domenica 24 maggio 2020
venerdì 22 maggio 2020
"Il sorriso del mare" di Nazario pardini
Il sorriso del mare di Nazario Pardini
Edito da Blu di Prussia, prefazione di Anna Vincitorio, postfazione di
Eugenio Rebecchi
Mi è giunto ieri sera, dono
graditissimo, Il sorriso del mare.
Un canzoniere d’amore che
ha la delicatezza del vento quando accarezza fin l'ultima foglia e
sfoglia il tepore delicato dell'amore, regalandoci una sfera di giovinezza
anche a noi lettori , come se avessimo insieme al Poeta vent'anni. E' un non
correre, un dolce cercare, ordinare, accarezzare, una scia musicale, costruita
su immagini e fili di orizzonti: è l''anfora sacra dalla quale Delia mesce la
giovinezza. L’ho letto d’un fiato, appena scartocciato , con una di quelle
copertine che fanno sognare: un sole che tramonta nel mare di Torre del Lago
Puccini, con i colori tra l’arancio e il grigio. Debbo confessare che nello
spazio di pochi giorni mi sono occupata di quattro canzonieri d’amore e di
passione e di erotismo, uno più bello dell’altro. Scritti da poeti non più
giovanissimi, ma che hanno conservato intatto una delicatezza del sentire, un
saper raccontare.
In una delle ultime mail che mi giunse
dal Professore Emerito Aldo Masullo, che
insieme a me aveva ricevuto “Parole d’amore Il tuo cantico- il mio canzoniere" di Giuseppe Iuliano, oltre a lodare con affetto (così faceva, quando qualcosa
lo conquistava), aggiunse “L’amore in vecchiaia è più potente e pericoloso di
quanto ci si innamora giovanissimi” Chissà se Nazario Pardini è d’accordo con
questa riflessione. In questo libro però c’è l’arcano delicato e misterioso,
non il racconto, sarebbe troppo riduttivo: vive come se fosse ora la passione
per la propria donna fanciulla, ma la stessa passione forse più intensa dei
suoi amori attuali. Di straordinaria bellezza è l’incipit della prima poesia,
l’ho letta più volte, l’ho studiata: Mi è
passato d’accanto il tuo sorriso/appoggiato alla spalla di un torrente/che
lieve scorreva verso il mare./L’ho catturato con la rete da pésca/ e l’ho messo
sotto l’abat Jour.
Risplendeva/
come un sole e illuminava la notte/della stanza. Vado spesso sul torrente/con
la rete nelle mani, sperando/di catturare altre immagini di te/che in acqua te
ne scorri indifferente/al mio bisogno di averti./ Ti prego avvisami quando
passi da queste parti, /io sono qui pronto a pescarti. E magari /anche a
tuffarmi nel fiume per affogare/con la tua bocca nel cuore.
Che dire, questi versi non mi fanno
rimpiangere Petrarca, Né tutti i poeti del Dolce Stil Novo, né i poeti latini e greci (neanche
Saffo) di cui Pardini sa tutto. Quanto candore, forse i Canzonieri che ho letto
in questi giorni conservano un tesore che difficilmente le donne di domani
potranno godere. Chissà se avranno mai la fortuna di ascoltare parole (sono
importanti le parole dettate dal cuore) che diventino un abbraccio di luce di
speranza, di sogni.
La bella recensione di Anna Vincitorio
(spesso Pardini affida le sue opere a una donna) ci apre molte porte:”… Anche
la musica è realtà che accompagna e la primavera diverrà fonte di vita. E ci
sarà sempre una Delia nel tempo e fuori del tempo, anche se vagheggiata a
illuminare i giorni o lo spazio di un poeta.”
Il poeta prova a dare risposte
convincenti sul senso dell’amore, sconvolgendo
l’orologio del tempo, mettendo la storia come un’elegante e unica seta
fiorentina per coglierne ora, ancor più
che ieri, tutta la bellezza, tutta la sensualità, la timidezza tenera come le
rose di maggio delicate, morbide profumate. Tutto è avvincente, come sanno fare
solo i Poeti, c’è un torrente di immagini che si afferrano, si aprono, ci parlano,
ci raccontano una favola bella “che ieri
ci illuse, che oggi ci illude, o Ermione." Così l’amore è il vento, è la
malinconia di Chopin o la serenata di Schubert, o il coro a bocca
chiusa di Puccini. Ed ecco il suo amico
Puccini al quale il poeta al tramonto, sotto la Torre, racconta i suoi amori e aspetta che il sole
sia inghiottito dal mare, nell’attesa di splendide albe e nuovi orizzonti.
