Vita e miracoli nella Storia
umana e letteraria di Dante Maffia
Intervista di Carmen
Moscariello
1 - D.- Ci
sono oggi cose che ti tormentano e alle quali ancora non sai dare risposte?
R.- Molte
cose mi tormentano, ma la prima cosa è assistere alla caduta a picco dei valori
umani e sociali. Il guaio è che mi addebito anche delle colpe essendo stato
professore. Ciò che ho cercato di insegnare e di custodire è sfociato nel
nulla.
Ma come dare
risposte e che cosa rispondere a un simile fallimento? Mi prende la smania,
ogni tanto, di entrare in politica e tentare la rivoluzione, ma poi m’accorgo
d’essere ormai quasi un rudere e mi arrendo.
Arrendendomi
mi rendo conto che le mie accensioni sono sogni, utopie d’un poeta, bisogno di
sentire che l’Amore può ancora fare dei miracoli.
2 – D. - Sei
stato un torrente in piena o un uomo saggio e meditativo?
R. – Un
torrente in piena innanzi tutto perché una molla interiore mi spingeva a vivere
in pienezza studiando come un pazzo, viaggiando come potevo, quando potevo. Un
torrente in piena che, senza volere, esonda, allaga, distrugge. Per poter
conoscere l’Europa mi sono adattato a dormire perfino nelle stazioni o, quando
mi misi in viaggio in macchina, tutto luglio, agosto e parte di settembre,
anche sui sedili della vettura. Leggevo Ady e partivo per l’Ungheria, leggevo
Eminescu e partivo per la Romania, leggevo Pasternak e andavo in Russia, mi
esaltavo vivendo Lorca e camminavo beato e felice per le strade di Siviglia.
Tutto questo
vagabondare non mi ha fatto mai diventare violento e non mi ha mai portato
fuori dalle righe. Dentro di me era sempre presente l’ammonimento di mia madre
che, quando uscivo per il paese, mi ripeteva ossessivamente, seduta e immobile
sulla sua sedia impagliata, perché era paralitica: “Da’, stai attento a dove
metti i piedi perché ci sono le formiche per terra e anche loro sono creature
di Dio”.
Se sia stato
saggio non so dirlo, meditativo sì. I particolari sono quasi sempre l’essenza
delle cose e non ho mai trascurato di decifrarli e di appropriarmene con dovuto
rispetto convinto sempre che un muro è fatto con tante pietre, che un sacco di
grano ha tanti chicchi.
3 – D. - Hai
tanti amici, infinite persone che ti stimano, scuole che ti contendono per
farti conoscere ai loro alunni, Stati stranieri che ti chiamano e ti dedicano
un Premio a tuo nome. Perché credi che sei tanto amato e stimato?
R. – Anche
tanto odiato addirittura da persone mai conosciute. Qualcosa della mia attività
le ha irritate, o sono di natura invidiosi. Io non conosco che cosa sia
l’invidia. No, no, scusami, almeno tre o quattro poeti li invidio, devo
confessarlo, sono Omero, Dante, Goethe e Shakespeare. Non pettegolo. Ho avuto
però, ed ho, un grave difetto, ogni volta che ho recensito un libro (ne ho
recensiti parecchie centinaia) ho detto quel che pensavo e sentivo, dimenticando che invece bisognava lisciare e
accarezzare gli autori per non farsi nemici acerrimi.
Quando la
Regione Calabria, all’UNANIMITA’, l’ho scritta in maiuscolo perché i politici
sono sempre come cani e gatti, mi candidò al Premio Nobel ci fu e c’è, ma io ci
rido, qualcuno che ancora afferma che invece è stato il mio paesello a proporre
la candidatura. Ho i documenti, anche dell’Accademia di Romania Eminescu, ma
devo perdere il mio tempo per andare a sbatterglieli in faccia? C’è il
risvolto, come hai ricordato, le scuole che mi vogliono, e vado volentieri a
incontrare gli studenti.
Sono amato forse per lo stesso motivo per cui sono stato e sono odiato dai
poetastri e dai mafiosetti della letteratura.
4 – D. -Hai fatto errori nella tua
vita? Quali sono?
R. – Credo di averne fatti
moltissimi, la gran parte senza rendermene conto e qualche volta coscientemente
perché volevo, se non ricordo male, uscire da
quelle che consideravo delle catene ai polsi.
