Carissima prof. Carmen, finalmente è arrivato il Suo
affascinante Modigliani. Ordinato non secondo una banale architettura
critico-espositiva, ma a ondate di vibrazioni narrative penetranti ogni volta
da un lato diverso nella complessa e irriducibile realtà narrata, il lavoro
ricompone in unità i mille momenti di una straordinaria esistenza bruciante di
febbrile creatività artistica. Dunque vivissimi
complimenti
e fervidi
auguri
di successo di lettura.
Grazie infine per la generosa dedica ad un vecchio che della libertà è solo
ancora un appassionato trepidante allievo. Un forte abbraccio. Aldo Masullo
martedì 15 marzo 2022
Giorgio Moio , Finzioni
Interviste fantasma
Nota di Carmen Moscariello
Come in un Film. E, ancora una volta” il potere del
linguaggio” di Giorgio Moio si ripropone come visualità e urgenza di confronto,
come spazi per la fisiognosia che nonostante l’affermazione perentoria di “Interviste
fantasma” esse si manifestano più che mai vive e propositive, bene inserite nel
tessuto realee nella natura.
L’incontro è con” i
morti”. Mi sono chiesta più volte man mano che leggevo e assaporavo le pagine
di questo intenso e originale libro,come mai Giorgio Moio non abbia deciso di intervistare personaggi in
carne ed ossa del nostro tempo? Forse perché i moderni sono più che mai
soggetti e sottoposti alla precarietà e al vago assoluto del vivere? Certo nel
mondo dei morti egli si muove con disinvoltura e cognizione di causa. Vuole
sapere sulla storia, sulla canzone, sulla filosofia , sulla poesia, sull’arte,
insomma vorrebbe vederci chiaro sulla vita e sulle sue continue contraddizioni,
contrapposizioni, cadute. Le pagine hanno molto fascino ci catturano e ci
illudono mentre ci incamminiamo nel mondo delle ombre come già fece Enea, Dante
e altri grandi. Egli conla sua solita
non chalence , con le mani in tasca e con il suo cervello che gira a mille
inizia i suoi dialoghi. Uno tra i suoi più affascinanti e intensiè con una
Donna, e che Donna! Fa parlare Sibilla Aleramo e le fa raccontare i risvolti di
tutta una vita. Insomma “il Poeta d’Avanguardia” come lo definisce il Grande Piscopo inizia dal femminismo come farebbe un
galantuomo o meglio un cavaliere. Il suo parlare non è irriverente, ma è libero
da stucchevoli annegamenti. Le fa dire dei suoi amori, delle sue lotte per
l’affermazione della libertà della donna, l’urgenza del rispetto per quest’essere divino, delicato e capace di
buona poesia senza curarsi di togliere il trono all’uomo.
Va a cercarsi anche personaggi spigolosi che in vita male
accetterebbero un’intervista, non perché a farla fosse stato Giogio Moio , ma
perché non volevano e non vogliono essere invischiati in fatti umani, i quali
se volgari potrebbero coinvolgere chiunque. Ed eccoci di fronte a Lucio
Battisti, chi non lo ha amato e cantato, egli è il maestro del canto- poesia,
della primavera in versi, del riserbo della sua chitarre, Moio abile e
rispettoso delle Sue canzoni gli fa spifferare tutto, anche le amarezze post
mortem , poiché certi artisti veri non vengono lasciati in pace nemmeno dopo
morti. L’ autore mette in luce un aspetto importante del rapporto tra chi
scrive e chi legge. Quante volte studiando un autore lontano non ci siamo
sentiti chiamare in modo suadente attrarre nelle loro vite, ed essi senza
ritegno ci spifferano tutto anche quello che loro non sono riusciti a dirci
troppo chiaramente in vita. A chi scrive succede. Posso giurarviche ho visto risorgere dalle mie pagine di
lettura la poetessa Amelia Rosselli e,( i dissacratori dei sogni certamente
rideranno) e Giordano Bruno ancora irruento e arrabbiato con la Chiesa che ad oggi non l’ha veramente perdonato. Per me sono
stati sprazzi disordinati che hanno sorpreso la mia mente, che è rimasta piacevolmente attratta da quelle
vite intense, indimenticabili. Ebbene, l’ateo Giorgio Moio ci dimostra concretamente
che ci sono altre vite non meno intriganti e favolose di quelle che noi viviamo
ogni giorno. Solo l’incontro con il dolore di Leopardi mette un po’ a disagio l’
Autore di fronte alla mente immensa e tormentata del Poeta di Recanati. Lì si vuole
far luce sul pessimismo e Giorgio Moio guida Leopardi (è proprio lui che guida
il grande genio!) a comprendere che la vita va vissuta intensamente in ogni suo
aspetto e in essa è l’universo, il cosmo che attizza il pensiero e ci aiuta a
credere. Le interviste del libro sono 49 , smilze, veloci, non si attardano,
danno in poche battute l’essenza e sanno costruire intorno a questa le parole
giuste. E’ un libro che si legge d’un fiato e qui si può incontrare in maniche di camicia
fraternamente Borges, Federico Garcia Lorca, Rose Luxemburg, Giorgio
Manganelli, il dolce rivoluzionario Neruda ,l’enigmatico Pessoa , Antonia Pozzi
,Ungaretti, e tanti altri. E’ un libro carico di vita, molto razionale, non ha
fronzoli è diretto e vero, molto originale.