Carmen Moscariello
mercoledì 20 maggio 2020
Come essere un poeta
Come essere un poeta
(per mio promemoria)
(per mio promemoria)
Respira con respiro incondizionato
l’aria non condizionata.
Lascia perdere i fili elettrici.
Comunica con lentezza. Vivi
una vita a tre dimensioni;
stai lontano dagli schermi.
Stai lontano da tutto ciò
che offusca il luogo in cui si trova.
Non esistono luoghi che non siano sacri;
soltanto luoghi sacri
e luoghi profanati.
l’aria non condizionata.
Lascia perdere i fili elettrici.
Comunica con lentezza. Vivi
una vita a tre dimensioni;
stai lontano dagli schermi.
Stai lontano da tutto ciò
che offusca il luogo in cui si trova.
Non esistono luoghi che non siano sacri;
soltanto luoghi sacri
e luoghi profanati.
Accogli quanto viene dal silenzio.
Fanne il meglio che puoi.
Con le minute parole che a poco a poco nascono
dal silenzio, come preghiere
riverberate verso chi prega,
componi una poesia che non turbi
il silenzio da cui è nata.
Fanne il meglio che puoi.
Con le minute parole che a poco a poco nascono
dal silenzio, come preghiere
riverberate verso chi prega,
componi una poesia che non turbi
il silenzio da cui è nata.
(Wendel Penia)
sabato 16 maggio 2020
Giordano Bruno, l'apostolo della modernità di Aniello Montano
L’opera
drammatica Giordano Bruno Sorgente di Fuoco
Di Carmen Moscariello.
L’apostolo della modernità
Di
Aniello
Montano
La trasposizione scenica di una storia, in cui
biografia e pensiero del personaggio sono talmente intrecciati da non poter
essere separati, non ha nessun obbligo di attenersi strettamente ai fatti
documentati o di ricostruire in modo filologicamente puntuale i contenuti delle
opere filosofiche. Ha l’obbligo, invece, di rappresentare un’atmosfera, un
ambiente culturale, lo stridore delle posizioni che si scontrano e si
combattono in un’epoca particolarmente travagliata e difficile, quale
certamente è la seconda parte del Cinquecento. E a quest’obbligo, credo, che
Carmen Moscariello abbia risposto in maniera viva e partecipata. Oggetto del
dramma, come dichiara apertamente il titolo, è la figura e il pensiero di
Giordano Bruno, filosofo ardente per temperamento e convinzione profonda, per
dedizione sincera alla verità elaborata con metodo filosofico e amore per la libertas philosophandi, conquista
preziosa della modernità.
La commedia, fin dall’inizio, vuole dar conto dello
scontro frontale tra modi diversi di concepire la verità e di intendere il
ruolo e il significato della filosofia. Da una parte c’è la tradizione
sordamente fideistica, dall’altra il pensiero nuovo, l’ansia di indagare in
modo razionale la realtà naturale e umana, il desiderio di rompere gli steccati,
superare i divieti, avventurarsi per sentieri nuovi, proporre altri traguardi,
altre mete, da scoprire e da raggiungere con la forza del pensiero libero,
sorretto da un “eroico furore”. La tradizione è rappresentata dalla folla di
uomini e donne, trasformati rispettivamente in asini e maiali dalla Maga Circe,
e poi dai dottori di Oxford, da Bellarmino, dai giudici inquisitori, dai frati
salmodianti e dalla folla che si scaglia contro il martire condotto al rogo.
L’innovazione è rappresentata da Bruno, in
primis, poi da Campanella, dai tanti filosofi e studiosi della natura,
impegnati a porsi in maniera critica e autonoma rispetto al passato e a
rifiutare l’obbedienza cieca all’autorità, restia a ogni osservazione critica.
Nei tre atti della commedia, il contrasto tra questi
due modi di pensare e di vivere è rappresentato con vivacità di situazioni e di
linguaggio, in modo da farlo risaltare al massimo, per mostrare la superiorità
degli uomini “nuovi” sui custodi del passato. Uno degli accorgimenti messi in
essere dall’Autrice è la struttura dialogica, costruita in modo tale da rendere
immediatamente palese l’asimmetria tra le due posizioni in campo. Mentre Bruno,
nella bagarre che si scatena in tutte le scene del dramma, tenta di elaborare e
presentare la sua posizione e le sue ragioni, cerca di giustificare l’ardimento
della sua nuova filosofia, elaborata recuperando spunti e intuizioni dei
filosofi-scienziati della Grecia più antica, in uno con i più recenti risultati
del pensiero scientifico e filosofico di Copernico e di Cusano, i suoi
detrattori lanciano soltanto invettive e insulti, come chi, a corto di
argomentazioni valide e fondate, si lascia andare all’aggressione, quasi
fisica, dell’avversario.
