venerdì 10 agosto 2012

Saggi critici - "Non è ancora l'addio", opera poetica di Leone D'Ambrosio

di Carmen Moscariello

Leggendo l’opera poetica di Leone D’Ambrosio, batte nel cuore la voce della Callas che canta “Che farò senza Euridice”, fiati di nostalgia struggente che avvolgono ogni alba, ogni domani.
La tunica di fuoco del Poeta rende inimmaginabile, quanto la morte, appartenga alla vita. Infatti, in questo testo fascinoso, non c’è solo una Poesia in memoria, il messaggio è ben più grande.
Si apre a ventaglio, come se nessuno spazio bastasse, per una consegna d’affetti che ha suoni gutturali, placati da una forza misteriosa che avanza in silenzio; un  passo d’addio intessuto di crepuscoli, di una natura contadina che col suo richiamo al quotidiano riporta di nuovo ordine, ricompone ciò che la morte voleva frantumare. La presenza di Dio è consapevolezza di una promessa sicura, è la corsa del tempo per ritrovarsi per mano. Pur se la fede non è mai apertamente dichiarata, rimane la tela filata che congiunge il primo all’ultimo verso.
La poesia di Leone D’ambrosio ha temperamento, sgorga come olio da un frantoio a goccia a goccia, mentre la formidabile concretezza del linguaggio crea muri di pietra che consolidano speranze, pietre di sogno che proteggono dalla rovinosa tempesta.
Nei suoi versi si avverte una consacrazione del pane all’altare, mentre si circoscrive un altrove  dominato da un unico stilema: La devozione per il padre che come letto di un fiume abbraccia la casa e la famiglia.
Devozione che comprende anche la malattia, cucita alla sofferenza, intessuta di pareti bianche, di canti di rondinelle, dove il freddo è lodato e la luce neutra non ha voce per interrogarsi sul perché un uomo muore.
La grandezza del Poeta è nella bellezza trasfigurante del dolore e della malattia, trasformando così il nero della morte in canto. Come Orfeo, nelle notti  illune Egli compone per lodare il freddo e la vita per poter morire senza timore. L’alto brulicare del tempo senza storia, si allunga infinito, spazia in galassie sconosciute alla ricerca di Dio che congiunge, non lacera. Quella notte chiara dà ai versi compostezza; le finestre in attesa, statiche si aprono su un nuovo mondo, tracciano un nuovo incontro.
Dalla rupe furono gettati i tormenti, da seppellire sotto erba leggera, ma quante lacrime per farla leggera e levigare il passo d’addio.

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