lunedì 18 febbraio 2013

Premio Tulliola 2013 - Motivazioni su vincitori e segnalati

PREMIO “TULLIOLA”
Edizione 2012-2013
Motivazioni
 
Poesia
 
  1. A Serena Dal Borgo è assegnato il primo premio per la poesia per la raccolta non ancora, Ro Ferrarese (FE), Book Editore, 2011. La delicatezza, la levità, la trasparenza sono le connotazioni essenziali dei frammenti lirici che ingemmano e impreziosiscono lo scrigno offerto al lettore dalla poetessa con questa plaquette. Entro geografie dell’acqua e del silenzio, dell’acqua che sussurra in silenzio misteriosi accenni alla implacabile presenza dell’Assenza-e-dell’Alterità e del silenzio che tesse fili e figure che vengono dall’acqua e tornano all’acqua per verificare in completezza il ciclo dell’eterno ritorno, si pongono in essere palpiti di vita ansiosi di lontananze, ma che in umiltà si riconducono costantemente a misure del possibile e del precario, dello strettamente “nostro”. (Poeta Ugo Piscopo)
 
  1. A Nazario Pardini è attribuito il secondo premio per la silloge Alla volta di Leucade, prefazione di Vittorio Vettori, postfazione di Floriano Romboli, Viareggio-Lucca, Mauro Baroni Editore, 1999. Il volume, già nella distribuzione delle composizioni lungo assi che mettono a fronte contemporaneità e classicità, segnala la sua proiezione verso il dialogo tra epoche, culture, situazioni linguistiche e metriche non univoche, come a ribadire che la parola in poesia si costituisce sulla cifra non della diacronicità, ma su quella di un fascino che si ripropone avvolgentemente e irrefutabilmente con una sua cogenza su uno sfondo di astoricità. Ne consegue una maniera di lavorare contenuti semantici e moduli formali, che scommette più sullo stile e sulla struttura che sulle sottolineature del nuovo, più sul sublime che sulle trasgressioni e sul plurilinguismo. (Poeta Ugo Piscopo)
 