Bruno, l’intelligenza guizzante tesa a scrutare
l’infinito Universo in cui roteano infiniti mondi, desideroso di accreditare un
modo tutto nuovo di intendere e sentire Dio, la Natura, l’anima e la vita e
impegnato ad argomentare le sue ragioni con una dialettica raffinata e
scaltrita e con una tensione morale sentita e sofferta, si misura, da solo, con
l’organizzazione articolata e sedimentata del sapere tradizionale delle Chiese,
cattolica e protestante, delle Università europee, dei conventi e del sentire
comune. È una lotta impari, che il Nolano affronta con coraggio e sprezzo del
pericolo, con la serenità fiduciosa di chi sa di aver intravista la via della
verità e di avere il dovere civile e morale di percorrerla fino in fondo, senza
deflettere e senza pentirsi. Carmen Moscariello avverte la grandezza di questo
genio del pensiero, lo presenta come eroe, qual è, del “libero pensiero” e lo
fa lottare con tutta la forza del suo spirito indomito, con la gente comune,
con i dottori oxoniensi, con i teologi del tribunale dell’Inquisizione. Lo
presenta come un gigante in lotta, irremovibile e impavido, che non arretra di
fronte alle minacce, neppure nell’ora della morte. Forzando poeticamente le
testimonianze relative alla morte sul rogo, lo immagina e lo rappresenta
nell’atto di gettarsi egli stesso nelle fiamme che si levano dalla catasta di
legna nella piazza di Campo dei Fiori. È una scena, quest’ultima che ben
sintetizza e sigilla tutta la rappresentazione drammatica.
Nelle scene dei tre atti elaborati dalla
Moscariello, è icasticamente raffigurato il contrasto epocale tra due sistemi
di pensiero e potremmo dire tranquillamente tra due epoche, una strenuamente
decisa a difendere l’età medievale, l’altra impetuosamente spinta a demolirla
per far nascere la modernità; l’una tenace nella difesa di una filosofia unica,
sostanzialmente legata alla teologia e alla fede religiosa nel Dio
assolutamente trascendente, l’altra impegnata a far sorgere dalla critica
all’aristotelismo e al fideismo cristiano ad esso legato una pluralità di
filosofie e di sistemi di pensiero, tutti liberi e in perenne dialettica tra
loro.
In questo duro scontro di posizioni, la Moscariello
riesce a fare intravedere la novità del pensiero del Nolano, che lega l’idea di
Dio alla Natura, considerata imago Dei, simulacrum Dei, templum Dei, di un Dio non distante né discosto dalla Natura e
dall’uomo, ma vicino e dentro la Natura e l’uomo. E riesce anche a fare
balenare la nuova idea di morale, non più intesa come rispetto di regole
astratte, come pura contemplazione di norme credute assolute, ma come impegno,
come fatica, come tentativo continuo di affermazione di nuove condizioni di
vita, di realizzazione della “civile conversazione” e di spinta a rafforzare il
“convitto di popoli”.
Nella sua libertà ideativa e argomentativa, la
Moscariello dà conto della frattura che in quell’epoca drammatica si veniva
aprendo tra vecchio e nuovo, tra Medioevo e Modernità. E fornisce chiara l’idea
della grande attualità, ancora oggi, di quella tensione alla libertà di
pensiero, che nessun credo e nessuna istituzione potranno mai trattenere a
lungo o bloccare del tutto.
Aniello Montano
Le vie occulte e infinitamente varie.
Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene, e di vili contro i generosi. Quando due o più birbanti si trovano insieme la prima volta, facilmente e come per segni si conoscono tra loro per quello che sono; e subito si accordano; o se i loro interessi non patiscono questo, certamente provano inclinazione l'uno per l'altro, e si hanno gran rispetto.
