giovedì 3 aprile 2025

Il Poeta Giuseppe Iuliano scrive sull'opera di Carmen Moscariello: "Celestino V e Benedetto XVI: I Soli della Chiesa- Rinascenza e perdonanza , La rivoluzione poetica di Carmen Moscariello

 


Rinascenza e perdonanza, la rivoluzione poetica di Carmen Moscariello

                                                                                 di Giuseppe Iuliano

Poesia e fede, due distinte profezie. Anzi due verità, canto di una poetessa e pratica esistenziale di una donna, che da sempre professa la religione della vita e una vita di religione. Entrambe fino all’eresia, scelta di “coerenza” avverso il sonno delle coscienze e le anestesie del coraggio; amore di verità alla ricerca di se stessa nella gratuità dei servizi, nell’adesione alle responsabilità, nella disponibilità all’impegno.   

Donna e poetessa. Due distinti caratterizzanti profili, fors’anche possibili di antagonismi, eppure paralleli e speculari. Entrambi significativi di scelta e testimonianza. Entrambi un insieme di vero e sacro, una o più identità, combinazione e sintesi di Parola e parole, versi e metaversi, canti e disincanti. Questa è la mission apologetica e testimoniale di Carmen Moscariello per annunciare Il Vangelo in poesia, aderenza laica di una conversa che attende a pratiche e servizi con gli entusiasmi di una novizia.

Moscariello è una scrittrice che individua e decritta le parabole borghesi oggi vocazioni mercatali – povere di esempio, vetrine dell’apparire, che riducono il vero alla convenienza; non conosce compromessi e desistenze e continua a mostrare guancia e sorriso, convinta dell’imprescindibile salvezza dell’umanità; coltiva da sempre, tra misticismo e realismo, la politica dell’amore in una società che venera l’amore della politica e dei suoi desiderata, talvolta contraddittori e negazione dei principi e delle ragioni per cui si dovrebbe agire. Una scelta, quella della Nostra, ancora più apprezzabile oggi che la Chiesa è in sommo affanno, “in grande ribellione” e “sta vivendo momenti molto difficili”. Infatti, tra congetture e relativismi, Moscariello aspira alla costruzione di un cristianesimo ancora possibile dei respiri del mondo. Ecco i fondamenti del suo libro. “Quest’opera  per sua stessa ammissione dovrebbe valere  raccordo, intesa,  pacificazione  racconta dunque non solo la storia di un Santo  e di un grande Dottore della Chiesa,  (Celestino V e Benedetto XVI), ma narra anche  “di Papa Francesco, di Gioacchino da Fiore, di Angelo Clareno, di Pietro Giovanni Olivi, degli Spirituali, dei Padri predicatori, dei francescani, dei monaci benedettini, dei loro monasteri, dei canti, dei perseguitati dalla chiesa e dalla politica, dell’eco del silenzio, di un popolo che non vuole arrendersi ai soprusi dei potenti di ogni tempo, della bellezza e del mistero della Maiella”. Eremi, cenobi, romitori, abbazie, monasteri tra terre d’Abruzzo e del Gargano e del nostro Centro-Sud, custodi di segreti, messaggeri di speranza. Luoghi simbolo di raccoglimento e contemplazione, di rinascenza e perdonanza.

Il Vangelo moscarielliano, stesura in due capitoli, persegue e coniuga unità d’intenti, un filo invisibile (ma consistente) – passato remoto e prossimo che  ha portato papa Ratzinger a posare il suo pallio sulla tomba di Celestino a L’Aquila, cosa che “nessun papa fino ad allora aveva osato farlo”.

Quanta Chiesa del silenzio, della meditazione e dell’invocazione ha suggerito le coordinate dell’umano sentire, nei drammi dell’umanità, nelle fatiche ossessive della storia e nella letizia dei giorni! Una successione di dinamiche spirituali e di fratture geopolitiche fino alla Chiesa dei rumor odierni e delle grandi speculazioni teologico-filosofiche assistiamo da tempo a spinte ed accuse di progressismo e immobilismo.

Moscariello ha scelto il Vangelo dell’esempio, la novella della solitudine e della meditazione. Una visione, insieme ascetica e trascendentale ma mai avulsa dalla realtà, – è la linfa e l’ossatura della Chiesa – per una pastorale degli ultimi, votata alla comunione e all’ecumenismo per “tutti i figli d’Eva” (Manzoni, La Pentecoste). Essa trova punti di riferimento in Celestino V (san Celestino) e Benedetto XVI, che all’autorità hanno preferito l’autorevolezza, all’imperium il servizio, ai sermoni la meditazione e la preghiera.

