venerdì 29 novembre 2024

Vita e miracoli nella storia letteraria ed umana Di Dante Maffia. Intervista di Carmen Moscariello


 

Vita e miracoli nella Storia umana  e letteraria di  Dante Maffia

Intervista di Carmen Moscariello

1 - D.- Ci sono oggi cose che ti tormentano e alle quali ancora non sai dare risposte?

R.- Molte cose mi tormentano, ma la prima cosa è assistere alla caduta a picco dei valori umani e sociali. Il guaio è che mi addebito anche delle colpe essendo stato professore. Ciò che ho cercato di insegnare e di custodire è sfociato nel nulla.

Ma come dare risposte e che cosa rispondere a un simile fallimento? Mi prende la smania, ogni tanto, di entrare in politica e tentare la rivoluzione, ma poi m’accorgo d’essere ormai quasi un rudere e mi arrendo.

Arrendendomi mi rendo conto che le mie accensioni sono sogni, utopie d’un poeta, bisogno di sentire che l’Amore può ancora fare dei miracoli.

2 – D. - Sei stato un torrente in piena o un uomo saggio e meditativo?

R. – Un torrente in piena innanzi tutto perché una molla interiore mi spingeva a vivere in pienezza studiando come un pazzo, viaggiando come potevo, quando potevo. Un torrente in piena che, senza volere, esonda, allaga, distrugge. Per poter conoscere l’Europa mi sono adattato a dormire perfino nelle stazioni o, quando mi misi in viaggio in macchina, tutto luglio, agosto e parte di settembre, anche sui sedili della vettura. Leggevo Ady e partivo per l’Ungheria, leggevo Eminescu e partivo per la Romania, leggevo Pasternak e andavo in Russia, mi esaltavo vivendo Lorca e camminavo beato e felice per le strade di Siviglia.

Tutto questo vagabondare non mi ha fatto mai diventare violento e non mi ha mai portato fuori dalle righe. Dentro di me era sempre presente l’ammonimento di mia madre che, quando uscivo per il paese, mi ripeteva ossessivamente, seduta e immobile sulla sua sedia impagliata, perché era paralitica: “Da’, stai attento a dove metti i piedi perché ci sono le formiche per terra e anche loro sono creature di Dio”.

Se sia stato saggio non so dirlo, meditativo sì. I particolari sono quasi sempre l’essenza delle cose e non ho mai trascurato di decifrarli e di appropriarmene con dovuto rispetto convinto sempre che un muro è fatto con tante pietre, che un sacco di grano ha tanti chicchi.

3 – D. - Hai tanti amici, infinite persone che ti stimano, scuole che ti contendono per farti conoscere ai loro alunni, Stati stranieri che ti chiamano e ti dedicano un Premio a tuo nome. Perché credi che sei tanto amato e stimato?

R. – Anche tanto odiato addirittura da persone mai conosciute. Qualcosa della mia attività le ha irritate, o sono di natura invidiosi. Io non conosco che cosa sia l’invidia. No, no, scusami, almeno tre o quattro poeti li invidio, devo confessarlo, sono Omero, Dante, Goethe e Shakespeare. Non pettegolo. Ho avuto però, ed ho, un grave difetto, ogni volta che ho recensito un libro (ne ho recensiti parecchie centinaia) ho detto quel che pensavo e sentivo,  dimenticando che invece bisognava lisciare e accarezzare gli autori per non farsi nemici acerrimi.

Quando la Regione Calabria, all’UNANIMITA’, l’ho scritta in maiuscolo perché i politici sono sempre come cani e gatti, mi candidò al Premio Nobel ci fu e c’è, ma io ci rido, qualcuno che ancora afferma che invece è stato il mio paesello a proporre la candidatura. Ho i documenti, anche dell’Accademia di Romania Eminescu, ma devo perdere il mio tempo per andare a sbatterglieli in faccia? C’è il risvolto, come hai ricordato, le scuole che mi vogliono, e vado volentieri a incontrare gli studenti.
Sono amato forse per lo stesso motivo per cui sono stato e sono odiato dai poetastri e dai mafiosetti della letteratura.

4 – D. -Hai fatto errori nella tua vita? Quali sono?

R. – Credo di averne fatti moltissimi, la gran parte senza rendermene conto e qualche volta coscientemente perché volevo, se non ricordo male, uscire da  quelle che consideravo delle catene ai polsi.

