martedì 30 gennaio 2018


Bibliografia critica sulla scrittura e le opere di Carmen Moscariello

Pasquale Maffeo, Friedrich Holderlin tra lirica e filosofia, Avvenire, 15 aprile 1989;
Tommaso Pisanti, Moscariello, quando la poesia traversa il fiume, Il Mattino, 17-11-1991;


Tommaso Pisanti "Attendendo Matisse-nuova silloge di Carmen Moscariello", Orizzonti, Anno II, n.3,luglio 1992;

Tommaso Pisanti, Giulia Gonzaga, la Signora del Castello di Fondi, un’opera esemplare della Moscariello, Il Messaggero Gennaio 1992;

Cinema Mare, Rassegna di poesie sul mare di Carmen Moscariello, Formia cinemare, 4 rassegna, 6 luglio 1991;
Michele Prisco, La Moscariello e il mito, (Lettera autografa);
Walter Mauro” La Moscariello, premiata a Roma da “Polmone Pulsante” come “Poeta dell’anno.  Il Tempo 1992;


Vittorio Nocella Carmen Moscariello: appunti su alcuni testi critici, Avvenire, Gaeta 2 Aprile 1989;
Amelia Rosselli, ventidue lettere 1990-92;
Domenico Rea, "La poetessa ,il sogno, il canto" (trenta Lettere autografe), 1990-1992;


Sandra Cervone "Anima di mare” alle Scissure, Il Messaggero 28 agosto 1998;

Pino Amatiello, La poesia di Carmen Moscariello Il Nuovo Giornale dei Poeti, anno VII, n.8, ottobre 1991;

Dante Pignatiello "Figlia della luna" nello scenario delle Scissure, Il Tempo;

Dante Pignatiello "Anima di mare, il sentimento prende forma", Il Tempo, 7 settembre 1998 ;

Sandro Gionti, "Omaggio alla Divina Eleonora, la rappresentazione a Cassinoarte opera e regia di Carmen Moscariello",Il Messaggero, venerdì 7 settembre 2007;

Graziella Di Mambro "Anima di mare", viaggio nella poesia di Carmen Moscariello, Latina Oggi, 6 settembre 1998;
Roberto Frecentese, Holderlin tra lirica e filosofia, un volume di Carmen Moscariello, Avvenire (Oggi libri), 11 dicembre 1988;
Leone D’Ambrosio, F. Holderlin Lucarini Ed. Presentato a Gaeta da Tommaso Pisanti, Avvenire 11 dicembre 1988;
Giuseppe Napolitano, L’nfelice Holderlin di Carmen Moscariello, Il Mattino, 3 dicembre 1988;
Dante Pignatiello, Diario di una donna, presentata l’opera “Gli occhi frugano il vento”di Carmen Moscariello”, Il Tempo, 29 novembre 1990;
Nicola Terracciano, “Il presente della memoria”, una recensione al libro di Carmen Moscariello”, Il Golfo,22 gennaio 1995;
Alfredo Saccoccio, “Gli occhi frugano il vento”, Il Corriere Laziale, 28 settembre 1999;
Don Paolo Capobianco (Lettere autografe dall’esilio di  Ventotene);


Michele Graziosetto, "Gli occhi frugano il vento", Il giornale dei poeti, ottobre 1991

Alessandro Petruccelli , "Il presente della Memoria, un bel libro di Carmen Moscariello”, Il Golfo, Anno XXV, n.7 settembre 1995;

Nicola Terracciano "Il presente della memoria" Una recensione al libro di Carmen Moscariello, Il Golfo, anno XXIII, n.12, 25 gennaio 1995;

Roberto Frecentese, "Il Presente della memoria di Carmen Moscariello" Spazio Aperto, anno VI, n.6 Nov. Dicembre1994;

Agostino Pensa "Carmen Moscariello ha vinto il premio Bosone”, Il Tempo;

Carmen Moscariello "Gli occhi frugano il vento" , Proposta, n.90, gennaio 1991;
Irene Maria Malecore, Premio nazionale Vinciprova, Carmen Moscariello premiata a ll’Excelsior di Napoli, Presidente della Giuria Alberto Mario Moriconi” ,Federazione donne e arti, n.84, anno XXX,febbraio 1989;
Dante Pignatiello , Alla riscoperta di Holderlin, impresa culturale della Moscariello, Il tempo 19 novembre 1989;
Vincenzo Gambone ,Carmen Moscariello Il ricordo dei luoghi e della terra natia, Il Santuario, Montella, agosto 1991;
Graziella Di Mambro, Il levriero, rivista fondata da Carmen Moscariello, Latina oggi, 1999;
Ferdinando Palatucci, Arcivescovo di Amalfi, ”Ideali” nella poesia di Carmen Moscariello”, Lettere da Amalfi 1988;
Biagio Di Iasio, Le liriche di Carmen Moscariello. Un originale modo di dare voce alle cose”, Novità Bastogi, Il Quotidiano, Foggia 26 novembre 1990 ;
Rodolfo Breda, Il presente della memoria, Roma 9-8-1994;
Francesco D’Episcopo, Gli occhi frugano il vento, (Relazione e presentazione dell’’opera tenutasi Al Grande albergo Miramare di Formia, correlatori Pasquale Maffeo, Luigi Mancini, Angelo Manuali, Mario Buonocnte), Formia 25 novembre 1990;
Arnaldo Di Matteo, “Premiazione della Poesia della  Moscariello “, Verso il 2000″;
Nicola Terracciano ”Incontro poetico “DEEDONNE” A Gaeta una serata culturale con l’opera di Carmen Moscariello”, Il Golfo , 2002;
Francesca del Grande “Tra mito e storia si muovono le “Deedonne” grande successo per l’opera e la regia di Carmen Moscariello Le Scissure suggestivo scenario” . Latina oggi


Anna Galise, "Tutte le donne di D'Annunzio, la piéce di Carmen Moscariello" Il Tempo, martedì 21 agosto 2007;

Francesca Del Grande ""Donne nel mito e nella Storia"il nuovo lavoro teatrale di Carmen Moscariello, Latina Oggi, giovedì 22 agosto 2002;

Graziella Di Mambro, Teatro "Va in scena l'opera della Moscariello, venerdì al teatro Romano Eleonora dalle belle mani" Regia della stessa scrittrice, Latina Oggi Mercoledì 5 settembre 2007;

Leone D'Ambrosio  "Moscariello, momenti lirici a Sperlonga"

Irene Maria Malecore "Biennale di Poesia "Concetta Vinciprova”, premiata Carmen Moscariello” Excelsior, NapoliFIDAPA,  n.90, febbraio 1991;
Lucia Berti , “Deedonne” viaggio letterario in rosa”, Il Tempo  2002 ;
Lucia Berti, “Mito, sogno e musica: Deedonne“, Il Tempo ,2002;
Dante Pignatiello, “Donne nel mito e nella storia -acclamazione per la Moscariello”, Il Tempo , agosto 2002;
Nicola Terracciano, Una recensione al libro di Carmen Moscariello”Il presente della memoria“, Il Golfo, 25 gennaio 1995
Tommaso Pisanti, L’estate culturale oltre il Garigliano, Suggestione mitizzante per , le armoniose cadenze del poema “Proserpina” della Moscariello” , Il Messaggero, Napoli, 14 settembre 2002;
Sandro Gionti, “Cerere e Proserpina, lo spettacolo firmato da Carmen Moscariello” , Gaeta- Il Gargantuà, Il Messaggero 2002;
Sandro Gionti, “Teatro musica Carmen Moscariello nel ruolo di protagonista” Il Messaggero
Dante Pignatiello,” Carmen Moscariello, poeti allo specchio, Avvenire, 20 gennaio 1990;
Dante Pignatiello, Carmen Moscariello, Il tempo dell’infinito silenzio, Il Tempo 10-02-1989;
Alfredo Saccoccio, Figlia della luna, Il Secolo d’Italia, martedì 28 settembre 1999;
Renato Filippelli, Gli occhi frugano il vento, Il Golfo, ottobre, 1999;
Renato Filippelli, prefazione a “Eleonora dalle belle mani”, Bastogi 2005;
Renato Filippelli ,prefazione a “Il presente della memoria”, Publiscoop Edizioni, Sessa 1994;


