Prefazione
di Francesco
D’Episcopo,
copertina di Nunzio
Trazzera.
Giuseppe
Manitta è un giovane che già da tempo occupa per diritto il diorama
della cultura italiana. Il suo spirito creativo, il rigore dei suoi
studi, la pubblicazione dei suoi saggi sui maggiori autori della
letteratura italiana gli hanno conquistato la stima e la lode di
personalità di prim’ordine nella cultura del nostro tempo.
Sia
nella poesia che nella critica ha ricevuto ampi riconoscimenti e
lodi. Tra questi, Il Premio Tulliola-Renato Filippelli ha avuto
l’onore di vedere partecipare i suoi scritti prestigiosi al Premio
e tra migliaia di autori , la Giuria presieduta da Ugo Piscopo ha
scelto sue scritture di prim'ordine. Ha vinto prima per la poesia
“L’ultimo canto
dell’upupa” (Tulliola 2011) e
poi per la saggistica “Giacomo Leopardi.
Percorsi critici e bibliografici” (2012-13 Tulliola –Renato
Filippelli). Il
presidente del Premio Ugo Piscopo, già la prima volta ebbe a dire:
“questo ragazzo ha
stoffa” e lo lodò
pubblicamente nelle motivazioni della vittoria: Così per la
Poesia: Giuseppe Manitta, L’ultimo canto dell’upupa.
Poemetto crepuscolare, premessa di Giorgio Barberi Squarotti.
Introduzione di Carmine Chiodo, Castiglione di Sicilia (CT), Il
Convivio, 2011, collana “Calliope”.
Studioso di letteratura italiana,
Giuseppe Manitta entra nell’agone poetico con robusta attrezzatura
ideale e con un modo di procedere disinvolto e sicuro. I suoi
riferimenti al mondo classico non sono di riporto, ma di
riproposizione in diverso contesto semantico e culturale di sequenze
e figure, con cui si è intrattenuta, si intrattiene familiarità.
Vivide sono le accensioni che scaturiscono da accostamenti improvvisi
e lontani……(Ugo Piscopo)
Ancor di più per la saggistica:
“Giuseppe Manitta si aggiudica il primo premio per la
saggistica per l’opera Giacomo Leopardi. Percorsi critici e
bibliografici (1998-2003), Castiglione di Sicilia (CT), Il
Convivio, 2009. All’unanimità, la Giuria dichiara questo solido e
imponente lavoro pregevole sotto molteplici profili e innanzitutto
sotto quello della serietà e della coerenza del metodo, che fa da
griglia alla costruzione complessiva del discorso. Il metodo consiste
nell’intrecciare l’accertamento bibliografico-critico con la
responsabilità del doganiere che sul campo valuta la qualità della
merce in ingresso, per informare l’utenza attuale e futura dei
pregi o dei difetti del manufatto in questione. In ultimo, viene
elaborato uno strumento utilissimo, che interfaccia la descrizione
del documento con l’analisi delle sua provenienza e della sua
proiezione in avanti. In questa maniera, l’opera soddisfa
molteplici esigenze: quella della tracciabilità e rintracciabilità
dei testi, quella di avere orientamento e suggerimento per ulteriori
inquisizioni, quella di conoscere che cosa di nuovo sia intervenuto
negli studi su Leopardi nella ricorrenza del bicentenario della
nascita, quella di poter respirare l’aura dell’attualità della
figura e dell’opera leopardiane in un momento come il nostro,
attento alle interrelazioni fra scienza e vita e al pluralismo delle
scelte, come nel campo della religione e in quelli di altre
spiegazioni del mondo”. (Ugo Piscopo)
Ora, si sa che Ugo Piscopo
è un grande e già appartiene al mondo delle Storie delle
Letterature, è anche un uomo molto severo e preciso nel verificare
la texture delle opere da esaminare; in Manitta ha subito
riconosciuto non solo la serietà dello studioso, ma anche la
grandezza e la bellezza di una scrittura raffinata e adulta,
alimentata dall’ansia della ragione e costruita sulle radici del
mito, sull’eleganza classica della parola, dando ad esse
illuminazioni nuove ed intense.
Il giullare del
tempo.
L ’opera
che andiamo a trattare, è strutturata secondo tre spazi temporali e
per certi aspetti oggettivi; sottende a tutto l’inquieto drammatico
gocciolare della vita in una città (La città di Ella)
frigolante languori e oscurità, in una
Sicilia (il riferimento non è limitato ad essa), dove il male di
vivere si estenua in ingombranti odori e sfinimenti. E’ la Sicilia
di Pirandello, di Quasimodo, ma anche quella del Verga: un tempo
immobile, stirato, rappreso. “L’inquietudine
, allora, nasce indomita e incerta, nella ricerca di un ritmo, che
restituisca alla realtà il suo ardore denso, perché non scivoli via
come in molta poesia contemporanea, come lava, destinata a indurirsi
e raffreddare. Solo così il testo può tornare a celebrare i suoi
alti trionfi semantici e sonori. Una sfida da cogliere e
incoraggiare, in un poeta antico, che ha tutti i numeri per far
sentire la sua limpida voce a vecchi e a giovani” Così
Francesco D’Episcopo, dalla prefazione.
