lunedì 9 aprile 2018

Il Dio Infelice : analisi e rielaborazione dell'opera di David Maria Turoldo di Carmen Moscariello


David Maria Turoldo

Il Dio infelice nella poesia di David Maria Turoldo

Di Carmen Moscariello

Quasi un testamento i Canti Ultimi di David Maria Turoldo: non hanno interrotto il colloquio intenso e inquieto del Salmista col suo Interlocutore preferito. Nei versi, Dio è inseguito, amato: penetra in ogni respiro, eclissandosi talvolta nel Nulla, per riaffiorare, poi, più forte nella speranza e nella instancabile ricerca. Sapere, conoscere, indagare, scoprire il divino nella delicatezza dei fiori nel canto dei fiumi, nel silenzio tortuoso dell’anima  è per il “Servo di Maria”(padre David appartenne alla Congregazione dei servi di Maria e più tardi fondò insieme a Padre Camillo De Diaz “La Corsia dei servi”) fine principale della sua vita e dell’impegno etico-sociale e religioso che animò la sua esistenza.  La precisa essenzialità del verso racchiude la realizzazione catartica del Bene in quella “vita che non finisce” (Ultima (Ultima Omelia di padre David) e che come un fiume si congiunge felice ed errabonda al mare. A partire dalle sue prime pubblicazioni: Una casa di fango (1951),Tempo dello spirito (1966)e, più tardi, Il diavolo sul pennacolo (1968), fino ad arrivare a O sensi miei (1990), opera quest’ultima che racchiude il meglio del suo poetare, si coglie un misticismo che ha dello sconvolgente, un non umano, in quanto conserva in sé una tempesta d’amore che invade ogni cosa al suo contatto e in contemporanea una temerarietà di ricerca, un tormentato porsi del suo Essere di fronte al mondo e alla Deità. Padre David negli ultimi suoi anni di vita (1990-1992), nonostante il suo corpo fosse divorato dal cancro, ha donato alla Poesia una scrittura escatologica che è emersa chiara , quasi un miracolo, soprattutto nelle due ultime sue pubblicazioni: Anche Dio è infelice  e in Canti Ultimi. Quest’ultima opera è un testamento di fede e di vita partecipata : le due voci, senza contrapporsi, generano un’ansiosa purificata sofferenza, un dilagare del Nulla che non riveste più i segni del Dio negativo, ma è un naturale scorrere verso il Dio –Amore. Il pensiero è rafforzato dalla semplicità evangelica del verso che permette il travolgimento emozionale non solo agli addetti alla Poesia, ma “in primo luogo alla sete di anime disposte a trarre illuminazione e conforto. Per questo possiamo dire che la sua opera sia destinata oggettivamente a un pubblico assai più vasto che il “pur eletto pubblico della Poesia “(Giovanni Giudice, prefazione a Canti Ultimi” )Così la densità dell’amore è attraversata da un’inquietudine vogliosa di abbracciare ilo suo Dio: “…da tutta una vita: solo silenzio/E ancor di più/a cercar di immaginarlo/per dispormi/ all’atteso incontro” (Così da tutta una vita pg 64).Il tono pacato diaristico dei versi non attenua la bramosia di Dio: il lettore se ne sente coinvolto, quasi nutrito da un cordone ombelicale, senza che la paura per l’Oceano nero del Nulla possa sopraffare sul desiderio: Non un nome non un volto/gli conviene; e il salmista/si strazia e grida/mostrami il tuo volto/il tuo volto io cerco Signore” (E’ lui che incombe”pg 62).Ma, non solo, il cuore del Santo delira, anche il corpo si inebria nella ricerca di Dio. Questi Canti di congedo dal mondo determinano una prospettiva nuova che il Poeta, il saggista, il commentatore di testi sacri Turoldo consegna contemporaneamente al lettore e al suo Dio. Il Salmista sopra il tumulto mentale canta con il fervore dei grandi mistici, ma il canto è troppo spesso interrotto dai singhiozzi e il dolore si fa così grande che investe anche il divino: Tu non sei quello che noi crediamo: insieme, Tu e noi infelici (salmodia prima, pg 67). E a questo punto è giusto chiedersi “…. Se l’angelo di questa appassionata teomachia  turoldiana sia veramente l’alata presenza del Divino o al contrario e in definitiva l’inquietante (è il meno che si possa dire)aleggiare del Nulla”                                                         (Luciano Erba in Poesia, Crocetti  pg 61, 1992). L’interrogativo si fa più pressante nel poemetto eretico Prorsus et versus  (canti ultimi pg 67) che in un misto di prosa e poesia pone l’accento sul terrestre spirito Euclideo, nel disperato sforzo di rigenerare il creato dal caos al mondo delle forme.

Pubblicato da Nord Sud, Direttore responsabile Renato Pecora , anno XXXIX, Edizioni Scientifiche)