L’Autrice, già pellegrina in Africa, ove ha seguito le orme di Charles de Foucauld e il suo percorso di evangelizzazione e conversione tra la popolazione berbera per trovarsi “fratelli tutti”, nell’attualità ha rinunciato ai viaggi esplorativi, alle scarpinate di meditazione e penitenza, alle tempeste di sabbia, riuscendo a trovare Dio nel prossimo adiacente, consapevole della certezza di Geremia (23,23): “Sono io forse Dio solo da vicino dice il Signore e non anche Dio da lontano?”

Dal silenzio degli eremi scaturiscono saggezza ed unione con Dio.  La Parola rimbomba come tuono e valanga per annunciare il Verbo e non si lascia sprofondare nel “mistero dell’abisso”. La montagna, asperità e discesa, natura ed accoglienza, diviene la vera protagonista: un delirio di luce che abbaglia e sembra ci porti ad un passo dall’infinita bellezza”. Un quadrinomio che si scompone in passaggi vitali, “trasformazione, ascetismo, bellezza espressione di Dio e consapevolezza della sua presenza tra gli uomini”, per una necessaria palingenesi morale e sociale.

Ci pare di rivisitare gli anfratti irpini del Terminio tra voli di sparvieri ed aquile reali e la montagna del Salvatore, quest’ultima con le sue stazioni di Via Crucis, per un’ascesa rigenerante e liberatoria, compagni i generosi castagni e i folti boschi, qui altra grazia di Dio. 

La Nostra, animata dalla dolcezza e dal fervore di pietà verso la croce, ne scrive un’ispirata poesia. È l’incipit, ago che indirizza la bussola de Il Vangelo in poesia: “C’è in Basilica a Lenola (Latina) uno smunto crocifisso / […] La fede è nello scarno crocifisso” che ha uno “sterno rinsecchito con seni avvizziti, quasi immagine di fame, che ricorda gli ebrei nei campi di concentramento”. Questo spaccato rimanda inevitabilmente alla figura del suo consanguineo Giovanni Palatucci, questore di Fiume – Beato per la Chiesa cattolica e Giusto tra le nazioni per gli Ebrei cui il libro è dedicato, morto di sevizie e stenti a Dachau, dopo aver salvato migliaia di Ebrei. Ecco forse la risposta convincente, essenza d’amore supremo nell’anticipo di apocalisse, inferno di terra di spiriti  malvagi per chi si chiedeva “Ad Auschwitz Dio dov’era?”

Alla tardiva comparsa di Dio, nascosto dalle tenebre è stato il timore di Benedetto “che la vita del mondo e della chiesa venga attaccata dal caos, dal nulla eterno”, Moscariello, memore  della parabola delle vergini savie, prepara opportunamente olio e lampada, convinta che si possa “Amare Dio con la catechesi del bello e dell’arte, della musica e della poesia”. Un mondo di armonie e sonorità, magie ed eco di venti, voci umane di incontri, raduni, annunci per sprigionare faville di misericordia e perdono, e “diffondere la Grazia”.  Anche un libro può diventare “rappresentazione del mondo attraversato da cuori” e, Moscariello, ormai vi provvede senza requie. La fede è un’ancora con la sua catena da avvolgere o srotolare per affrontare flutti e mareggiate e garantire gli ormeggi della comprensione, dell’indulgenza e della solidarietà. Così si cementificano ponti o muri e si permettono nei fatti difficile mantenere gli equilibri – il “nascere e il morire delle nazioni”.

In questo difficile compito e nell’ansia di ritrovare se stessa, la Chiesa può affidarsi – è accento e refrain dell’Autrice ai tre “campioni” che ne incarnano spirito e magistero:  Celestino V “spirito mansueto e guerriero” che affrontò la  “corruttela del mondo politico e religioso, contro i demoni che affollavano montagne e grotte e città”, e da “grande guerriero ed esorcista,  intraprese un duello critico contro la sciatteria dell’uomo”;  Benedetto XVI, “pastore coraggioso, inespugnabile”, esempio di inquietudine “per la chiesa, per i confratelli, prega per chi lo tradì e gli rubò la fiducia”; Francesco, infine, “con la sua fede militante, lotta strenuamente contro i demoni della nostra Storia”. Una trinità papale che ha seminato, nel tempo e in sinergia, la passione di Cristo e delle Chiesa ma ha dovuto scontrarsi con prove e sofferenze: “molte pagine delle loro vite, queste sono tessute d’amore, di sapienza, di speranza, sono dei ‘sovversivi’ intendendo con questo termine niente di violento, le loro intenzioni furono e sono quelle di sovvertire, non solo mutare, il mondo e il modo di rapportarsi a Dio”. Pagine esemplari, uniche, che dovrebbero diventare il “diario” di bordo del nostro viaggio di riconciliazione con Dio (metanoia).