  1. Giulio Marchetti vince il terzo premio con il quaderno di poesie La notte oscura, prefazione di Mattia Leombruno, Novi Ligure (AL), Puntoacapo, 2012. A monte del suo immaginario e della sua scrittura, si colloca l’alta lezione di poeti come Caproni, Sereni, Luzi che avvicinano le punte di quotidianità e universalità, di evento e simbolo. In Marchetti, questo esercizio si caratterizza per la spinta data all’ispirazione e al linguaggio verso il confronto con le situazioni in movimento che slittano su un “clinamen” a rischio di sgranature, di esiti ambigui e fratti. Queste slegature, intanto, stranamente, conturbantemente, recano in sé memoria di remote concordanze, di cerchi chiusi, mentre inducono la parola a raccogliersi in ambiti di sentenziosità. (Poeta Ugo Piscop
Il giovane Giulio Marchetti con “La notte oscura” propone un diario di singolare densità e intensa forza dialogica. Consapevole di una lezione classica assimilata con personale gusto (“come lampi di antica memoria”) e aperto a forme espressive altrettanto ben possedute, il poeta ragiona sul perpetuo divenire del mondo e sull’instabilità della nostra presenza. Facendo attenzione a non cadere nella pretesa filosofica, tesse invece una tela di preziosi fili a proteggere la paura di vivere. Non è poco: il poeta conosce e invita a rendersi conto di avere limiti pur nella nostra grandezza. “Qui e ora”, lo sa, è il nostro compito: “avere una direzione non basta – e dobbiamo inventarci l’immenso” con “la piccola gioia di essere umani”.  (Giuseppe Napolitano)
Da “una bestemmia di cielo” (quando la speranza sembra “senza scampo”) al “Dio della tua mente e del tuo cuore”(allorché la fede guida il passo estremo – e ne è salvo anche chi resta): due facce dello stesso specchio riflettono in questo appassionato “Sogno della luce” di Pasquale Balestriere il turbamento del poeta uomo che sa di non dover mostrare altra faccia che la sua – e lo fa con lieve segno di parola che parla a mente e cuore, ma senza retorica senza lamentele o compiacimenti, piuttosto facendo della malattia (la propria) e della stessa morte (di sua madre) esemplari momenti di virile riscatto.   (Giuseppe Napolitano)
“Ed è martirio e canto” di Salvatore Cangiani mostra “il disorientamento interiore” dell’uomo contemporaneo, afflitto da insipienza e cultura dell’immagine, timoroso di scoprire “che Itaca è ormai disabitata”, e insieme la volontà del poeta di non cedere all’inganno dell’esistenza, ricostruendo anzi per sé – e per chi avrà orecchie per intendere – una proposta di “canto” che faccia superare il “martirio” accettandone la fatica in nome del premio finale – non il presuntuoso azzardo di “superare la morte” ma la “beatitudine” del naufrago che tocca un salvifico “altrove”.  (Giuseppe Napolitano)
“Modernità d’amore” di Pietro Secchi gioca con la filosofia (con le diverse facce della filosofia: Cartesio e Galilei, Pascal e Campanella), dichiaratamente fra ragione e non senso ma nella certezza che pure al filosofo fa difetto il cuore e ha bisogno d’amore. Negli undici frammenti lirici dedicati a ciascuno (a volte argutamente parafrasati), i quattro grandi del pensiero sono in difficoltà, inchiodati alla difficoltà di uscire dal loro “sistema”, pur sapendo che il “rigore” non sempre aiuta a capire se stessi e il prossimo. “Forse il cuore”… (Giuseppe Napolitano)
Della nostra storia triste si è fatta meraviglia la voce tutta della terra”: è la sintesi di questo doloroso diario che si fa viatico per chi abbia pena di vivere – “L’ape e il calabrone” di Carmelo Consoli è una storia vera che diventa storia di tutti, mediata, sublimata nella dimensione poetica. Qui la sofferenza privata è paradigma di accettazione, la poesia che ne scaturisce è consolatoria ma senza scadimenti retorici. Il canto d’amore per la propria donna è la via di salvezza al momento della perdita irreparabile.   
 