La mia natura è essenzialmente
anarchica, slegata dai canoni, fuori e lontana dalle imposizioni e quindi
commettere errori bastava non essere il soldatino tutto riverenze, obbediente
ed ossequioso.
Sono troppi gli errori che ho
commesso, la risposta durerebbe due o tre giorni a fare l’elenco, ma prima
ancora di farlo bisognerebbe stabilire in base a quale codice dovremmo
catalogare gli errori. Per esempio, se io non sono stato riverente e aderente al
“Gruppo 63”, agli avanguardisti, perché le sperimentazioni per me sono appunto
sperimentazioni e non risultati definitivi; se non sono stato incantato dai
versi di Eugenio Montale che ho sempre sentiti gelidi e rigidamente letterari e
se non sono stato un allievo di Italo Calvino che mi è sembrato (per favore,
fatemi parlare senza azzannarmi) uno scrittore di fumetti, è un errore? Per
l’apparato editoriale è un errore, uno di quegli errori che si pagano cari.
I miei primi libri sono stati
editi da Laterza, Spirali, Mursia,
Crocetti, Casagrande, Scheiwiller, Marsilio. Poi la musica è cambiata, i
divieti si sono intensificati.
Il rancore degli scrittori mediocri è
una cancrena mafiosa molto potente.
Io ho amato i libri ed ho vissuto di
poesia e per la poesia, non ho mai fatto
calcoli e progetti finalizzati. L’ho pagata.
5 – D. -Le “due Rosine” rimangono un
tema affascinante nella tua poesia. Chi sono? Perché le hai tanto amate?
R. – In realtà le Rosine sono tre,
mia madre, mia moglie e la mia prima figlia. L’Amore, che io scrivo sempre con
la maiuscola, non dà spiegazioni. Le ho amate, erano le mie parole di poesia
concretizzate nelle persone. Non saprei che altro aggiungere.
6.- D. -Perché Napoli , Como e la
Lucania sono punti salienti nella tua biografia?
R. – L’elenco delle città amate è
molto lungo. A Napoli, a Como e a Matera bisogna aggiungere almeno Siviglia,
Francoforte, Roma, Reggio Calabria, Roseto, Torino, Kioto, Lucca… Ogni volta
che resto dei giorni a vagabondare in una città, in un luogo, me ne approprio,
ci parlo, mi confesso, ne percepisco i segreti, gi odori, i sapori e quindi
diventa mia familiare. Non me lo pongo mai come progetto, come impegno, ma
basta che cominci a ficcarmi nei vicoli, a fermarmi nelle piazze, a guardare
gli scorci, i monumenti s’accende un legame e le poesie si partoriscono da
sole.
7. – D. - vero che oltre che
scrittore di teatro sei stato anche attore?
R. – Altro peccato di gioventù.
Achille Millo mi volle nel gruppo (all’epoca parlavo quasi bene il napoletano) dell
Teatro dell’Orologio a Roma. Quasi mi spinse
sul palco. Se non ricordo male, sono passati quasi sessant’anni, si esibivano
Marisa Sannia, Fausto Cigliano e Sergio Endrigo. Dicevano che ero bravo, ma non
mi sentivo veramente interessato. E poi non ne potevo più di sentirmi dire che
ero tale e quale all’attore americano… Tony Curtis.
Troppe apparenze, troppo valore dato alle apparenze, alla forma, a
esigenze che a me non significavano nulla. Io volevo essere io e non un altro,
volevo essere considerato per quel che ero e non per chi assomigliavo. Lo so,
ero superbo, orgoglioso e anche un po’…fanatico.
8. – D.-La figura femminile quale
ruolo ha avuto nella tua scrittura e
nella tua vita quotidiana?
R. – Ha avuto il ruolo della verità,
la cartina di tornasole per ogni mia attività, direi per ogni mio gesto.
Senza la donna la mis scrittura
sarebbe spenta e priva di quel famoso lievito che io invoco per ogni opera
d’arte.
Devo dire che comunque non sempre il
mio dialogare con una donna è un reale dialogo. Spesso è la mia parte interiore
luminosa, tutta femminile, che mi stuzzica e mi spinge a indagare territori
poetici trascurati e in quei casi accade una vera e propria battaglia, perché
la mia voglia di andare a fondo, di scerpare al senso la divinità nascosta
nelle pieghe è una necessità impellente, una necessità poetica di somma
importanza.
9. – D. -Oggi in cosa speri, di cosa la vita è in debito con te e che
ancora non ti ha dato?