Se un birbante ha contrattazioni e negozi con altri birbanti, spessissimo accade che si porta con lealtà e che non gl'inganna, se con genti onorate, è impossibile che non manchi loro di fede, e dovunque gli torna comodo, non cerchi di rovinarle; ancorché sieno persone animose, e capaci di vendicarsi, perché ha speranza, come quasi sempre gli riesce, di vincere colle sue frodi la loro bravura. Io ho veduto più volte uomini paurosissimi, trovandosi fra un birbante più pauroso di loro, e una persona da bene piena di coraggio, abbracciare per paura le parti del birbante: anzi questa cosa accade sempre che le genti ordinarie si trovano in occasioni simili: perché le vie dell'uomo coraggioso e da bene sono conosciute e semplici, quelle del ribaldo sono occulte e infinitamente varie.(Leopardi, Pensieri)
Almanacchi.... almanacchi nuovi....?
Era il 7 gennaio di qualche anno fa, rientravo a scuola dopo il periodo delle vacanze di Natale. Non avevo neanche messo piede in classe che una mia collega mi venne incontro piangente e disperata " aiutami, ti prego.. ho ricevuto una riservata, ma io non ho commesso alcun torto!" non smetteva più di piangere e mi pregò di accompagnarla in presidenza per chiedere al dirigente scolastico le ragioni di questo accoglimento non certo festoso proprio a inizio del nuovo anno. L'accompagnai, si discusse duramente e l'autore della riservata divenne molto conciliante. La collega ottenne ciò che voleva , dopo che questo avvenne mi apostrofò in presenza del preside: " ah ..... sei sempre la solita, non dovevi usare questi toni col preside, mi hai messo in difficoltà....." sic.
Di episodi peggiori di questi se ne possono raccontare a iosa. Qualche anno fa mi sono recata in Sicilia per vedere una mostra di pittura, prima di partire me lo lasciai sfuggire con una conoscente, questa subito si autoinvitò. L'indomani al treno oltre lei trovai anche il marito. Visitai la mostra, la mia conoscente non venne perchè non le interssava la mostra, anzi tentò di convincermi che non valeva niente. Naturalmente io rispettai le ragioni del mio viaggio, e la mostra era meravigliosa. La sera il proprietario dell'albergo e del ristorante offrì a noi due del vin santo e dei dolci alle mandorle, il marito era già in camera, noi non ci trattenemmo più di un quarto d'ora. Al momento di risalire nelle nostre camere,prima che io arrivassi alla mia, la poverina aprì con garbo la porta della sua camera, si udì un urlo terrificante del marito che le scaricò a dosso ogni genere di porcherie. L'indomani, mi alzai presto, non volevo incontrrli, feci colazione e uscii per una passeggiata sulla sabbia nera e con un mare invernale ricco di fascino. Felice della passeggiata avevo dimenticato il brutto episodio. Rientrai spensierata e mi avvicinai al banco per chiedere la chiave della mia camera, mi raggiunsero come un lampo i due felici e contenti " hai sentito quegli urli ieri sera?" risposi di non aver sentito niente. "Noi si. C'erano degli ospiti ubriachi nell'albergo" e poi rivolgendosi all'albergatore "questi incivili, avreste dovuto sbatterli fuori" sic.
Immenso Leopardi, amo Leopardi..
Racconti di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
Almanacchi.... almanacchi nuovi....?
Era il 7 gennaio di qualche anno fa, rientravo a scuola dopo il periodo delle vacanze di Natale. Non avevo neanche messo piede in classe che una mia collega mi venne incontro piangente e disperata " aiutami, ti prego.. ho ricevuto una riservata, ma io non ho commesso alcun torto!" non smetteva più di piangere e mi pregò di accompagnarla in presidenza per chiedere al dirigente scolastico le ragioni di questo accoglimento non certo festoso proprio a inizio del nuovo anno. L'accompagnai, si discusse duramente e l'autore della riservata divenne molto conciliante. La collega ottenne ciò che voleva , dopo che questo avvenne mi apostrofò in presenza del preside: " ah ..... sei sempre la solita, non dovevi usare questi toni col preside, mi hai messo in difficoltà....." sic.
Di episodi peggiori di questi se ne possono raccontare a iosa. Qualche anno fa mi sono recata in Sicilia per vedere una mostra di pittura, prima di partire me lo lasciai sfuggire con una conoscente, questa subito si autoinvitò. L'indomani al treno oltre lei trovai anche il marito. Visitai la mostra, la mia conoscente non venne perchè non le interssava la mostra, anzi tentò di convincermi che non valeva niente. Naturalmente io rispettai le ragioni del mio viaggio, e la mostra era meravigliosa. La sera il proprietario dell'albergo e del ristorante offrì a noi due del vin santo e dei dolci alle mandorle, il marito era già in camera, noi non ci trattenemmo più di un quarto d'ora. Al momento di risalire nelle nostre camere,prima che io arrivassi alla mia, la poverina aprì con garbo la porta della sua camera, si udì un urlo terrificante del marito che le scaricò a dosso ogni genere di porcherie. L'indomani, mi alzai presto, non volevo incontrrli, feci colazione e uscii per una passeggiata sulla sabbia nera e con un mare invernale ricco di fascino. Felice della passeggiata avevo dimenticato il brutto episodio. Rientrai spensierata e mi avvicinai al banco per chiedere la chiave della mia camera, mi raggiunsero come un lampo i due felici e contenti " hai sentito quegli urli ieri sera?" risposi di non aver sentito niente. "Noi si. C'erano degli ospiti ubriachi nell'albergo" e poi rivolgendosi all'albergatore "questi incivili, avreste dovuto sbatterli fuori" sic.
