Dicono di noi
Prefazione all’opera Eleonora dalle belle mani, Bastogi Editrice 2005
Eleonora Duse, “La Divina”
Eleonora, la grande tragica che D’Annunzio, suo celebratore e carnefice,
identificò con
l’emblema del “patimento creatore”, fornisce a Carmen Moscariello la materia di
questa pièce che credo di poter
collocare fra i più interessanti frutti della stagione letteraria in corso.
Evocare la Duse senza metterle accanto o di
fronte l’autore de Il fuoco (quel
D’Annunzio che fu suo amante, sempre in bilico fra l’ammirazione per l’attrice
ed un sostanziale rifiuto della donna, gracile e malata di etisia) sarebbe
stato un azzardo.
La Moscariello, non nuova a queste
appassionate rivisitazioni di personaggi femminili, sacri alla storia antica e
moderna dell’umanità, ha voluto che il messaggio esistenziale della celebre Lenor passasse attraverso l’esperienza
del suo amore per l’Immaginifico. Di qui la decisione di aprire larghi spazi al
Pescarese e d’illuminarne, con tocchi
rapidi ed incisivi, la personalità contraddittoria, con le sue cadute
nell’animalità dell’istinto sessuale, ma anche con le sue impennate verso le
plaghe della spiritualità e della poesia mitizzatrice.
Difficile era il governo artistico di due
personaggi così
complessi e sfuggenti, così radicati nel magma dell’esistenza e così protesi alla fictio di una vita ideale, così
pervasi di terrestrità e così disposti alla sublimazione onirica. Occorreva uno sguardo capace di
cogliere al fondo di tante incarnazioni effimere un nucleo morale stabile, da
assumere come chiave interpretativa unificante. In altre parole, si poneva la
necessità, per quanto riguarda la Duse, di attingere il segreto della sua
verità anche quando l’attrice continuava ad essere tale, pur essendo uscita
dalla finzione scenica, e per quanto attiene al D’Annunzio, occorreva rimuovere
le incrostazioni delle pose superomistiche e dei cinismi d’epoca per portare
allo scoperto le fonti della più autentica ispirazione poetica ed i tratti di
un’umanità fragile, in fondo, e bisognosa di rifugi protettivi.
La Moscariello ha dimostrato di possedere questo metaforico sguardo che
giunge alle radici dell’anima e le abbraccia con trepida pietas. Lirica per vocazione, ella ha colto in questo suo dono un
rischio ai fini della strutturazione drammatica, e l’ha tenuto sotto controllo,
fino a quando le situazioni non postulassero l’abbandono all’onda spiegata
della poesia come ritmo e canto. Voglio dire che il testo in
.
questione attua la propria
articolazione teatrale anche attraverso inserti di situazioni e di dizioni
realistiche aspre e crude. Si veda l’incipit
dell’opera: quell’esplosione d’invettive di Maria Gravina, amante insaziata,
contro D’Annunzio, scoperto infedele
e si considerino anche gli
scatti della stessa Duse di fronte ai comportamenti del suo poeta, che in Lei
tradisce la donna e l’artista, ed ancora le aggressive rampogne di Matilde
Serao all’uomo che continua ad infliggere disastri morali e finanziari alla grande
attrice. In questi passi dell’opera la Moscariello si serve di un radicale
espressionismo in funzione felicemente caratterizzante, ma subito dopo, come a
garantire l’equilibrio tonale dell’insieme, inventa un dialogo tra i due
amanti, che ha la grazia di una indubbia conquista poetica su registri sommessi
e come incantati.
Questi momenti pervasi dalla pura liricità
lasciano prevedere il tema del finale trionfo ed illusorio movimento di ombre.
A ripercorrere il testo di questa autrice,
il lettore difficilmente dimenticherà l’ultimo atto, che dà rilievo di statua
sacra alla Duse, ma altresì umanizza la figura del D’Annunzio che alla grande tragica chiede il
sostegno di una comprensione materna.