R. – E’ la domanda più scomoda e
direi cattiva che mi fai. Che cosa posso sperare alla mia età? Di morire
presto, non ridurmi a una larva, a un tronco che pena, come diceva il
recanatese.
Bestemmierei se dicessi che la vita è
in debito con me. Direi anzi che mi ha dato troppo, ha esagerato, mi ha
coinvolto e mi coinvolge ancora e mi porta nella sostanza viva dell’Amore
invitandomi a fare la parte del giovanotto, forse dimenticando che dal palco
sono quasi fuggito.
No, no, la vita non mi deve niente.
Aggiungo che neanche io le devo
niente. Non si è fatta mai vedere nella sua essenza, nella sua sostanza in modo
che potessi chiederle quale è veramente il fine di questa passeggiata terrena
che a un certo punto diventa miseria e affanno e non apre spiragli concreti, a
meno che non ci si affidi alla religione.
Sono qui, ho un nome, ho letto e
scritto poesia ma per che cosa? Quale lo scopo vero, certo, da carta bollata?
10. –
D. -La Calabria e Roma sono i tuoi luoghi del cuore o la mente ti
trasporta in altre terre che hai amato e che noi non conosciamo?
R. – Sì, la Calabria e Roma, dove ho
messo le radici, ma a volte mi sono figurato a vivere in un sasso a Matera, o
in una casetta vicino al Partenone o in una villetta situata in uno dei
giardini incantati di Kioto, o a Petra, o in Perù. Sono desideri, sogni, che
però in me si sono radicati profondamente e non nascondo che a volte ci soffro di non aver potuto godere di quegli spazi sognati.
11. – D. -Ci racconti della tua
giovinezza e di qualche “follia” che c’è stata?
R.- Sono stato sempre pazzo, fuori
dalle righe, in tutto, ma attento a non offendere mai nessuno. Ahimè, le offese
purtroppo ci sono state, tuttavia bilanciate e pareggiate con le sofferenze da
me subite.
Ho fatto molte follie, anche in questo
caso ci vorrebbero giorni per riordinarne il racconto. In definitiva però non
servirebbe a nulla un elenco di scemenze
assunte a qualcosa che dovrebbe illuminare qualche cosa di mio.
A parte il fatto che per me quello
che facevo non erano follie, ma affermazioni del mio carattere che interpretava
la realtà in maniera diversa dalle consuetudini. Un esempio. A sedici,
diciassette, diciotto anni m’innamoravo di dieci, cento ragazze. Era una
follia? Per me era una necessità per esplorare, per conoscere, per sapere, per
crescere, per ubbidire al mio desiderio di sentirmi voluto, benvoluto dalle
ragazze. Desiderato.
Qualcuno parla di egoismo, altri di
sfacciato, di poco di buono. Al matrimonio ci sono arrivato sereno e ancora
vivo con la madre delle mie tre figlie.
11. – D. - Hai conosciuto i più
grandi scrittori del nostro tempo, chi porti nel cuore e non dimenticherai mai?
R. -
il primo della lista è Borges. La sua saggezza si toccava con mano, le
sue parole erano pesanti di vita, di dolore, di sogni e di delusioni.
Ogni sua sillaba mostrava, come le
monete rare, due facce, quella della luce
e quella dell’ombra, ma non obbligavano a scegliere.
L’altro è Victor Slowskij. Lo conobbi
quando feci premiare la sua biografia di Tolstoi. Le sue parole erano come
fiori delicatissimi ma d’acciaio. Da lui ho imparato a stare nella grandezza di
uno scrittore con l’umiltà dell’allievo.
E da allora, ovunque, con chiunque, mi sono sentito sempre allievo e pronto a
imparare.
L’elenco è lungo e da ognuno, specie da quelli che ho
frequentato colme Aldo Palazzeschi, Albero Moravia, Ignazio Silone, Mario Luzi,
Giorgio Caproni, Remo Bodei, Attilio Bertolucci, Norberto Bobbio, Giuseppe Berto, Giorgio Saviane, Giacinto
Spagnoletti… ho cercato di trarre motivo di stimoli, anche, a volte, nel dissenso.
Nel cuore porto Borges, Enzo
Mandruzzato, Dario Bellezza, Mario Specchio e Tahar Ben Jelloun.
12. – D. -Quali sono oggi le
sofferenze del tuo cuore e quali dolori ti hanno maggiormente segnato?
