sabato 28 maggio 2022

Nota a “Fratelli tutti “scritta Da Padre Andrea Mandonico Missionario , teologo ,Professore Vice postulatore per la causa di Canonizzazione di Santo Charles De Foucauld Organizzatore delle Manifestazioni in onore del Santo Tenutesi pe quattro giorni a Roma in molte Chiese e nell’Ambasciata Francese

 

 “Fratelli tutti “ Nota scritta

Da Padre Andrea Mandonico

Missionario , teologo ,Professore

Vice postulatore per la causa di Canonizzazione di  Santo Charles De Foucauld

Organizzatore delle Manifestazioni in onore del Santo

Tenutesi pe quattro giorni a Roma in molte Chiese e nell’Ambasciata Francese

 

 

 

Roma 15 maggio 2022.

 

 

Molti sono gli articoli e i libri - più o meno voluminosi, più o meno ricercati ed eruditi - che sono stati editi in questi mesi, legati alla canonizzazione di Fr. Charles de Foucauld. Canonizzazione attesa da tanto tempo e desiderata ardentemente da tanti devoti sparsi oltre tutti gli orizzonti del nostro mondo. Tra queste pubblicazioni c’è pure il libro della professoressa Carmen Moscariello, originaria di Montella (Av), ma da moltissimi anni residente a Formia (Lt), dove per 42 anni ha insegnato materie letterarie nel locale liceo.

 

Papa Francesco nell’enciclica Evangelii Gaudium, testo programmatico del suo pontificato, al n. 13 scrive: “[…] La memoria è una dimensione della nostra fede che potremmo chiamare “deuteronomica”, in analogia con la memoria di Israele. Gesù ci lascia l’Eucaristia come memoria quotidiana della Chiesa, che ci introduce sempre più nella Pasqua (cfr Lc 22,19). La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). Insieme a Gesù, la memoria ci fa presente una vera «moltitudine di testimoni» (Eb 12,1). Tra loro, si distinguono alcune persone che hanno inciso in modo speciale per far germogliare la nostra gioia credente: «Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la Parola di Dio» (Eb 13,7). A volte si tratta di persone semplici e vicine che ci hanno iniziato alla vita della fede: «Mi ricordo della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce» (2 Tm 1,5). Il credente è fondamentalmente “uno che fa memoria”.

 

Questo libro della Professoressa Moscariello non è un libro di studio ma piuttosto un libro dove fa memoria del suo incontro con San Charles de Foucauld, come colui che ha inciso in modo speciale nella sua vita per “far germogliare la sua gioia credente”. Per incontrarlo si è spinta sulle “antiche rotte dell’Ahaggarnel deserto del Sahara, là dove il nostro Santo ha vissuto: prima a Beni Abbès, poi a Tamanrasset e specialmente all’Assekrem, dove ha sentito particolarmente vicino a sé la presenza del Santo. Un incontro emozionante, che nella sua semplicità è andato dritto al cuore della sua vita di fede dove, pur non dicendolo espressamente, lo Spirito l’ha condotta per mano ad abbandonarsi nelle mani del Padre, ricevendone serenità e forza nei momenti difficili della vita.

 

L’autrice, man mano che racconta di questo misterioso incontro con Fr. Charles, ci svela anche un po’ della sua vita, facendo memoria di quando a Vitorchiano ha sentito parlare di Fr. Charles suscitando in lei la curiosità di conoscerlo di più e meglio; di quando, abitando temporaneamente a Roma, ogni domenica andava in Piazza San Pietro ad ascoltare l’Angelus di San Giovanni Paolo II. Tappe che hanno segnato il suo cammino e l’hanno decisa ad andare sui passi di San Charles de Foucauld in Algeria. Ed è ancora Papa Francesco che ci presta la sua parola per ricordarci che “La memoria del popolo fedele, come quella di Maria, deve rimanere traboccante delle meraviglie di Dio” (EG 142). Le meraviglie che Dio ha suscitato e coltivato nel suo cuore; le meraviglie che ha visto intorno a sé e che hanno nutrito la sua ricerca di Dio hanno fatto crescere “la consapevolezza del fatto che il Signore ti tiene nella sua memoria e non ti dimentica mai. Di conseguenza ha senso chiedergli di illuminare persino i piccoli dettagli della tua esistenza, che a Lui non sfuggono” (EG. 153).

 

Inoltre, fra le tante intuizioni, esperienze che descrive ce n’è uno che mi ha colpito. Non è esplicitato ma lo si legge tra le righe: l’autrice non ha avuto paura di mettersi in ricerca. Una ricerca che sotto tanti aspetti e tanti affetti – quello delle figlie, degli incontri e delle relazioni – rivelano una ricerca del Signore. Non è forse vero che a Lui si va attraverso i fratelli e le sorelle che la Sua bontà ci dona e che incontriamo semplicemente sulla nostra strada?