Analisi critica e storica di Mariagrazia Carraroli e Franca Bellucci
LOTTA E POESIA
Carmen Moscariello è poetessa,
drammaturga, regista e giornalista. Corrispondente per il Tempo e Avvenire ha
dedicato articoli su Tangentopoli e altri importanti fenomeni sociali del
nostro tempo.
Delle sue competenze e della sua
passione trasuda il saggio Destini sincronici- Amelia
Rosselli e Rocco Scotellaro, saggio che emana amore da ogni
riga : amore nell’incontro d’anima e intelletto dei protagonisti del saggio ;
amore per il Sud, in particolare per le meravigliose terre dimenticate : l’Irpinia dell’ autrice, così
vicina alla Basilicata di Rocco, per troppi anni, quest’ultima, trattata come
terra d’emarginazione e di confino…
Un amore che in questo saggio, ma non
solo, fa spesso rima con dolore.
I protagonisti ne portano cocenti ferite
: Rocco in primo luogo, per le delusioni provate durante il suo impegno sociale
/ politico ( fu socialista convinto ) da sempre a fianco ai suoi cafoni contro il potere dei latifondisti.
Giovanissimo , a ventitre anni, fu nominato sindaco di Tricarico e per vendette
politiche ingiustamente accusato e messo in prigione , anche se poi venne
assolto con formula piena…
E poi, Amelia, ammalata di ferite sempre
aperte : la tragica morte, mai del tutto metabolizzata, del padre Carlo ,
poi quella della madre e ultima, la morte improvvisa di Rocco dopo soli tre
anni dall’averlo incontrato…
Si erano conosciuti a Venezia nel ’50 in
un Convegno, e fu subito amicizia affettivamente intensa, forse amore. Uno
schianto per lei l’improvvisa scomparsa di Rocco che l’aveva fatta conoscere
poco prima alla madre in Lucania… Squassata nella mente e nel cuore, a nulla
valsero le cure della Clinica svizzera in cui fu ricoverata, epilogo
drammaticamente premeditato, poi, il suicidio, nello stesso mese e giorno
dell’amata poetessa più volte tradotta, Silvia Plath, l’11 febbraio 1963
La nostra autrice Carmen Moscariello
scrive di Amelia e di Rocco con partecipazione molto viva, anche per aver
conosciuto personalmente la poetessa e, attraverso le frequentazioni con
Vittorio Foa, importante personaggio della politica e del giornalismo italiano,
sentendo da lui stesso parlare con ammirazione del giovane attivista e
intellettuale lucano, Scotellaro.
Il libro percorre le due drammatiche
esperienze umane dei protagonisti, sottolineando la funzione salvifica della
letteratura, specie, come nel caso di Amelia e Rocco, quando i tempi e gli
spiriti vengono invischiati nel groviglio dell’ingiustizia, della delusione e
del male di vivere.
Moscariello entra in quei tempo e in
quegli spiriti, documentando da par suo la vita e l’opera dei due , corredando
il volume con fotografie e aggiungendo un importante carteggio del
sindaco/poeta con lo scrittore Michele Prisco.
Non manca una ricca bibliografia. Ma la
nota che rende particolarmente originale il saggio sono due poemetti in cui
Carmen si cala con intensità lirica ed emotiva nel sentire dei due poeti,
divenendo l’Amelia ferale e urlante di fronte alla morte maledetta dell’amico Rocco, a cui l’eco
della Taranta dà nuova voce di fraterna
solidarietà con il popolo contadino per cui tanto lottò. E chiama la donna a
condividere il suo vissuto con lui, perché –dice :
ti conobbi bella e
luminosa/ mi apparisti come ‘na Madonna/ Amelia, e come la Madonna/ sull’Altare
io ti amai ( p.103 ).