R. – Le sofferenze del mio cuore sono
di carattere letterario. Aver visto riconoscere poeti dei personaggi che hanno
raffazzonato pagine indigeste o puerili o frutto di alchimie linguistiche
gratuite o dirigenti editoriali di luminosa mediocrità piene di boria diventare
ufficialmente poeti, mi ha fatto male al cuore. Non serve neppure ormai fare
nomi, li ho fatti ma sono stati subito occultati, e sono caduti nel silenzio
più assoluto. Altri, e sono tanti, che la pensano come me, per paura di non trovare più spazio da parte
dei più tacciono e fanno i pesci in barile. Uno di questi signori
spudoratamente e ridendo mi ha detto, durante una discussione: “Caro Dante, io
ho giocato scrivendo quei versi che non hanno né capo né coda ma quando ho
visto che la critica ufficiale ha scritto migliaia di pagine sui mie giochi
affermando che si tratta di alta e profonda poesia, che facevo?”.
Pare dunque che la poesia abbia
cambiato natura, come a dire che la donna ormai, bella brutta che sia, non ha più occhi e braccia, e
neppure il seno, e neppure… ed è ugualmente bella.
I dolori sono quelli che tutti,
purtroppo hanno patito. Quando avevo quattordici anni è morto mio padre, quando
ne avevo venti è morta mia madre paralitica, poi i mie due fratelli.
Aggiungo anche la morte dell’Amore.
Ma in questo caso per spiegarmi nella
profondità e nell’essenza della questione dovrei scendere a patti con una
analisi molto scomoda con me stesso. Meglio evitare.
13. – D. -Ti sei costruito da
solo, e sappiamo i grandi onori e la
stima di cui godi nel mondo, ma noi vorremmo sapere della tua vita da orfano,
in cosa ti ha condizionato e se c’è qualcosa in cui ti ha aiutato?
R. – Dopo tanti anni mi è difficile
capire o ricostruire che cosa mi avvenne in quel vuoto in cui caddi
all’improvviso. Sinceramente non so se essere orfano sia stata una condizione
che mi ha fatto crescere, cha ha affrettato la crescita. E’ certo che dovetti
rimboccarmi le maniche e guardarmi attorno innanzi tutto per trovare da mangiare
e poi per il resto.
Forse un aiuto me l’ha dato capire da
subito che ero solo e che da solo avrei dovuto combattere e cercare uno spazio
mio. Ci sono riuscito male ma ci sono riuscito.
14. – D. -Chi sceglieresti oggi tra i
tuoi amici come compagno di viaggio, a chi confideresti i tuoi affanni?
R. – Sicuramente sceglierei Maurizio,
Francesco e Peppino. La loro umanità è una ricchezza di cui godo e a loro
confido spesso i miei affanni e non perdo occasioni per viaggiare insieme.
15. – D. –Il mare, Roseto,
il Castello di Federico sono
pietre miliari che ritornano sempre nei tuoi versi e nei tuoi racconti, perché
tanto amore?
R. – Sono le immagini con le quali
sono cresciuto, i parametri, le forme, la sostanza estetica e direi etica che
mi ha accompagnato anno dopo anno. Evidente che da piccolo tutto avveniva senza
mai aggiungere a quelle immagini una qualche ragione logica. Poi il rapporto è
cambiato e quel paesaggio è diventato il “lievito”, il “germoglio”, il
“divenire” di un qualcosa che si
proiettava verso l’infinito.
Quindi è direi naturale che, anche
senza accorgermene, io torni e ritorni agli emblemi della mia crescita.
16. – D. - Che cosa ti aspetti da
questa vita, che cosa finora non ti ha
dato?
R. – Mi aspetto che sia sempre ricca di Amore come adesso e non
diventi soltanto attesa estenuante della morte.
Me lo sono domandato tante volte se
finora la vita mi ha negato qualcosa. No, in generale con me è stata generosa.
17. – D. -Ti capita di piangere e di
essere sommerso da nostalgie o dal dolore?
R. – Sì, mi capita di piangere, il
pianto non appartiene soltanto alle donne come ci hanno voluto far credere
nell’infanzia. Mi capita quando assisto a una ingiustizia, a un abuso, a una
violenza e sono legato mani e piedi e
impossibilitato a ingtervenire, almeno a protestare. Un solo esempio, in Sud
Africa vidi morire dei bambini in una specie di fossa piena d’acqua lurida, di
fango e di feci. Non valse a nulla la mia protesta fatta alle autorità e nella
mia stanzetta d’albergo piansi a dirotto, nell’impotenza più nera.
