di Carmen Moscariello
E’ la promenade,
tic, tic ,tac tac, è tic tic.
La lettura degli Idilli
napoletani di Piscopo, mi ha subito ricordato alla mente l’opera
di René Magritte La promenade d’ Euclide
(1955),un raffinato lavoro di chiarezze, con
campanile e ghirigori,(apparente cartolina, avvolta da
un’intarsiata-fredda composizione), ma che invece, anche in quel
caso, ti obbliga a pensare l’invisibile
(Aldo Carotenuto ,Bompiani, Milano 2000) , a
guardare al di là della bella finestra, nel vuoto grigio azzurro
dove uomini e luoghi palpitano o precipitano lontananze. Così Gli
Idilli napoletani di Piscopo sono un viaggio in ciò che non
appare, dal Nulla al Nulla,( come ci spiegano i mistici), incontri
con fantasmi narrativi che attraversano le visioni del narratore.
L’opera di Ugo rientra
nella bella collana Ritratti di città che
il Poeta stesso dirige presso l’editore Guida, qui la sua penna
fila e sfila (U.
Piscopo,il filo i fili e le storie ,Kairòs
2008), raggomitola il
precipizio di giorni anemici, ingrigiti; la risata nevrotica su una
città con manto
(Piscopo, Quaderno a Ulpia la ragazza con mantello di cane, Guida
Ed.) in calcestruzzo è la denunzia per una vita resa difficile da
un abbandono secolare, dall’assenza di etica, dal caos che tutto
travolge. Napoli si presenta sempre aggredita da un’inedia che
avvelena qualsiasi iniziativa di vita o di cambio di vita. Lo
scrittore le strappa la maschera di birritta
cui’ Ciarcireddi (Edoardo ,1936) e dopo la
risata aperta e fragrante,
quasi giocosa, ti obbliga a fare i conti con una realtà falsa,
disgraziata, appesa a un disastro di vita, dove né torturati, né
torturatori si salvano.
Ugo ci guida?
Dove ci guida?
Non è un palcoscenico di
belle architetture, né un banale viale attraversato da gente comune,
da animali comuni; il fiato è di solitudine, una promenade plantée,
attenta a un mondo di piccole cose, avvolta- stravolta da ossessioni
che scavano, inibiscono, impediscono non solo la promenade de
l’Artiste, ma anche la più elementare meta. Il viatico si popola
di prepotenze incredibili, di esseri umani robotizzati dall’assenza
di qualsivoglia intesa con i propri simili. Ed ecco Piscopo-Gatto che
parla, fuseggia su le coulée verte di leggerezze e di sogni, con i
gatti e con i cani. Solo le sue metamorfosi gli permetto un percorso
d’affetto , ragnatele invisibili che gli danno la vita e che gli
consentono di sopportare un dolore acuto che gli attraversa sistole e
diastole; pugnalate di abbandono
e indifferenza per una
Napoli sacrificata
al degrado.
La
Napoli di Piscopo è diversa da quella raccontataci da Domenico Rea
(L’estro furioso,
Flora); il grande Rea guarda Napoli dall’esterno coi suoi fetori
ed ardori, ( Spaccanapoli
(1947),gli
articoli su Il Mattino e su La Repubblica, dopo. Inaugurerà la sua
collaborazione con La repubblica con
un articola sulla
Monnezza a Napoli).
La sua verve attutiva il dramma, nonostante l’ assenza di fiducia
sulla possibilità di riscatto.
La
Napoli di Piscopo è invece una città che rimane sospesa, come
il pensiero dello
scrittore, sospeso anch’esso sulle collina del Vomero dove il Poeta
vive, e qui le sue confidenze
appaiono come
lenzuola stese al vento , fumeggiano sui tetti, mosse e rimosse da
tuoni e lampi, ma non hanno padrone, non sono per nessun letto dove
poter dormire. Più chiaramente il prof. Aldo Masullo nella sua
preziosa prefazione
all’opera, parla di
un allucinante “viaggio” urbano da un quartiere all’altro…la
dolorosa tensione di urticanti offese alla vita dei cittadini, i cui
diritti spesso nella pratica amministrativa sono derisi come indebite
e fastidiose petulanze……Le “confidenze” di Piscopo…..
appaiono come gridi in aperta piazza, sia pure composti ma perciò
tanto più inquietanti del napoletano male di vivere .
Quello
del Narratore è’ dunque un percorso dissociativo dove il
cittadino napoletano è messo a dura prova anche per cose
apparentemente semplici, situazioni asimmetriche di attese, violenze,
piccole e grandi; mortificazioni che logorano esistenze. Non si
comprende come a Napoli ogni cosa appartenga a un ozioso stordimento,
e il Poeta raccoglie in quest’opera fragmenta
di dolori e di
solitudini, ne fa un serto di denunzia.