La mia natura è essenzialmente anarchica, slegata dai canoni, fuori e lontana dalle imposizioni e quindi commettere errori bastava non essere il soldatino tutto riverenze, obbediente ed ossequioso.

Sono troppi gli errori che ho commesso, la risposta durerebbe due o tre giorni a fare l’elenco, ma prima ancora di farlo bisognerebbe stabilire in base a quale codice dovremmo catalogare gli errori. Per esempio, se io non sono stato riverente e aderente al “Gruppo 63”, agli avanguardisti, perché le sperimentazioni per me sono appunto sperimentazioni e non risultati definitivi; se non sono stato incantato dai versi di Eugenio Montale che ho sempre sentiti gelidi e rigidamente letterari e se non sono stato un allievo di Italo Calvino che mi è sembrato (per favore, fatemi parlare senza azzannarmi) uno scrittore di fumetti, è un errore? Per l’apparato editoriale è un errore, uno di quegli errori che si pagano cari.

I miei primi libri sono stati editi  da Laterza, Spirali, Mursia, Crocetti, Casagrande, Scheiwiller, Marsilio. Poi la musica è cambiata, i divieti si sono intensificati.

Il rancore degli scrittori mediocri è una cancrena mafiosa molto potente.

Io ho amato i libri ed ho vissuto di poesia e per la poesia, non ho mai  fatto calcoli e progetti finalizzati. L’ho pagata.

5 – D. -Le “due Rosine” rimangono un tema affascinante nella tua poesia. Chi sono? Perché le hai tanto amate?

R. – In realtà le Rosine sono tre, mia madre, mia moglie e la mia prima figlia. L’Amore, che io scrivo sempre con la maiuscola, non dà spiegazioni. Le ho amate, erano le mie parole di poesia concretizzate nelle persone. Non saprei che altro aggiungere.

6.- D. -Perché Napoli , Como e la Lucania sono punti salienti nella tua biografia?

R. – L’elenco delle città amate è molto lungo. A Napoli, a Como e a Matera bisogna aggiungere almeno Siviglia, Francoforte, Roma, Reggio Calabria, Roseto, Torino, Kioto, Lucca… Ogni volta che resto dei giorni a vagabondare in una città, in un luogo, me ne approprio, ci parlo, mi confesso, ne percepisco i segreti, gi odori, i sapori e quindi diventa mia familiare. Non me lo pongo mai come progetto, come impegno, ma basta che cominci a ficcarmi nei vicoli, a fermarmi nelle piazze, a guardare gli scorci, i monumenti s’accende un legame e le poesie si partoriscono da sole.

7. – D. - vero che oltre che scrittore di teatro sei stato anche attore?

R. – Altro peccato di gioventù. Achille Millo mi volle nel gruppo (all’epoca parlavo quasi bene il napoletano) dell Teatro dell’Orologio a Roma. Quasi  mi spinse sul palco. Se non ricordo male, sono passati quasi sessant’anni, si esibivano Marisa Sannia, Fausto Cigliano e Sergio Endrigo. Dicevano che ero bravo, ma non mi sentivo veramente interessato. E poi non ne potevo più di sentirmi dire che ero tale e quale all’attore americano… Tony Curtis.

Troppe apparenze, troppo  valore dato alle apparenze, alla forma, a esigenze che a me non significavano nulla. Io volevo essere io e non un altro, volevo essere considerato per quel che ero e non per chi assomigliavo. Lo so, ero superbo, orgoglioso e anche un po’…fanatico.

8. – D.-La figura femminile quale ruolo ha avuto nella tua scrittura  e nella tua vita quotidiana?

R. – Ha avuto il ruolo della verità, la cartina di tornasole per ogni mia attività, direi per ogni mio gesto.

Senza la donna la mis scrittura sarebbe spenta e priva di quel famoso lievito che io invoco per ogni opera d’arte.

Devo dire che comunque non sempre il mio dialogare con una donna è un reale dialogo. Spesso è la mia parte interiore luminosa, tutta femminile, che mi stuzzica e mi spinge a indagare territori poetici trascurati e in quei casi accade una vera e propria battaglia, perché la mia voglia di andare a fondo, di scerpare al senso la divinità nascosta nelle pieghe è una necessità impellente, una necessità poetica di somma importanza.

9. – D. -Oggi in cosa speri,  di cosa la vita è in debito con te e che ancora non ti ha dato?