Renato Filippelli" Gli occhi frugano il vento"  opera prima della Moscariello, Avvenire, 16 febbraio 1996;

Nicola Terracciano, Incontro poetico Deedonne, Il Golfo, settembre 2002;

Incontri con l'Autore "Attendendo Matisse" silloge di poesie di Carmen Moscariello, interpreti Il Duo Melopea., Avvenire , 16 febbraio 1992;

Francesca Del Grande “Attendendo Matisse, la poetessa Moscariello presenta il suo ultimo lavoro”, Latina Oggi 20 febbraio 1992;

Alessandro Petruccelli “Gli occhi frugano il vento”, L’informatore Librario, Vetrina Poesia, n.3 marzo 1991;

Alessandro Petruccelli, Il presente della memoria, Il Golfo, 30 settembre 1995;
Aldo Carotenuto, prefazione a “Proserpina” tre atti preceduti da un preludio, Bastogi, Foggia 2003;
Vittorio Nocella, Appunti su alcuni testi critici della Moscariello, Avvenire, 2 aprile 1989;
Saverio Forte, Poesia di scena a Formia, Carmen Moscariello, raffinatezza e immensa cultura cosmo-politica, Latina Oggi, 30 novembre 1990;
Sandro Gionti, Poetessa di Formia premiata a Terni. Il mistero del cosmo nella poesia della Moscariello, Il Mattino, martedì 21 luglio 1987;
Francesca del Grande, Tommaso Pisanti L’Holderlin della Moscariello, Latina Oggi, 11 novembre 1988;
Francesca Del Grande, Moscariello: Proserpina, la vita che vince, Latina Oggi 24 agosto 2003;
Graziella Di Mambro, Proserpina, successo per la nuova opera della Moscariello, Latina Oggi,30 agosto 2003;
Graziella Di Mambro, Moscariello: La forza di Proserpina, uno sposalizio di linguaggi , Latina Oggi 20 agosto 2003;
Alfredo Saccoccio, Aspettando Matisse di Carmen Moscariello, Il Secolo d’Italia, (Idee), 1 marzo 1992;


Vittoriano Esposito, Gli Occhi frugano il vento,  1991;
Areagolfo L’informatore del Lazio Meridionale, Incontri con l’autore, “Carmen Moscariello incontra i licei del Sud Pontino”,  Formia 2005;
Francesca Del Grande, Eleonora Duse Dalle belle mani, Latina Oggi, 26 gennaio 2006;
Cassinoarte teatro, musica, cinema, “Eleonora dalle belle mani“, Programma 2007, spettacolo presentato al teatro Romano di Cassino;
Federico Pontiero “Grande successo della “Proserpina” di Carmen Moscariello, Roma 2003;
Sandro Gionti, “Proserpina” alla Corte del Palazzo comunale” Il Messaggero , 26/8/2003;
Federico Pontiero “Eleonora dalle belle mani” Un’incantevole rilettura del pensiero di D’Annunzio”, pura poesia ed erotismo femminile”, Teatro- Spettacolo, Eventi culturali, 30/9/2007;
Aldo Masullo “La fiammeggiante”, analisi critica del Giordano Bruno di Carmen Moscariello, Barbara Vellucci,Presentazione alla Saletta Rossa di  Guida, relatori Aldo Masullo e Ugo Piscopo;
Stefania Giudice “Il dramma lirico in Giordano Bruno Sorgente di fuoco“,  il Punto  3 maggio 2012, pg 85 ;
Ugo Piscopo, “Diario di una peregrinazione”, analisi critica a “non è tempo per il Messia”;
Annella Prisco prefazione all’opera Destini sincronici Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro;
Carmela Biscaglia, Rocco Scotellaro ed Amelia Rosselli ,post- fazione a Destini sincronici;
Aniello Montano, introduzione all’opera “Destini Sincronici”;


Domenico Rea La poesia di Carmen Moscariello "Alle radici dell'uomo”

Alessandro Petruccelli "Premiato il saggio su Holderlin ,vince il Premio "Città di Gubbio", domenica 11giugno1989;

Dante Pignatiello "La Poesia di Holderlin” .Dibattito con la Moscariello All'Istituto Fedele, Avvenire, 27 maggio 1990;

Dante Pignatiello "Carmen Moscariello, nuovo saggio e raccolta di poesie" Avvenire, 10 febbraio 1989;

"Pisanti racconta l'Holderlin della Moscariello", Latina Oggi, 11 novembre 1988;
Aniello Montano ,Prefazione a “Giordano Bruno sorgente di fuoco”;
Giuseppe Napolitano, Se il poeta si fa madre, La Stanza del Poeta, Formia 2015;
Pier Antonio Toma, “Destini sincronici” un’opera encomiabile, Saletta Guida, 23 gennaio 2016;


Nino Daniele, Analisi critica a “Destini sincronici”, Saletta Guida, Napoli 23 gennaio 2016;
Giuseppe Manitta, prefazione all’opera “Terra nella sera”;
Paolo Saggese,  “Moscariello, in Storia della poesia irpina”;
Giorgio Barberi Squarotti,”Destini sincronici” ,Un lavoro davvero esemplare;(Lettera)
Giorgio Barberi Squarotti “Il giordano Bruno della Moscariello da leggere d’un fiato” (Lettera)
Michele Urrasio, Riscrivere il mondo, prefazione a “Tunnel dei sogni”, Il Convivio, dicembre 2016;
Ninnj Di Stefano Busà, prefazione a “Non è tempo per il Messia“;
Ninnij Di Stefano Busà, posfazione per “Giordano Bruno Sorgente di fuoco“;
Alessandro Di Napoli "Le parole" di Carmen Moscariello nell'opera di Ugo Piscopo", Sìlarus, anno LV, 301, settembre ,ottobre 2015;
Raffaele Messina, L'orologio smarrito",(Guida Editori, 2016),  Il Convivio, Catania, ottobre 2016;


Raffaele Messina, relazione e presentazione de "L'orologio smarrito" (Guida 2016), tenutasi presso l'Istituto di Studi Meridionali, presiede l'incontro Annella Prisco con letture di Wanda Marasco;
Fiorella Franchini, intervista a Carmen Moscariello;
Nazario Pardini, prefazione a "L'orologio smarrito, Guida, 2016;
Biagio Scognamiglio, prefazione a Oboe per flauto traverso, Guida Editore;
Alessandro Petruccelli, postfazione ad "Eleonora dalle belle mani";


Nicola Terracciano, Destini Sincronici" Il Convivio, 2016;

Pier Antonio Toma, presentazione di "Destini Sincronici"  (Guida Editore) presso la Saletta Guida, ""Un'opera che io consiglio, perché bellissima";

Mariagrazia Carraroli, Casa di Dante, Pianeta Poesia Firenze “Poesia e lotta” In Destini sincronici Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro con lettere a Michele Prisco di Rocco Scotellaro” Firenze 4 aprile 2017;

Alessando Di Napoli, I destini sincronici di Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro di Carmen Moscariello, Sìlarus, 309, Anno LVII, febbraio 2017;

Graziella Di Mambro, Le vite sincroniche di due idealisti irrepetibili, Latina Editoriale oggi, 30 marzo 2017;

Franca Bellucci Destini sincronici il romanzo storico della Moscariello, Firenze, Pianeta Poesia, 1 maggio 2017;

Franco Manescalchi, Destini sincronici L’amore comune per la poesia di Rocco Scotellaro, interventi durante la presentazione di Destini sincronici alla Casa di Dante, Pianeta Poesia, Firenze 4 aprile 2017;

Giuseppe Manitta "l'afflato poetico e il ritmo musicale che attraversano la sua parola" , analisi dell'opera "Eleonora dalle belle mani", Giardini Naxos 2016;

Giuseppe Manitta” Carmen Moscariello, Non è tempo per il Messia” Cultura e Prospettive,  pg.111, n.21, 2013;

Giuseppe Iuliano “Un ispirato dettato di assanguante umana compagnia”, Il Convivio

