domenica 24 maggio 2020

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Zygmunt Bauman 

venerdì 22 maggio 2020

"Il sorriso del mare" di Nazario pardini


Il sorriso del mare  di Nazario Pardini

Edito da Blu di Prussia, prefazione di Anna Vincitorio, postfazione di Eugenio Rebecchi

Mi è giunto ieri sera, dono graditissimo, Il sorriso del mare.
Un canzoniere d’amore che  ha la delicatezza del vento quando accarezza fin l'ultima foglia e sfoglia il tepore delicato dell'amore, regalandoci una sfera di giovinezza anche a noi lettori , come se avessimo insieme al Poeta vent'anni. E' un non correre, un dolce cercare, ordinare, accarezzare, una scia musicale, costruita su immagini e fili di orizzonti: è l''anfora sacra dalla quale Delia mesce la giovinezza. L’ho letto d’un fiato, appena scartocciato , con una di quelle copertine che fanno sognare: un sole che tramonta nel mare di Torre del Lago Puccini, con i colori tra l’arancio e il grigio. Debbo confessare che nello spazio di pochi giorni mi sono occupata di quattro canzonieri d’amore e di passione e di erotismo, uno più bello dell’altro. Scritti da poeti non più giovanissimi, ma che hanno conservato intatto una delicatezza del sentire, un saper raccontare.
In una delle ultime mail che mi giunse dal Professore Emerito  Aldo Masullo, che insieme a me aveva ricevuto “Parole d’amore Il tuo cantico- il mio canzoniere" di Giuseppe Iuliano, oltre a lodare con affetto (così faceva, quando qualcosa lo conquistava), aggiunse “L’amore in vecchiaia è più potente e pericoloso di quanto ci si innamora giovanissimi” Chissà se Nazario Pardini è d’accordo con questa riflessione. In questo libro però c’è l’arcano delicato e misterioso, non il racconto, sarebbe troppo riduttivo: vive come se fosse ora la passione per la propria donna fanciulla, ma la stessa passione forse più intensa dei suoi amori attuali. Di straordinaria bellezza è l’incipit della prima poesia, l’ho letta più volte, l’ho studiata: Mi è passato d’accanto il tuo sorriso/appoggiato alla spalla di un torrente/che lieve scorreva verso il mare./L’ho catturato con la rete da pésca/ e l’ho messo sotto l’abat Jour.
Risplendeva/ come un sole e illuminava la notte/della stanza. Vado spesso sul torrente/con la rete nelle mani, sperando/di catturare altre immagini di te/che in acqua te ne scorri indifferente/al mio bisogno di averti./ Ti prego avvisami quando passi da queste parti, /io sono qui pronto a pescarti. E magari /anche a tuffarmi nel fiume per affogare/con la tua bocca nel cuore.
Che dire, questi versi non mi fanno rimpiangere Petrarca, Né tutti i poeti del Dolce Stil  Novo, né i poeti latini e greci (neanche Saffo) di cui Pardini sa tutto. Quanto candore, forse i Canzonieri che ho letto in questi giorni conservano un tesore che difficilmente le donne di domani potranno godere. Chissà se avranno mai la fortuna di ascoltare parole (sono importanti le parole dettate dal cuore) che diventino un abbraccio di luce di speranza, di sogni.
La bella recensione di Anna Vincitorio (spesso Pardini affida le sue opere a una donna) ci apre molte porte:”… Anche la musica è realtà che accompagna e la primavera diverrà fonte di vita. E ci sarà sempre una Delia nel tempo e fuori del tempo, anche se vagheggiata a illuminare i giorni o lo spazio di un poeta.”
Il poeta prova a dare risposte convincenti sul senso  dell’amore, sconvolgendo l’orologio del tempo, mettendo la storia come un’elegante e unica seta fiorentina  per coglierne ora, ancor più che ieri, tutta la bellezza, tutta la sensualità, la timidezza tenera come le rose di maggio delicate, morbide profumate. Tutto è avvincente, come sanno fare solo i Poeti, c’è un torrente di immagini che si afferrano, si aprono, ci parlano, ci raccontano una favola bella “che ieri ci illuse, che oggi ci illude, o Ermione." Così l’amore è il vento, è la malinconia  di Chopin  o la serenata di Schubert, o il coro a bocca chiusa di Puccini.  Ed ecco il suo amico Puccini al quale il poeta al tramonto, sotto la Torre,  racconta i suoi amori e aspetta che il sole sia inghiottito dal mare, nell’attesa di splendide albe e nuovi orizzonti.
Carmen Moscariello