Immenso Leopardi, amo Leopardi..
Racconti di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
venerdì 15 maggio 2020
Dante Maffìa: Il tracciamento del Dolore e dell'Amore
Come quella di Ibico è la sua Poesia .
A primavera, mentre fioriscono i meli
cidonei , irrigati dal giovane torrente e nel giardino delle vergini che ombrosi di nettare, sbocciano e fioriscono, profumano i vigneti,
per me Eros immortale, sempre
è irruento ,irrefrenabile in qualsivoglia stagione, con lui si animano i mie fiammeggianti urli di pazzia
un vento tracio irrequieto gelido proveniente dall’ alba
boreale, è gonfio di terribili tuoni e fulmini,
mi stravolge Afrodite, mi infiamma la mente e il cuore.[1]
Forse un giorno, Rhegion, proprio accanto al monumento eretto per Ibico,
ne farà scolpire uno uguale per eleganza e lucentezza per il poeta Dante Maffìa e, tanti altri
poeti, fra mille e cento anni, ancora ricorderanno
il suo ardore il suo amore per Reggio,
il suo andare e venire dal fascino di una terra dalla quale mai il poeta si è separato.
Anche Maffìa, partì per il Mondo, come Ibico che lasciò Rhegion e si recò
nella bella e luminosa Samos con il suo mare di scogli e le sue solitarie
casette basse, tutte colorate
d’azzurro, con i suoi pescatori ubriachi
di ouzo, storditi fin dal mattino,
sempre in cerca d’amori e il suo bosco di pini, subito alle spalle
del mare, quasi si protrae fino alla riva
e avvolge come corona il tempio di
Era, a proteggere i suoi odorosi vigneti che portano fresca ombra all’isola. Come Ibico
scelse Samos, un luogo identico per
bellezza e fascino alla sua terra natia, così Maffìa, ogni volta come esperto
astronauta e topografo di lungo corso, ridisegna dal mare e dal cielo, ovunque si
trovi, ogni via ,ogni monumento, ogni
ricordo dei suoi luoghi, con essi l’archetipo del suo dolore per millenni ho attraversato/i deserti più
infami [2],
in una mescolanza d’azzurro e grigio si mesce da un’ anfora diotica il nettare degli dei e uno strano veleno che è il miracolo del suo vigore, da esso è nato il coraggio di essere quello che è, senza infingimenti, né bugie. I suoi sono”… poemetti polimetri,” in cui si intrecciano e s’amalgamano interessi analitici e tensioni discorsive in un contesto immaginoso ed epico a un tempo. Il poeta trasmigra incessantemente col suo “io” da un presente in primo piano a un passato di sogni perduti, da un contesto di cultura moderna a una fascinazione mitica. Il risultato è sempre di cristallina chiarezza.”[3]
Queste precise parole di Luigi Reina scritte nel 1986, credo che valgano
tutte a confermare una poetica ampia e fascinosa che anima tutt’ora le sue recenti
opere, vedi per esempio “Ritorno a Reggio”[4].
La sua casa, gli abitanti del suo
cuore di allora e di ora, il cielo e il mare della Calabria, l’amore per
questi spazi abitati dagli dei
dell’Olimpo non sono solo ricordi,
bensì, essi sono il mito, qualcosa di eterno che appartiene e apparterrà a
tutti nei secoli. Un amore vero come
si può amare un grande amore è riservato a Reggio, una signora –donna, a lei è dedicato un canzoniere
tra i più belli della letteratura passata e presente, un amalgamarsi della scuola pitagorica- lirica
con il Dolce Stilnovo, con le sfumature della poesia di ogni tempo, un crater
che contiene il fascino di molte lingue, di una storia di dee e di donne:
la dea Artemide, la fata Morgana, il miti di Eros e Afrodite e ad esse lo
stringersi di storie vissute ieri, con quel miracolo che gli dei hanno voluto, facendo nascere Reggio. Il canto è
spiegato, ma si sublima non in qualcosa di astratto e puramente lirico, in
una serenata cantata con l’ibicino[5], tutt’altro, in questo canto ci sono tutti gli amori,
tutte le tenerezze che il poeta ha donato alle donne amate nella sua vita.
