venerdì 21 febbraio 2025

Celestino V e Benedetto XVI Soli della Chiesa di Carmen Moscariello- Gangemi Editore

 






In forma di oratorio- Dalla Prefazione di Marcello Carlino

 

È un oratorio, al postutto. Tra monologhi e dialoghi e brevi inserti di una voce narrante fuori campo, alla struttura di modo drammaturgico del testo di Carmen Moscariello mancherebbe la musica per poterlo dire oratorio, se non fosse che la musica è l’anima profonda di questa sua scrittura: la prosa vi è lirica e ha timbri musicali, infatti: la scrittura pare mutarsi in musica, infine.

Eccolo un primo, chiarissimo segno distintivo. Come gli altri racconti di esistenze speciali e di incontri di vita, che trovano posto nella bibliografia di Carmen Moscariello, è la passione a farsi intensità e fervore, ed è il fervore a validare un transfert nei soggetti narrati e quasi incarnati, ed è il transfert ad accendere lo stile e accalorare la sintassi voltando i suoi nessi in uno sciame di febbrili, incantate associazioni, cosicché la parola risuona di una pronuncia come sacrale, che muove onde armoniche come di lauda.

In un quadro siffatto la documentazione sopra giuste fonti è di premessa, ma il rigore e la compiutezza filologici sono tutt’altro che necessari: contano piuttosto inquadrature e intonazioni in soggettiva dell’io autoriale, che presta la sua voce ai personaggi, entrato nei personaggi con passione e fervore.

Sono due i protagonisti nel teatro qui allestito da Carmen Moscariello, Celestino V e Benedetto XVI, accomunati dalla scelta della rinuncia al pontificato. Una modulazione particolarmente efficace di questa struttura oratoriale è che Benedetto XVI, nel secondo “atto” in cui è evocata la sua storia, è annunciato ed esposto in lauda da Celestino V, la cui parte in scena contempla più lunghi e frequenti assoli monodici, più stringenti monologhi. Intorno una serie di personaggi intesse una partecipazione corale.

La passione costitutiva della prosa lirica – di quando in quando dei prosimetri – che Carmen Moscariello consegna ai monologhi e ai dialoghi del testo ha tratti peculiari, sorprendenti: il calore della comunanza si fa esaltazione della tenerezza e della meraviglia e su questo doppio paradigma si coniugano le parabole di Celestino V e di Benedetto XVI, “cantate” in lauda spirituale dal primo, che riconosce nel secondo chi da lui ha raccolto il testimone di una ideale staffetta lungo il percorso virtuoso della mitezza e dell’amore.

Celestino V ha recepito e insieme temperato le istanze di una chiesa povera, schierata con gli ultimi; di ciò anche, levatasi da un cuore semplice che vive l’umanità in fratellanza, è voce la rinuncia al potere, allo sfarzo e al lusso di una religione isterilitasi nella torre d’avorio di una dorata separatezza; la ripulsa delle beghe curiali e delle lotte cruente, innescate da una secolarizzazione che insegue prebende ed è profondamente traviata da mire politiche, contiene un messaggio di unità, un invito rivoluzionario (concorde in una certa misura con le attestazioni di un cattolicesimo alternativo e come eretico) alla condivisione e alla misericordia, di cui il perdono è un valore fondante: un messaggio tuttora attuale tanto per i credenti, quanto per coloro che esprimono una cultura laica.  

La scelta di Benedetto XVI, erede di Celestino V, è ricca degli stessi significati: la mitezza, la coscienza dell’umana fragilità, il desiderio di dare accento alla povertà creaturale come virtù e come contravveleno ad una ideologia che premia politiche di potenza.

Benedetto XVI aggiunge alla preghiera, che distingue la solitudine romita di Celestino V nella beatitudine della natura, una cultura teologica che è fatta sposare con la profonda sacralità dell’arte, in specie con l’anima serenante della musica.  E qui il cerchio si chiude riconducendo alla liricità di modo musicale della scrittura di Carmen Moscariello, che batte il tempo di un meravigliata, gioiosa, sua propria spiritualità.

                                                                  

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