Narrativa
 
  1. Se sullo sfondo narrativo incombe la guerra straziante tra cristiani e mussulmani o l’incubo delle continue scorribande dei saraceni lungo le coste della città marinara di Amantea o di quelle tirreniche tra XV-XVI SEC., il romanzo di Sergio Ruggiero, Il respiro del mare, edito da Mannarino, Brescia, si connota per l’intrigo delle vicende individuali e collettive e, in particolare, per la riuscita dipintura psicologica delle figure femminili. In una terra intrisa di sangue, con il respiro cupo di angosce e sofferenze secolari, segnata da odi religiosi e da passioni violente e inestinguibili, l’Autore fa vibrare due grandi affetti: l’amore e l’amicizia. Il primo, tra due poveri giovani, Mariella e Sbardo, che dopo mirabolanti peripezie coroneranno la loro sacra unione; il secondo, tra il coraggioso Petrilishca e Sbardo, fin da ragazzi schierati in opposte bande che si fronteggiano a colpi di sassaiole e di randellate, per poi ritrovarsi e aiutarsi l’un l’altro fino all’estremo sacrificio dell’uno a salvezza dell’altro. Sulle vicende di questi protagonisti s’intrecciano, su piani diversi, le varie storie dei fatti d’arme e si dipana l’ordito stesso della trama. Tuttavia, nello scorrere veloce delle pagine, il romanzo si fa coinvolgente, oltre che per il prorompente e a volte fascinoso linguaggio nella rappresentazione di miti e favolose leggende, anche per le coraggiose incursioni nelle tradizioni popolari rievocate, in più punti, con il dialetto. Anzi, sarebbe venuta meno quella speciale patina di autenticità narrativa che il romanzo gelosamente custodisce, qualora l’Autore ne avesse sottratto la sapida sapienza degli stacchi lessicali con abili intarsiature, ora in di un latino chiesastico – adattissimo per la creazione di densa atmosfera di denuncia di sette e di stregoneria, in uno scenario sacrale e orripilante, ora di formulari o conversari vernacolari studiati con cura dall’Autore, tanto che Egli stesso si premura, nella pagina dei ringraziamenti, di ricordare gli studiosi e gli amici le cui fonti gli hanno permesso spunti e riferimenti preziosi per la tessitura del suo testo. In più, se la battaglia di Lepanto è il momento di snodo tra le due parti del romanzo, è anche vero che essa è l’occasione per l’Autore per ritagliarsi il suo cantuccio per denunciare – per voce dei suoi personaggi - l’iniquità bestiale della guerra, che per alcuni è mezzo di gloria per il blasone della casata, per altri è la condizione di un riscatto sociale e civile, per molti è la presa d’atto – ex post – che quel conflitto ha creato, nello stesso tempo, inutile violenza e nuovi e irriducibili rancori. Quindi, questo romanzo - Il respiro del mare - che ci consegna paesaggi di rara bellezza, con la fragranza delle onde tirreniche meridionali, ci riconsegna un mondo sì primitivo, ma con eroi piccoli e grandi di un’epica virilità, di indomito coraggio e contrassegnati da un innato spirito di dominio e di rivolta. L’Autore è ben consapevole di possedere strumenti narrativi ben collaudati con lungo e appassionato esercizio di lettura, ma è anche fornito di una robusta capacità inventiva e costruttiva, che gli garantiscono di graduare l’incalzare degli avvenimenti, senza stancare né l’occhio del lettore né perderne la complice simpatia per l’attesa della chiusura della trama. (Michele Graziosetto)
Leonardo Mastia vince ex aequo il terzo premio per la narrativa col romanzo Il viale degli  angeli. Boulevard Sérrurier, Napoli, Guida, 2011, dove i fatti narrati non sono invenzioni della fantasia, ma tracce e testimonianze di un itinerario nella verità del dolore. La vicenda riguarda direttamente l’autore, che nella scrittura si osserva e si confida per un’esperienza che ha segnato profondamente e per sempre l’esistenza sua e della compagna di vita.  E’ l’esperienza di un padre e di una madre che devono prima assistere alla fine di un figlio e poi verificare giorno per giorno la durezza dell’esser-ci in rinunzia e solitudine. Nei due, lentamente, senza che essi ne prendano subito consapevolezza maturano germi di accettazione, che apre interstizi verso la luce, verso la comprensione della precarietà del tutto.  (Poeta Ugo Piscopo)
“Il viale degli angeli” di Leonardo Mastia è un libro di quelli che aiutano a vivere, anche il lettore, ma soprattutto consentono a chi scrive di liberarsi di un dolore privato – parzialmente almeno, proprio nel condividere la pena in aspetto letterario (anche se la prosa di Mastia è volutamente asciutta, “funzionale ai fatti” e pertanto “di grande presa”). Una testimonianza che si fa messaggio di speranza, di augurio: l’uomo è forte quando accetta il male pur senza potersene dare spiegazione. In questo suo “romanzo-verità” l’autore ci consegna un manuale di istruzioni dal quale apprendere una lezione di vita. (Giuseppe Napolitano)
La grande storia filtrata nelle nostre quotidiane vicende, e viceversa le microstorie che fanno la Storia con la maiuscola: così può leggersi “Il disagio dell’alfiere” di Arnaldo Manuele, un vasto romanzo di stampo classico e di sicura presa. All’inizio del secolo scorso, un giovane siciliano vive i drammi che fecero la nuova Italia (fra Giolitti e gli anarchici, fra il terremoto di Messina e quello delle avanguardie artistiche), fino a morirne per eccesso d’amore. La scrittura di Manuele è sempre misurata; carezza i personaggi (i protagonisti e gli altri tutti) e disegna gli episodi (anche quelli che sembrano marginali) con ampie digressioni e rapide sintesi, accompagnando sempre il lettore e tenendolo sospeso nel succedersi degli eventi e il crescere dei sentimenti fino al tragico scioglimento della trama. (Giuseppe Napolitano)
Un amore di quelli “da romanzo”, di quelli che durano “oltre la vita” è il filo possente lungo il quale si snoda questo “Only you” di Domenico Americo. È una storia di forti passioni e dolori inestinguibili, nata da un episodio terribile e sviluppata fino ad un epilogo chiaramente “happy end” (che abilmente ribalta un prefinale strappalacrime). Tutto è costruito con inquietanti risvolti psicologici che aiutano a definire i personaggi principali, supportati dai molti indispensabili personaggi di contorno. L’autore conosce le pieghe dell’animo umano e rende credibile una vicenda ricca di molti spunti di riflessione. (Giuseppe Napolitano)
 
