scrittura di Carmen Moscariello, che batte il tempo di un meravigliata, gioiosa, sua propria spiritualità.

                                                                  

giovedì 20 febbraio 2025

Io, Donna del Mare di Carmen Moscariello




A lungo ho nuotato sott’acqua, lì ho conosciuto le ninfe del mare e i cavalli marini.

Anche oggi, o mio Mare, mio Amore  ti guardo, ti cerco seduta sotto il faro dei monti,

con al mio fianco la villa di Cicerone con i suoi occhi aperti, dalla finestra qualcuno mi saluta, mi hanno anche inviato la prima mimosa.

All’alba e al tramonto, tu srotoli per me coperte di seta

ci metti il mio cuore, lo profumi di ardori.

Non conosco i miei anni,

li ho perduti e ritrovati lì sotto le onde.

A riva la notte, mi porti a guardare le stelle

e cadono come coriandoli sulla mia testa piena di sogni.

Ho visto sott’acqua un sottomarino c’erano tutti loro,

ho avuto paura e sono fuggita.

Voi ninfe marine mi avete accolta nel vostro ventre

e mi avete narrato le carezze del mio Dio.

Non piango più, non ho più lacrime, i miei occhi

divenute astri del firmamento

sono luce ai mie abbracci, ai miei addii. Io, Donna del Mare

vi volgerò le spalle e nuoterò con Nausica ed Ettore

Insieme canteremo le mura di Troia,

i segreti di Anchise e il Pelide Achille, lui il più bello

è  splendore e speranza.

 Ho ereditato il suo scudo

mi protegge dalle mille battaglie,

io non voglio che mi accompagniate a riva.

Il mondo mi ha girato le spalle, ha tentato, senza riuscirci, di rubare  i miei tesori.

Io non ho fatto nulla per custodirli, ma il buon Dio

me li fa trovare ogni alba davanti al cancello di casa.

E’ sempre più generoso

mi ha regalato una gioventù eterna.

Dicono che sono come nonna Betta la mia bisavola

 che visse cantando e morì cantando  a 105 anni

ancora aveva capelli e cosce di seta.

O mio Mare, adoro i tuoi silenzi con essi mi incammino

ogni giorno e ti narro dei cavalli marini che 

mi chiedono di ballare con loro, in girotondo come quando

ero bambina.  Non vogliono  portarmi più a riva, 

apparteniamo al Mare.

Carmen Moscariello


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mercoledì 12 febbraio 2025

CARMEN MOSCARIELLO:MONSIEUR DALì- gala sapeva calmare le sue intemperanze......

 

CARMEN MOSCARIELLO: "MONSIEUR DALì"

 

Carmen Moscariello,
collaboratrice di Lèucade

 

 Monsieur Dalì , l’énigme sans fin

Le geografie del Tempo e dell’Amore

Di Carmen Moscariello

 

Gala sapeva calmare le sue intemperanze. Si amavano e il genio di Dalì si nutriva  dell’amore e della presenza della sua musa. Quando la conobbe, lei era già sposata con Eluard, abbandonò marito e figlia per andare a convivere con l’immenso Genio.

Mi piace comprendere meglio l’arte degli  artisti cercando di conoscere bene le loro vite, esse sono quasi sempre appassionate, fuori da ogni regola, aperte ad esperienze sconvolgenti, fluttuanti.