Per le eventuali nostalgie non
piango, le faccio sfilare piano piano, le metto in archivio e trovo ogni volta
una giustificazione a ciò che accadde.
Al dolore ho fatto l’abitudine, è un
nemico che non bussa, ma ormai non fa fragore e riesco a tenero a bada.
18. – D. -Ci parli di tuo padre e dei tuoi ricordi
dell’infanzia?
R. – Ho poche immagini sbiadite. Possedeva
soltanto pochi libri, la “Commedia”, col commento di Scartazzini, “Le mie
prigioni” di Silvio Pellico, le poesie di Salvatore Di Giacomo, “Pinocchio”, di
Collodi, mi pare un romanzo di Mastriani… sapeva fare dei dolci squisiti, era tenerissmo
e rigido insieme.
Ricordi della mia infanzia? Liti feroci con i compagni, rubare la frutta
negli orti, giocare a tressette, a calcio balilla, cose simili. Una gita a
Matera in seconda elementare, il maestro era di Stigliano, provincia di Matera,
le lezioni di musica dal Maestro Blandi della banda di Roseto e cose simili. Il
paese viveva di stenti, grazie agli orti coltivati, alla severità delle mamme
che sapevano risparmiare su tutto.Era una civiltà povera.
19.- D.- Ci spieghi come sia
possibile pubblicare 11 libri in un anno? Ne hai ancora nel cassetto che noi
non conosciamo?
R. – Pubblicarli è facile, il
problema è scriverli. Per me comunque non è stato un problema, ma innanzi tutto
bisogna chiarire alcuni luoghi comuni che hanno inficiato e inficiano la
personalità di chi scrive molto, dimenticando che in passato chi scriveva con
il pennino intinto nel calamaio e non con il computer, come Leone Tolstoi o come Honorè
de Balzac, realizzava opere infinite. Balzac ne scrisse circa cento quaranta e morì prima dei
cinquanta anni.
Facciamo il conto della serva.
Mediamente un libro è di duecentocinquanta pagine e se uno scrittore lavora tutti i giorni, al
ritmo di dieci pagine al giorno, si arriva a trecento. La faccenda vera sta
nelle qualità dello scrittore, se è grande oppure no. Sì, nel cassetto ho molte
opere inedite.
20. – D. - Il denaro che valore ha
avuto nella tua esistenza, che valore ha oggi?
R. – Purtroppo il denaro non ha mai
avuto nessun valore nella mia esistenza. Ho vissuto con quasi niente da
ragazzo e ho continuato a servirmi del
giusto necessario anche dopo. E se a volte mi sono trovato con le mani piene ho
dato senza badare, purtroppo anche a chi non meritava. La generosità eccessiva
però è uguale alla tirchieria. È un male. E può diventare anche una beffa.
21. – D. -Come passi le tue giornate,
a cosa pensi, che cosa ti manca?
R. – Le passo, colme sempre, a
leggere e a scrivere senza preoccuparmi se sono grande o sono piccolo. Simenon,
pur avendo scritto in serie applicando sempre la stessa formula, ha realizzato
almeno sei o sette capolavori. Non è successo a Liala. Che significa? Che non è
la fretta a decidere nella scrittura delle opere, ma il talento e l’impegno.
La vista del mare mi manca a Roma.
22. D. - Che cosa hai in comune con
Campanella? Leggendo quel romanzo ch gli
hai dedicato sembrerebbe che avete fatto insieme un lungo percorso di vita.
R. – Magari in sogno ma sicuramente
abbiamo percorso tanta vita insieme. Ho trovato in lui, nel suo agire e nelle
sue idee, delle meravigliose affinità e mi ci sono ficcato dentro. E ti dico
che ancora sono fortemente campanelliano e che sogno ancora la città del sole.
23. D. - Le tue antologie
d’amore pubblicate dall’Editore Pace
sono un’immensa enciclopedia sull’amore, questo sentimento ti ha così tanto
coinvolto?
R. – L’Amore è l’unica realtà
incantevole che rende la vita qualcosa di accettabile, che fa sentire il senso
profondo di esistere. Senza Amore i giorni sono un deserto. Se non esistono i
sogni, che sono il “lievito” e
l’infinito, tutto diventa un appiattito orizzonte della ripetizione.
24. – D. -Perché oggi le donne
vengono uccise e l’amore tagliato con asce affilate, che cosa ci è successo?