C’è troppo eros per pensare che l’inno all’amore sia soltanto un senso unico,
se così lo interpretassimo toglieremmo stupore alla sua poesia; la passione che infiamma i versi è determinante alla
loro grandezza e unicità:
“Se fosse possibile assaporare/ogni parte
del tuo corpo,/ sentire fremere gli usignoli di Venere” [6].Perciò, noi l’avviciniamo
a Ibico, che Cicerone considerava un poeta dell’amore erotico, vogliamo dire
che il transfer che il poeta applica nel suo teagenico[7] lirismo per Reggio,
nutrito di purezza di sogno, vive di un attraversamento erotico persistente.
Ha qualcosa di miracoloso.
Leggendo attentamente si provano
sensazioni quasi febbrili, ossia, poiché queste scritture sono ninfe di azalee
di una laguna immensa che parte dal VI
secolo, dalle grandezze imperiture della Magna Grecia per arrivare fino a noi
(Omaggio a Umberto Saba)[8], sul piano del sentire si
avverte un languore di odori di
ginestre, di fondali marini, di bronzi di Riace, tutto un universo assorbito
dalla Poesia, che testimonia il mare
immenso dell’anima. Nell’esaltazione del miracolo che gli dei hanno fatto regalandoci Reggio:”Anche a me,caro Borges, sembra una bugia/che Reggio Calabria sia
cominciata:/la guardo e mi sembra eterna./Come lo Spazio, come il Tempo e
L’Aria”; il poeta testimonia un cordone ombelicale che mai è stato
tagliato, non solo quello del mito e della bellezza, ma anche quello del
dolore che non conosce sponde, non si annega in mari diversi, quasi che esso
sia divenuto costituzionale al poeta e alla sua Poesia, ma anche ai luoghi
della sua infanzia. Dunque Reggio è amore, essa non è il ricordo della sofferenza, ma il dolore
vivo, intatto che alimenta questa grande Poesia che è il racconto della vita
del poeta, ma anche di Reggio città che
ha sofferto in ogni tempo:” :”Quel giorno ero nel mare a contemplare/i
sussulti e le intermittenze dei colori/che si scambiano carezze /con parole
sognanti e ardori di cicale….. Ci fu all’improvviso il buio./ lo
scardinamento delle forme/l’ecclissarsi della geometria/, l’inabissarsi/d’ogni
senso e ragione/ il guasto senza tregua , il caos divenuto imperatore. /
L’inferno in pieno assetto di guerra[9]
.Quindi, le strutture sono molteplici:
ci sono le silenziose sere e le albe dell’Olimpo, alle quali il poeta
geneticamente appartiene :”Io sono il
poeta”[10] “…; ci sono una “madre” e un figlio che sono la mappa di una sorte difficile, dove l’infingarda presenza della morte ha avuto un ruolo
troppo forte; c’è la distruzione di una parte della Calabria, vedi il
terremoto a Reggio del 1908; c’è il
refrigerio del mare e la coscienza di avere in sé la Bellezza,”I bronzi saranno al mio fianco,/un po’
dispiaciuti per la mia accecante bellezza”,[11] il poeta sa…di possederla, di essere portatore di bellezza; ci sono gli
spettri della paura, e ,comunque, il rimanere
divini di fronte al male: ” poi fu la
guerra e la rincorsa,/poi le perdite infinite/. I poeti arrancavano sulla
moltiplicazione della morte”.[12]
Da questo accomunamento nacque la
Poesia :I primi bagliori della parola
mi ridestarono,/“Ti riconosco Reggio,/riconosco la voce che arriva /da
millenni distratti,/ da concupiscenze altere,/dai fondali di una
storia/d’eterni arcobaleni che hanno saputo intrecciare/ leggenda e storia”[13]
Così i versi di Maffìa hanno le stesse
stratificazioni di Rhegion, si nutrono di miti, di abbandoni, di sogni, di
sfide, della profondità del mare, di
ferite sempre aperte, di un cuore immortale che prende per mano la sua vita e
quello del mondo, quasi che questo fosse un bambino: lo lava, gli ridà vigore per
salvarlo dal caos.
