martedì 22 novembre 2011

Il Maestro Giuseppe Supino espone a Latina presso la Galleria Rosati

Inaugurazione il 10 dicembre 2011 alle ore 17:00


Cromie d’Autunno

di Carmen Moscariello

Si apre il girasole nel suo splendore e gli echi viaggiano in un mondo sperato, fatto di luce, di onestà e di ostinata ricerca del vero. L’arte del grande Maestro matura in sentieri ardui e solitari di meditazione e di ricerca, faville di vita vissuta sugli speroni di un Dio contiguo. Questo intenso e instancabile analizzare porta l’arte a livelli di sublimazione, ma anche di studi tecnici a servizio di un simbolico-evanescente magnificat. Implume, delicato sentiero di primule, nonostante l’accordato litsziano, a mo’ di minuetto, tremulo, nato da note che si allungano nella notte stellata.

In queste ultime opere, che il Maestro ha prodotte, c’è tra le altre un Arlecchino in manto viola che si inneva in perturbante attesa di un sogno, forse di qualcosa che la vita può ancora donare. Le faville si irradiano dalle mani, questa volta non levigate ed eteree come quelle alle quali l’artista ci ha abituato, ma nodose fuori da ogni canone, aperte ad accogliere il grande dono dell’Essere.

Senza maschera è Arlecchino, o meglio con una maschera ridotta a pendendif, quasi che il maestro volesse imporre la propria verità nuda, chiara, dolorosa, senza alcuna ambiguità o sortilegio.

Che la maschera cada, finalmente!

La maschera che il mondo ci impone per dimenticare la propria accidia, i propri fallimenti , Supino non teme alcuno: il mondo ci guardi per quello che siamo -dice-, non temiamo giudizi, navighiamo alla ricerca del tempo perduto e guadagniamo il nostro tempo nella ricerca di Dio. E ancora a conferma di quanto sopra, c’è anche come recentissimo lavoro quello dedicato a un  Cristo-Uomo: un’altra tela che il Maestro mi ha dato il privilegio di vedere in fieri, (fin dall’accurata preparazione della mestica, tra miscellanea del bianco piombo e del bianco zinco ) e in seguito di seguire queste due opere nei mesi di lavoro che l’hanno prodotte: testimoniano nella loro straordinaria bellezza le albe insonni, nel silenzio dei ritmi del cuore, nei dolori che l’anima e il corpo infliggono all’uomo. Impressionante il miracolo a cui si assiste nel volteggio quotidiano di foglie d’autunno che ogni giorno danzano nei chiari pensieri, nella dolorosa ricerca di testimoniare ciò che il cuore detta. Trovarle in una metamorfosi quotidiana, dove lo studio della luce, delle ombre e penombre, dei pieni e dei vuoti, del tono su tono danno vita   a un mondo viola, a piegature setose, morbide  sensualità, a pudori romantici.
Anche adesso l’arte di Supino ci sorprende per i suoi fuochi levigati, sotto lo stilema raffinato, studiato fino allo spasimo arde una ribellione al male, una tessitura  di scelte coraggiose che tutte confluiscono non pacificate nella sua arte.

domenica 20 novembre 2011

I dipinti minturnesi di Antonio Sicurezza

Il 20 novembre alle ore 16,00 presso la Sala Consiliare del Comune di Minturno verrà presentata l’opera di Mario Rizzi dedicata al grande pittore Antonio Sicurezza ,prefazione all’opera di Carmen Moscariello.

Presenzierà il Commissario prefettizio Vincenzo Greco. Relatrici la Poetessa Carmen Moscariello e la professoressa Grazia Sotis. Sarà presente il figlio del Maestro, l’ammiraglio Eugenio Sicurezza

Dalla Prefazione:

“L’umile Dio dell’Alba”*

Antonio Sicurezza e la città di Minturno

Di

Carmen Moscariello

il poeta Giuseppe Conte ritrovò nella purezza del più semplice l’alto canto poetico, lo stesso può dirsi dell’arte pittorica del  Maestro Antonio Sicurezza, testimoniata in quest’opera dall’accurato studio di ricerca di Mario Rizzi.

Quello di più candido, quale un’alba trifolante sul mare, ancora attonito dai chiarori lunari, è raccontato nel testo da infinite e preziose testimonianze umane e artistiche.

Proprio quella luce, che attraversa ogni immagine dell’opera di questo importante Artista, testimonia la bellezza di un percorso teso verso l’Essenza.

Dalle opere sacre in trasparenza di mitezza e sacrestia , agli evangelici  nudi, alle chiacchierine nature morte, c’è l’ardire di uno studio fatto non solo di linee e spatole, ma di una ricerca dell’altrove.

Che dire degli oggetti dello studio dell’artista che ci raccontano la storia di un uomo semplice, quel mettere in prima fila, quasi un palcoscenico, la sacralità del pane: poco basta al genio per vivere, mentre i libri occupano quasi ogni spazio, l’orizzonte poetico è raccontato da questa urgenza del meditare, appunto del ricercare.

 E’ la luce che si bagna, si irraggia , attraversa limpida e fa splendere e inchioda lo spirito che entra nelle cose.

Crediamo sia fatica inutile rapportare i capolavori di questo Artista a una qualche scuola  del Novecento o altrove,  e vestirlo di una definizione che lo vede maestro nel riprodurre il reale. Questa fissità non gli appartiene, poiché Egli non riproduce, ma ricerca quell’anima mundi che è in appartenenza ad ogni cosa del cosmo.