R. – Che troppo facilmente si fa
confusione tra sesso e Amore, tra desiderio di possesso e desiderio di dialogo
e si fa confusione sui valori
dell’Amore. Amare, prima di ogni altra cosa, è dare, non prendere. Ma se stiamo
predicando, COI FATTI, NON CON LE PAROLE, l’egoismo, il solipsismo, la cancrena
dell’apartheid, la festa dei telefonini vissuti come trionfo dell’armonia
celeste, che risultati poi si pensa di ottenere da individui che non hanno
anima, non sanno con chi stanno vivendo e cose simili?
Tutto dipende dall’Amore, perfino le
guerra. Non è quella cosa capace di muover il sole e le altre stelle?
25. – D. –Perché non si legge più ,
che cosa ci allontana e ci distrae dalla cultura?
R. – La convinzione che basta essere
pieni di denaro e tutto marcia. Da qui anche la perdita dei valori di cui ho
parlato all’inizio. Ma ancora non abbiamo toccato il fondo. Soltanto allora,
forse, riprenderemo a remare di nuovo, ritorneremo ad essere Ulisse. Se ne
avremo la forza e avremo recuperato la coscienza del danno fatto.
26. – D. -Cosa pensi
dell’intelligenza virtuale e delle nuove porte spalancate alla conoscenza?
R. – Ben vengano tutte le innovazioni
e tutti gli aggeggi capaci di agevolare le fatiche dell’uomo, basti però che
l’uomo non deleghi i suoi sentimenti e le sue emozioni a una qualsiasi
macchina. Senza poesia, senza i fremiti dell’anima non c’è la vita e i
surrogati, prima o poi, mostrano la loro fatuità, la loro caduta a picco nella
melma, cioè la loro inconsistenza.
27. – D. -Credi ancora che esista un’
“Umanità”.
R. – Sì, ci credo ancora. E’ molto
nascosta, molto trascurata, ma molto ricca e assetata di essere l’asse portante
dei rapporti, non solo strettamente umani e spirituali, ma anche pratici.
Perché una “Umanità” vera apre gli occhi su tutto e mantiene al centro di tutto
l’UOMO con la sua fragilità e il suo impegno a cercare per riconoscere se
stesso, fatto non trascurabile.
28. – D. - Ci racconti il tuo viaggio
in Giappone, dei tuoi incontri nel mondo? A quali paesi sei particolarmente
legato?
R. – Sono legato all’Italia
interamente, indissolubilmente. Ciò non m’impedisce di amare altri luoghi,
altra cultura, altre tradizioni, altra storia. Senza tradire le origini e la
struttura del proprio essere si può entrare negli spiragli di altre realtà e
sentirne la valenza e la necessità come aggiunta al proprio modo di essere.
Ho viaggiato molto ed ho sempre
sentito vivo il dono che mi veniva fatto, ma le mie radici non subivano
riduzioni o crisi. Per esempio il Giappone è entrato nelle mie corde spirituali
e ne ho assaporato la bellezza, la densità umana e perfino la terrestrità
accesa da luci vive e palpitanti, ma sono rimasto nella essenzialità del mio
essere figlio di Omero e di Dante.
Nessun rifiuto, ma annessione e Amore
aperto, divenire comune.
29 . – D. - Credi in Dio o
nell’eternità dell’anima?
R. . No. Non riesco a crederci e
vorrei tanto. La mia vita diventerebbe migliore, più serena. Forse anche più
ricca di sogni e di progetti.
30. – D. – A proposito di progetti, a
che cosa stai lavorando?
R. – Innanzi tutto al recupero dei
lavori fatti in giovane età. Mi spiego, raccogliere tutti gli scritti dedicati
ai pittori quando ebbi l’incarico di dirigere la Galleria Tornabuoni di Firenze
e ne curavo le monografie. Poi pubblicare, almeno in parte, gli elzeviri in cui
analizzavo sconci e cattiverie della società; poi gli articoli dedicati agli
scrittori lucani e a quelli calabresi; poi rivedere i dieci romanzi inediti e
le cinque o sei raccolte di versi, molti dei quali ritrovati scritti a matita
nelle pagine bianche dei libri che andavo leggendo. Due volumi sull’Albania,
due sulla Romania, non mi raccapezzo nemmeno più.
Hai capito che mi piace esagerare?
Che ancora adesso che sono quasi negli ottanta, mangio tre/quattro etti di
pasta asciutta al giorno, bevo una bottiglia di vino e continuo a innamorarmi
come un adolescente?
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