mercoledì 20 maggio 2020

Come essere un poeta










Come essere un poeta
(per mio promemoria)


Respira con respiro incondizionato
l’aria non condizionata.
Lascia perdere i fili elettrici.
Comunica con lentezza. Vivi
una vita a tre dimensioni;
stai lontano dagli schermi.
Stai lontano da tutto ciò
che offusca il luogo in cui si trova.
Non esistono luoghi che non siano sacri;
soltanto luoghi sacri
e luoghi profanati.
Accogli quanto viene dal silenzio.
Fanne il meglio che puoi.
Con le minute parole che a poco a poco nascono
dal silenzio, come preghiere
riverberate verso chi prega,
componi una poesia che non turbi
il silenzio da cui è nata.
 (Wendel Penia)


sabato 16 maggio 2020

Giordano Bruno, l'apostolo della modernità di Aniello Montano
















L’opera drammatica Giordano Bruno Sorgente di Fuoco   Di Carmen Moscariello.
 L’apostolo della modernità
Di
Aniello Montano


La trasposizione scenica di una storia, in cui biografia e pensiero del personaggio sono talmente intrecciati da non poter essere separati, non ha nessun obbligo di attenersi strettamente ai fatti documentati o di ricostruire in modo filologicamente puntuale i contenuti delle opere filosofiche. Ha l’obbligo, invece, di rappresentare un’atmosfera, un ambiente culturale, lo stridore delle posizioni che si scontrano e si combattono in un’epoca particolarmente travagliata e difficile, quale certamente è la seconda parte del Cinquecento. E a quest’obbligo, credo, che Carmen Moscariello abbia risposto in maniera viva e partecipata. Oggetto del dramma, come dichiara apertamente il titolo, è la figura e il pensiero di Giordano Bruno, filosofo ardente per temperamento e convinzione profonda, per dedizione sincera alla verità elaborata con metodo filosofico e amore per la libertas philosophandi, conquista preziosa della modernità.
La commedia, fin dall’inizio, vuole dar conto dello scontro frontale tra modi diversi di concepire la verità e di intendere il ruolo e il significato della filosofia. Da una parte c’è la tradizione sordamente fideistica, dall’altra il pensiero nuovo, l’ansia di indagare in modo razionale la realtà naturale e umana, il desiderio di rompere gli steccati, superare i divieti, avventurarsi per sentieri nuovi, proporre altri traguardi, altre mete, da scoprire e da raggiungere con la forza del pensiero libero, sorretto da un “eroico furore”. La tradizione è rappresentata dalla folla di uomini e donne, trasformati rispettivamente in asini e maiali dalla Maga Circe, e poi dai dottori di Oxford, da Bellarmino, dai giudici inquisitori, dai frati salmodianti e dalla folla che si scaglia contro il martire condotto al rogo. L’innovazione è rappresentata da Bruno, in primis, poi da Campanella, dai tanti filosofi e studiosi della natura, impegnati a porsi in maniera critica e autonoma rispetto al passato e a rifiutare l’obbedienza cieca all’autorità, restia a ogni osservazione critica.
Nei tre atti della commedia, il contrasto tra questi due modi di pensare e di vivere è rappresentato con vivacità di situazioni e di linguaggio, in modo da farlo risaltare al massimo, per mostrare la superiorità degli uomini “nuovi” sui custodi del passato. Uno degli accorgimenti messi in essere dall’Autrice è la struttura dialogica, costruita in modo tale da rendere immediatamente palese l’asimmetria tra le due posizioni in campo. Mentre Bruno, nella bagarre che si scatena in tutte le scene del dramma, tenta di elaborare e presentare la sua posizione e le sue ragioni, cerca di giustificare l’ardimento della sua nuova filosofia, elaborata recuperando spunti e intuizioni dei filosofi-scienziati della Grecia più antica, in uno con i più recenti risultati del pensiero scientifico e filosofico di Copernico e di Cusano, i suoi detrattori lanciano soltanto invettive e insulti, come chi, a corto di argomentazioni valide e fondate, si lascia andare all’aggressione, quasi fisica, dell’avversario.