Michele Urrasio, “Alla ricerca della luce, note critiche a “Tunnel dei sogni”,

Michele Urrasio, “Destini sincronici: Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro di Carmen Moscariello” , Il Convivio



















Antologie che si sono occupate della scrittura della Moscariello

Renato e Fiammetta Filippelli ,enciclopedia L'eredità letteraria", Simone Editore, vol.3, S55;

Piero Antonio Toma, Almanacco Napoletano di scrittori e poeti (2015) Compagnia dei Trovatori Edizioni;

Angelo Manuali e Lia Bronzi, Letteratura Italiana, Poeti e Narratori italiani (2015), Bastogi Libri;

Ninnj Di Stefano Busà, Antonio Spagnuolo,  L'evoluzione delle forme poetiche, Kairòs Ed. ,2015;

Vittoriano Esposito, Poesia non poesia Bastogi Editore;

Paolo Saggese,
Storia della poesia Irpina;
Giuseppe Manitta, Il convivio 2015, Antologia  "All'ombra di un'eresia", pagg. 103-112, ;  "Giordano Bruno Sorgente di fuoco, pg.117;

Raffaele Messina "Conoscere la Divina Commedia" , " Poesia  religiosa e tensione civile nei versi di Carmen Moscariello", pg 152, Medusa Editrice, 2016;

Giuseppe Manitta Il convivio 2016, pp.71-80, “Rapsodia d’amore per stelle e desideri” (a tre voci);

Renato Filippelli, Viaggio Letterario nell’Italia europea , il Novecento, ed. Simone, febbraio 2000

domenica 28 gennaio 2018







“Il contrario della paura”

“Perché terrorismo islamico e Mafia possono essere sconfitti”

di Franco Roberti, Mondadori.

Recensione all’opera di Carmen Moscariello

“La società civile  è vista dalle mafie come una perfetta mammella da mungere”.[1]

                  

Un’opera in cui con maestria  l’autore traccia un percorso di vita al servizio dello Stato e nell’impegno della  lotta alla mafia. Roberti saggiamente realizza un rapporto intenso e costruttivo con il lettore, soddisfacendo le sue attese e indirizzandolo  verso la strada del coraggio e del bene sociale. L’irrequietezza cronologica alla quale assistiamo nel testo è dovuta a quest' urgenza. L’azione si svolge in vari luoghi del nostro Paese; ne prevalgono due: Sant’Angelo dei Lombardi con il terribile terremoto dell’ottanta e l’amata Napoli con la sua Storia da Vico, a Croce, a Masullo, senza dimenticare i lati oscuri e malati della città- amata. Un principio caratteristico dell’opera è il profondo senso del dovere, il rispetto della legge e dell’uomo. Franco  Roberti non si scaglia mai con veemenza contro la mafia, ma procede come se dovesse scalare un fortilizio, mattone dopo mattone, fino alla cima per annientarla e costringerla a non nuocere più. Un capitano (come l’ha giustamente definito Pierpaolo Filippelli).[2] che guida i suoi uomini verso un obiettivo chiaro, lo fa senza ombre, sempre nel vigile rispetto della Costituzione e delle leggi che regolano la vita civile del Paese. L’impulso che l’autore imprime all’opera è costante e determinato. Le sue strade sono ben delineate, il pericolo è  tenuto d’acconto, soprattutto per i suoi collaboratori che per lui nutrono rispetto e amore. Alla mano spietata della mafia contrappone l’ordine, il rispetto della vita umana: il carnefice deve cadere senza dispersione di sangue. Un peso determinante  lo occupano i fatti, non ci sono sbavature, tutto emerge chiaro, è il  racconto di una realtà dolorosa dove non ci affida al buon Dio, ma alle leggi. Il movimento del vero si allarga nella pagina diviene mosaico costruito con pazienza, tassello dopo tassello; la memoir è la regina incontrastata, essa è referente di vita, ci invita a una lettura razionale, dove ogni parola è ben soppesata. Un palinsesto dove non ci sono défaillance, vaghi aneliti, sbavature, inutili sospiri o  attese ritardate. La realtà è amara, va affrontata subito; il male sradicato; la corruzione uccisa; mollare è pari alla morte.

L’invito a non cedere alla paura emerge da ogni parola,  da ogni capitolo. Il libro non ha niente di autoreferenziale, tanto che possiamo affermare che è limitativo definirlo  un’opera autobiografica, quello che è scritto ha per protagonista il coraggio di una squadra chiamata a fare il proprio dovere e il ruolo di Roberti è  di vigilare, guidarla, battere il pugno dove sia necessario. Rivelando che le crepe che si sono aperte nel nostro paese sono le stesse crepe dei muri che il terremoto produsse a Sant’Angelo dei Lombardi che fecero crollare le case dalle pareti di “marzapane”,  che uccisero migliaia di esseri umani inermi. Per questa tragedia Franco Roberti istruì un processo, con rammarico ci ricorda che furono tutti assolti.( Per me, da irpina, qual sono e resto, alla quale il terremoto tolse la casa e ogni bene,  la lettura di queste pagine ha riaperto una ferita dolorosissima).

“C’è stato un momento esatto della mia vita in cui, per la prima volta ,ho cominciato a capire cosa significasse la parola mafia. Era domenica. Ed erano le 19,32 del 23 novembre del 1980. Il terremoto dell’Irpinia, uno dei più terribili e violenti dell’ultimo mezzo secolo. Da poco più di un anno ricoprivo la carica di giudice a Sant’ Angelo Dei Lombardi, un piccolo paese in provincia di Avellino, che da quel giorno ,inevitabilmente, è diventato un pezzo della mia vita.

…… Arrivai a Sant’Angelo dei Lombardi la mattina del 25 novembre, a bordo della mia auto, in compagnia di mio cognato. Vidi quello che in quei giorni avevo sentito raccontate alla televisione, alla radio, sui giornali. Ma era molto di più, incomparabilmente di più di quanto era possibile soltanto immaginare: enormi crateri nel terreno avevano sconvolto il paesaggio circostante, la distruzione regnava ovunque, i militari dell’esercito erano giunti da poco sul luogo del disastro. Sant’Angelo era un cumolo di macerie sotto un cielo livido….. Convocai subito i verti ci della polizia giudiziaria. Qualche tecnico di cui sapevo potermi fidare. Cominciammo a fare qualche domanda. Mi dissero subito che il cemento che era servito a realizzare quei palazzi ,i costruttori l’avevano acquistato da Nuvoletta, una delle più importati famiglie camorristiche della zona. …. E che quel cemento fosse scadente, magari allungato con l’acqua… mi ricordo che, dopo pochi mesi dal sisma del 1980,arrestai per peculato il sindaco di Guardia dei lombardi. Poi ci furono altri arresti.  … Una domanda però continuava a rimbombarmi nella testa, senza tregua. Logorandomi. Perché i palazzi nuovi di Sant’Angelo si erano sbriciolati  come fossero stati di marzapane?.... Facemmo perizie accurate ,rinviammo a giudizio numerosi costruttori e pubblici amministratori perché avevano realizzato edifici che violavano la normativa antisismica…… Alla fine furono assolti.[3]

 Un fatto che non doveva più accadere e che invece abbiamo visto ripetersi, con la medesima violenza,  durante il terremoto che ha distrutto l’Aquila, con altre morti, giovani morti.