Questa mattina cercavo qualche bella foto che  riguardasse  un mio lavoro e invece mi sono imbattuta in  quelle bellissime scattate da me in  una mostra tenutasi a Parigi nell’ Espace Dali a Monmartre dall’amico fotografo  Enrique Sabater nel 2012. Una mostra fuori dal comune che oltre a contenere i capolavori che l’Artista  aveva regalato al fedele amico in tredici anni di assidua frequentazione, c’erano anche innumerevoli foto che riprendevano Dalì e Gala nelle loro case, nell’Hotel Maurice a Parigi o  in navigazione a Port Llgat verso cap de Greuss (1977). Ho trovato anche  molte immagini di feste che l’Artista organizzava con i suoi amici, in   alcune di esse figurano  feste in maschera dove il Maestro d’orchestra del Surrealismo, dirigeva molte persone in cappelli tridimensionali. Vorrei soffermarmi proprio sugli studi e sulla  tridimensionalità delle Spagnolo, sempre perché di Salvador Dalì, un tempo lontano, senza conoscere  approfonditamente l’artista avevo acquistato in Spagna una  litografia la  laN.26/  216 con firma dell’Artista che oggi  troneggia sulla testata del mio letto, titolata  “ Gala regardant La mere”, ebbene la acquistai credendo che fosse un bellissimo nudo di Gala che guardava il mare, per accorgermi invece qualche anno dopo , in una notte insonne, di luna piena che il quadro  in quel momento,  non conteneva più il nudo, ma appariva e scompariva un’enorme croce e come se non bastasse traspariva anche il viso  di Abrham Lincoln

 

 

 

 

 

 

Gala che guarda il mare

 

 

 Così per caso scoprii il Surrealismo e l’arte tridimensionale di Dalì. Il genio continua a strabiliarmi . Un artista sorprendente, ero solo una ragazza e apprendevo di lui e della sua pittura non tanto dalle mostre e da studi autentici, ma lo leggevo su tutti i quotidiani da Parigi a New York, alla Spagna, nelle sue straordinarie magioni disegnate dal suo genio. Quando sono a Barcellona mentre faccio la fila (ci sono stata anche due  mesi fa)  per vedere le case e i giardini di Gaudì, sempre con una lunga fermata alla Sagrada Famiglia, fremo dal desiderio di raggiungere Figuera Il Teatro-Museo Dalí ,si trova nella città natale del pittore, a Figueres in Catalogna, Il museo è stato progettato e creato proprio da Salvador Dalí e costituisce la più alta edimmensa espressione del  surrealismo più grande del mondo. Non è da paragonare a nessun palazzo reale, nemmeno al Colosseo, entrare in quegli spazi è vivere emozioni strepitose, lì, come in nessun altro luogo il Genio della creatività ti entra nel sangue ad una velocità folle, quasi pericolosa. Visitare questi luoghi, naturalmente non basta un giorno, bisogna accamparsi lì e sperare che una briciola di quella luce, di quelle fattezze entri a far parte del nostro vissuto. Nella vicina casa  l’Artista visse con Gala, qui ospitava i suoi amici, sempre numerosi e estrosi, pronti a giocare con Lui sfidando l’arcano o forse il divino?,

Questo luogo  ha sempre qualcosa di anarchico, di libertario e poi  i catalani sono focosi, rivoluzionari, molto belli,  non fatevi mai sorprendere in uno sciopero, lì le manifestazioni sono quotidiane. I catalani hanno sangue bollente e Dalì ne è l’espressione più alta. Volevo dirvi che visitare il Museo Teatro e solo un piccolo spazio rispetto al tutto, c’ è da vedere la Casa-Museo Salvador Dalí di Portlligat e il Castello Gala Dalí di Púbol,” costituiscono il Triangolo daliniano.

 A proposito del sangue catalano mi sovviene il ricordo di una grande foto scattata da Erique Sabater , unica nel suo genere, che non l’ho mai più incontrata in nessun catalogo o mostra. Essa rappresenta Gala e Dali su una barca, lei è già molto anziana, ormai non conserva più niente dell’ antica  meravigliosa bellezza d’un tempo, morirà prima del Maestro qualche anno dopo, questa immagine dicevo rappresenta  lei aggrappata a uno coscia del Catalano e lui che le afferra il  ginocchio  con tutta la sua mano, che appare enorme, l’artista è disteso ai suoi piedi, ciò che mi ha colpito è quell’avvolgimento del ginocchio come a sottolineare il suo possesso e nel contempo un aggrapparsi disperato  quasi che temesse di perderla. Una vera apoteosi del bello surreale, di una passione mai nascosta. In queste immagini che vi racconto, pur essendo fotografie, testimoniano una vita straordinaria, da dio che incontra Dio e con esso parla senza avvertire mai un limite. Ecco definirei la vita e l’arte di Dalì illimitate- straripanti, così i mille linguaggi metafisici, filosofici surreali, onirici  che possiamo leggere in ciascuno dei suoi capolavori.