Bruno, l’intelligenza guizzante tesa a scrutare l’infinito Universo in cui roteano infiniti mondi, desideroso di accreditare un modo tutto nuovo di intendere e sentire Dio, la Natura, l’anima e la vita e impegnato ad argomentare le sue ragioni con una dialettica raffinata e scaltrita e con una tensione morale sentita e sofferta, si misura, da solo, con l’organizzazione articolata e sedimentata del sapere tradizionale delle Chiese, cattolica e protestante, delle Università europee, dei conventi e del sentire comune. È una lotta impari, che il Nolano affronta con coraggio e sprezzo del pericolo, con la serenità fiduciosa di chi sa di aver intravista la via della verità e di avere il dovere civile e morale di percorrerla fino in fondo, senza deflettere e senza pentirsi. Carmen Moscariello avverte la grandezza di questo genio del pensiero, lo presenta come eroe, qual è, del “libero pensiero” e lo fa lottare con tutta la forza del suo spirito indomito, con la gente comune, con i dottori oxoniensi, con i teologi del tribunale dell’Inquisizione. Lo presenta come un gigante in lotta, irremovibile e impavido, che non arretra di fronte alle minacce, neppure nell’ora della morte. Forzando poeticamente le testimonianze relative alla morte sul rogo, lo immagina e lo rappresenta nell’atto di gettarsi egli stesso nelle fiamme che si levano dalla catasta di legna nella piazza di Campo dei Fiori. È una scena, quest’ultima che ben sintetizza e sigilla tutta la rappresentazione drammatica.
Nelle scene dei tre atti elaborati dalla Moscariello, è icasticamente raffigurato il contrasto epocale tra due sistemi di pensiero e potremmo dire tranquillamente tra due epoche, una strenuamente decisa a difendere l’età medievale, l’altra impetuosamente spinta a demolirla per far nascere la modernità; l’una tenace nella difesa di una filosofia unica, sostanzialmente legata alla teologia e alla fede religiosa nel Dio assolutamente trascendente, l’altra impegnata a far sorgere dalla critica all’aristotelismo e al fideismo cristiano ad esso legato una pluralità di filosofie e di sistemi di pensiero, tutti liberi e in perenne dialettica tra loro.
In questo duro scontro di posizioni, la Moscariello riesce a fare intravedere la novità del pensiero del Nolano, che lega l’idea di Dio alla Natura, considerata imago Dei, simulacrum Dei, templum Dei, di un Dio non distante né discosto dalla Natura e dall’uomo, ma vicino e dentro la Natura e l’uomo. E riesce anche a fare balenare la nuova idea di morale, non più intesa come rispetto di regole astratte, come pura contemplazione di norme credute assolute, ma come impegno, come fatica, come tentativo continuo di affermazione di nuove condizioni di vita, di realizzazione della “civile conversazione” e di spinta a rafforzare il “convitto di popoli”.
Nella sua libertà ideativa e argomentativa, la Moscariello dà conto della frattura che in quell’epoca drammatica si veniva aprendo tra vecchio e nuovo, tra Medioevo e Modernità. E fornisce chiara l’idea della grande attualità, ancora oggi, di quella tensione alla libertà di pensiero, che nessun credo e nessuna istituzione potranno mai trattenere a lungo o bloccare del tutto.
Aniello Montano



Le vie occulte e infinitamente varie.





Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene, e di vili contro i generosi. Quando due o più birbanti si trovano insieme la prima volta, facilmente e come per segni si conoscono tra loro per quello che sono; e subito si accordano; o se i loro interessi non patiscono questo, certamente provano inclinazione l'uno per l'altro, e si hanno gran rispetto.






Se un birbante ha contrattazioni e negozi con altri birbanti, spessissimo accade che si porta con lealtà e che non gl'inganna, se con genti onorate, è impossibile che non manchi loro di fede, e dovunque gli torna comodo, non cerchi di rovinarle; ancorché sieno persone animose, e capaci di vendicarsi, perché ha speranza, come quasi sempre gli riesce, di vincere colle sue frodi la loro bravura. Io ho veduto più volte uomini paurosissimi, trovandosi fra un birbante più pauroso di loro, e una persona da bene piena di coraggio, abbracciare per paura le parti del birbante: anzi questa cosa accade sempre che le genti ordinarie si trovano in occasioni simili: perché le vie dell'uomo coraggioso e da bene sono conosciute e semplici, quelle del ribaldo sono occulte e infinitamente varie.(Leopardi, Pensieri)

Almanacchi.... almanacchi nuovi....?

Era il 7 gennaio di qualche anno fa, rientravo a scuola dopo il periodo delle vacanze di Natale. Non avevo neanche messo piede in classe che una mia collega  mi venne incontro piangente e disperata "   aiutami, ti prego..  ho ricevuto  una riservata, ma io non ho commesso alcun torto!" non smetteva più di piangere e mi pregò di accompagnarla in presidenza per chiedere al dirigente scolastico le ragioni di questo accoglimento non certo festoso proprio  a inizio del nuovo anno. L'accompagnai, si discusse duramente e l'autore della riservata divenne molto conciliante. La collega ottenne ciò che voleva , dopo che questo avvenne mi apostrofò in presenza del preside: " ah ..... sei sempre la solita, non dovevi usare questi toni  col preside, mi hai messo in difficoltà....." sic.


Di episodi peggiori di questi se ne possono raccontare a iosa. Qualche anno fa mi sono recata in Sicilia per vedere una mostra di pittura, prima di partire me lo lasciai sfuggire con una conoscente, questa subito si autoinvitò. L'indomani al treno oltre lei trovai anche il marito. Visitai la mostra, la mia conoscente non venne perchè non le interssava la mostra, anzi tentò di convincermi che non valeva niente. Naturalmente io rispettai le ragioni del mio viaggio, e la mostra era meravigliosa. La sera il proprietario dell'albergo e del ristorante offrì a noi due del vin santo e dei dolci alle mandorle, il marito era già in camera, noi non ci trattenemmo più di un quarto d'ora. Al momento di risalire nelle nostre camere,prima che io arrivassi alla mia, la poverina aprì con garbo la porta della sua camera, si udì un urlo terrificante del marito che le scaricò a dosso ogni genere di porcherie. L'indomani, mi alzai presto, non volevo incontrrli, feci colazione e uscii per una passeggiata sulla sabbia nera e con un mare invernale ricco di fascino. Felice della passeggiata avevo dimenticato il brutto episodio. Rientrai spensierata e mi avvicinai al banco per chiedere la chiave della mia camera, mi raggiunsero come un lampo i due felici e contenti " hai sentito quegli urli ieri sera?" risposi di non aver sentito niente. "Noi si. C'erano degli ospiti ubriachi nell'albergo" e poi rivolgendosi all'albergatore "questi incivili, avreste dovuto sbatterli fuori" sic.


Immenso Leopardi, amo Leopardi..
Racconti di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

venerdì 15 maggio 2020

Dante Maffìa: Il tracciamento del Dolore e dell'Amore









Come quella di Ibico è la sua Poesia .

