Dante Maffia Il computer petulante- Teatro volume II Edito da La Mongolfiera.
Letto da Carmen Moscariello
Il Teatro di Dante Maffia.
Ritrovarsi a ridere da
sola a crepapelle con un piacere che fino a pochi minuti prima era
inimmaginabile. Una goduria sono le iperbole di questa scrittura, i suoi
contenuti che ti spiattellano la vita in tutte le sue miserie passate, presenti
e future, in tutti i suoi ardori. Con questo non voglio essere irriverente di
fronte a una grande opera d’arte.
Dante Maffia in breve
tempo ha prodotto due libri importanti
per il teatro che sono pietre miliari
per il futuro del teatro stesso non solo nazionale. Mettere insieme quel genio
totale che gli appartiene, l’ immenso di tutti i suoi studi, il suo modo
particolare con il quale osserva il mondo, tutto questo ha dato vita a un
capolavoro, pagine da gustare una per una, mai uguali,
coinvolgenti e sapienti. Il suo occhio
acuto e smaliziato, la sua intelligenze, il suo intuito al quale non sfugge nessuna delle falsità del mondo aprono un palcoscenico degno di tutti gli
applausi .
Queste due opere (ognuna
ha più di 600 pagine, la prima titolata
“Le donne” la seconda “Il computer
petulante”, la terza è già in programma)
sono l’immenso, in una varietà di
voci , di contenuti, di personaggi, di
mercati e di panchine, di storia, di filosofia, di donne, di tradimenti , di
poesia e di assassini, di uomini e donne senza scrupoli, nel buoi della sala su un palcoscenico
con scenografie sobrie si muove come protagonista assoluto il genere umano, senza freni,
esso viene smascherato. I lunghi
monologhi di quest’opera che sono la grande caratteristica della drammaturgia di Maffia- solo lui può sostenere e mantenerne il ritmo
all’infinito fino a provocare
l’ammaliamento- sono l’aperta contestazione contro l’ipocrisia, le
finzioni, le barbarie a cui il quotidiano ci sottopone facendoci perdere la
strada del più giusto e del più bello. Ripropone al teatro la grande narrazione manifestando apertamente la sua opposizione all’espressionismo
astratto. Cogliamo anche una vera e
propria goduria nella mescolanza delle forme letterarie.
Egli ci coinvolge, ci gira
e ci volta come se fossimo i manichini dell’Opera da Tre Soldi di Brecht, quella portata
sulle scene dalla regia di Toto Russo al
Bellini di Napoli[1] .
Insomma, conquista lo spettatore lo trasforma
in protagonista.
Il motivo etico è un sottofondo importante
alla parola poetica diviene pian piano la ragione portante di molta sua scrittura, il protagonista si svela apertamente al pubblico ad esso confessa
tutti i suoi misfatti, le sue nevrosi,
il suo odio, la sua cattiveria, accusa
senza pietà il suo prossimo e lo ritiene unico responsabile del suo
male. Se volessimo paragonare questi lunghi monologhi, mi viene da pensare al
monologo di Iago nell’”Otello” quando confessare
al pubblico tutte le intenzioni mostruose. Maffia espande questa immagine vivificando anche i luoghi e gli oggetti (La
panchina). Tutto è amplificato, dal
ritmo e dalla bellezza della scrittura.
Un’anima universale in un dinamismo bruniano
dove la storia assume una fierezza
arcana, anche le numerose cadute sono temi intensi aperti tutti alla verità dei venti e del
cielo. La scrittura di Maffia ha un potere misterioso che è quello di voler
portare il mondo a un battesimo primitivo, a un vento che rinnovi tutte le
pieghe oscure della vita umana. Egli ti attanaglia,
ti travolge, ti rende complice delle
ferite del mondo. E’ quest’opera un
càustico incastro di luoghi, persone, filosofi, drammaturghi, oggetti,
nessuno è lasciato fuori dal grande teatro della vita. Le pièce trattate hanno
ritmo e bellezza, vivono sotto i tuoi occhi
in confidenza, ci accompagnano in una petulante perlustrazione
dell’infinito intendendo con questa parola anche il suo opposto, ci portano a
spiare i meandri dove nessuno finora ha osato guardare. Lo Scrittore, come
abbiamo già detto, si serve di monologhi
lunghi per amplificare le ragioni del suo personaggio. Questo pian piano, ti
rende complice , ti dà le vertigini, a volte le confessioni sono terribili, sono perfide,
vuole convincerci della giusta
sua disonestà ,aprendoci il suo inferno, senza alcun pudore.