Dalì, l’énigme sans fin . Un enigma senza fine è questo  il titolo della sua ultima mostra a Parigi, nel museo a lui dedicato ( dicembre 2021). Non a caso vi ho raccontato di Gala che guarda il mare. Un’opera di Dalì può essere talmente sorprendente da crearti un’aritmia, uno stato di beatitudine che sconfina nel tempo e nei tempi, nessun particolare può essere dimenticato o non integrato in quell’involucro geniale in cui si manifestano tutti i suoi capolavori. Un’altra sensazione che non ti abbandona di fronte alla sua arte è sentirsi ipnotizzati, sensazione che ho avvertito  solo ammirando La Giocanda.

 Se siamo a Parigi e abbiamo la pazienza di attendere in flla, lunghissime file,  possiamo  visitare  L’Atelier des Lumières, nel quartiere Saint-Maur, lì  ammirare una parte cospicua dei capolavori del marchese Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech, toccare da vicino, non so bene, se l’amore o l’ossessione per Gala.  Credo che dobbiamo intendere il rapporto dei due come un’appendice un intrecciarsi dell’uno all’altro. L’uno senza l’altro non potevano esistere, tanto è vero che l’artista festaiolo, alla morte della sua musa e compagna, non fu più visto in pubblico, fino a morirne per la nostalgia e per il dolore causato dalla sua assenza. 

In riferimento alla mostra Parigina, ha potuto usufruire della maestà di un’istallazione che ti lascia senza parole, qualcosa di piccolo l’ ho trovata al Mudec a Milano per Modigliani e a Roma, pochi mesi fa, per Klimt, ma niente a che vedere con quanto ho ammirato a Parigi. C’era un gioco di effetti ottici che avrebbero deliziato il Catalano, senza parlare dei travolgenti canti onirici che nelle rappresentazioni si potevano oscultare e viverli anche  come fatti oggettivi. Travolgente lo spettacolo con questi quadri giganti che ti accompagnavano alle spalle e di fronte, una visione assoluta dell’Immensità del Tutto. La scenografia e la scelta delle opere producono anche qui  un effetto ipnotico: è una vera esperienza passeggiare tra i suoi dipinti che prendono forma poco per volta. Scopriamo da una nuova prospettiva i suoi effetti ottici e le evocazioni oniriche con cui il pittore gioca nelle sue opere. Né mancano gli effetti impressionisti e cubisti che hanno caratterizzato soprattutto i suoi lavori iniziali. Ritornando all’amico-fotografo Enrique Sabatier, in un’intervista racconta di aver visto in una chiesa a New York l’Artista in ginocchio davanti a Cristo col quale comunicava in massimo fervore con la divinità . D’altronde si sa che il Maestro ebbe una passione indicibile per l’aldilà e fu testimone anche di grande spiritualità, senza parlare della sua generosità, della capacità di accogliere tra i suoi amici i Kennedy, ma anche il più povero uomo della terra, anticonformista accoglieva tutti e da tutti traeva gioia e divertimento. Le opere più immense che si possono ammirare in questa vecchia fonderia sono:“La tentazione di Saint-Antoine”, “Leda Atomique”, “La persistenza della memoria”, “Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio”,  Come è d’uso oggi in molte mostre, la spettacolarità dell’arte viene accompagnata dalla musica, in questo caso l’ideatore Gianfranco Iannuzzi  scelse opportunamente quella dei  Pink Floyd.

domenica 9 febbraio 2025

La Nuova Candidatura al Nobel per il Poeta Dante Maffia

 

La Nuova Candidatura al Nobel per il Poeta Dante Maffia. 