Sembra ritrovare nel testo la pragmatica delle comunicazioni di Bateson e la filosofia del linguaggio di Russell.  L’opera ha finalità etiche altissime, va letta e commentata nelle scuole soprattutto per educare le coscienze a qualcosa che la didattica moderna non tiene bene in conto: si può essere coraggiosi, si può divenire coraggiosi, si può educare al coraggio, parlare finalmente a testa alta di mafia, senza l’untuosa patina della compromissione. Emerge Dall’opera  la forte condanna della corruzione e di come, a volte, uomini indegni  occupino, per nostra disgrazia,  ruoli che non gli competono e di come le mafie, oggi più che mai, siano  decise ad entrare  senza intermediari nelle amministrazioni dello Stato. Certe indagini di uomini eletti, (nel senso di egregi) hanno spesso messo in luce proprio questo delirio di onnipotenza, ad esse  non  basta più il denaro proveniente dalla spaccio di droga e dalle estorsioni, vogliono essere  dove si decidono gli appalti. Roberti, inoltre, sottolinea senza ombra di dubbio che l’indagine aperta da Giuseppe Pignatone  è un’indagine di mafia e che i reati  contestati sono reati di mafia, più esattamente ci dice: Veniamo a mafia capitale: qui intorno all’amministrazione della capitale d’Italia, si è creato un gruppo eterogeneo, fatto di criminali di strada, amministratori pubblici, imprenditori, che si è sostituito di fatto allo Stato. E ha deciso chi e come doveva governare la città Com’è stato possibile? “Proprio grazie a quella carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare” come dice la Cassazione. Mi spiego: tutti sapevano che dietro alcune aziende c’erano pericolosi pregiudicati. E tutti ne avevano paura. Quindi non partecipavano ai bandi, o rispettavano “quelle regole” , scrive sempre la Cassazione, la cui apparente imperatività è stata resa possibile solo grazie all’accumolo di una forza criminale ben conosciuta e temuta nella realtà sociale” Anche perché i mafiosi romani erano conosciuti anche dagli altri esponenti criminali, con i quali trattavano alla pari e decidevano come spartirsi il potere nella città. Tuttavia “Il nome”- e di conseguenza la paura che suscitava- non era l’unica arma utilizzata. La seconda, precisa spietata, più di un fucile da cecchino ad alta precisione, è sempre stata la mazzetta. …. Gli obiettivi erano intuibili : ottenere tramite la corruzione favori dai pubblici funzionarie, attraverso la continua violazione del patto di fedeltà da parte di un uomo delle istituzioni, determinare inevitabilmente ”la generale sfiducia della collettività nella imparzialità delle scelte compiute dagli organi amministrativi”[4]

 Più chiaramente ci ha spiegato e fatto ben capire questo libro il Professor Aldo Masullo  che lo ha presentato a Napoli  con altre illustre personalità.[i]   Ha esordito, partendo   da  un principio cardine del Suo pensiero, quello della libertà: ”noi perseguiamo la libertà”,  ha sottolineato come questa categoria  appartenga  anche a  Franco Roberti e come queste pagine non siano di facile lettura. Egli precisa che nel nocciolo del discorso del nostro autore si affiancano due cose: terrorismo e mafia. Perché si possa vincere o resistere,  bisogna rompere la loro coesione.  Esse sono la  rappresentazione di come l’Italia  sia apparsa a costoro come  una  perfetta mammella da mungere. La società civile è diventata così  una mammella che la mafia munge. Aggiunge che  il livello di complessità a cui sono arrivate le cose è preoccupante. Si può meglio capire il fenomeno partendo da lontano, dagli anni 60, quando si  decise il finanziamento dei partiti con denaro pubblico. Da allora ebbe origine anche l’indebitamento del nostro Paese  e, cosa non meno terribile,  la corruzione. L’industria di stato dovendo pagare i partiti  portò all’alterazione dei mercati e a quell’indebitamento di cui siamo tutti vittime.  Il grande Filosofo precisa che cominciò così l’ incesto tra politica ed economia che favorì il prodursi di una serie di passività, a questo  corrisponde  un  processo di decadimento  istituzionale. La moltiplicazione dei centri di spese  contribuì a determinare il gravissimo debito pubblico. Continua l’Emerito Professore dall’altro canto, subito dopo la guerra, la criminalità si dedicò al contrabbando organizzato, un’enorme forza contro lo Stato . La quiescenza della Stato e dei cittadini contro questo crimine si manifestò in  un contorcimento sentimentale e morale,   diede luogo a processi solidali tra istituzioni, cittadini e criminalità. La tolleranza di certi comportamenti criminali, fece si che essi non fossero schiacciati fin dall’inizio. Tolleranza significò non punire, ed ecco perché andiamo, per le stesse cause di allora, incontro allo sfacelo e ci troviamo di fronte a un nemico esteso, così tremendo.  La tesi fondamentale è ,dunque, che    non riusciremo a resistere al terrorismo se per prima non riusciamo a combattere i difetti  interni. Infine, l’invito del Filosofo al pubblico e al popolo è di prendere coscienza di ciò che ci stanno preparando  e lottare, prima di ogni cosa, contro la corruzione. Il libro di  Franco Roberti  sembra che all’unisono con il grande Maestro metta il dito nella piaga, con dolore parla  di interventi necessari a Casal Di Principe,  per esempio, dove c’è oggi un buon sindaco con buoni amministratori, a dimostrazione che si può cambiare, qui, ora, finalmente, sarebbe necessario anche l’aiuto dello Stato per non naufragare di nuovo. Migliorare la situazione umana delle città attaccate da questo cancro è un dovere, come è preminente  favorire lo sviluppo di buone scuole, affinché i giovani non prendano strade pericolose, apparentemente agevoli.  Non a caso il convegno, voluto ed egregiamente organizzato  dall’Assessore alla Cultura Nino Daniele, si è  tenuto a Napoli nell’Istituto di Studi Filosofici, nei luoghi della  rivoluzione napoletana del 1799, nelle splendide sale del Palazzo Serra di Cassano  che  fu protagonista con Gennaro Serra di Cassano (giustiziato) della prima grande rivoluzione che affermò e  difese  il diritto dell’uomo alla libertà e all’autodeterminazione (Repubblica Napoletana). Emerge chiaro che  se Franco Roberti ha scritto questo libro, non è solo per far conoscere i danni che le mafie hanno provocato e provocano ai nostri territori, alle persone e all’economia  o per raccontarci ciò  che egli  ha fatto contro la mafia per distruggerla , ma piuttosto per coinvolgerci tutti, l’intera Nazione, giovani e meno giovani nel farci comprendere  quale pericolo tuttora  essa rappresenti e che la lotta e il sacrificio di pochi non bastano per annientarla: le parole di questo libro sono di fuoco, invitano il popolo tutto a ribellarsi a lottare contro di essa a isolarla nella sua melma. Il nocciolo per noi è il grido di dolore, seppur stemperato da una calma feroce dell’autore, nel richiamare il popolo intero a dire basta a un fenomeno che può annientare il Paese moralmente ed economicamente. In verità, mentre vicini ad Aldo Masullo ascoltavamo le Sue analisi, per niente stemperate, nonostante il Suo ’est modus in rebus” che è il vestito d’organza  del  grande Relatore, esse ci giungevano giusto al petto , come cannonate. Mentre Lo ascoltavamo,   abbiamo pensato in contemporanea a un altro grande della storia a Papa Wojtyla, alle parole che leggemmo sul Corriere della sera, poco dopo l’assassinio dei Martiri  Falcone e Borsellino, anche allora nella Valle dei Templi risuonarono parole forti che avrebbero dovuto cambiare le nostre coscienze :  “Non abbiate paura” urlò il Papa (sembra che il libro  “Il contrario della paura”, faccia eco al grande Papa) «Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio». (Parole pronunziate contra la mafia ad Agrigento, il 9 maggio del 1993).
 Questo invito ce le ripropone Roberti con pari energia ne ”Il contrario della paura” con l’inchiostro del coraggio di chi ha messo la propria vita al servizio dello Stato.  Con questo suo lavoro vuole scendere tra la gente  e chiedere a tutti il massimo della collaborazione, pochi uomini coraggiosi possono fare molto, ma ancora di più possono realizzare, se noi gli stiamo accanto, li sosteniamo, anche noi col nostro coraggio.  Quella “cappa”[5] che si forma in tutti i luoghi in cui si sono annidati i mafiosi, è morte, è incapacità di sentirsi liberi. La schiera di accoliti, povera gente e  potenti di turno,  che appoggiano la mafia   ha gravi responsabilità. Ricordo le parole di un altro grade Magistrato dell’antimafia Federico Cafiero De Raho, parole che ascoltai nelle sale del vecchio tribunale di Porta Capuana , qualche mese prima di essere trasferito in Calabria,  alla presenza della ministra, disse che anche l’appoggio esterno alle mafie  va punito con la galera, con molti  anni di carcere. E, ancora, l’ ”Urlo” [6] di  Papa Wojtyła, così poco riproposto oggi  dai potenti mezzi di comunicazione rimane inequivocabile: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire, devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti. Dio ha detto “Non uccidere”. L’ uomo, qualsiasi umana agglomerazione o la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai responsabili. Convertitevi». “La civiltà  della morte” ha preso piede nel mondo intero. Assistiamo alla strage degli innocenti che ogni giorno coinvolge popoli interi nel dolore. Sulle spalle di Franco Roberti non c’è solo la mafia,  egli non è “solo” il Procuratore Nazionale Antimafia, alla sua persona, alla sua luminosa intelligenza è stata affidata anche la lotta al terrorismo. Alla luce di ciò dobbiamo credere nel  dialogo e al valore della cultura, in quanto  è  urgente rieducare l’uomo. Ci sono  popoli interi che vanno  ripensati e ricostruiti. C’è l’urgenza di un rinnovamento della politica, orientandola sempre di più alla ricerca del bene comune  e non già gestita, come le cronache ci raccontano,  da persone che hanno come unico obiettivo il proprio tornaconto, senza parlare della corruzione e della commistione con le mafie, vera rovina dei territori, annientamento anche di città bellissime dove  il cancro si estende,  silente mette radice per poi annientare. (questa recensione è tratta da "Cultura e Prospettive ", Catania 2017