Un saggio, questo di Moscariello che,
come scrive Annella Prisco nella prefazione, è un
mosaico di ricordi, approfondite testimonianze storiche, spaccati di umanità e
lirismo con lo sguardo sempre vigile all’ambiente, la Basilicata, in cui si
muovono i protagonisti…il tutto reso unitario e di godibile lettura
non solo per quello che Aniello Montano nell’Introduzione definisce garbo stilistico, per le ricche citazioni ed
i rilievi critici, ma anche per la cifra empatica di cui è denso e per
l’accento emotivo di cui sono pervase le descrizioni degli episodi di vita dei
protagonisti, unite a quelle degli scorci naturalistici in cui le loro
storie fioriscono.
Appena aperto il libro ci appaiono
vertiginosi i calanchi lucani che tra le righe finali del saggio riemergono
aspri e lunari ai ritmi di musiche sefardite (
ebraiche antiche p.117 ) : uno splendido, irto scenario che ben s’attaglia al
profilo drammatico, forte, originale di due vite che amarono, lottarono,
soffrirono, scrissero per una società a misura d’uomo.
(Mariagrazia Carraroli)
(Dopo la presentazione alla Casa di
Dante la poetessa e storica Franca Bellucci ci ha inviato questa lunga e
profonda riflessione sul libro, che volentieri pubblichiamo, auspicando
ulteriori interventi da parte dei lettori sugli argomenti che nell’articolo vengono
evidenziati.)
ROCCO SCOTELLARO E AMELIA ROSSELLI NELLA
STORIA DEL NOSTRO PAESE
A fine marzo 2017 il libro Destini incrociati di
Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro fu occasione di un incontro, cui
presi parte, che suscitò forte emotività presso il Circolo degli Artisti Casa
di Dante, organizzato da “Pianeta Poesia”, bella e durevole realtà culturale
intorno al poeta Franco Manescalchi. L’effetto suscitato fu merito di come
Maria Grazia Carraroli impostò la presentazione del libro, preferendo, anziché una
recensione sistematica, coinvolgere il pubblico nella lettura di pagine scelte:
«Un libro come un romanzo», questa la sua suggestione. L’ascolto diventò per i
partecipanti discesa nella interiorità propria, oltre che dei personaggi
protagonisti, e nella percezione storica della loro cornice: contribuirono le
testimonianze, ad opera della stessa autrice Carmen Moscariello, dell’amica
Annella Prisco, figlia dello scrittore e meridionalista Michele, di Franco
Manescalchi, una presenza incisiva in Firenze, nel senso della sperimentata
coerenza poetica e umana. La sintesi della serata può dirsi una esperienza
condivisa di cultura come espressione. Poesia, lingua, comunità, rigore, lavoro
responsabile: devo dichiarare la traccia dei temi nella circostanza poiché,
risultata efficace in quella circostanza, io stessa ora la confermo in questa
nota di lettura. Il libro introduce ad un romanzo di spessore decisamente
storico: induce infatti a riflettere, nel segno della solidarietà scevra da
ogni pregiudizio e strumentalità, anche sui grandi temi storici, nazione,
nord-sud, lungo meridionalismo.
È un
particolare versante di meridionalismo che l’autrice
accoglie, e che subito si mette a fuoco cogliendo i legami culturali dichiarati
in appendici e apparati: si vedano in particolare le lettere inviate da Rocco
Scotellaro e dalla fidanzata Isabella Santangelo a Michele Prisco, custodite
dalla Banca Popolare Pugliese. La postfazione (pp. 121-124) di Carmela
Biscaglia, Direttrice a Tricarico del Centro di documentazione “Rocco
Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra” – sorto nel 2003 a 50 anni
dalla morte del poeta – evidenzia l’apporto di Carmen Moscariello al «rinnovato
interesse» che porta a riscoprire il progetto di Scotellaro ed interlocutori
per la ricostruzione nel Sud dopo la guerra. Nelle tesi, nei provvedimenti,
negli eventi effettivi, già oggetto di contese politiche, non si previde
comunque, dice l’autrice, quanto oggi si constata: allora vinse di abbandonare
gli agricoltori puntando su poche industrie e migrazioni in massa. Oggi «i
ricchi industriali dopo aver ben spremuto il Paese migrano anch’essi» e «sono
molti economisti a invocare il ritorno alla terra» (p. 43).
Se
teniamo da parte appendici ed apparati, il corpo del libro consta di quattro
capitoli, circa settanta pagine. Il titolo centra il tema in modo calzante:
rifocalizzata «l’attenzione sul legame tra la Rosselli e Scotellaro» (così
Biscaglia, p. 122), i due poeti sono proposti dall’autrice in un accostamento
fecondo e determinante, per lo sviluppo letterario e storico che riguarda le
lettere italiane in generale, oltre che le loro esistenze. Ma, nella profonda
diversità delle storie e delle poetiche che ciascuno di loro elabora – e che
l’autrice esamina soprattutto nel secondo capitolo – il contatto intenso e
fugace conservò a distanza l’impulso costruttivo, originale per ciascuno: Destini sincronici continuarono a guidarli,
poiché molte rispondenze, elaborazioni, esplorazioni si assomigliano, quasi che
un campo magnetico comune continuasse ad inscriverli, nella lontananza di fatto
di luogo e di tempo.