All’ombra della donna da Lui umiliata ed
offesa in più luoghi de Il Fuoco ora
il Poeta potrebbe dire quel che disse
alla madre in una celebre lirica del Poema
Paradisiaco:
L’anima sarà semplice com’era
Ed a te verrà, quando vorrai, leggera,
Nel suggestivo testo di
Carmen Moscariello la Duse si fa mediatrice di questo junghiano ritorno del
Poeta alla semplicità ed all’innocenza del suo tempo d’infanzia.
Renato
Filippelli.
Prefazione
a “Il Presente della Memoria” Pubbliscoup, 1994***
Tralasciando –
forse per il loro taglio cronistico – i numerosi articoli pubblicati su “Il
Tempo”, dove pur apprezzammo il coraggio e la coerenza della militanza civile a
specchio di una rigorosa deontologia professionale, Carmen Moscariello ha qui
raccolto gli scritti che documentano i suoi interventi nel settore della
letteratura e dell’arte.
Si tratta di
pezzi a mezza strada fra l’articolo recensivo ed il saggio di più larga
economia: prove, questi e quelli, di un’intelligenza intuitiva esercitata fuori
dagli schemi scolastici e dalle formule canoniche, e perciò mobile e fresca nel gioco delle interpretazioni.
Carmen, sia che
profili Bertolucci o Turoldo, Maraini o il sottoscritto, fa vibrare la corda di
una sensibilità nervosamente reattiva al nucleo vitale della poesia.
Poetessa lei
stessa, coglie d’istinto, e delimita con strumenti elementari e quasi
rabdomantici, la zona in cui l’evento creativo brucia le ultime scorie della
convenzione letteraria e del mestiere. L’adesione sintonica (un impulso, certo,
ma pure un metodo che richiama Renato Serra ed altre spine nel fianco della
critica togata e robotizzata) spiega, anche, negli scritti qui antologizzati,
l’assunzione di un linguaggio duttile e sciolto, dove il concetto si veste
d’immagini ed apre un colorato ventaglio metaforico.
Occupandosi
anche di scrittori ed artisti del Sud Pontino, Carmen dà una ulteriore
prova della sua apertura alla vita
culturale della zona geografica in cui vive e lavora.
Ricca di
fermenti, di potenzialità, di preziose riserve intellettuali è questa zona: ma
sembra davvero che la sovrasti, come una maledizione biblica, l’antica sentenza
per cui nessuno è profeta nella propria patria. Fuor di metafora, scrittori ed
artisti ragguardevoli restano, qui da noi, nell’anonimato negletti non solo
dalla così detta
cultura ufficiale, che impone costi altissimi dai quartieri di tangentopoli, ma
anche da chi, salito appena di un gradino sulla scala dei presunti valori
gerarchici, disdegna i vecchi compagni di viaggio …
Carmen ha rotto
questa vile consuetudine provinciale. L’amore per l’arte, così istintivo in lei, ha trionfato
sul gretto calcolo delle opportunità e sulla logica dell’invidia. Ecco un altro
titolo di benemerenza per questo libro al quale auguro simpatie e fortuna.
Recensione all’opera “Gli occhi frugano il vento”,
Bastogi Editrice,1999
Questo libro-opera prima di una poetessa già largamente
gratificata dalla critica e dalle giurie di premi letterari italiani avrebbe fatto la delizia di André Breton: ha
tutta l’aria di un incunabolo del Surrealismo europeo.
La filigrana surrealistica s’avverte già nel felice ardimento
del titolo:in quel vento che non fruga, ma è frugato e si fa duttile al gioco
dell’invenzione simbolica. Ma allora-dirà- che senso hanno, in un libro
strutturato come un taccuino di viaggio le frequenti notazioni storico paesaggistiche? E non è forse vero che il ritratto di Parigi
, con cui s’apre il discorso, attira il lettore per certa puntuale aderenza di
linee e cromie?