Nota di Carmen Moscariello

 


E’ ora… lo vuole il mondo intero.

 

Dante Maffia candidato per Il l Nobel per la Letteratura.  

La nuova Candidatura  è sostenuta:

 

Dall’Accademia delle Scienze di Bruxelles

Dall’Associazione UNLA di Kyoto

Dall'Università di Pristina (Kosovo)

 Dall'Università Popolare di Rossano .

 

Il Segno Infinito e lo scontro con  la morte arrogante e bastarda sono note o pietre di una che la vita l’ha vissuta e la vive fino in fondo, senza limite. Quando prevale il suo spirito anarchico  sa dare tocchi di campana a festa, versi di una giovinezza mai quieta. Non c’è un punto d’arrivo nella sua scrittura, essa si evolve, danza in sposalizi con le nuvole. Egli è figlio di Zeus e della ninfa Antiope, è il fratello di sangue di Federico II e di Campanella, ha esplorato la vita di queste due immensità regalandoci libri immortali. Possiede  e dorme nei  castelli di miele che popolano la Calabria. Qui ha sempre vissuto un connubio amoroso con il mondo delle Grecia, quella di Platone e di Epicuro.

 La sua indole nobile e delicata, attraente come i fiori di kyoto, ha donato cultura e valori come Docente di molte Università, le sue cattedre sono  honoris causa.

Roseto-Rosina e il Padre che lo chiamò Dante, quasi consigliato da Zeus, saranno i suoi più grandi punti di riferimento e d’amore. Quella doveva essere la sua sorte.

I Diosccuri della Bellezza e dell’Arte gli hanno aperto le porte dalla nascita e l’hanno reso famoso nel mondo.

 

 

 

Molti critici affermano senza ombra di dubbi che Dante Maffia è uno dei Poeti più importanti del panorama mondiale, Egli ha acceso la luce più chiara della parola poetica,

la sua Poesia è tradotta e amata da tutte le Nazioni, le sue opere sono state tradotte in venti lingue.

Il Giappone lo ha adottato come figlio prediletto e egli gli ha donato migliaia di haiku  per onorarlo e cantare al mondo il   suo fascino. Egli ha scritto più di 40mila haiku, tutti pubblicati dal Paese del Sol Levante, Qui è stato già bandito un premio di poesia a nome e ad onore del Poeta  Dante Maffia.

Scrive gli haiku come se la madre quando lo ha partorito, abbia messo dentro di lui questo misterioso dono. Credo che in questo campo nessuno lo possa eguagliare. Pluripremiato nel modo, acclamato e apprezzato nelle Università, grande Educatore e Professore, tutti questi onori non l’hanno cambiato . E’ un uomo delicato, umanissimo, provato per i mille dolori che attraversano la  storia. Egli non conosce arroganze, rispetta l’insegnamento materno “ …Dante, se incontri una formica sulla tua strada, stai attento, non calpestarla mai….” . Credo che su questo principio sacrosanto abbia costruito la sua vita. Sa rispettare ed aiutare il prossimo, in ogni angolo del globo ha amici che l’acclamano e lo osannano. Ha scritto ad oggi 170 opere, tutte immense plasmate e composte nel rigore dell’Amore, nel rispetto della Natura. “ Il CalAVRESE”  HA SUPERATO I SUOI GRANDI AVI, MOLTI SUOI SCRITTI MI HANNO FATTO SEMPRE PENSARE, PER IL VIGORE E LE VERITA’CHE LI ATTRAVERSANO, A Gioacchino da Fiore e a Campanella.(Il Suo romanzo su Campanella è una delle sue opere più alte e più avvincente.