Il tempo, anzi, diventa
baratro, con la morte precoce di Scotellaro nel 1953, giovane di trent’anni.
Amelia Rosselli, di sette anni più giovane, prosegue, concludendo con il
suicidio a Roma l’11 febbraio 1996, scegliendo il giorno anniversario del
suicidio della scrittrice Sylvia Plath (1932-1963): è un’altra epoca la chiusura
del XX secolo, rispetto al secondo Dopoguerra, per la storia del nostro Paese e
per quella del mondo, con l’evoluzione profonda dei criteri concordati per i
blocchi geopolitici dopo il secondo grande conflitto.
Analoga
anche l’attitudine
all’ascolto che
si chiede al lettore, o allo spettatore, pur nella diversità delle scelte
poetiche. Occorrono variazioni di empatia, sia di fronte al “lapsus” lucido
della Rosselli sia per l’“anacoluto” di Scotellaro. Entrambe le soluzioni
poetiche sono intrise del magma della vita, delle tempeste delle rispettive
pagine biografiche. Con la profonda differenza che per Scotellaro la tempesta
si specchia nella terra e nei conterranei, nella Lucania, mentre Amelia è e
resta fondamentalmente una cittadina del mondo, senza avere né cercare un suo
porto d’approdo. Così Scotellaro, malgrado la brevità della vita, è tra gli
scrittori eminenti entro la produzione che sprona all’energia e al fare
collettivo, una sezione letteraria in più puntate nell’Italia dell’Otto e
Novecento, che Carmen Moscariello esamina particolarmente nel terzo capitolo.
Riprendo
le parole di Carmen Moscariello per la poetica della Rosselli: nel procedere della
parola mai abusata, dice, «l’errore-il lapsus-il monstrum-il prodigio occupa spazi
fondamentali», rinnovandosi nel ritmo talora metafisico, tal altra figurativo
(p. 61). E per Rocco Scotellaro la Mascariello dice che con i suoi “anacoluti
strozzati” «il Sindaco-Poeta ha voluto essere la parola che non esce [… sc. per un mondo]
sparpagliato lungo la schiena di un burrone, sospeso tra cielo e terra,
affollato di neve e migrazione» (p. 76): egli partiva da Carlo Levi, allora
vicino, quindi dal mondo contadino del Sud effettivamente affollato,
«attraversato da lingue misteriche che parlano a molti mondi», ma contestando
che potesse costringersi, come l’intellettuale voleva, «tutto nel mito». La sua
interpretazione del Sud si incontrava piuttosto con quella di Michele Prisco,
autore nel 1949 del libro La provincia addormentata: si erano incontrati
in quell’anno a Macerata (p. 115), in un convegno, che, in vista del riassetto
da compiere in Italia, proponeva il tema della provincia.
Amelia
Rosselli, nata in Francia nel 1930 nell’esilio del padre Carlo, antifascista,
dopo il suo assassinio nel 1937 si era formata nella frequentazione di sistemi
scolastici tra
Stati Uniti ed Inghilterra. Poliglotta, ricorreva in prevalenza all’inglese
della madre Marion Cave ed era raffinata musicista. Tradizioni letterarie e
musicali nella famiglia erano consuete, ma la scelta di applicare la
versificazione in lingua italiana alla sua urgenza compositiva maturò dopo la
conoscenza e l’incontro con Rocco Scotellaro, al convegno del 22-24 aprile
1950, a Venezia, su La Resistenza e la cultura italiana: entrambi i poeti
successivamente ebbero modo di dichiarare l’importanza, nella vita affettiva e
nella determinazione poetica, del colloquio intrapreso. Scotellaro stava dando
una svolta alla sua vita, nella direzione della ricerca: doveva virare, dopo il
percorso politico condotto nel 1946, a 23 anni, come sindaco della
ricostruzione a Tricarico. Per false accuse, subito confutate, aveva fatto
breve esperienza del carcere in quell’inizio del 1950, dal 9 febbraio al 25
marzo; aveva appena accettato di compiere studi sociologici presso l’Osservatorio
di Portici di Manlio Rossi Doria.