La scrittura si pone come una telecamera che zooma senza sosta i luoghi dell’anima e i luoghi della città,
ogni sasso ,ogni pietra, tutti i granelli di quella sabbia sono l’eredità
preziosa del poeta, ”i marenghi d’oro” che la città gli ha donato, li ha coccolati, li ha moltiplicati, sono
diventati granelli sacri di un rosario, facendo della parola una forza di
riscatto, non solo per se stesso, ma soprattutto per Reggio e i suoi abitanti, oggi la città è
amata e conosciuta, compreso il suo dialetto solo grazie alla Poesia di Maffìa, non c’è altro cantore. Egli è, come Omero fu per Troia e i suoi eroi.
Calamitati da un pianeta misterioso sono il mito, il mare, la morte, i
versi, il silenzio: è una processione corale,
sono canti corali come quelli di
ibico, o meglio quelli di Orfeo che ammaliano, che colorano il dolore con vesti rosse di seta, con
altari senza madonne, sciamano che
viaggia tra la forza della vita e il conforto dei suoi morti.
Una passione che conosce uno strano intreccio, una volontà di seguire
certi percorsi nella speranza di incontrare la sua Euridice.
L’Euridice dei versi di Maffìa è una donna che ha occhi gentili,
mani generose, semplicità di cuore, parole di miele, balsamo per le sue
paure, Rosina [14],
sua madre che nel tempo ha occupato spazi dei quali nemmeno il poeta si rende conto fino in fondo, di quanto siano grandi. “Unico faro, caro Baudelaire,/il caminetto della
vecchia casa/al mio paese. Mia madre accende/ buttando olio ai ceppi. E’ una
vampata/che distrugge e subito ricrea/verità insolenti, cumoli indistinti/ e
folli pause di consunta luce/. Mia madre soffia gemono i lari./S’apre la vita
a netti orizzonti/blu rossi vividi. La mia porzione/la divoro intera: neutra
canzone/senza fine e principio[15]
E’ lei che la mattina gli parla, lo mette in guardia, lo informa sul
tempo. Sa che suo figlio è “particolare” è un genio che può destare invidia,
la sera lo abbraccia ,lo consola, cura con unguenti preziosi e profumati le sue
ferite: Rosina che dorme da anni tra
gli ulivi e il mare,/ non ha voluto aspettare/una nipote, una nipotina./ Se
n’è andata in sordina/ con un lungo sospiro.… Rosina era giuliva/ capiva i
miei umori/mi raccontava della sua fanciullezza/ ….Rosina sempre seduta /
sfogliava anche lei il libro dei morti.[16]
C’è un “pezzo” di vita che Maffia con la sua ostinazione, col suo ardore
vuole recuperare, vorrebbe che le cose tornassero a posto e che gli scalini
della sua casa fossero ben piantati che non ci fossero inciampi, anche nella
luce egli è “in cerca d’ombre”. A
volte accostandoci ai suoi versi sembra di leggere nel fuoco di Prometeo
quella promessa che acceca, quel patto che
il poeta ha fatto con Dio, pretende che la sua fetta di cielo non sia
offuscata o si perda come un delfino nei ghirigori delle onde, negli arcobaleni
della parola, nello stridere “eroico”
delle cicale. L’infanzia di Reggio è anche la sua, nel trionfo della deità dei bronzi di Riace c’è l’immane potenza dei
suoi versi, l’accorato ascolto delle profondità del mare, c’è la
sua Poesia che corteggia Reggio e la
consegna al mondo, la rende immortale.
Carmen Moscariello |
[1] Ibico,
Frammenti. Rielaborazione di Carmen Moscariello. Ibico fu Poeta della poesia
erotica (Cicerone);
1. Ibico nacque a Reggio
Calabria, all’incirca nella metà del VI secolo, fu poeta cantore dei fanciulli
(efebo). Figlio di Fitio, ebbe come suo maestro il poeta Stesicoro, conobbe a Corinto (qui morì assassinato)il poeta Anacreonte;
[2] Opera
citata,La scia, pg 41;
[3] Luigi
Reina, Invito al 900”, pg.1072”Unico
faro”, FerraroE, Napoli gennaio 1986;
[4] Dante
Maffìa, Ritorno a Reggio, prefazione
di Giuseppe Bova, Città del sole, 2019;
[5]
Strumento musicale inventato da Ibico;
[6] Opera
citata, Se fosse possibile, pg. 44;
[7] Poeta
della Scuola Lirica (pitagorica) ,scuola esistente a Reggio e che poi si
allargò a tutto il mondo culturale di quel periodo;
[8] Opera
citata, pg 52;
[9] Dante
maffia, 1908. Opera citata. Nella poesia c’è il ricordo del drammatico
maremoo e terremoto a Messina e a Reggio che rase al suolo le due città e i
luoghi vicini;
[10] Pg 17,
opera citata “Al Museo”;
[11] Opera
citata,Nel fondo del mare. Pg.43;
[13] Dante
Maffià , “Ritorno a Reggio” “Ritorno”
(dedica a Giuseppe Bova), pg11.Città del sole, Thegium Julii,marzo 2019;
[14] Dante
Maffìa “Le due Rosine”;
[15] Luigi
Reina, opera citata, pg1072 “Unico faro…”;
[16] Luigi
Reina, Itinerario poetico di Dante Maffìa in Percorsi di Poesia, Alfredo Guida
Editore.