Un’inchiesta in tal senso mena alla scoperta di uno stato
d’animo contristato e contratto , che investe le cose con sorda violenza per
liberale dalle maschere della convenzione e dall’artificio. In altri termini,
il realismo demistificatorio di certe
rappresentazioni di ambienti e di personaggi
non è per la poetessa un fine, ma un mezzo:è la spinta a superare il
reale della cronaca e della storia, per aprire varchi o svincoli alla fantasia
ansiosa di ben altri approdi.
Temperamento romantico , nel senso metaforico che possiamo
ragionevolmente attribuire a questo aggettivo stuprato dalla critica, la
Moscariello cerca salvezze nel dominio del sogno e della favola: e scopre i
cieli aperti e profondi del surreale, per un bisogno morale, ancor prima che
estetico.
Torniamo al ritratto parigino. Vi troviamo tutti gli ingredienti
canonici :La Senna, la Bastiglia, Notre Dame,la Tour Eiffel,la Rive
Gauche,l’Arco di Trionfo, il ricordo di Villon e di Baudelaire, l’Hotel De
Ville,il can can il turista esotico in cerca d’avventura. Ma questi dati non si
compongono in pacifica oleografia, ,ed anzi ,
la sua fantasia si libra franca e luminosa, con
movimenti d’allodola. In questa dimensione, gli affetti , senza nulla perdere
dell’intensità con cui nacquero, si decantano di ogni asprezza immediata e si
avvolgono in un non so che doratura di
grazia ,propiziando conquiste di compiuta poesia.
Chi legge con un minimo di adesione simpatetica
componimenti come “A Silvia”, “San Valentino”, Canzone di primavera” o quello
che ha per incipit il verso “Raccontami la favola de lupo e della casina delle
rose”(tutto trepido e vivido di maternità tutelare) può misurare il grado di purezza
lirica a cui la Moscariello giunge,
quando la sua tecnica di vanificazione del reale schiude gli orizzonti del
fiabesco, sulla scorta del surrealismo visionario.
Renato Filippelli
Tutte le donne di
D'Annunzio La piéce
di ANNA GALISE
FORMIA — Successo per l'opera teatrale «Eleonora dalle belle mani» di Carmen
Moscariello, di Formia.
Dalla Notte Bianca a
Castellone giovedì scorso, dove alcuni frammenti della pièce sono stati
replicati per ben cinque volte. L'opera, in tre atti, poi, sarà anche
quest'anno al centro della rassegna teatrale Cassinoarte, palcoscenico il
Teatro romano di questa città. «Eleonora dalle belle mani», in scena il 7
settembre prossimo alle ore 21:00, tornerà poi a Formia nella Corte del Palazzo
comunale il 22 settembre, sempre alle 21:00. L'opera teatrale offre al pubblico
una strada nuova di lettura non solo della grande attrice Eleonora Duse, ma
anche del pensiero e della vita di Gabriele D'Annunzio, il Vate. L'opera della
Moscariello mette quindi sullo stesso piano la vita di D'Annunzio con quello
delle donne da lui amate e abbandonate, anche la dannazione finale delle loro
vite fa parte del fascino erotico, della passione della carne. Lo stesso
D'Annunzio, nel terzo atto viene immaginato solo e disperato che rinnega quello
che nella vita aveva sempre inseguito, arrivando a definire: «le donne,
piccole, miserabili e vane». A tal punto l'intreccio sessuale influisce sulla
personalità degli artisti che lo stesso D'Annunzio è interpretato da una donna,
sconvolgendo così tutti i canoni e dando vita a qualcosa di arcano e fascinoso,
demoniaco, fatale, tutto da scoprire. La regia dell'opera teatrale è della
stessa Moscariello.
Anna Galise
N. PARDINI: LETTURA DI “TUNNEL DEI SOGNI” DI CARMEN MOSCARIELLO
Carmen Moscariello: Tunnel dei sogni. Il Convivio Editore.