La
composizione dei due poeti è diversa, ma per entrambi coraggiosa, intrisa
di intima
sperimentazione: tanto
che la Moscariello è tra quanti ritengono che si debba tornare ad esplorare gli
espedienti formali già individuati dai critici (appunto, come detto,
l’“anacoluto” di Scotellaro e il “lapsus” della Rosselli), per sondarne senza
pregiudizi il senso, nel loro nodo di forma-contenuto. Sullo sviluppo
pluricorde ed intimo del poetare della Rosselli l’autrice si addentra nel
quarto capitolo: Amelia guarda ad occhi aperti la sua contemporaneità,
concentrata in modo essenziale sulla propria maturità interiore, in una
situazione di estrema originalità: «…non va trascurato il suo totale
coinvolgimento umano in quelli che sono i fatti politici e sociali dell’ultimo
millennio; inoltre ebbe occhi bene aperti sui poeti contemporanei» (p. 88). La
poetessa volle trarsi fuori però dai riti e dalle cerimonie dei gruppi e
dell’industria culturale, estranea «a una poesia stantia o fintamente
innovativa o creativa, approdante a un’ipocrita modalità nel vano tentativo di
liberarsi dal tartufismo» (pp. 85-86). I confronti con altri autori, anche
presenti nella biografia in forma di frequentazioni, come Pasolini o gli autori
del ‘Gruppo ‘63’, portano sempre a marcarne la differenza. Pure la sua via è
solo in apparenza introversione: le conferme sul suo valore si accentuano, dopo
la prima tributata da Pasolini nel 1963, presso i critici che riflettono sulla
poesia novecentesca: «…un grande poeta antiermetico, autrice che ha scelto una
sperimentazione inesausta», così Mariella Bettarini (p. 31). Lucidità critica,
“occhi aperti”, appunto, non freddezza. Uno stile diverso dall’esuberanza,
dalla espressività estroversa di Rocco Scotellaro: ma non divergente. L’intesa
nel profondo fu autentica, breve nel tempo ma determinante: a lui la Rosselli
in modo esplicito dedicò canti, ispirata dai moduli di veglia funebre del Sud,
e componimenti.
La contingenza del
contatto Scotellaro – Rosselli è un episodio già conosciuto ed
anche, presso certi autori, già scarnito in riduzioni banalizzanti. La
Moscariello si diffonde nel primo capitolo sulle motivazioni che l’hanno spinta
a questo saggio-romanzo: un percorso carico di emozioni di cui offre varie
testimonianze. In appendice, infatti, essa propone suoi poemi ispirati ai due
personaggi: l’oratorio Al Margine, i versi in forma di Taranta per Rocco Scotellaro. Il primo
componimento si ispira alla morte di Amelia Rosselli: qui la voce in prima
persona della poetessa si alterna ai lamenti esterni, corali, che ripercorrono
le vite tragiche degli intellettuali – della Rosselli, di Scotellaro, di
Pasolini – come lutti collettivi inestinguibili e amalgamati alla disperazione
del Sud. La disperazione del Sud è tema anche del secondo canto, nel tono
esuberante e valente del Poeta-Contadino, il Pilirusso, espresso in parte in
dialetto lucano, frammisto a materiali del folklore e dedicando una strofa, la
X, ad Amelia Rosselli: «Prima dell’occlusione della vena/ ti conobbi bella e
luminosa/ mi apparisti come ‘na Madonna/ Amelia, e come la Madonna/ sull’altare
io ti amai».
Per la
Moscariello informarsi, rivivere, meditare su Scotellaro e la Rosselli è un po’
meditare e scegliere intorno alla propria vita: ci sono state, certo, le
letture di entrambi i poeti (le cui opere in ordine cronologico e le
bibliografie leggiamo alle pp. 125-135), anche le numerose conversazioni
capitate con Amelia Rosselli, c’è poi l’informazione fornita dalla propria
città, Formia, c’è il desiderio di
recuperare e spianare i frammenti di memorie rimaste sospese nei luoghi e nei
vicinati, dal tempo del fascismo ad oggi. C’è l’emozione di rivivere, di
rivedere a distanza, poiché «Nulla avviene per caso» (p. 23), come sottotitola
il Capitolo I, quello delle motivazioni e quindi della vita dell’autrice.