R. – E’ la domanda più scomoda e direi cattiva che mi fai. Che cosa posso sperare alla mia età? Di morire presto, non ridurmi a una larva, a un tronco che pena, come diceva il recanatese.

Bestemmierei se dicessi che la vita è in debito con me. Direi anzi che mi ha dato troppo, ha esagerato, mi ha coinvolto e mi coinvolge ancora e mi porta nella sostanza viva dell’Amore invitandomi a fare la parte del giovanotto, forse dimenticando che dal palco sono quasi fuggito.

No, no, la vita non mi deve niente.

Aggiungo che neanche io le devo niente. Non si è fatta mai vedere nella sua essenza, nella sua sostanza in modo che potessi chiederle quale è veramente il fine di questa passeggiata terrena che a un certo punto diventa miseria e affanno e non apre spiragli concreti, a meno che non ci si affidi alla religione.

Sono qui, ho un nome, ho letto e scritto poesia ma per che cosa? Quale lo scopo vero, certo, da carta bollata?

10. –  D. -La Calabria e Roma sono i tuoi luoghi del cuore o la mente ti trasporta in altre terre che hai amato e che noi non conosciamo?

R. – Sì, la Calabria e Roma, dove ho messo le radici, ma a volte mi sono figurato a vivere in un sasso a Matera, o in una casetta vicino al Partenone o in una villetta situata in uno dei giardini incantati di Kioto, o a Petra, o in Perù. Sono desideri, sogni, che però in me si sono radicati profondamente e non nascondo  che a volte ci  soffro di non aver potuto godere  di quegli spazi sognati.

11. – D. -Ci racconti della tua giovinezza e di qualche “follia” che c’è stata?

R.- Sono stato sempre pazzo, fuori dalle righe, in tutto, ma attento a non offendere mai nessuno. Ahimè, le offese purtroppo ci sono state, tuttavia bilanciate e pareggiate con le sofferenze da me subite.

Ho fatto molte follie, anche in questo caso ci vorrebbero giorni per riordinarne il racconto. In definitiva però non servirebbe a nulla un  elenco di scemenze assunte a qualcosa che dovrebbe illuminare qualche cosa di mio.

A parte il fatto che per me quello che facevo non erano follie, ma affermazioni del mio carattere che interpretava la realtà in maniera diversa dalle consuetudini. Un esempio. A sedici, diciassette, diciotto anni m’innamoravo di dieci, cento ragazze. Era una follia? Per me era una necessità per esplorare, per conoscere, per sapere, per crescere, per ubbidire al mio desiderio di sentirmi voluto, benvoluto dalle ragazze. Desiderato.

Qualcuno parla di egoismo, altri di sfacciato, di poco di buono. Al matrimonio ci sono arrivato sereno e ancora vivo con la madre delle mie tre figlie.

11. – D. - Hai conosciuto i più grandi scrittori del nostro tempo, chi porti nel cuore e non dimenticherai mai?

R. -  il primo della lista è Borges. La sua saggezza si toccava con mano, le sue parole erano pesanti di vita, di dolore, di sogni e di delusioni.

Ogni sua sillaba mostrava, come le monete rare, due facce, quella della luce  e quella dell’ombra, ma non obbligavano a scegliere.

L’altro è Victor Slowskij. Lo conobbi quando feci premiare la sua biografia di Tolstoi. Le sue parole erano come fiori delicatissimi ma d’acciaio. Da lui ho imparato a stare nella grandezza di uno  scrittore con l’umiltà dell’allievo. E da allora, ovunque, con chiunque, mi sono sentito sempre allievo e pronto a imparare.

L’elenco è lungo  e da ognuno, specie da quelli che ho frequentato colme Aldo Palazzeschi, Albero Moravia, Ignazio Silone, Mario Luzi, Giorgio Caproni, Remo Bodei, Attilio Bertolucci, Norberto Bobbio,  Giuseppe Berto, Giorgio Saviane, Giacinto Spagnoletti… ho cercato di trarre motivo di stimoli, anche, a volte,  nel dissenso.

Nel cuore porto Borges, Enzo Mandruzzato, Dario Bellezza, Mario Specchio e Tahar Ben Jelloun.

 

12. – D. -Quali sono oggi le sofferenze del tuo cuore e quali dolori ti hanno maggiormente segnato?