L’instabilità
frenetica è della città di Ella, malata di
melanconie, sporcata dall’arroganza delle mafie: i luoghi, le
strade, i tetti ,gli uccelli sono spettatori di un dolore alla
deriva, di un tempo strozzato; il respiro affannoso si insinua nella
gonna di Ella, pende su protagonisti assenti. La città non è
dell’uomo, è già appartenenza di un mondo desertificato,
distrutto. Il Poeta e destinato a un osservatorio vacillante, quello
dell’anima, ma, i cristalli in cui Ella è frantumata, divengono
aculei per i personaggi senza vita che attraversano il tempo “Le
parole sono luminosi suicidi,/sguardi scritti e pallori esanime/di
gelsomino”.(Il Giullare del tempo pp.
14-15).
La tensione emotiva di
Ella si lascia attraversare dai fumi untuosi della sua città, il
suo vagare o, meglio, vagabondare, ci sommerge in un enigma da
sciogliere, un busillis tortuoso e amaro.
Il desiderio di esistere,
nonostante tutto intorno è decadenza, porta la poesia di Manitta ad
arroventarsi ,man mano, che i gironi infernali si stringono, per un
desiderio di vita che non si spenga. Il crepuscolo dell’io narrante
perde il suo verbo razionale e la parola scivola lenta, ingoia aria,
spinge un aratro di dolore e chiude in vento cadenzato nella furia
del silenzio. ”Oggi rimangono le transenne
di un sospiro/Ella china il capo,/il selciato è un fiume/che
scioglierà la città di carta/Le viole all’angolo della salita
perdono colore,/i profumi parlano di attese,/ una chiazza di piombo
colora il seno. S’affretta Proserpina,/i capelli di Ella sono
bagnati/il mito si infrange sulla sciara. (idem,
pg. 19)
La parola intanto si
riveste della pelle luminosa della calle, raffinata, esperta,
modulata dagli archetipi e vestita della luce del tempo, lo stupore è
nel piegare tanta eleganza e perfezione del verso allo sgretolamento
dell’uomo. Due opposti si muovono nell’opera poetica avvincente:
la raffinatezza della scrittura e la lucidità scarna e spietata di
un mondo sentito estraneo.
La seconda parte
dell’opera è titolata ”Sul breviario di
Ott” anche qui protagonista
è un nome femminile:
Lidwina soffoca tra i mandorli, /assopita, e veste stracci di
nebbia.(idem, pg. 23)
Inizia lo spartito in un acuto e attento
panegirico del peregrinare e in apparenza sgrana luoghi, vie e
piazze; il disegno si compone di certi canoni aggressivi della
pittura di Van Gogh, l’oggetto si anima della sua malattia, della
follia che nulla risparmia.
“La tenda rossa, alla
finestra, guarda i passanti”, (idem ,pag.23) nessun
particolare viene trascurato nel vagabondare tra strade e ombre
della città, questa volta di Lidwina, eppure, nonostante l’accanirsi
di Manitta in canoni fintamente descrittivi, il personaggio appare
appartenere al vuoto, sospesa lontana dal fango, furiosa interprete
di lontananze. Il breviario piange i nuovi santi sull’altare:
sono i derelitti, i martiri della miseria umana.
Ed ecco di nuovo cambia
strada, ci ha guidato finora in una visita convulsa, affannosa ,
fuori da qualsiasi mediazione, il verso pur rivestito d’organza è
intriso di sofferenze.
Ritorna l’attesa e il
tempo è lavato dal dolore nella Rogatio
Cotidiana ; in questa limpida preghiera il
Poeta dà al verso un suono di violino, lo sguardo in parte si piega
sulle cose e le accoglie in un manto di preghiera: Beviamo
l’alito del tempo/mentre il treno scorre/sulle ginestre, sulle
sciare,/ e risveglia i venti sopiti,/ nascosti tra i papaveri e le
calendole. /Il cuore tra le rotaie,/e gli sguardi annegano tra gli
steli,/mentre le case ascoltano/la sabbia che cade.(idempg27)
Credo che lo spazio
visionario e nel contempo meditativo dei contenuti donino al verso
una grande armonia ed esso si apre come il velo di una sposa, steso
per proteggere la vita dal fango seppure ….e
i sogni si annebbiano,/s’impastano con la terra per fare pane./Tra
le frasche e la spazzatura/La strada s’infittisce di strali,/la
pelle si lacera, alla tramontana./ Sono foglie le case/e candele sul
viale i rami . (idem,pg28)
Impalca il poeta cenere e
pathos nel lento estenuante crepuscolo del giorno e della vita.
In questa bellissima
raccolta il poeta ha voluto riproporci anche il poemetto “L’ultimo
canto dell’upupa”, qui Giorgio Barberi
Squarotti ne cura la prefazione e lo loda con
entusiasmo e amore: ”Il poemetto dell’upupa
e di tanti altri animali emblematici e avventurosi è molto bello
per ricchezza di immagini, visioni, ironia, fantasticherie, ansie e
speranze del cuore. E’, a mio parere, un testo davvero mirabile,
originalissimo, fra mito e realtà attuale e drammatica, un risultato
di straordinaria invettiva. E’ una narrazione ansiosa e solenne,
fra quotidianità e visione, meditazione e passione, dolore e
bellezza delle cose e dell’anima”
Parole senza ombre,
chiare, nette.
Il poemetto crepuscolare
“L’ultimo canto dell’upupa”,
già dai primi versi, è accattivante, ha il colore delle albe
virgiliane, delicate metamorfosi della vita; il pianista raffinato
dalle finestre aperte sulla notte ascolta il canto dell’upupa, con
lei canta colori da regalare alla luna cilestra: Piove
la bufera sul prunalbo,/ dita
rosate,/ e la luna cinestra/ al torpore della notte./Piove oltre la
siepe/e la berza al tramonto,/al canto dell’upupa.(idem,
pg.35)
Carmen Moscariello