[1] Aldo Masullo al convegno tenutosi a Napoli il 29 giugno per la presentazione del libro di Franco Roberti “Il contrario della paura”.
[2] Pierpaolo Filippelli, giovane e coraggioso  magistrato ha fatto parte della squadra guidata da Franco Roberti. Oggi, dopo aver lavorato a lungo come magistrato nella DDA di Napoli ,è Procuratore aggiunto di Torre Annunziata.
[3] Pgg. 52,53,54,55  (Paragrafo: ”Quando il terremoto diventa business”, Op. Ct.
[4] Pg 129-130, “Il contrario della paura”.
[5] Paragrafo: “La cappa”, pg.61, Op.Ct.
[6] Munch, “L’Urlo”

















venerdì 26 gennaio 2018

Analisi di Carmen Moscariello de "Il genio dell'abbandono"









Il genio dell’abbandono di Wanda Marasco

 Rilettura di Carmen Moscariello

Il Carattere  del narrare.

Il Mago del Nord  J.G.Hamann considerato il Maestro dell’Irrazionalismo moderno, in merito all’espressione artistica  e in particolar modo per l’estetica sostiene che nell’arte non devono esistere regole codificate, contro Boileaue e Batteux,  fu fautore dell’arte intesa come  sangue e cuore.

Questo furore romantico esiste nella figura di Gemito raccontataci da Wanda Marasco. In quest’opera narrazione stile, linguaggio, propulsioni, polmoni pulsanti, follia dilagano nei vicoli di Napoli. Il  manicomio è punto di partenza ,da lì, dalla discesa e dalla fuga si costruisce  il tragico sentire del personaggio principale.

Sembra nella lettura di ogni rigo che l’ansia del dolore del vivere permei la stessa scrittura, fibra-sfibra la  rincorsa per la libertà che altro non è che identificazione con l’arte con l’utopia del bello al di là dei maleodoranti sentieri dell’inconscio e della storia.

E’ un’opera quella della Marasco ”antiplatonacea” [1]che ci permette l’accesso, oltre il pensiero dialettico, alla irregolarità intensiva. Si inalberano fuochi  che bruciano e che si manifestano nella realtà come perfette intelaiature artistiche della creta e anche del marmo (seppur poco amato dall’Artista); per Gemito c’è  il multiforme alfabeto  che muove da suoni ancestrali per divenire, man mano, conquista d’un sogno. Tutto parte dall’inconscio, vive nell’incoscio: nella costruzione del personaggio Gemito la scrittrice non si muove su due piani quello della follia e quello dell’arte, l’incastro è perfetto fin dall’inizio, dall’infanzia di chi secondo Poul Beauchamp  è apocalittico, nasce apocalittico.

L’opera tutta sfugge alla malia della narrazione come verità, piuttosto Lei interpreta il personaggio (non dimentichiamo che la Marasco è anche brava attrice) le dà vita secondo i suoi impulsi, non già secondo la storia o qualsiasi  altro principio metafisico: tutto è carnale: immediati attimi furiosamente irrealI?

Stupefacente anche il fango

La napoletaneità è un aspetto relativo, seppur tutto si svolge a Napoli, anche il linguaggio napoletano (non sempre) non rientra in nessuna conformità di categoria, tutto è nomade, da raggiungere, da perseguire, anche la meta apparentemente dettata fin dall’inizio.

Lei non segue né la strada del grande Rea, né quella di Anna Maria Ortese, Striano o della Serao, c’è un buio che non si risolve, ma che non attraversa il libro come fatto negativo, semplicemente quale costante di vita. Nessun realismo dunque, né nel linguaggio, né nella trama. Ella ben si slaccia, prosegue comoda nelle elucubrazioni del suo personaggio. L’opera non è corale, tutti i personaggi della vita di Gemito non sono che altro da sé,  sono  masticati dagli stessi occhi dalla stessa farneticazione , le identità si dissolvono per obbedire ad un unico simulacro. ”Propria del simulacro è non d’essere una copia, ma di rovesciare tutte le copie, rovesciando anche i modelli.[2]

Si ripropone di nuovo il teatro dove i personaggi non necessariamente hanno un ruolo, entrano ed escono dal palcoscenico non come identità, ma come facenti parte del pathos. Né vogliamo dire in toni anch’essi romantici che il dolore determina l’arte: Vicienzo è troppo vissuto dall’urgenza della creazione per preoccuparsi del dolore.

 Enigmatico, impervio, affascinante è il ritmo,  vero dominatore del libro, in esso, tra quegli spartiti precisi- studiati- amati,  la Marasco ci racconta, si racconta.

Nel multiforme linguaggio genetico senza evoluzioni di specie è Gemito che costruisce la sua storia, se ne innamora e ci innamora . La struttura è illocutiva; l’intonazione interrogativa sulla vita , sull’arte, sull’utopia di fare arte. Fattore strutturale dell’opera, che rimane sempre  flessiva, asiatica, pronta al gioco della vita, è la scrittura che è inglutinata dal “Il tempo dell’abbandono” E’ la sorte che fila che taglia quando vuole e come vuole nell’uomo, nell’artista c’è solo la pulsione irrefrenabile del creare.

“Creare l’Arte è creare la Storia.

E’ vero la Marasco ci ha fatto un grande dono : la riscoperta della vita e dell’arte di VincenzoGemito, lo tira fuori dal dimenticatoi del mondo arruffato e marcio, gli soffia dentro e gli dà vita.

Come per Gemito ,così per Wanda Marasco: l’Arte è dare vita o riportare alla vita.

Un Dio laico che sa modellare la creta, non cerca Dio, ma è Dio.

Di questo scultore napoletano “Genio dell’abbandono” ,   nel gioco bellissimo dell’immedesimazione L’Autrice sa proporci una storia passionale  furiosa  irresistibile.

Una brama: bramosia di raggiungere la vita, di coglierla nella sua grandezza che è anche brutalità, misticismo, delicatezza.

Qui Lei ha recuperato l’oblio, lo ha sottratto definitivamente alla sorte dell’Abbandono, La scrittura diviene capacità di recupero, di riproposizione di tutte le energie che sono state e che non hanno conosciuto la morte nonostante il selinzio di molti anni.

Ora, anche un film su Gemito se ne interessa nientemeno che il grande regista Pasquale Squitieri illustre Maestro nel riproporci tessiture storiche, novello Plutarco nel ridar la vita a chi è passato, ma ha lasciato bei solchi. Qui per ricordare a noi tutti che Il Sud non è solo camorra e mafia, ma anche Arte, Filosofia, Bellezza, Amore.

Gemito porta nella solitudine delle proprie viscere  il furore dell’arte, il grande scultore, orafo acclamato dalle corti d’Europa altro non sente che la morbida creta per plasmarla, nel dare a u lione o all’imberbe fanciullo quella stessa vita che Dio diede soffiando dentro la volgare creta. Di altro non si accorge Gemito: né i morsi della fame, né l’orrore del manicomio potranno fermarlo. Il resto lo compie la dimensioni “verticale” lessicale, fonetica del cuore di Wanda. La sua non agglutinante bellezza di Donna e Artista che ha sganciato il suo linguaggio da qualsivoglia pastoia o omologazione linguistica o mediatica.