R. – Le sofferenze del mio cuore sono di carattere letterario. Aver visto riconoscere poeti dei personaggi che hanno raffazzonato pagine indigeste o puerili o frutto di alchimie linguistiche gratuite o dirigenti editoriali di luminosa mediocrità piene di boria diventare ufficialmente poeti, mi ha fatto male al cuore. Non serve neppure ormai fare nomi, li ho fatti ma sono stati subito occultati, e sono caduti nel silenzio più assoluto. Altri, e sono tanti, che la pensano come me,  per paura di non trovare più spazio da parte dei più tacciono e fanno i pesci in barile. Uno di questi signori spudoratamente e ridendo mi ha detto, durante una discussione: “Caro Dante, io ho giocato scrivendo quei versi che non hanno né capo né coda ma quando ho visto che la critica ufficiale ha scritto migliaia di pagine sui mie giochi affermando che si tratta di alta e profonda poesia, che facevo?”.

Pare dunque che la poesia abbia cambiato natura, come a dire che la donna ormai, bella  brutta che sia, non ha più occhi e braccia, e neppure il seno, e neppure… ed è ugualmente bella.

I dolori sono quelli che tutti, purtroppo hanno patito. Quando avevo quattordici anni è morto mio padre, quando ne avevo venti è morta mia madre paralitica, poi i mie due fratelli.

Aggiungo anche la morte dell’Amore. Ma  in questo caso per spiegarmi nella profondità e nell’essenza della questione dovrei scendere a patti con una analisi molto scomoda con me stesso. Meglio evitare.

 

 

13. – D. -Ti sei costruito da solo,  e sappiamo i grandi onori e la stima di cui godi nel mondo, ma noi vorremmo sapere della tua vita da orfano, in cosa ti ha condizionato e se c’è qualcosa in cui ti ha aiutato?

R. – Dopo tanti anni mi è difficile capire o ricostruire che cosa mi avvenne in quel vuoto in cui caddi all’improvviso. Sinceramente non so se essere orfano sia stata una condizione che mi ha fatto crescere, cha ha affrettato la crescita. E’ certo che dovetti rimboccarmi le maniche e guardarmi attorno innanzi tutto per trovare da mangiare e poi per il resto.

Forse un aiuto me l’ha dato capire da subito che ero solo e che da solo avrei dovuto combattere e cercare uno spazio mio. Ci sono riuscito male ma ci sono riuscito.

14. – D. -Chi sceglieresti oggi tra i tuoi amici come compagno di viaggio, a chi confideresti i tuoi affanni?

R. – Sicuramente sceglierei Maurizio, Francesco e Peppino. La loro umanità è una ricchezza di cui godo e a loro confido spesso i miei affanni e non perdo occasioni per viaggiare insieme.

15. – D. –Il mare, Roseto,  il  Castello di Federico sono pietre miliari che ritornano sempre nei tuoi versi e nei tuoi racconti, perché tanto amore?

R. – Sono le immagini con le quali sono cresciuto, i parametri, le forme, la sostanza estetica e direi etica che mi ha accompagnato anno dopo anno. Evidente che da piccolo tutto avveniva senza mai aggiungere a quelle immagini una qualche ragione logica. Poi il rapporto è cambiato e quel paesaggio è diventato il “lievito”, il “germoglio”, il “divenire”  di un qualcosa che si proiettava verso l’infinito.

Quindi è direi naturale che, anche senza accorgermene, io torni e ritorni agli emblemi della mia crescita.

16. – D. - Che cosa ti aspetti da questa vita, che cosa finora non  ti ha dato?

R. – Mi aspetto che  sia sempre ricca di Amore come adesso e non diventi soltanto attesa estenuante della morte.

Me lo sono domandato tante volte se finora la vita mi ha negato qualcosa. No, in generale con me è stata generosa.

17. – D. -Ti capita di piangere e di essere sommerso da nostalgie o dal dolore?

R. – Sì, mi capita di piangere, il pianto non appartiene soltanto alle donne come ci hanno voluto far credere nell’infanzia. Mi capita quando assisto a una ingiustizia, a un abuso, a una violenza  e sono legato mani e piedi e impossibilitato a ingtervenire, almeno a protestare. Un solo esempio, in Sud Africa vidi morire dei bambini in una specie di fossa piena d’acqua lurida, di fango e di feci. Non valse a nulla la mia protesta fatta alle autorità e nella mia stanzetta d’albergo piansi a dirotto, nell’impotenza più nera.