Moscariello innalza un Te Deum intonato ed elegiaco, un tripudio liturgico, un alleluia di benedizioni:  “per i tre ci fu il peso della loro Missione e sotto la mezza luna cantano ancora con giubilo le ore che mancano all’alba. Con essi gli angeli in coro al battito di ciglia delle farfalle, ai sussurri dell’alba che inneggia la gloria di Dio, aprono le porte del Paradiso e finalmente alla visione dell’abbraccio del Padre. Gli uccelli proteggono felici la grotta del Santo, il romitorio di Benedetto XVI e l’umile casa di Francesco, si accompagnano agli zefiri mattutini della preghiera. Le campane in lontananza mandano echi di festa e incatenano progetti di futuro nei chioschi della Libertà e dell’Eterno”. Un inno di devozione, un salmo stuporoso come un ricamo meraviglioso, un cantico di gioiosa accoglienza.

Moscariello riprende l’Antico Testamento e il profeta Daniele che “ci annuncia che i Saggi brilleranno e con essi la Giustizia, le Stelle, nell’Eternità.” Ad essi vanno affiancati i poveri di spirito nel corale innovativo precetto di soccorrere i poveri, non solo insegnargli la preghiera e la strada del dialogo, ma, anche la strada del riscatto, uscire dalla miseria e portare il pane in ogni casa”.  E in aggiunta un insieme di assiomi, credo e percorsi, per la comune salvezza: Dio cercato che si rivela agli umili; somministrare il necessario ai fratelli più bisognosi; compiere, secondo le possibilità, le opere di misericordia; la fede si vive non si discute; la natura ha beneficio sull’uomo, apre il cammino alla luce; credere in Dio altro non è che abbracciare con consapevolezza l’Infinito; per l’eterno si diviene martiri. Un nutrito decalogo ovvero uno zibaldone ricco e cosciente, cui attingere nelle prove e negli scoramenti della vita, e con esso un novero di autori da Dante a Rilke, a Novalis, a Friedrich Hölderlin e a tanti altri” amati da Benedetto XVI.

La storia umana racchiude ansie di verità: disvelamento, morte e resurrezione. Ma già si presagiscono altre agonie. La Chiesa delle profezie messianiche si ritroverà, in una “indescrivibile solitudine”, piccola e povera, schiantata da “l’individualismo, l’esasperazione dell’identità, l’esacerbazione di primeggiare e schiacciare il prossimo”. Occorre, invece, invertire la tendenza: avversare  i “modelli di vita improntati all'arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all'apparire e all'avere, a scapito dell'essere” e incoraggiare l’affermazione del capitale umano e delle sue virtù.

C’è chi continua ad auspicare rivoluzione e cambiamento; tanto può significare pure la morte della Chiesa.  Ma io sono anche certissimo – ha detto Ratzinger di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”. Ed allora cominciamo a ritrovare con umiltà Dio naufragato in “io” e riportarlo a “noi”.  Un percorso contrassegnato dall’amore, che resta il vero motore dell’universo e che non muove solo “il sole e l’altre stelle” ma smuove mente e cuore degli uomini. Vero è che se indugiamo sul “gran rifiuto” di Celestino V (Pietro da Morrone) – “galeotto” e tranciante il giudizio di Dante, sdegnato per il seggio papale di Bonifacio VIII – ignoriamo che il vero “rifiuto” è l’assenza di Dio, che prima è lontananza, poi estraneità. Toccherà, ancora, alla chiesa missionaria, nata da “un piccolo gregge di credenti”, operare il ritorno al cristianesimo, riavviando le convincenti cause della fede e  la sua “rivoluzione in perpetuo”.

 Carmen Moscariello, visionaria tra visionari, testimone di fede e poesia  Sant’Agostino diceva che “l’uomo è un abisso” e “nessuno, come da  congiunzione di Benedetto XVI  (25 dicembre 1969),  può prevedere quello che uscirà da queste profondità”[1] raccoglie le significative voci della storia per diffonderne la varietà di grazia e pensiero, auspici nel loro manifestarsi dell’avvento del nuovo in Dio: uomo, mondo, alleanza.

 

Postfazione di Franco Mangialardo

Post fazione di Maria Vitale

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SOLI DELLA CHIESA Celestino V e Benedetto XVI


 



[1] https://diocesimacerata.it/wd-interventi-vesc/2022-12-31-omelia-santa-messa-col-canto-del-te-deum/