 Sa essere dolce , ma anche irruento, sa difendere i poveri e anche la verità, pagandone spesso costi molto alti. L’essere stato sempre veritiero, non essersi mai sporcato in cordate di potere, l’hanno spesso reso inviso a chi non sapeva nulla dell’Onestà e della Poesia.

Maffia non è solo il più grande dei Poeti di quest’ultimo secolo, ma anche un uomo  che ha saputo  inginocchiarsi davanti al dolore dell’Umanità tutta.

Pensiamo che sia l’uomo giusto da scegliere e che per la sua immensa e potente scrittura meriti il Nobel per la Letteratura, più di qualsiasi altro.

 

La pietà degli alberi

Il cielo voluttuoso
s’arruffa, si distende.
Sbadigliano i fiori
in fissità distratte.
L’orizzonte racchiude
vaste trasparenze.
Oltrepassa i confini la sera
e mite la luce
dirada le cavità,
i finti arcobaleni.
Poi la pietà degli alberi si apre
in parole di vecchie confidenze. (Il leone non mangia l’erba, pref di Palazzeschi editore Crocetti. Prima opera pubblicata))

Quando ritornerò al mio paese,
magari fra cinquant’anni,
dopo aver visitato la vecchia casa
e passeggiato nel corso principale,
porterò un fiore alla mia tomba.
Avevo lasciato detto ai familiari
di non portarmi fiori ma del pane,
e adesso sono imbarazzato per il ripensamento
e per aver pensato a un malvone
di quelli rossi che sono un pugno agli occhi.
Farò il viaggio il due di novembre
quando tutti vanno al cimitero
per onorare i defunti.
Vestito a questo modo
tutti mi guarderanno incuriositi
domandandosi chi è il bizzarro forestiero.
E Michele il sospettoso
avviserà i carabinieri
della mia presenza.
Non risponderò a nessuna domanda
e alla minima distrazione
toglierò il grigio dalle tombe
con grande meraviglia di tutti.
Poi il silenzio sarà misto al buio.
Me ne andrò arrabbiato e sconsolato
perchè mi aspettavo di trovare
almeno una margherita
sotto la mia foto sbiadita.

*

Cancellate le tracce
di quell’altro me che giudicava
e si dispiaceva delle cose incompiute
o trascurate. Quasi un deposito
d’occhi un po’ miopi
un po’ presbiti un po’ astigmatici.

*

La rabbia può servire a mutilare
chi la adopera e chi la riceve.
E può far danzare in calzoncini corti
e con l’affanno che sempre si mostra
in condizioni di difficoltà.
Solo la rabbia avevo e certi scampoli
di letture da Macchiavelli.
E stavo in agguato
sulle sue pagine auscultando le iperboli
e le magnificenze della forma.
Macchiavellico il mio sguardo,
il mio pensiero,
la mia psiche e la mia dimora,
macchiavellici
i mandorli fioriti e le ginestre indorate
dai flussi di giallo che si doleva
negli anfratti e si cimentava
con l’oro delle scaturigini. 

(da Poema della dissolvenza.

·          

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lunedì 27 gennaio 2025

Mostra “Salvador Dali tra Arte e Mito” Inaugurata il 25 gennaio, rimarrà fino al 28 luglio Nota di Carmen Mosca

 

Mostra “Salvador Dali tra Arte e Mito” Inaugurata il 25 gennaio, rimarrà fino al 28 luglio

Nota di Carmen Moscariello







Salvador Dalì e Garcia Lorca: l’amore  che non fu! 