 
Saggistica 
  1. Giuseppe Manitta si aggiudica il primo premio per la saggistica per l’opera Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (1998-2003), Castiglione di Sicilia (CT), Il Convivio, 2009. All’unanimità, la Giuria dichiara questo solido e imponente lavoro pregevole sotto molteplici profili e innanzitutto sotto quello della serietà e della coerenza del metodo, che fa da griglia alla costruzione complessiva del discorso. Il metodo consiste nell’intrecciare l’accertamento bibliografico-critico con la responsabilità del doganiere che sul campo valuta la qualità della merce in ingresso, per informare l’utenza attuale e futura dei pregi o dei difetti del manufatto in questione. In ultimo, viene elaborato uno strumento utilissimo, che interfaccia la descrizione del documento con l’analisi delle sua provenienza e della sua proiezione in avanti. In questa maniera, l’opera soddisfa molteplici esigenze: quella della tracciabilità e rintracciabilità dei testi, quella di avere orientamento e suggerimento per ulteriori inquisizioni, quella di conoscere che cosa di nuovo sia intervenuto negli studi su Leopardi nella ricorrenza del bicentenario della nascita, quella di poter respirare l’aura dell’attualità della figura e dell’opera leopardiane in un momento come il nostro, attento alle interrelazioni fra scienza e vita e al pluralismo delle scelte, come nel campo della religione e in quelli di altre spiegazioni del mondo.     (Poeta Ugo Piscopo)
  2. Veniero Scarselli
Per la seconda volta  Pino Pecchia è tra i vincitori del  Premio Tulliola Renato Filippelli, La Giuria all’unanimità ha giudicato l’opera “Il colonnello Michele Pezza” Editore Kolbe, un grande contributo allo conoscenza  e alla verità storica . E’ stata ritenuta un’opera di valore e soprattutto di grande onestà nella lettura dei fatti . L’autore ben cosciente del “mito” che Frà Diavolo rappresenti  per Itri e non solo, sa restituire al personaggio una dimensione nuova, di uomo del popolo coraggioso , ma “usato” per le esigenze del regno. E’ la pietas la forza dominante, che  accoglie le sofferenze di un popolo e lo eleva ad eroe  non più disposto a subire soprusi. L’opera  con uno stile elegante e raffinato ci pone di fronte  a una realtà umana e storica spesso dilaniata  e ce la restituisce nelle  sue più autentiche motivazioni. (Michele Graziosetto)
"L'uomo e il determinismo cosmico" di Vincenzo Iannuzzi è un sorprendente affresco di conoscenze e proposte sul tema "Realtà e utopia". L'autore spazia  per milioni di anni seguendo "scoperte e invenzioni" dell'uomo, cercando la chiave della conoscenza e dell'intelligenza. Ne viene un quadro esaustivo che dovrebbe convincerci della nostra umanità nel senso più profondo: siamo degni di essere in questo (nostro) mondo se sappiamo riconoscercene signori. La trattazione scientifico-filosofica di Iannuzzi si avvale di una chiara capacità espressiva che fa di questo suo libro una piacevole anamnesi della storia universale offrendo più di uno spunto di riflessione sull'attualità.  (Giuseppe Napolitano)

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