Per le eventuali nostalgie non piango, le faccio sfilare piano piano, le metto in archivio e trovo ogni volta una giustificazione a  ciò che accadde.

Al dolore ho fatto l’abitudine, è un nemico che non bussa, ma ormai non fa fragore e riesco a tenero a bada.

18. – D. -Ci  parli di tuo padre e dei tuoi ricordi dell’infanzia?

R. – Ho poche immagini sbiadite. Possedeva soltanto pochi libri, la “Commedia”, col commento di Scartazzini, “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, le poesie di Salvatore Di Giacomo, “Pinocchio”, di Collodi, mi pare un romanzo di Mastriani… sapeva fare dei dolci squisiti, era tenerissmo e rigido insieme.

Ricordi della mia infanzia?  Liti feroci con i compagni, rubare la frutta negli orti, giocare a tressette, a calcio balilla, cose simili. Una gita a Matera in seconda elementare, il maestro era di Stigliano, provincia di Matera, le lezioni di musica dal Maestro Blandi della banda di Roseto e cose simili. Il paese viveva di stenti, grazie agli orti coltivati, alla severità delle mamme che sapevano risparmiare su tutto.Era una civiltà povera.

 

19.- D.- Ci spieghi come sia possibile pubblicare 11 libri in un anno? Ne hai ancora nel cassetto che noi non conosciamo?

R. – Pubblicarli è facile, il problema è scriverli. Per me comunque non è stato un problema, ma innanzi tutto bisogna chiarire alcuni luoghi comuni che hanno inficiato e inficiano la personalità di chi scrive molto, dimenticando che in passato chi scriveva con il pennino intinto nel calamaio e non con  il computer, come Leone Tolstoi o come Honorè de Balzac, realizzava opere infinite. Balzac ne scrisse  circa cento quaranta e morì prima dei cinquanta anni.

Facciamo il conto della serva. Mediamente un libro è di duecentocinquanta pagine  e se uno scrittore lavora tutti i giorni, al ritmo di dieci pagine al giorno, si arriva a trecento. La faccenda vera sta nelle qualità dello scrittore, se è grande oppure no. Sì, nel cassetto ho molte opere inedite.

20. – D. - Il denaro che valore ha avuto nella tua esistenza, che valore ha oggi?

R. – Purtroppo il denaro non ha mai avuto nessun valore nella mia esistenza. Ho vissuto con quasi niente da ragazzo  e ho continuato a servirmi del giusto necessario anche dopo. E se a volte mi sono trovato con le mani piene ho dato senza badare, purtroppo anche a chi non meritava. La generosità eccessiva però è uguale alla tirchieria. È un male. E può diventare anche una beffa.

21. – D. -Come passi le tue giornate, a cosa pensi, che cosa ti manca?

R. – Le passo, colme sempre, a leggere e a scrivere senza preoccuparmi se sono grande o sono piccolo. Simenon, pur avendo scritto in serie applicando sempre la stessa formula, ha realizzato almeno sei o sette capolavori. Non è successo a Liala. Che significa? Che non è la fretta a decidere nella scrittura delle opere, ma il talento e l’impegno.

La vista del mare mi manca a Roma.

22. D. - Che cosa hai in comune con Campanella? Leggendo quel romanzo  ch gli hai dedicato sembrerebbe che avete fatto insieme un lungo percorso di vita.

R. – Magari in sogno ma sicuramente abbiamo percorso tanta vita insieme. Ho trovato in lui, nel suo agire e nelle sue idee, delle meravigliose affinità e mi ci sono ficcato dentro. E ti dico che ancora sono fortemente campanelliano e che sogno ancora la città del sole.

23. D. - Le tue antologie d’amore  pubblicate dall’Editore Pace sono un’immensa enciclopedia sull’amore, questo sentimento ti ha così tanto coinvolto?

R. – L’Amore è l’unica realtà incantevole che rende la vita qualcosa di accettabile, che fa sentire il senso profondo di esistere. Senza Amore i giorni sono un deserto. Se non esistono i sogni, che sono il “lievito”  e l’infinito, tutto diventa un appiattito orizzonte della ripetizione.

24. – D. -Perché oggi le donne vengono uccise e l’amore tagliato con asce affilate, che cosa ci è successo?