 

La  mostra inaugurata sabato 25 gennaio 2025 nel Museo storico della Fanteria a Roma    “Salvador Dalì tra arte e mito”, mi ha subito fatto pensare al film del 2008 Little Ashes diretto  Poul Morrison. Ambientato negli anni 20 in Spagna  e riguardante soprattutto la giovinezza dei due grandi artisti-“amici”, Dalì e Garcia Lorca. Racconta di un presunto amore tra Dalì e il poeta-pittore Garcia Lorca.  Per caso, ammirando i capolavori di Dalì nelle grandi sale, nei corridoi di passaggio della mostra, lo sguardo mi è caduto sui disegni e su alcune copertine dei libri di Garcia Lorca, artista, purtroppo, non citato nel titolo della mostra, né riportato altrove. In quei piccoli corridoi ho trovato la grande spiritualità e purezza delle origini di Lorca e dell’esuberante Dalì. Nella storia dell’arte e della poesia non c’è sposalizio migliore tra le immagini oniriche di Dali e i versi surrealisti di Lorca. Quanto è delicato il  colore di Garcia, quanto sono orchestrate in modo geometrico le immagini, quasi una scala pensata da Aristotele, semplice, lineare, perfetta. Questo compenetrarsi del Surrealismo di Dalì con quello di Lorca crea una miscela esplosiva, come  fu la loro amicizia. Presente nell’esposizione anche  l’altro grande rappresentante del Trio, Luis Bonuel, il regista.

Piccole    ceneri (Little Ashes) è soprattutto un quadro famosissimo di Dalì esposto in questa  mostra, già solo per questo essa è da ritenersi importante. Sono esposte anche le innumerevoli opere della Divina Commedia di Dante, delle formelle divine, dove l’artista esprime in piccoli spazi tutto il su estro, direi tutta la sua “meravigliosa follia” innumerevoli e straordinarie quelle dell’Inferno dantesco. Altre opere esposte molto famose sono “L’orologio molle”, ”La biografia di Salvador Dali”,La tentazione di Sant’Antonio,Sueno de Dalì, Il sogno e l’ allucinazione, e  infinite altre. Le opere provengono da collezionisti italiani e dal Belgio. Si possono ammirare di Dalì anche sculture “La Carmen”, ceramiche, gioielli , immagini pubblicitarie disegnate dall’artista, incisioni a punte secche, diamanti . Ma a dominare i suoi quadri sono le figure femminili, non statiche. Mai. Appaiono provenienti da mondi lontani, camuffate in mostri, in tigri, in sogni che tormentano l’Artista di notte e di giorno. Il sogno in Dalì non appartiene mai solo alla notte, ma anche alla sabbia, alla luce del sole e alla notte, le finestre alle quali si affaccia la sua Anima, le pongono innanzi creazioni esplosive. E’ un gitano, travolto e coinvolto in un suo modo (solo suo) di guardare alla vita.

Chissà se Garcia Lorca e Dali si amarono?

L’interrogativo riguarda solo Dalì, nel “Poema per Dali” e nelle lettere per Dalì di Garcia Lorca, Il Poeta-eroe lo amò follemente, amò la sua timidezza e l’esplosione del suo narcisismo. Sappiamo che Garcia Lorca pochi mesi prima che fosse assassinato, fu invitato da Dalì nella sua meravigliosa villa, dove l’Artista viveva con Gala e l’esercito di suoi ammiratori, Garcia Lorca accettò l’invito e in quella occasione, Dalì gli chiese  di vivere con lui insieme a Gala. Garcia Lorca, rifiutò, non riconobbe più il giovane amico, ma solo un uomo amante della ricchezza e senza più ideali. Sappiamo dalla biografia di Dalì, che questi apprese della esecuzione franchista contro il Poeta, nella sua villa, era alla sua scrivania e il dolore fu straziante , dipinse il suo corpo di una Lacca nera, così come i luoghi in cui viveva, rimasero in lutto per mesi.






mercoledì 22 gennaio 2025

Dante Maffia Singhiozzi di carta

 

Dante Maffia – Singhiozzi di carta

Genesi Editrice

Prefazione di Davide Rondoni.

 


Navigare la notte

Nota di Carmen Moscariello

 

Tutto è, come sempre,

poggiato sulla scrivania,

non c’è neppure un singhiozzo di carta,

di ammiccamenti

coi cani randagi

che, come vedi, abbaiano

dagli angoli del soffitto.