Castiglione di Sicilia. 2016. Pg. 56. € 7,00
Carmen Moscariello ci sorprende sempre per le sue soluzioni
creative. Questa volta lo fa con una plaquette editata con i caratteri de IL
CONVIVIO EDITORE, Castiglione di Sicilia, in cui ci propone un poematico
e diacronico corpo intimistico. Una bella pubblicazione: elegante e raffinata
per copertina, impaginazione, carta; comprende due sezioni: la prima UNA POESIA
AL MESE 2017, in cui ogni pièce è preceduta dal calendario dei 12 mesi; la
seconda ANTOLOGIA POETICA di 14 composizioni. Un percorso di grande
intrusione ontologica e di efficace resa poetica. La Scrittrice si abbandona a
ricordi, meditazioni, considerazioni su un mondo per niente accettabile, anzi
sempre più cadente e decadente per povertà umana, grettezza sociale, e
silenzio morale, dove le basse nuvole furono/ sodalizio in concerto/ di
infiniti dolori.; dove E’ una cappa la città/ è qui l’umore fetido/ del
destino/ anche quello dei bimbi/ uccisi dalle terre dei fuochi; e dove le
industrie del Sulcis/ sono mostri cadaverici/ lugubri rosai si frangono/ nella
ferocia dei fanghi rossi; dove La poesia non scorre;…; dove Tutto
il bene si trasformò in odio/ come la roccia non ho sete, ma/ le fenditure sono
i segni di un’accetta/ che senza pietà uccise chi ti alzò dal fango; per
concludersi in un dicembre melanconico e risentito per tutte le aporie di
questa società; è qui che la Moscariello si abbandona ad una corsa
au rebours per tornare alle radici e con fremiti di lirica effusione dona tutta
se stessa ad una parola calda e irruente per un mondo per niente nuovo
fatto di anime innocenti che vagano alla ricerca di una terra:
(…)
Si perderà ogni cosa? O l’abbiamo già persa?
Su scale polverose e in salita
il mostro saluta con un sorriso affabile
per poi mostrare il suo maledetto ghigno.
(…)
Nell’ANTOLOGIA c’è un forte ripiegamento per storie di
dolore e di miserie che imbrattano l’esistere di questa umanità; Place de la
République, la Bastille: una camminata su la promenade de La Ville Lumière,
attraverso bellezza e tragedia; quando un riposo panico di fronte ad una natura
che sprigiona la sua innocente rinascita prende l’anima e il cuore della
Nostra: mi piaci quando stai per partorire/ l’alba, l’attendo come se ogni
giorno/ debba portarmi gioia e speranza,/ coltivo i profumi/ nel mio tunnel dei
sogni. TUNNEL DEI SOGNI, titolo emblematico. Sembra quasi che sia questo
il medicamento della vita: il sogno. E d’altronde ne fa parte, è in esso che
spesso ci rifugiamo per incontrare il Bello, il riposo, la quiete, e
perché no, quelle figure che, pensate e ripensate nella realtà, ora tornano
intatte nella loro purezza. Ed il voyage della Moscariello continua nella sua
Parigi: Ti ritrovo sempre mia/ splendida città/ anche ora che le tue strade
bevono / sangue innocente./ Perduta ho nella notte ogni/ melanconia…./
Promenade de Dieux,/ promenade d’amour. Un dipanarsi oscillatorio di tristezze
e di speranze con: Ho visto morire il Sud, Le repas frugale, gli
interrogativi sull’esistere: Ma tu, mia vita, / quali strade ancora percorri?,
la madre in preghiera, lavatoi di sacrifici, sudori di padri: Ora riconosco/ le
spoglie dei morti/ ne travalico la siepe del Serra/ ho visto molto chiaro/ le
ferite che ancora sanguinano/ non so chi siete voi, col vostro randello,/
segnate il destino di molti. Forse tornando all’origine in un percorso a
ritroso si possono ritrovare abbracci, e carezze di padri e di madri smarriti
in strade di luce. Ed è in questa lirica La vita regredisce che la Nostra
riesce a raggiungere vette di un lirismo talmente denso, pulito, e senza
macchie da sollevarci sopra una torre d’avorio da dove la Poesia domina e
guarda dall’alto le nostre misere e fragili spoglie mortali.
Nazario Pardini
Una
recensione per Carmen
di
Biagio
Scognamiglio