Nelle
sue attività di intellettuale, vivendo a Formia, Carmen Moscariello ha spesso
organizzato incontri. La sua città era divenuta buen retiro di molti Padri
della Patria, già resistenti ed anche confinati nella vicine isole di Ponza e
Ventotene come Foa e Nenni. Dei racconti sullo scompiglio durante fascismo e
guerra all’autrice sono giunte versioni non rituali, tramite i ricordi locali e
le testimonianze dei protagonisti. In questa lunga ricerca appassionata ed
anche autobiografica, l’autrice coglie come snodo decisivo, vincente sul piano
culturale, le figure dei due poeti. Confermata dalle parole della stessa Amelia
Rosselli (ne ha parlato brevemente a Giacinto Spagnoletti, come di “amicizia
intensa, molto ricca e naturale”, p. 31, con una certa misura ironica a Plinio
Perilli, “io l’ho conosciuto poco, ma più come due adolescenti che si
incontrano”, p. 56) dà nuovo rilievo al loro incontro umano. Vita e
letteratura: due specifici, in teoria, ma amalgamati e annodati nel tempo
quotidiano, con una elaborazione sperimentale, ma non solitaria, almeno nelle
soluzioni di Scotellaro, nel panorama d’allora. Lì era il nocciolo di una
cultura nazionale finalmente intrisa di democrazia, di forza costruttiva:
capace di eludere ogni impaccio, malafede, persecuzione.
Seguendo
la lettura avverto nell’autrice l’intuizione innovativa: l’incontro breve,
quasi un urto, giunse ai due poeti empatico e sconfinato come è concesso
all’adolescenza. Anzi, nel momento particolare, fu, tra le sofferenze, aurora
di un nuovo mondo. Questo racconto emozionato si propone a lettori e studiosi
per nuove interpretazioni: riguardo ai due poeti e all’intero contesto. Ora su
questa parte, su quel caos di contese su cui Mascariello riaccende la memoria,
quel diverbio di tesi, ricette anche autoritarie per il Sud, varrebbe la pena
di tornare: non per approdare alla verità ultima, ma per percorrere ipotesi non
pretestuose nella prospettiva attuale.
Vengo
dunque, l’avevo premesso, ai frammenti sospesi che il libro sparge e non
esaurisce. Uno riguarda la prospettiva femminile: sarebbe da
riprendere più ampiamente, coinvolta nella parola “coppia” e “madre”, ma non
solo, ritengo.
Nella
Mascariello si affaccia più volte, a mezza bocca, la tentazione di raffigurare
la sincronia dei poeti come una vicenda essenziale di coppia amorosa. Poco
plausibile, e comunque troppo ovvio, di fronte all’originale profondità
raggiunta, specialmente dalla Rosselli nei poemi. A livello di biografia, per
altro, nell’appendice alle pp. 119-120 figurano relazioni presunte: con Carlo
Levi, con Renato Guttuso, con Mario Tobino. Altra mezza affermazione, non è
definito il referente della parola “madre”, pur ripetuta: madri come identità
individuali, certo, quando si menzionano entro le biografie dei due
protagonisti, ma anche parola inopportunamente generalizzata come risorsa
salvifica. Madri di identità abissalmente diverse, madre-specchio, concentrata
sul figlio quella di Rocco, ma madre-prisma divisiva quella di Amelia. Madri di
diversa antropologia: per altro, viene da riflettere su come ci siano conti
sospesi con la pagina antiebraica del Paese e che allora dovevano pur
avvertirsi.
Non è
meramente complanare alla parola “madre” l’altro importante frammento, la
“donna”: è menzionata spesso come portato essenziale della poesia e
dell’universo di Amelia Rosselli (p. 60, p. 61, p. 65, p. 85). La Moscariello
ha il merito di sottolineare questo elemento, ma in parte glissa. Certo, nel
proporre questo tema in poesia per la Rosselli non fu d’aiuto la folla di
intellettuali, tutti nomi maschili, che la accompagnano nei contesti illustrati
dal libro, al tempo di Scotellaro e dopo la sua morte. Un tutoraggio soffocante
intorno alla poetessa: trovo molto significativo il suo rifiuto ad appoggiare
combriccole letterarie, e straordinariamente significativo il fatto di aver
scelto, come giorno della sua morte, l’anniversario del suicidio di Sylvia
Plath: una consonanza di biografia, di letteratura, di militanza trasversale,
di cultura letteraria testimoniata in un panorama Italia-Stati Uniti, che resta
eccessivamente elusa.
La
Moscariello disegna, intorno al riconoscimento reciproco Scotellaro – Rosselli,
la storia
del nostro Paese, opportunamente
vista come storia di uomini e donne, di memorie e di tradizione, di risorse e
di ambiente, anzi proprio di terra roccia acqua: di rispetto e quindi di
dignità. È la sua stessa storia, il formarsi della coscienza dall’adolescenza
alla maturità di intellettuale, che l’ha condotta ad una sensibilità storica
complessa. Quelle intuizioni meriterebbero sviluppi di ricerche specifiche:
troppo è accaduto di ripetere i miti e gli stereotipi, troppo poco si
interpretano le relazioni del Sud, approdo cosmopolita del Mediterraneo e per
un altro al Paese tutto. Prende atto la Moscariello che le narrazioni già note,
fino all’epoca della morte di Pasolini, sono ora esaurite e smentite. A me
lettrice sembra che sia ora di nuove ricerche: non già revisioni. Due mie
obiezioni voglio menzionare. Una, che la mia infanzia in Toscana si è nutrita
di incontri provenienti dalla Lucania e più in particolare da Tricarico:
dignità e lavoro, tutt’altro che il primitivismo descritto da Carlo Levi.