martedì 12 maggio 2020
Octavio Paz"Archi"
Archi
a Silvina Ocampo
Chi canta sulle sponde del foglio?
Chino, bocconi sul fiume
di immagini, mi vedo, lento e solo,
da me stesso allontanarmi: lettere pure,
costellazioni di segni, cesure
nella carne del tempo, oh scrittura,
rigo nell'acqua!
Chino, bocconi sul fiume
di immagini, mi vedo, lento e solo,
da me stesso allontanarmi: lettere pure,
costellazioni di segni, cesure
nella carne del tempo, oh scrittura,
rigo nell'acqua!
Vago fra verdi
intrecciati, vago fra trasparenze,
fiume che scivola via e non trascorre;
mi allontano da me stesso, mi trattengo
senza trattenermi a una sponda e discendo,
lungo il fiume, fra archi di intrecciate
immagini, il fiume di pensieri.
Proseguo, là mi attendo, mi vado incontro,
fiume felice che allaccia e scioglie
un istante di sole fra due pioppi,
sulla pietra liscia che si trattiene,
e si distacca da se stesso e discende,
lungo il fiume, all'incontro di se stesso.
intrecciati, vago fra trasparenze,
fiume che scivola via e non trascorre;
mi allontano da me stesso, mi trattengo
senza trattenermi a una sponda e discendo,
lungo il fiume, fra archi di intrecciate
immagini, il fiume di pensieri.
Proseguo, là mi attendo, mi vado incontro,
fiume felice che allaccia e scioglie
un istante di sole fra due pioppi,
sulla pietra liscia che si trattiene,
e si distacca da se stesso e discende,
lungo il fiume, all'incontro di se stesso.
domenica 10 maggio 2020
Festa della mamma di Dante Maffìa
10 MAGGIO FESTA DELLA MAMMA
Primavera piovosa,
la tristezza ritorna avida
come dovesse compiere un dovere.
Le ore della giornata si mettono in fila
e ognuna ha da dire la sua,
tessiture di racconti sempre uguali:
disgrazie, amori morti,
viaggi, veleni del condominio.
Apro il balcone e chiudo gli occhi:
ecco, sono sulla Murgia, sul Pollino,
al mare di Roseto;
l’aria è dolce, un gallo canta,
l’odore di mia madre
mi scioglie il pianto.
DANTE MAFFIA
10 maggio 2020
a Roma
Marcello Carlino La similitudine nell'architettura della "Commedia" di Dante
La similitudine nell'architettura della «Commedia» di Dante: In retorica la similitudine appartiene alla specie delle figure di pensiero, incaricate tanto di compiti ornamentali, quanto, e soprattutto, di un servizio di promozione e di approfondimento della conoscenza. Nella Commedia di Dante non sorprende, dunque, che se ne contino tantissime e che la loro distribuzione valga a costruire un impianto architettonico a forte tenuta. Volte a colpire la fantasia del lettore, coinvolgendolo nel racconto, o a fornirgli alcune preziose informazioni; prestate a riconvertire alla comune esperienza quotidiana, così da poterne fare espressione, la terribilità, la grandiosità e l'ineffabilità degli spazi, degli eventi e dei personaggi incontrati nel viaggio ultraterreno; icastiche o riccamente articolate e dense di teatralità, esse sono una conferma della straordinaria capacità di rappresentazione di Dante e della gamma amplissima di funzioni e di valori del suo poema. Il libro ne ricapitola la logica e il sistema e ne individua provenienza, ambiti, caratteri prevalenti, non mancando di accostare, in analisi testuali di dettaglio, quelle più semanticamente intense, quelle più suggestive.
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