Quest’opera, candidata allo “Strega” (forse lo meritava, senza nulla togliere al vincitore) se non altro per aver ridato alla lingua quelle energie che la rendono di nuovo mezzo di fascino, urgenza di lettura, necessità di confronto, recupero della memoria.

Una lingua “arteriosa”[3].

L’ ideologia di un linguaggio “per cui è importante quel che si narra, ma soprattutto come lo si narra”[4], l’evento è di per sé è come un sacco vuoto, non significa nulla se non è sostento da un’ideologia[5].

Articolo pubblicato sull'antologia Cultua e Prospettive, Catania.

[1]
[2] Deleuze,cit., riferimento anche Nietzsche eil circolo vizioso, 1969
[3] Vittorini
[4] Vincenzo  Consolo
[5]

sabato 20 gennaio 2018

Lettera a un giudice di Paolo Saggese. Rilettura di Carmen moscariello


“Lettera a un giudice”  Racconto fantastico sulla corruzione di Paolo Saggese

Recensione all’opera di Carmen Moscariello





Il rovescio della medaglia o del diritto rovesciato

La scrittura apparentemente “liscia”, un piccolo torrente senza orgoglio, ma ci sono lì ad ogni inizio di paragrafo, i testimoni che in brevi incisi dicono ciò che è giusto e vero e del quale non si è tenuto conto. Come una mala bolgia ,ci sono  i venti amari  dell’invettiva, di chi ha subito un grave torto e non può far niente. Il suo sogno stroncato,  ; un rielaborare nella storia di tipo ossessivo gli eventi minimi;  tutto è stato curato: i sacrifici sono stati fatti; la stoffa della persona preparata c’è, i luoghi e le persone raccontate nel senso bernhardiano, un ottuso silenzio e la vana attesa di una giustizia che non c’è, l’impossibilità di cambiare le cose rende il protagonista annientato.

E Talora alle foci solitarie dei piccoli fiumi è una greggia che splende come una ghiaia ; e io guardo verso le montagne dove forse un’altra greggia sabbevera alle sorgenti solitarie. Un ampio greto discendendo dalle montagne è simile a un cammino di migrazione abbandonato, simile al tratturo dei miei padri sterilito. E odo dentro di me camminare i pastori defunti e i grandi armenti morti…E le ombre occupano la luce, lacerano la coscienza e il greto è sterile, le acque stagnanti sono fetide.

Che cos’ è un atto di ingiustizia?

Fino a qual punto può divenire incubo, e, soprattutto, se cade per sempre la fiducia nella giustizia, che sarà del mondo? Esso stesso  finirà in uno sterile fosso?

Il romanzo di Paolo Saggese ci mette di fronte a queste problematiche e il suo stile è volutamente calmo, apparentemente senza rabbia, ma fibbrila nell’incapacità di rassegnarsi. lo sfogliare di sacrifici non gridati, posti lì ironicamente, quasi egli stesso intenerito dall’ingenuità del suo  credere nella giusta ricompensa per chi lavora, per chi vale, per chi crede nella vita e nel bene. Il suo comportamento è giusto, onesto, vigoroso, etico, nessun potrà negargli ciò che di diritto gli spetta.

Il clima grottesco,  in qualche passaggio, sottolinea anche la nullità dell’evoluzione: l’evoluzione non c’è, ciò che è vero è il conformismo al male, alla raccomandazione, alla vittoria dei disonesti. Bisognerebbe rompere gli schemi ,partire da altre sponde per ricostruire il Paese, così’, con questi criteri, non può che morire.i

Alcuni uomini, “I giusti” (per fortuna ce ne sono anche tra gli stessi giudici –eroi che mettono a repentaglio la propria vita, perché la legge sia rispettata ) guidano sicuri la strada del bene,ma sono troppo pochi.

 Ma, il piccolo fiume, essenziale al gregge per abbeverarsi, diviene spesso tomba per i pastori e il povero gregge muore, perché prevalgono schematismi dettati solo dall’utile e da un individualismo e obiettivismo sfrenat.

E’ un’opera in nero questo romanzo, la coscienza arriva a mettere in crisi se stessa, mette molta tristezza, poiché ognuno di noi potrebbe facilmente ritrovarsi o già si è più volte ritrovato  negli accadimenti raccontati. Così “l’avventura di un povero cristiano” che non vive per niente nel migliore dei mondi possibili , grida giustizia, vuole giustizia.

Spesso si crede che la giustizia sia data solo dalle leggi, ma ci sono troppi abili lestofanti che piegano la giustizia e le sue leggi  ai loro  loschi interessi, si perde di vista la finalità globale alla quale la legge tende, i cavilli confondono, bloccano, favoriscono chi non va favorito,  bisognerebbe vigilare  e formare l’uomo anche sull’etica, l’esigenza morale è alla base della legge, senza morale il mondo è capovolto, destinato ad estinguersi. L’ingiustizia subita anche da un singolo uomo è il presupposto per un’ingiustizia sociale che toglie respiro all’umanità, annientandola, piegandola allo sconforto e all’impotenza. L’accademismo della giustizia può divenire un incubo, colui che giudica è posto dalla società al suo massimo grado, a lui è affidata la vita di un uomo, un lavoro difficile,  mai bisognerebbe dimenticare che un determinato giudizio ha come oggetto e soggetto un uomo con i suoi dolori, le sue sconfitte, le sue lotte, egli si mette nelle mani di quel giudice per chiedere giustizia.

Ma i Poveri Cristi a volte hanno poteri incredibili, quelli che nascono dalla libertà del proprio pensiero, dal rispetto delle regole sociali, dalla convinzione che lavorando bene ci si debba aspettare  giustizia. Possedere queste energie rende l’uomo invincibile!

 L’opera ci pone dolorosamente di fronte a questo interrogativo. Paolo Saggese, si aggrappa in preludio di ogni capitolo ai suoi amici scrittori-onesti come lui, con le loro parole poste a capoverso, quasi a chiedere conforto per meglio capire. Dove ho sbagliato?

L’autore parla di un concorso (non ben precisato, ma si comprende) al quale il personaggio principale si prepara, non chiede raccomandazioni, lavora, studia, trascurando ogni altro aspetto di vita, per mesi si impegna, notti insonni, non trascura nessun particolare. A nulla vale il suo impegno: è scartato. L’opera in nero  di come va il mondo, lo rifiuta, non sa che farsene di un uomo onesto e preparato. Quest’opera apparentemente vaga, anzi, volutamente leggera, è attraversata dall’ansia, un respiro doloroso in ogni parola, seppur  ben filtrati, quasi a non voler battere troppo forte su ciò che è successo, ma più il tono è “vago”, più il lettore si torce nella rabbia, nel dolore per l’ingiustizia subita. 

martedì 16 gennaio 2018

Amelia Rosselli:incontrare un poeta di Carmen Moscariello

Preferii dirlo a altra infanzia
che non questo dondolarsi
su arsenali di parole
(A. Rosselli a P. P. Pasolini)8

Amelia Rosselli: incontrare un Poeta.