L’altra incongruenza: migliaia di antifascisti (2500, p. 20) destinati dal
regime fascista a vivere in Lucania, come misura punitiva a carico di
sradicati. Ma per il regime fascista, quale era il piano ed il guadagno? E più
in generale, quale si ricostruisce il bilancio civile e militare del Sud, dal
primo Dopoguerra, al secondo, ad oggi? Da mettere in conto eccellenze
nazionali, come il lucano Luigi Frusci, decorato nel 1938 e nel 1948, sotto
regimi diversi. Mi sembrerebbe l’ora, su questi quesiti, di mettere in chiaro i
dati, archiviando i miti suggestivi che oscurano la riflessione.
Auspico
che il sentire
profondo e anticonformista della Moscariello relativo al Sud spinga ad altre
ricerche, bussando presso gli storici così che si impegnino a trovare gli
archivi adeguati ed una esplicazione ampia.
Formia:Ho conosciuto la poesia e una parte dell'opera di Carmen Moscariello grazie alle segnalazioni prima di Virginio Gambone e quindi di Ugo Piscopo, che hanno in vario modo sottolineato tanto l'impegno più genericamente intellettuale della scrittrice tanto la sua produzione più spiccatamente poetica. Docente di materie letterarie, giornalista pubblicista, collaboratrice de "Il Tempo" da quasi venti anni - per la prestigiosa testata ha scritto più di mille articoli -, del TG 3 Lazio, di "Oggi e Domani", di "Nord Sud", dell'"Avvenire", è direttrice e fondatrice de "Il Levriero", mensile di politica e cultura, fondatrice e presidente del Premio di Poesia "Tulliola"alla sua XXIedizione.
È autrice, tra l'altro, di numerosi saggi dedicati alla poesia tedesca dell'Ottocento, alla letteratura italiana e inglese del Novecento: tra i suoi autori si segnalano Hemingway, Amelia Rosselli, David Maria Turoldo, Pier Paolo Pasolini, Domenico Rea, Attilio Bertolucci, Renato Filippelli, Cristina Campo, Ugo Piscopo, Alda Merini. Inoltre, ha scritto e diretto pièces teatrali in versi, tra cui "Proserpina, tre atti preceduti da un preludio" (Bastogi, Foggia, 2003), prefazione di Aldo Carotenuto, "Eleonora dalle belle mani. Dialogo segreto tra Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio. Opera drammatica in tre atti", Prefazione di Renato Filippelli, Postfazione di Alessandro Petruccelli, Bastogi, Foggia, 2005, "Giordano Bruno Sorgente di fuoco" Guida Editore, Napoli 2011, prefazione di Aniello Montano, postfazione di Ugo Piscopo e Ninnj Di Stefano Busà. Per le opere letterarie "Friedric Holderlin , tra lirica e filosofia "Lucarini-scuola, Roma 1988, prefazione di Renato Filippelli; "Il presente della memoria" Publiscoop-Edizioni scuola, Sessa Aurunca 1994 e "Il tempo dell'infinito silenzio e lo spazio infinito dell'amore in Imzad e Lettere a Natascha , Ripostes, Salerno 1989. Come poetessa si segnala in particolare per la raccolta "Gli occhi frugano il vento" Bastogi, Foggia 1990 "Figlia della Luna" (Formia, 1998), Non è tempo per il Messia, Guida Editore, Napoli 2012, prefazione di Ugo Piscopo, Introduzione di Ninnj Di Stefano Busà, postfazione di Americo e Giuseppe Napolitano, cui sono seguite pubblicazioni di componimenti in rivista. Molta di questa produzione è comunque ancora inedita. Per la raccolta "Figlia della luna"Il senso è dunque del titolo, è chiarito opportunamente dalla citazione leopardiana dell'incipit de "La sera del dì di festa", e dalla Prefazione, in cui Carmen Moscariello scrive: "Non so se chi coniò per me l' espressione 'Figlia della Luna' pensava alla bellezza dei versi del Leopardi dedicati alla Luna, o se, piuttosto, la mia passione nel contemplare il cielo e il mio sussurrare alla notte, l'abbiano convinto della opportunità e assonanza (con la mia anima) di questo nome. Sta di fatto che io me ne sono appropriata. (p. 7). Tuttavia, questo dialogo con la Luna, diversamente da quello leopardiano, "mi comunica una sensazione di levità, di danza, di gioia nella notte e, quando questo suono rivisita con l'amore il mio cuore, ecco che il mistero mi prende per mano, ancora per insegnarmi nuovi percorsi, nuovi versi lievi come i sospiri, leggeri come le lacrime" (ibidem). Una