A primavera, mentre fioriscono  i meli
cidonei ,  irrigati dal giovane
torrente e  nel giardino delle vergini
  

che ombrosi di nettare,
sbocciano e fioriscono, profumano i vigneti,
per me Eros immortale, sempre
è irruento ,irrefrenabile in qualsivoglia  stagione,
 con lui si animano i  mie fiammeggianti urli di pazzia  
un  vento tracio  irrequieto gelido proveniente dall’ alba boreale, è gonfio di terribili tuoni e fulmini,
mi stravolge  Afrodite, mi infiamma  la mente e il cuore.[1]

Forse un giorno, Rhegion, proprio accanto al monumento eretto per Ibico, ne farà scolpire uno uguale per eleganza e lucentezza  per il poeta Dante Maffìa e, tanti altri poeti, fra mille e cento anni,  ancora ricorderanno  il suo ardore il suo amore per Reggio, il suo andare e venire dal fascino di  una terra dalla quale mai il poeta si è separato. 
Anche Maffìa,   partì per il Mondo, come Ibico che  lasciò Rhegion  e si recò  nella bella e luminosa Samos con il suo mare di scogli e le sue solitarie casette basse,  tutte colorate d’azzurro, con  i suoi pescatori ubriachi di  ouzo, storditi fin dal mattino, sempre  in cerca d’amori  e il suo bosco di pini, subito alle spalle del mare, quasi  si protrae fino alla riva e avvolge come corona il  tempio di Era,  a proteggere  i suoi odorosi vigneti che  portano fresca ombra all’isola. Come Ibico scelse Samos,  un luogo identico per bellezza e fascino alla sua terra natia, così Maffìa, ogni volta come esperto astronauta  e topografo  di lungo corso,   ridisegna dal mare e dal cielo, ovunque si trovi,  ogni via ,ogni monumento, ogni ricordo dei suoi luoghi, con essi l’archetipo del suo dolore per millenni ho attraversato/i deserti più infami [2],
in  una mescolanza d’azzurro e grigio si mesce  da un’ anfora diotica il nettare degli dei e uno strano  veleno che  è il miracolo del suo vigore, da esso è nato  il coraggio di essere quello che è, senza infingimenti, né bugie. I suoi sono”… poemetti polimetri,” in cui si intrecciano e s’amalgamano interessi analitici  e tensioni discorsive in un contesto immaginoso ed epico a un tempo. Il poeta trasmigra incessantemente col suo “io” da un presente in primo piano a un passato di sogni perduti, da un contesto di cultura moderna a una fascinazione mitica. Il risultato è sempre di cristallina chiarezza.”[3]
Queste precise parole di Luigi Reina scritte nel 1986, credo che valgano tutte a confermare una poetica ampia e fascinosa che anima tutt’ora le sue recenti opere, vedi per esempio “Ritorno a Reggio”[4].
La sua casa,  gli abitanti del suo cuore di allora e di ora, il cielo e il mare della Calabria, l’amore per questi spazi  abitati dagli dei dell’Olimpo non sono solo  ricordi, bensì, essi sono il mito, qualcosa di eterno che appartiene e apparterrà a tutti nei secoli.  Un amore vero come si può amare un grande amore è riservato a Reggio, una  signora –donna, a lei è dedicato un canzoniere tra i più belli della letteratura passata e presente, un  amalgamarsi della scuola pitagorica- lirica con il Dolce Stilnovo, con le sfumature della poesia di ogni tempo, un   crater che contiene il fascino di molte lingue, di una storia di dee e di donne: la dea Artemide, la fata Morgana, il miti di Eros e Afrodite e ad esse lo stringersi di storie vissute ieri, con quel miracolo che gli dei hanno  voluto, facendo nascere Reggio. Il canto è spiegato, ma si sublima non in qualcosa di astratto e puramente lirico, in una serenata cantata con l’ibicino[5], tutt’altro,  in questo canto ci sono tutti gli amori, tutte le tenerezze che il poeta ha donato alle donne amate nella sua vita. C’è troppo eros per pensare che l’inno all’amore sia soltanto un senso unico, se così lo interpretassimo toglieremmo stupore alla sua poesia; la passione  che infiamma i versi è determinante alla loro grandezza e unicità:
 “Se fosse possibile assaporare/ogni parte del tuo corpo,/ sentire fremere gli usignoli di Venere” [6].Perciò, noi l’avviciniamo a Ibico, che Cicerone considerava un poeta dell’amore erotico, vogliamo dire che il transfer che il poeta applica nel suo   teagenico[7] lirismo per Reggio, nutrito di purezza di sogno, vive di  un attraversamento erotico persistente.
 Ha qualcosa di miracoloso.
 Leggendo attentamente si provano sensazioni quasi febbrili, ossia,  poiché queste scritture sono ninfe di azalee di  una laguna immensa che parte dal VI secolo, dalle grandezze imperiture della Magna Grecia per arrivare fino a noi (Omaggio a Umberto Saba)[8], sul piano del sentire si avverte  un languore di odori di ginestre, di  fondali marini, di  bronzi di Riace, tutto un universo assorbito dalla Poesia, che testimonia  il mare immenso dell’anima. Nell’esaltazione del miracolo che gli dei hanno  fatto regalandoci Reggio:”Anche a me,caro Borges, sembra una bugia/che Reggio Calabria sia cominciata:/la guardo e mi sembra eterna./Come lo Spazio, come il Tempo e L’Aria”; il poeta testimonia  un cordone ombelicale che mai è stato tagliato, non solo quello del mito e della bellezza, ma anche quello del dolore che non conosce sponde, non si annega in mari diversi, quasi che esso sia divenuto costituzionale al poeta e alla sua Poesia, ma anche ai luoghi della sua infanzia. Dunque Reggio è amore, essa non è  il ricordo della sofferenza, ma il dolore vivo, intatto che alimenta questa grande Poesia che è il racconto della vita del poeta, ma anche di Reggio  città che ha sofferto in ogni tempo: :”Quel giorno ero nel mare a contemplare/i sussulti e le intermittenze dei colori/che si scambiano carezze /con parole sognanti e ardori di cicale….. Ci fu all’improvviso il buio./ lo scardinamento delle forme/l’ecclissarsi della geometria/, l’inabissarsi/d’ogni senso e ragione/ il guasto senza tregua , il caos divenuto imperatore. / L’inferno in pieno assetto di guerra[9] .Quindi, le strutture  sono molteplici: ci sono le silenziose sere e le albe dell’Olimpo, alle quali il poeta geneticamente appartiene :”Io sono il poeta”[10] “…; ci sono  una  “madre” e un  figlio che sono la mappa di  una sorte difficile, dove l’infingarda  presenza della morte ha avuto un ruolo troppo forte; c’è la distruzione di una parte della Calabria, vedi il terremoto a Reggio del 1908; c’è  il refrigerio del mare e la coscienza di avere in sé la Bellezza,”I bronzi saranno al mio fianco,/un po’ dispiaciuti per la mia accecante bellezza”,[11] il poeta  sa…di possederla, di  essere portatore di bellezza; ci sono gli spettri della paura, e ,comunque, il  rimanere divini di fronte al male: ” poi fu la guerra e la rincorsa,/poi le perdite infinite/. I poeti arrancavano sulla moltiplicazione della morte”.[12] Da questo accomunamento  nacque la Poesia :I primi bagliori della parola mi ridestarono,/“Ti riconosco Reggio,/riconosco la voce che arriva /da millenni distratti,/ da concupiscenze altere,/dai fondali di una storia/d’eterni arcobaleni che hanno saputo intrecciare/ leggenda e storia”[13]