I personaggi manifestano la loro crudeltà come unica cosa possibile.
Metterei dunque in primo piano la complicità
con lo spettatore, l’intrattenerci con
garbo in storie tortuose , nella pièce “La panchina” (già l’Autore in poesia ha
reso fascinosa la creatura vivente che è la panchina, testimone di solitudine),
in questo caso più specificamente diviene testimone di due assassini, fatti
atroci, terremoti che devastano, i due mostruosi protagonisti un uomo e una donna, il Poeta ce li racconta in palcoscenico con levità e nonchalance, ce li serve a tavola a colazione. Scintille
quello sì, la scrittura fa scintille, snobba carezze e mugugni , qui l’uomo viene
lacerato , costretto a raccontare tutto il suo inferno, ed ecco la perennità
del dolore, dell’inganno, il tormento di matrimoni finiti ,che grufolano l’ultimo
respiro ti fanno perdere in radure desertiche. Tutto questo è posto in scena non
solo con ironia, è anche un tracciato costruito secondo la musica e il mistero del duende di Lorca” quel potere misterioso
che tutti sentono e che nessun filosofo spiega”[2] e
ancor più nella saùde di Pessoa che osserva
nel cortile di un manicomio il malato Antonio Mora che recita Eschilo[3] .
Voglio dire che il teatro di Maffia ha una sorgente irruenta e divina, come si
sa, egli è un appassionato studioso di
Lorca, della sua poesia, è egli stesso un grande poeta, dunque anche in quest’opera la poesia è e rimane il pilastro anche della sua limpida
scrittura per il teatro. L’essere poeta qui nel teatro gli ha permesso di presentare agli spettatori , da par suo, il dolore, la malattia del mondo. Chi legge si trova di fronte a un’opera
immensa che finora non era mai stata scritta. In queste irradiazioni del male
egli ci fa cogliere il senso e
l’importanza dell’ illibatezza per una vita e un mondo nuovo. E’ l’ illibatezza che ci apre la strada al suo teatro, direi che è
il primo passo. Già nella prima pagina c’è del sacro. Prima la dedica a Roberto
D’alessandro, al grande regista che curò, adattandolo per il teatro,il suo romanzo “Milano non esiste”[4] ,
rendendo da par suo l’horror sociale, le contraddizioni e la solitudine di chi
è costretto a lasciare la propria casa. L’opera fu rappresentata al Teatro
Martinitt di Milano da 3 al 20 aprile del 2014. Ancora di più la seconda pagina
anch’essa di dedica dove il Poeta
annovera tutti i suoi amici quei compagni di strada che in un unico abbraccio
vivono nella sua anima e nel suo teatro:
Dario Fo, Sergio Endrigo, Anna Milieni, Jorge luis Borges Aldo Fabrizi e tanti
altri.