L’arte di Antonio Sicurezza è poesia, è la storia dell’anima che piegata su stessa ricerca un percorso sacrale, senza mai distaccarsene. Non a caso molte chiese gli commissionarono numerosi lavori e oggi fanno bella mostra, impreziosendole non poco, ma soprattutto restituendoci quel misterioso analogico cammino della luce.

Ammirando i due capolavori della chiesa del Carmine a Formia non si comprende mai  se la luce scenda verso chi prega, oppure rapisce per proiettarci in alto  in un mondo mansueto d’amore, un San Francesco che nelle sue mani possiede la città turrita e quegli spazi d’orizzonti, mutevoli,  quel verde quasi incompiuto: non è dato all’uomo completare l’ascesa.

Ricchissima quest’opera in basso di infiniti particolari, un mondo di colori con i fichi d’india a i piedi del Santo, per purificarsi man mano salendo fino al Nulla, quasi esso volesse meglio dimostrare l’Essenza.

Altro particolare che ho amato studiare sono i piedi che escono dalle lunghe vesti, piedi disadorni, stabili potenti nella loro forza, fatti per sostenere corpi  luminosi, tessuti di trasparenze, di giuochi argentati, inumani.

Purtroppo non ho conosciuto personalmente il Maestro, nelle mie ricerche ho trovato poco sul suo carattere, ma doveva essere un uomo che conosceva la meditazione e la preghiera, le maree dovevano averlo attraversato più volte, per irrompere nel greto delle sue pitture.

L’irrompere lo troviamo nelle rappresentazioni di San Giovanni (Chiesa di San Giovanni a Formia); fanno bella mostra i suoi quadri nella chiesa, or ora restaurata, qui il colore è più sgargiante, la spatola si muove veloce sui corpi e sugli abiti, uno studio attento anche della rappresentazione.

Porrei  l’accento su questo punto: la rappresentazione;  il Maestro prima di iniziare il lavoro, anche delle nature morte, distribuisce gli spazi, quasi un regista e nel contempo scenografo che dà i ruoli alle cose e alle persone, niente è casuale, questa attenta distribuzione ci immette anche nel suo iter meditativo, ci illustra chiaro le sue scelte di vita che si trasformano poi in scelte artistiche.

La sua arte è sempre vestita di umile, ama l’essenza, fiorisce e si intreccia di raggi come un mandorlo di primavera.

Si dice nemo profeta in patria, ma al contrario Antonio Sicurezza fu apprezzato, capito, amato e tutti i paesi limitrofi alla città di Formia e la stessa città si fregiano di sue opere preziose.

E, qui si pone l’urgenza di questa pubblicazione di Mario Rizzi, poiché le opere che ho elencate sopra sono tra le più conosciute, mentre quelle indagate dall’autore sono altrettanto preziose e quindi da offrire alla conoscenza del grande pubblico.

Il lavoro di Mario Rizzi ha ricercato con certosina precisione sulle opere che la città di Minturno possiede, rappresentandole singolarmente e ponendo l’accento in particolare sulle pacchiane minturnesi e quindi sul mondo femminile contadino che non poco doveva affascinare l’Artista. Dove attingere se non nel più puro: le giovani fanciulle e la terra con la sua forza vitale, rigeneratrice.

E così, nella sua ricerca lo studioso ci propone la fanciulla con gatto nero, sempre viso basso, purissimo, assorto, dove sorprendono le trasparenze dei merletti, pure la pacchiana con fuso, qui  protagoniste a confronto sono la  giovinezza e la  vecchiaia, entrambe fascinose.

Continua, Rizzi nel suo accurato studio, a proporci altri quattro lavori dedicati alla pacchiana, sottolineando come  l’artista non si ripete mai nel garbo e negli orpelli. Tutto va a definire un mondo arcaico, seppur lontano, prezioso che l’Artista osanna, eleva a strenua bellezza.

Naturalmente non poteva, Rizzi non testimoniare della mostra che il Maestro tenne a Minturno nel 1956 , e qui ci propone lo scorrere  di immagini, né  sorprende  lo studio accurato dei volti. Credo che il Maestro si sia accanito a voler testimoniare nelle pieghe scarnificate, profonde di vita (vedi la descrizione che Rizzi fa di Girlando il minatore fig. 5, nel paragrafo rapporti amicali di Sicurezza con i minturnesi)   le ferite inflitte dal tempo; interessantissimi sono i volti degli anziani, sia maschili che femminili.

La stessa pensosità a cui accennavamo agli inizi, attraversa i luoghi, impregnati di storia, i vicoli dai quali la luce filtra e tesse lo scorrere  inesorabile del tempo.

Mario Rizzi non si sottrae anche dal raccontarci oltre agli archi e alle chiese e agli spazi e al cielo minturnese ritratti dall’Artista, anche fatti e rapporti che Egli ebbe con personalità della città come quelli con  Angelo De Santis e Pietro Fedele, oppure con l’amico Domenico Giarnnella.

Ed ecco alfine protagonista “La frutta e il mercato settimanale del sabato a Minturno”, le preziose nature morte: quelle spighe che si aprono alla vita, al sole, spigolano chicchi dorati , tra cipolle  e meloni; il Maestro ama l’umiltà della  materia e il suo grembo  dischiude maree di frutti succosi, aggrovigliati in dolce sentire.

Questo studio è esemplare, poiché ci consegna la storia di un Artista che appartiene carnalmente ai nostri luoghi e in questo caso alla città di Minturno.
Lo studioso ci racconta le opere, le tira fuori dalle collezioni private  per trasformarle in patrimonio di noi tutti.