Così i versi di Maffìa hanno  le stesse stratificazioni di Rhegion, si nutrono di miti, di abbandoni, di sogni, di sfide,  della profondità del mare, di ferite sempre aperte, di un cuore immortale che prende per mano la sua vita e quello del mondo, quasi che questo fosse  un bambino: lo lava, gli ridà vigore per salvarlo dal caos.
 La scrittura si pone come  una telecamera che zooma senza sosta  i luoghi dell’anima e i luoghi della città, ogni sasso ,ogni pietra, tutti i granelli di quella sabbia sono l’eredità preziosa del poeta, ”i marenghi d’oro” che la città gli ha donato,  li ha coccolati, li ha moltiplicati, sono diventati granelli sacri di un  rosario, facendo della parola una forza di riscatto, non solo per se stesso, ma soprattutto per  Reggio e i suoi abitanti, oggi la città è amata e conosciuta, compreso il suo dialetto solo grazie alla Poesia di  Maffìa, non c’è altro cantore. Egli è, come  Omero fu per Troia e i suoi eroi.
Calamitati da un pianeta misterioso sono il mito, il mare, la morte, i versi, il silenzio: è una processione corale,  sono  canti corali come quelli di ibico, o meglio quelli di Orfeo che ammaliano, che colorano  il dolore con vesti rosse di seta, con altari senza madonne,  sciamano che viaggia tra la forza della vita e il conforto dei suoi morti.
Una passione che conosce uno strano intreccio, una volontà di seguire certi percorsi nella speranza di incontrare la sua Euridice.
 L’Euridice dei versi di  Maffìa è una donna che ha occhi gentili, mani generose, semplicità di cuore, parole di miele, balsamo per le sue paure, Rosina [14], sua madre che nel tempo ha occupato spazi dei quali nemmeno il  poeta si rende conto fino in fondo,  di quanto siano grandi. “Unico faro, caro Baudelaire,/il caminetto della vecchia casa/al mio paese. Mia madre accende/ buttando olio ai ceppi. E’ una vampata/che distrugge e subito ricrea/verità insolenti, cumoli indistinti/ e folli pause di consunta luce/. Mia madre soffia gemono i lari./S’apre la vita a netti orizzonti/blu rossi vividi. La mia porzione/la divoro intera: neutra canzone/senza fine e principio[15]
E’ lei che la mattina gli parla, lo mette in guardia, lo informa sul tempo. Sa che suo figlio è “particolare” è un genio che può destare invidia, la sera lo abbraccia ,lo consola, cura con unguenti preziosi e profumati   le sue ferite: Rosina che dorme da anni tra gli ulivi e il mare,/ non ha voluto aspettare/una nipote, una nipotina./ Se n’è andata in sordina/ con un lungo sospiro.… Rosina era giuliva/ capiva i miei umori/mi raccontava della sua fanciullezza/ ….Rosina sempre seduta / sfogliava anche lei il libro dei morti.[16]
C’è un “pezzo” di vita che Maffia con la sua ostinazione, col suo ardore vuole recuperare, vorrebbe che le cose tornassero a posto e che gli scalini della sua casa fossero ben piantati che non ci fossero inciampi, anche nella luce egli è “in cerca d’ombre”. A volte accostandoci ai suoi versi sembra di leggere nel fuoco di Prometeo quella promessa che acceca, quel patto che  il poeta ha fatto con Dio, pretende che la sua fetta di cielo non sia offuscata o si perda come un delfino  nei ghirigori delle onde, negli arcobaleni della parola, nello stridere “eroico” delle cicale. L’infanzia di Reggio è anche la sua, nel trionfo della deità  dei bronzi di Riace c’è l’immane potenza dei suoi versi, l’accorato ascolto delle profondità del mare,  c’è  la sua Poesia che  corteggia Reggio e la consegna al mondo, la rende immortale.