identificazione, seppure soltanto parziale, con la "sua" eroina Eleonora Duse può essere colta in questa frase: "La sua arte [i. e., della Duse] si nutre dei colori lunari, di atmosfere grigioperla, di silenzi, di amori, di incontri ..." (da Introduzione dell'Autrice, in Eleonora dalle belle mani, cit., p. 10). La scrittrice è, comunque, anch'essa una delle irpine della diaspora, come i tanti intellettuali ospitati in queste pagine, e perciò una parte di questi versi è rievocazione di un tempo e di un mondo passati, della madre, dei luoghi, della Montella dell'infanzia, che ha subito le trasformazioni degli anni e la ferita del terremoto. Una donna con la nostalgia del suo mondo: "Non ho niente da dire in questo autunno / Non sento il pianto delle foglie / né il tonfo veloce delle castagne // Vellutato il profumo del riccio che si apre / al premere esperto del mio piede di donna // Non ho niente da dire a questo autunno / solcato da rondini che sempre migrano chissà dove // Le vedo sui vecchi fili della luce del mio paese / tutte in attesa. Loro partono senza rimpianti, senza ricordi" (p. 35, con in esergo "Montella, San Francesco 1990"). Questa terra dell'infanzia è un luogo dove "Sedermi finalmente e posare lontano il sacco della vita // Riscaldare gli occhi al focolare antico / nella mano calda di mia madre // Nella vallata antica il vento punta il suo cavallo" (p. 53). La raccolta è divisa in sei parti ("Anima di mare", "Dafne e la pioggia d'oro (Ovvero degli amici)", "Figlia della Luna", "I giorni che ho atteso", "Djerba", "Remembre Samos"), che raccontano alcune delle pulsioni principali dell'autrice, le sue figlie, la loro vita, gli amici, i ricordi, le illusioni, le attese, i viaggi, le scoperte, l'amore, le incertezze, i dubbi, il male, la morte, la guerra, il confronto con la letteratura e il mito.
La "Figlia della Luna" non ha dalla sua Madre certezze sulle grandi questioni della vita, la poesia è riflessione, consolazione, ricerca, passione e sentimenti, che sfuggono alla ragione o che non aiutano a quadrare il cerchio, a indicare l'anello che non tiene. E così, riecheggiando ancora Montale, alla figlia per i suoi diciotto anni, scrive: "Non chiedermi, mia piccola Lara, dov'è il bene? / [...] // Non chiedermi, Figlia, dov'è il bene. / So che lottai per difenderti dal male // Io ti insegnai ad ascoltare la gioia dei monti / e la stretta della mia mano ti sostenne davanti alla paura. // Più non potrei, Lara, / ma un sorriso / tu ancora regalami" (da "A Lara per i suoi diciotto anni", p. 28). I giovani e il male che distrugge sono parte importante di questa poesia ("Siamo anche noi responsabili delle stragi e delle guerre / del mio alunno che muore divorato dalla droga", p. 30); non a caso, tra l'altro, anche la pièce "Eleonora dalle belle mani" è dedicata "Ai miei passi nel sole: / le mie figlie, i miei alunni". Accanto al fascino dell'infanzia e della terra d'origine è quello provato per la Grecità, con toni che richiamano Quasimodo, Kavafis e la letteratura neogreca del Novecento, ma anche la classicità, Saffo, Apollonio Rodio, il mito degli Argonauti. La Grecia diviene simbolo della vita umana, della stessa esistenza: "È una ferita il canto del cuculo / (remembre Samos) // Qui lontano // Il cuore raccoglie il pianto dell'ultimo sole // Settembre non chiede carezze / solo questa pioggia che lava i pensieri / e brucia sull'erba rasa" (p. 76). Accanto alla profondità intima, alla visione lieve ma anche dolorosa dell'esistenza, alla ricerca del senso ultimo della vita, in questa poesia colpisce la raffinatezza dello stile, la ricercatezza linguistica, il gusto musicale della scansione anaforica di parole e "iuncturae", l'idea che la poesia, attraverso la parola, se non dia Verità, almeno contribuisca a un "sentire" oltre l'esistere, a propiziare il dialogo tra gli uomini, a evocare ciò che non è più e a farcelo assaporare nel giusto modo, come parte della nostra esistenza sebbene ormai passata. La magia di questa scrittrice è in tutto ciò.
Paolo Saggese dall'antologia "I poeti Irpini". (1990)