Il mio riferimento alla purezza riguarda tutta
l’opera. Nell’ incipit viene posta in essere una drammaturgia che è romanzo,
poesia bellezza, logica, filosofia. Subito dopo iniziano le storie teatrali i
cui personaggi mi sono apparsi come
panni stesi ad asciugare ai balconi dei vicoli napoletani della Sanità dove inermi il vento
li attraversa, li strombazza, li pone in bilico su uno strapiombo, tali
sono gli uomini e le donne che si dimenano alla ricerca di un piacere terribile
che è quello di torturare il prossimo. Ho letto per primo la pièce “Noi due” Lui e Lei, per molte pagine ho avuto paura per quanto il
Poeta volesse colpire, il fatto è che in questo dramma terribile, narcisistico
e demolitore i monologhi tra marito e moglie
tendono per tutto lo spazio di questa commedia all’ annientamento totale dell’uno e dell’altro, eppure anche in
questo dramma ho avuto modo di ridere a crepapelle in piena notte. Ci sono
accostamenti così bene architettati tra la tragedia e la commedia come pure
l’eleganza cosi unica di fusione tra prosa e prosa. Queste limpidezze si
accostano senza iato allo scendere graduale nell’ inferno dell’anima. Alcuni testi
mi hanno fatto ricordare “L’inconsolabile” di Pavese Come si sa, qui viene
ribaltato il canto d’amore di Orfeo e Euridice, il mito, la musica, la
nostalgia e la bellezza del canto e dell’amore. Pavese fa dire ad Orfeo che era
sceso negli inferi per vedere morire Euridice. Si girò volutamente a guardare Euridice perché la
voleva morta , non era affatto lì per riportarla alla vita. Sembrerebbe che
soprattutto in quest’opera, ma non solo, egli il grande Maestro Maffia con molti dei suoi personaggi scende negli
Inferi per sfidare la morte, per morire egli stesso se necessario. Egli, però,
come l’Orfeo di Pavese , fa dell’immensità e invincibilità della morte un atto
di salvezza, se non di resurrezione, mi
riferisco a tutti i suoi personaggi teatrali,
compresi gli oggetti ai quali il Poeta dà un’entità umana. C’è in quest’opera
in queste commedie e tragedie, tutto Plauto, tutta la drammaturgia greca, tutta la storia dell’umanità, tutta la
poesia, tutta la tragedia del dolore. Fa compiere alla povera umanità una danza
figurata, un tango sfrenato, dà sensualità alla morte: i due opposti vita-morte
si attraggono. Intensa, angolata, spigolosa, persino amorevole è la sua
scrittura, ma in essa c’è forza, angoscia, feroci attacchi contro l’ipocrisia; la bugia, la decadenza di
una società malata che pare nessuna medicina potrà mai guarire. In verità,
negli innumerevoli monologhi che come
cassetti magici aprivo con circospezione e desiderio di scoprire che cosa
contenessero, c’è la vita di tutti noi, un teatro che è vita. Con le verità
pirotecniche, in essi si può toccare la
magia dell’universo che palpita sopra le miserie umane.
Qui, l’ardore, l’arguzia,
l’intelligenza, la scrittura poetica e
teatrale divengono tutt’uno con
centinaia di altri linguaggi, insieme ai dialetti che sono affreschi vermigli. Maffia
fa parlare in quest’opera “Al mercato” rionale i venditori , fa troneggiare la
spocchiosa signora milanese e ancora si susseguono vedove, i grandi personaggi del passato con i quali
ama intrattenersi. Bellissimo è l’incipit con l’incontro con Campanella ”Visita
di Campanella a Maffia”. Nella prima parte emerge tra i due geni lo scontro ,l’affermazione
della propria indentità e poi i due
calabri ragionano con intensità e fratellanza con complicità di vita sul mondo moderno , sul mondo antico
che condannò Campanella, sugli spagnoli
e la Santa Inquisizione, sul mondo di Dio. E’ lo stesso Campanella che aiuta il
Poeta a
capire che egli è più vicino a Dio di quanto creda. Il rapporto non è
tra padre e figlio, ma tra due fratelli, due amici che si raccontano le loro
vite fatte di cose immense, ma anche di errori, accumunati dal sogno di realizzare
finalmente la Città del Sole che è ancora possibile anche nei giorni presenti e passati. La scrittura è un’
ensemble, ci sono tutti gli strumenti i più alti e raffinati della lingua,
della musica e dell’arte. Questo libro di Maffia è un suo ennesimo capolavoro
capace anche di donare allegria, risate amare, ma pur sempre risate. In un humor
nero, di occhi e intelligenza, al Maestro non sfugge niente.
Non mentitegli poiché lui sa da un pezzo che si trova di fronte un bugiardo.
Nessuno più di lui è
capace di riconoscere l’idiozia e la
falsità.
Lettura di Carmen
Moscariello