Carmen Moscariello





[1] Ibico, Frammenti. Rielaborazione di Carmen Moscariello. Ibico fu Poeta della poesia erotica (Cicerone);
1.     Ibico nacque a Reggio Calabria, all’incirca nella metà del VI secolo, fu poeta cantore dei fanciulli (efebo). Figlio di Fitio, ebbe come suo maestro il poeta  Stesicoro,  conobbe a Corinto  (qui morì assassinato)il  poeta Anacreonte;

[2] Opera citata,La scia, pg 41;
[3] Luigi Reina, Invito al 900”, pg.1072”Unico faro”, FerraroE, Napoli gennaio 1986;
[4] Dante Maffìa, Ritorno a Reggio, prefazione di Giuseppe Bova, Città del sole, 2019;
[5] Strumento musicale inventato da Ibico;
[6] Opera citata, Se fosse possibile, pg. 44;
[7] Poeta della Scuola Lirica (pitagorica) ,scuola esistente a Reggio e che poi si allargò a tutto il mondo culturale di quel periodo;
[8] Opera citata, pg 52;
[9] Dante maffia,  1908. Opera citata. Nella poesia c’è il ricordo del drammatico maremoo e terremoto a Messina e a Reggio che rase al suolo le due città e i luoghi vicini;

[10] Pg 17, opera citata “Al Museo”;
[11] Opera citata,Nel fondo del mare. Pg.43;
[13] Dante Maffià , “Ritorno a Reggio” “Ritorno” (dedica a Giuseppe Bova), pg11.Città del sole, Thegium Julii,marzo 2019;
[14] Dante Maffìa “Le due Rosine”;
[15] Luigi Reina, opera citata, pg1072 “Unico faro…”;
[16] Luigi Reina, Itinerario poetico di Dante Maffìa in Percorsi di Poesia, Alfredo Guida Editore.

martedì 12 maggio 2020

Octavio Paz"Archi"





Archi
a Silvina Ocampo
Chi canta sulle sponde del foglio?
Chino, bocconi sul fiume
di immagini, mi vedo, lento e solo,
da me stesso allontanarmi: lettere pure,
costellazioni di segni, cesure
nella carne del tempo, oh scrittura,
rigo nell'acqua!
Vago fra verdi
intrecciati, vago fra trasparenze,
fiume che scivola via e non trascorre;
mi allontano da me stesso, mi trattengo
senza trattenermi a una sponda e discendo,
lungo il fiume, fra archi di intrecciate
immagini, il fiume di pensieri.
Proseguo, là mi attendo, mi vado incontro,
fiume felice che allaccia e scioglie
un istante di sole fra due pioppi,
sulla pietra liscia che si trattiene,
e si distacca da se stesso e discende,
lungo il fiume, all'incontro di se stesso.

domenica 10 maggio 2020

Festa della mamma di Dante Maffìa















10 MAGGIO FESTA DELLA MAMMA

Primavera piovosa,
la tristezza ritorna avida
come dovesse compiere un dovere.
Le ore della giornata si mettono in fila
e ognuna ha da dire la sua,
tessiture di racconti sempre uguali:
disgrazie, amori morti,
viaggi, veleni del condominio.
Apro il balcone e chiudo gli occhi:
ecco, sono sulla Murgia, sul Pollino,
al mare di Roseto;
l’aria è dolce, un gallo canta,
l’odore di mia madre
mi scioglie il pianto.

DANTE MAFFIA


10 maggio 2020
a Roma

Marcello Carlino La similitudine nell'architettura della "Commedia" di Dante








La similitudine nell'architettura della «Commedia» di Dante: In retorica la similitudine appartiene alla specie delle figure di pensiero, incaricate tanto di compiti ornamentali, quanto, e soprattutto, di un servizio di promozione e di approfondimento della conoscenza. Nella Commedia di Dante non sorprende, dunque, che se ne contino tantissime e che la loro distribuzione valga a costruire un impianto architettonico a forte tenuta. Volte a colpire la fantasia del lettore, coinvolgendolo nel racconto, o a fornirgli alcune preziose informazioni; prestate a riconvertire alla comune esperienza quotidiana, così da poterne fare espressione, la terribilità, la grandiosità e l'ineffabilità degli spazi, degli eventi e dei personaggi incontrati nel viaggio ultraterreno; icastiche o riccamente articolate e dense di teatralità, esse sono una conferma della straordinaria capacità di rappresentazione di Dante e della gamma amplissima di funzioni e di valori del suo poema. Il libro ne ricapitola la logica e il sistema e ne individua provenienza, ambiti, caratteri prevalenti, non mancando di accostare, in analisi testuali di dettaglio, quelle più semanticamente intense, quelle più suggestive.