La conobbi al Magistrale “Cicerone” di Formia nel 1992, in una
serie di “Incontri con l’Autore”; dopo quello con Vittorio Foa, toccò
a Lei, che venne.
Raffinata ed eterea era humus fertile per emozioni ed enigmi.
Venne dopo l’incontro con Vittorio Foa, (Torino 18 settembre 1910-
Formia 20 ottobre 2008) da Lui, che ha vissuto a lungo a Formia, appresi
molto su “Giustizia e Libertà”, sui Fratelli Rosselli, sull’antifascismo,
ma soprattutto sul fascismo (ne parlava senza rancore, facendoci,
però capire quale dannazione storica fu questo periodo per la libertà
e in particolar modo per gli ebrei), mai accennò ai suoi lunghi e dolorosi
anni di carcere e molto mi parlò di Carlo Levi che ebbe una po-
sizione rivelante anche nella vita di Rocco Scotellaro; narrava il socialismo
liberale di Rocco Scotellaro, di Gramsci mi parlò quotidianamente,
donandomi di questo alcuni preziosi scritti sulla Questione
Meridionale, mi rilasciò in merito molte interviste. Mai mi disse di Amelia,
nonostante le mie richieste; molto mi insegnò su “Giustizia e libertà”
e sulla dolorosa fine di Carlo e Nello Rosselli. Le porte per i
miei studi sulla Rosselli e Rocco Scotellaro me le aprì il Grande Vecchio,
partendo, come dicevo, da Giustizia e Libertà. Per Formia,
quest’uomo, morto centenario, con una limpidezza di pensiero che
affascinava, fu punto di riferimento per molti giovani che egli riceveva
nella sua casa, situata nell’antico quartiere di Castellone, senza mai
sottrarsi ad alcuno.
Come Foa, Amelia Rosselli divenne ospite gradita e amata nella
nostra scuola. Incontrarla per me fu come immergermi in una cisterna
gelata: sommersa dall’ansietà del suo sorriso; dalle sue braccia
rigide lungo il corpo; dalla sua voce gutturale che sillabava con molta
fatica ancestrali suoni, dallo smarrimento (spavento ?) che leggevo
nei suoi occhi.
Lei alta, molto magra, un fiore umile sullo stelo ondulato, in difficoltà
quasi quanto me. Restammo sole in presidenza ed io provai ad
esprimerle tutta la mia ammirazione, ma le parole uscivano a stento e
la bocca impastava suoni inutili, tutto quello che volevo dirle era fermo
solo nella mia mente, né riuscivo a tradurlo in parole. E lei dolce nella
penombra invernale della stanza disadorna e umida della presidenza,
mi disse di stare tranquilla, “Io sono una persona come tante”. A questo
riuscii a replicare: “Sono commossa, Lei è la più grande poetessa
del Novecento”, (ripetei con forza le parole con cui Pasolini l’aveva
chiamata). Si volse verso la finestra che apriva su un cortile annichilente
e fissò lontano, la sentii lieve e delicata, quasi volesse cancellare
l’immensità del suo essere.
Avevamo preparato con cura questo incontro, la scuola aveva acquistato
tutti i suoi libri e io avevo iniziato i miei alunni alla sua poesia,
leggevamo e commentavamo i suoi versi : versi difficili. All’inizio inafferrabili,
ma dopo un po’ il ritmo musicale cominciava a scendere
dentro il cuore e molti alunni imparavano le sue poesie a memoria,
molti versi furono musicati e cantati. Preparavamo domande e già da
tempo un fluido magico avvolgeva le mura della scuola.La accogliemmo nell’unico luogo possibile a contenere quasi mille persone, l’androne della scuola, uno spazio circolare sul quale
dall’alto delle scale si affacciavano le aule,(ripete in tutto e per tutto
la struttura di un carcere, ha una forma di anfiteatro e il suono poteva
raggiungere tutti gli ascoltatori). Gli alunni chiassosi, impossibile riportarli
all’ordine, aspettavano la grande ospite, il preside correva,
emozionato anch’egli avanti e dietro, dando ordini che non miglioravano
la situazione di attesa.
Eppure appena apparve si fece silenzio, non aveva ancora aperto
bocca, e gli alunni attesero le sue parole, capirono che erano di fronte
a una umanità preziosa. Le domande sulla sua poesia ci furono, molte
altre inseguivano chiarimenti su Carlo e Nello Rosselli, ma poi si riprendeva
dalla sua vita con insistenza si chiedeva della sua amicizia con Pasolini,
ma soprattutto erano curiosi di sapere di Rocco Scotellaro.
Disse poche cose sul Padre, confessò che i suoi ricordi di bimba
“avevo sette anni, quando mio padre fu assassinato”, erano gravati dalle
sue lunghe assenze e dall’ansia di mia madre9 per i pericoli, che percepiva
chiaramente e che potessero abbattersi da un momento all’altro
su di lui e la famiglia.Non c’era l’orgoglio di figlia, ma una sofferenza lunga nella sua
voce lenta avvolta nell’amaro sillabare che assorbiva insieme il francese,
l’inglese e l’italiano; ma quando iniziò la lettura dei versi caddero gli
inceppi e la musicalità dei suoni fece rivivere di luce l’ocra in grigio
sporco delle pareti della scuola.
Da allora nacque un’amicizia discreta, fatta di silenzi lunghi, ma
quando mi parlava la sua voce veniva da un altrove sconosciuto e magico.
Le chiesi in seguito di Scotellaro, più volte, ma rimaneva muta,
quasi a scacciare un dolore troppo grande. Mai mi parlò di Lui,
l’unica voce era un silenzio cucito dentro, dal quale è impossibile staccarsi
e il suo sguardo non nascondeva in alcun modo l’abisso che li
attraversava.
Di Lei e della sua poesia mi occupai più volte, concertando bellissime
pagine con il Direttore Edoardo Tiboni sulla sua rivista «Oggi e
Domani» Pescara. (Tra le altre scritture, “Amelia Rosselli, un caso unico
nella Poesia italiana, «Oggi e domani», Pescara, 1995, n 9).
Anche su «Il Tempo», il direttore Cesare Mantovani , uomo di
destra, mi lasciò completa libertà di spazio e di pensiero, accolse con
gioia i miei scritti sulla Poetessa, sui Fratelli Rosselli, su Vittorio Foa
(dando ampio risalto ad ogni mia nota. (Tra gli altri articoli, “La voce
libera e musicale di Amelia Rosselli”, «Il Tempo», 1992, per gli altri
aticoli, anche quelli dedicati a Foa e Pasolini si veda la bibliografia).
La incontrai, per l’ultima volta alla sua morte, avevano appena
raccolto il suo corpo sui basoli di via del Corallo.
Una decisione premeditata, scelse di morire nello stesso
giorno in cui si suicidò Sylvia Plath, (Stati Uniti, Boston 27 ottobre
1932, Londra 11 febbraio 1963) poetessa che la Rosselli tradusse e
che amava molto. Chi mi parlò con molto affetto di lei , prima ancora
di conoscerla personalmente, fu Pietro Nenni, anch’egli con la sua
casa a Formia10, contigua alla mia casa, la poetessa si sentiva perseguitata e spiata dalla CIA(disagi che perturbarono a lungo la sua dolorosa esistenza) fino a
chiedere  aiuto a Nenni; un conforto paterno che non le fece mai
mancare, aveva per la poetessa un affetto grande, considerandola
come un’altra delle sue figlie, d’altronde la sua vita era stata fortemente
unita a quella di Carlo Rosselli fin dalla fondazione nel 1926
di “Quarto stato”. Pietro Nenni era anche un innamorato di Rocco
Scotellaro, leggeva la sua poesia e vi si ritrovava nelle emozioni e nello
sdegno per gli sfruttamenti patiti dai più deboli. Nella sua biblioteca
ci sono manoscritti e catalogati tutti gli articoli scritti da Rocco e quelli
che «l’Unità» e «l’Avanti» gli avevano dedicati subito dopo la sua
morte.(Da Destini sincronici: Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro di Carmen Moscariello, Guida Editori.)
Note:
La voce libera e visionaria di Amelia Rosselli
20
10 La sua bella casa, posizionata proprio di fronte a Ponza, dove il fascismo
lo condannò al confino, Pietro Nenni alla sua morte la lasciò in eredità al partito