 

Questa recente pubblicazione di Dante Maffia ”Singhiozzi di carta” ti lascia senza respiro. E’ neve ghiacciata; è mare in tempesta; è una mastaba di mattoni arsi emersi dal mare del deserto. Dietro l’angolo c’è il gatto con gli occhi a mandorla e il destino.

Il linguaggio viaggia tra un realismo spietato  e una luce spettrale, il verso levigato e perfetta mai attutisce la violenza della parola.

Senza pietà!.

Il dolore e l’affanno di una vita alla ricerca di un approdo, di un luogo dell’anima, dove piangere e cercare il divino della Poesia, rendono quest’opera maestosa, anche le virgole hanno assunto una potenza infinita.

 La Sua scrittura è rivoluziona tutto ciò che è stato detto finora della poesia non basta a definire questo libro, “un vascello fantasma” , l’Olandese volante che viaggia per mari tempestosi  , che conosce e ha sperimentato l’abisso della morte.

Inizierei dalla scrittura , dai versi  così impregnati dei contenuti dell’anima, cosi realistici, così delicati, insieme surreali direi metafisici. Le scansioni del libro  hanno quasi tutti i colori dell’arcobaleno, ma che ci fanno anche pensare all’incubo di Ulisse sull’isola dei ciclopi e ancor più al canto ammaliante delle sirene che strizza il cuore e apre le vie terribili del mistero della morte. Un linguaggio metafisico che avvolge e coinvolge, dandogli vita reale,  anche alle umili cose, trasformate innalzate alla divinità dell’essere anche con un solo aggettivo. Travolge e coinvolge anche il sarcasmo contro una vita che ci inganna e non mantiene le sue promesse. ”Singhiozzi di carta” racchiudono una solitudine, una lontananza, il coraggio  delle querce che non temono lo scossone del vento.

Molto ci dice la copertina tenera e bianca come la pelle di un bimbo , ma al centro ferisce l’immagine de “l’Olandese volante” ,il Vascello Olandese, sinistro e immortale che taglia le onde, tormentato da un vento che esce dalla bocca dell’inferno, che conosce l’abisso e senza tregua i fantasmi lo scuotono affinché ritorni a riva e li riporti alla  vita.

Dire che è un’opera che fa piangere, è poco. Dense le parole dell’Editore che fanno da inizio all’opera e la scrittura precisa e attenta di Davide Rondoni che ne ha curato la prefazione. Il linguaggio del Poeta si maschera di surrealismo per meglio dare spazio alle infinite ferite inferte all’animo e al corpo. Aveva ragione padre Turoldo quando diceva che il Poeta è un crocifisso, un povero e grande uomo, molto raro. E aggiunge: sarà la Poesia a contribuire alla salvezza del mondo. Il linguaggio segue dei movimenti conflagranti, leggendo ho avuto l’impressione di essere anch’io lettore su quella nave di fantasmi.  È un linguaggio tragico degno dei grandi drammaturghi della Grecia. In tutta l’opera c’è un continuo dualismo: il dolore e la speranza; la voglia di sfondare porte e cercare un angolo di pace; la violenza del dire e la parola che si fa seta preziosa; la demenza dei fiori e “a vigilare siano i giardini in fiore”. Quello che incontriamo in quest’opera stupenda è un nodo errante della memoria (le poesie appartengono a un lungo nevoso, nervoso  percorso di vita, il poeta stesso ci dice che nell’arco del tempo le ha più volte limate).I versi, dunque, racchiudono non uno spazio di tempo, ma il percorso accidentato di un’intera vita, dove la poesia è stata Sua compagna. Domina la bellezza, l’arguzia nel dire verità scomode che spesso si fanno  taglienti.

C’è la lunga meditazione del Poeta, che ovunque volge lo sguardo indagatore  non può che vedere la catastrofe dell’umanità tutta tesa verso il vacuo apparire, distratta, nemica e invidiosa.

Il pozzo  senz’acqua ha creato una  vita  friabile.