R. – Che troppo facilmente si fa confusione tra sesso e Amore, tra desiderio di possesso e desiderio di dialogo e si fa confusione sui  valori dell’Amore. Amare, prima di ogni altra cosa, è dare, non prendere. Ma se stiamo predicando, COI FATTI, NON CON LE PAROLE, l’egoismo, il solipsismo, la cancrena dell’apartheid, la festa dei telefonini vissuti come trionfo dell’armonia celeste, che risultati poi si pensa di ottenere da individui che non hanno anima, non sanno con chi stanno vivendo e cose simili?

Tutto dipende dall’Amore, perfino le guerra. Non è quella cosa capace di muover il sole e le altre stelle?

25. – D. –Perché non si legge più , che cosa ci allontana e ci distrae dalla cultura?

R. – La convinzione che basta essere pieni di denaro e tutto marcia. Da qui anche la perdita dei valori di cui ho parlato all’inizio. Ma ancora non abbiamo toccato il fondo. Soltanto allora, forse, riprenderemo a remare di nuovo, ritorneremo ad essere Ulisse. Se ne avremo la forza e avremo recuperato la coscienza del danno fatto.

26. – D. -Cosa pensi dell’intelligenza virtuale e delle nuove porte spalancate alla conoscenza?

R. – Ben vengano tutte le innovazioni e tutti gli aggeggi capaci di agevolare le fatiche dell’uomo, basti però che l’uomo non deleghi i suoi sentimenti e le sue emozioni a una qualsiasi macchina. Senza poesia, senza i fremiti dell’anima non c’è la vita e i surrogati, prima o poi, mostrano la loro fatuità, la loro caduta a picco nella melma, cioè la loro inconsistenza.

27. – D. -Credi ancora che esista un’ “Umanità”.

R. – Sì, ci credo ancora. E’ molto nascosta, molto trascurata, ma molto ricca e assetata di essere l’asse portante dei rapporti, non solo strettamente umani e spirituali, ma anche pratici. Perché una “Umanità” vera apre gli occhi su tutto e mantiene al centro di tutto l’UOMO con la sua fragilità e il suo impegno a cercare per riconoscere se stesso, fatto non trascurabile.

28. – D. - Ci racconti il tuo viaggio in Giappone, dei tuoi incontri nel mondo? A quali paesi sei particolarmente legato?

R. – Sono legato all’Italia interamente, indissolubilmente. Ciò non m’impedisce di amare altri luoghi, altra cultura, altre tradizioni, altra storia. Senza tradire le origini e la struttura del proprio essere si può entrare negli spiragli di altre realtà e sentirne la valenza e la necessità come aggiunta al proprio modo di essere.

Ho viaggiato molto ed ho sempre sentito vivo il dono che mi veniva fatto, ma le mie radici non subivano riduzioni o crisi. Per esempio il Giappone è entrato nelle mie corde spirituali e ne ho assaporato la bellezza, la densità umana e perfino la terrestrità accesa da luci vive e palpitanti, ma sono rimasto nella essenzialità del mio essere figlio di Omero e di Dante.

Nessun rifiuto, ma annessione e Amore aperto, divenire comune.

29 . – D. - Credi in Dio o nell’eternità dell’anima?

R. . No. Non riesco a crederci e vorrei tanto. La mia vita diventerebbe migliore, più serena. Forse anche più ricca di sogni e di progetti.

 

30. – D. – A proposito di progetti, a che cosa stai lavorando?

R. – Innanzi tutto al recupero dei lavori fatti in giovane età. Mi spiego, raccogliere tutti gli scritti dedicati ai pittori quando ebbi l’incarico di dirigere la Galleria Tornabuoni di Firenze e ne curavo le monografie. Poi pubblicare, almeno in parte, gli elzeviri in cui analizzavo sconci e cattiverie della società; poi gli articoli dedicati agli scrittori lucani e a quelli calabresi; poi rivedere i dieci romanzi inediti e le cinque o sei raccolte di versi, molti dei quali ritrovati scritti a matita nelle pagine bianche dei libri che andavo leggendo. Due volumi sull’Albania, due sulla Romania, non mi raccapezzo nemmeno più.

Hai capito che mi piace esagerare? Che ancora adesso che sono quasi negli ottanta, mangio tre/quattro etti di pasta asciutta al giorno, bevo una bottiglia di vino e continuo a innamorarmi come un adolescente?

 

 

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