sabato 13 gennaio 2018

La poesia di Carmen Moscariello analisi di Peppino Iuliano


La poesia di Carmen Moscariello

Un ispirato dettato di assanguante umana compagnia
Si dice che ogni uomo abbia la sua stella. Una virtuale cometa identitaria rivelante la propria epifania. Parabola di luce e destino, di storia e strada. E come tale significante un necessario viaggio da compiere: vero, crudo, ideale o da inventare. Una mission a più gradi – fuga o scelta cosciente, a piedi o con ogni mezzo, per sorte benigna o fortunosa – in cui si sommano e si diversificano modi di essere, strategie, aspettative e bisogni, da sempre tensioni e cruccio dell’animo e dell’umanità. Un viaggio senza interruzione o a tappe, cui nessuno può e vuole sottrarsi pur con difficoltà di vista e di zoppia. Un percorso da affrontare in ogni modo per non ritardare le ansie e le speranze dei compagni di viaggio. Fosse pure l’attraversamento di un tunnel con le sue incertezze e i suoi timori. È questa la proposta umana e letteraria di Carmen Moscariello che, con Tunnel dei sogni (Il Convivio editore, 2016), ci consegna l’ennesima fatica - una sorta di resistenza a perdifiato – confermando voce ed apprensione, smarrimenti e speranze, tout court il compendio della sua sfera esperienziale ed emozionale che si innerva nella scrittura e la caratterizza, lontana da "cadute" e/o arrochimenti, a volte pur essi così necessari ai poeti.
La poesia di Moscariello – ma il discorso riguarda l’intera sua scrittura dal giornalismo alla saggistica, al teatro - è richiamo ed eco, diaframma e saldatura, amalgama in un’umanità dissociata, muta o vociante, talvolta con cori da suburra talaltra stentorea, balbuziente, figlia di luoghi comuni e di relative approssimazioni – che "hanno comuni radici, con essa / ne dividono anche il gelo" - sempre in predicato di stravolgimenti e rivoluzioni, ma i cui effetti, invece ed amaramente, consolidano l’inerzia e la conservazione.

Tunnel dei sogni è un almanacco sotto il tetto del cielo a spaginare i giorni e i loro numeri di una cabala esistenziale che si attorciglia nella quotidianità, vittima della omologazione e della imitazione negativa, per sfrondarla ed interpretarla. Per "riscrivere il mondo / […] / senza matite e senza colori". Per spingerlo all’impegno civile e al patrimonio da condividere. Per spezzare, in un’idealità sempre animosa e presente, le catene dei "lazzari dannati senza resurrezione": figli di un dio minore, di un’Irpinia misera e taciturna e di un Sud incolpevole ed asservito, tra erbe rinsecchite, ormai scheletriche, "fragili e senza radici", nel vortice dell’indifferenza e delle sue astenie senza amore; pellegrini laici e confessionali, indigeni e/o stanziali inermi e rassegnati, tra sbandamenti e spasmodici batticuori in un divenire circoscritto, corollario di "sepolcri imbiancati nel vuoto dei giorni", fra "anime innocenti" che "vagano / alla ricerca di una terra".
La poesia di Carmen è sguardo e respiro. Occhio che scruta, penetra e svela, né strabico né daltonico. Fiato di parola e voce. Parola come logos, lampo, principio enunciatore, favilla dal roveto, a cui dare in prosieguo corposità di immagini e contenuti. Ma anche parola "in esilio / così la poesia / senza patria, senza terra / senza lume". Parola e voce, come fede nell’uomo, ad un tempo messaggio, rivelazione e profezia. Ma anche insieme di parole proprie di un discorso compiuto, di chi ha tempi e ritmi per decifrare i codici della vita, a volte assurdamente impenetrabili talaltra semplici ed elementari, eppure sfuggenti e mai apprezzati appieno. Voce sussurrata come un battito d’ali o potente come un tuono, che non violenta né impreca contro la specola celeste ma la invoca e la rasserena; ampolla di acqua sorgiva o torrenziale (come la "cascata della lavandaia" di Montella) o brusìo salmodiante (come i monaci del convento di San Francesco a Folloni) o incursione di refoli, tra i digradanti castagni dei Monti Picentini, è varietà di cifre, scansioni, accenti per un dettato che è canto ed incanto ed incoraggia attesi controcanti. Un insieme di "braccia che si allargano / per stringere l’aria".
Novella Vestale, custode del fuoco del sapere, dispensatrice e forziere di cultura e scultura, di parole e rappresentazioni, ne conosce numeri e combinazioni. E mentre ci offre forme levigate, lavora il bulino e il tornio per altre abbozzate. È suo il museo semprevivo affollato di gente, galleria assortita di qualche fortunata cicala, che beve felice alla coppa e può permettersi canto e divertissement, e di un popolo di formiche e delle sue file processionali, votate al sacrificante lavoro, che conoscono strade in salita, paradossalmente in cammino tra insidie d’ortica e di selci aguzze ed essenze odorose di mentastro e sambuco.
Le ragioni contrastano con la doppiezza della vita. Ad animosi ed osannanti tripudi fanno riscontro sfondi sfocati e fondali torbidi, città perse e muri sbrecciati, abbandonati dall’incuria ed intrisi di stantio e vecchio. Fantasmi ed ombre, tuttavia, s’aprono ai sogni, capaci di rammemorare il senso delle case e il "profumo delle rose". È come un sudario – visione ossimorica – "il paese della neve", raccolto nel suo uniforme manto freddo ed immacolato, ma nei cui calanchi ribollono magmatiche le "invidie furiose", sempre pronte a nuove sfide e risse rusticane. Resta a dispetto il "paese del rifiuto", dell’abbandono, degli strati di polvere in sedimentazione - non quello del vuoto pavesiano e di scontata accoglienza – oggi diremmo dello spaesamento e della desertificazione, di grido ribelle senza riscatto. Trovano nervi scoperti, in una continuità di incrostazioni senza liberazione, il verso e lo sconforto di Rocco Scotellaro: "Ognuno di noi vuole essere il padrone / della nostra città medioevale / ed è geloso a morte dell’uguale. / Io me n'andrò, sono un cane di nessuno / […]", (Paese mio!,1948). Inquietudini e colpe sono mescole del nostro cuore antico, povere di giustizia e redenzione.
Carmen Moscariello coltiva frammenti – ma la vita non è un insieme di frantumazioni e rattoppi? - ricuce gli anni lontani di ricordi e schegge, come un puzzle da ricomporre, che allontana, unico vero antidoto, il pensiero della morte e la cupezza del destino. E fa aleggiare su tutto un’aura di idealità e di eticità; l’amore è linfa in ossigenazione per la verità, che riesce a fare chiarezza e a ristabilire l’ordine delle cose, segnate a sfregio da cicatrici e ferite.
La poetica moscarielliana mette in circolo ansie di libertà – secondo lo spirito desanctisiano – continuo orizzonte da ricercare, a dispetto di ogni accomodante certezza, per un infinito, poeticamente leopardiano e smisuratamente umano, in cui ritrovare le coordinate di vita, disdegnanti i confini ed il "segno dei lacci". Del resto la delusione, l’arte dell’arrangiarsi, il fatalismo sono il nostro sangue acido, braci di fuochi da ravvivare nella notte che dura.
Sappiamo bene che "dal destino non abbiamo ricevuto doni". Ciononostante concediamo "amore ai senza cuore e contiamo "poche strette di mani sconosciute / lavatoi di sacrifici del sudore", fonti battesimali di sempre nuova conversione.
Moscariello, nella sua coraggiosa avventura, porta con sé "un fardello di storie invisibili / che pesano", i "lebbrosi" pensieri, le denunzie senza sconti, il fervore cosciente della preghiera, la levità struggente del canto di espiazione, e li svela alla conta dell’anima: silenzi, immagini, rumori, echi, assenze; accorta e paziente riesce "tra spoglie di morti e ferite che ancora sanguinano" a preparare "strade di luce". E dire che la nostra doppiezza ci fa dimenticare l’origine e l’unitarietà del seme e ci porta a "bruciare il sole", invece di apprezzarne il calore e i benefici influssi che assicurano i frutti e il ciclo delle stagioni.
Vero è che un tunnel può far perdere l’orientamento e la strada maestra ma talvolta può anche rivelarsi una saggia accorciatoia, tale da facilitare soluzioni ed aiutare l’uomo a ritrovarsi. Ecco allora venire in soccorso speranze e sogni. Come aquiloni, interpreti di desideri, volteggiano, si impennano e movimentano l’aria e il silenzio di forme e colori, merletti che sfrangiano i vortici, i vuoti, le paure e allontanano dall’abisso. Sono briciole di meraviglie che non saziano ma ingannano il digiuno e, salvezza prodigiosa della poesia, aiutano a vivere.
Giuseppe Iuliano