 

La sua ricerca ha qualcosa del fascino della ricerca di Charles de Foucauld, che rientrando dall’esplorazione del Marocco, è alla ricerca del Dio che i musulmani gli hanno rivelato attraverso la loro ospitalità e la loro preghiera. Nella quieta vita parigina, mentre scrive Reconnaissance au Maroc 1883-1884, legge i filosofi antichi alla ricerca di uno stile di vita; cerca una risposta onesta ai dubbi giovanili; inizia ad entrare nelle chiese “passandovi lunghe ore a ripetere questa strana preghiera “Mio Dio, se esistete, fate che Vi conosca”, intuisce che ha bisogno di una guida, trovandola nell’abbé Huvelin.

 

Scrive don Epicoco “A volte i Santi diventano per noi immagine di quello che dovremmo vivere. Accade che, dall’imitazione e dal riempire i nostri occhi del loro esempio, a un certo punto iniziamo a somigliargli”. Mi sembra questo il cammino intrapreso da Carmen Moscariello che, sulle orme di Charles de Foucauld, ha scoperto che “Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri” (EG 121). E’ quello che l’autrice ha fatto semplicemente, ma cordialmente attraverso queste pagine.

 

E’ il cammino che auguro ad ogni lettore.

 

 

P. Andrea Mandonico, sma

Vice-postulatore della causa di

Canonizzazione di Charles de Foucauld.

 

 

 

 


 

 

mercoledì 25 maggio 2022

DANTE MAFFIA scrive su "Fratelli tutti" di Carmen Moscariello

 







CARMEN MOSCARIELLO, Charles de Foucauld – Fratelli tutti – Un’incredibile storia vera, Roma, Gangemi Editore International, 2022, pagg. 143.

 

Carmen Moscariello, è bene sottolinearlo subito, è una delle grandi protagoniste del mondo culturale del Secondo Novecento. E’ regista, poetessa, drammaturga, giornalista. Un’attività frenetica, sempre sulla breccia, nonostante l’impegno di professoressa di Italiano e Latino nei Licei.

E’ impossibile dare una sintesi esaustiva di tutto quel che ha fatto, dei libri pubblicati, degli oltre cinquemila articoli scritti, come impossibile è dare conto della sterminato interesse dei critici che le hanno dedicato pagine di rilievo storicizzando la sua presenza. Dico soltanto che non si ottiene tanto interesse se nelle pagine non si mette anima, cultura, esperienza e intelligenza, cose che lei ha fatto senza risparmiarsi, in modo da aprire di continuo strade che a volte sembravano impervie e con il suo intervento sono divenute agevoli.

A me piace di Carmen il suo essere, senza peraltro sbandierarlo, donna del Rinascimento, sia per le qualità prensili mostrate in ogni direzione e sia per la scelta degli argomenti che diventano sempre, nelle sue costruzioni o ricostruzioni, momenti di meditazione, di confessione, di confronto, di progetto che negli incastri e nelle pieghe nasconde sempre un forte impegno sociale.

Leggere Carmen Moscariello, nonostante la palestra filosofica e filologica portata avanti con Raffello Franchini, è un piacere enorme. Si ha costantemente l’impressione di scoprire il mistero che sta dietro i concetti, dietro gli argomenti e non si fa fatica, perché (è la grande lezione che da Benedetto Croce è filtrata nella prassi di Raffaello Franchini e poi in quella di Carmen Moscariello) nel comprendere, nell’appassionarsi, nel districare la fioritura delle tesi, delle descrizioni, delle affermazioni si entra in una dimensione  umanissima, elegante, leggera e coinvolgente. Anche quando l’argomento sembra, si badi, sembra lontanissimo dall’attualità, come nel caso di “Charles de Foucauld – Fratelli tutti – Un’incredibile storia vera”.

Marcello Carlino, da par suo, così comincia la sua illuminante “Presentazione”: “La prosa è ariosa, fluida ed espansa per effetto di cadenze e ritmi di poesia, che per altro, nella filosofia del racconto, appare investita di ruoli di primario rilievo. Così ciò che è, sulle pagine di Carmen Moscariello, diviene anche altro; e cangianze e trasfigurazioni si levano a sciami”.

E’ vero, sembra di entrare in una abbagliante luce di poesia nonostante la freschezza espressiva, la grazia eloquente e profusa con naturalezza.
Il personaggio è di per sé affascinante, ma Carmen ne sa dare soprattutto il fascino della santità, quel bene interiore che illumina il senso  recondito dell’essere umano, in modo che ogni pagina grondi di beatitudine poetica oltre che di beatitudine spirituale. “Il misticismo è la parola chiave per aprire le porte alla conoscenza di Charles de Foucauld. Un Santo che va inteso nella sua immane profondità come grande testimone della famiglia di Nazareth. Fu seguace e imitatore della vita di Cristo, proteso verso una sua totale abnegazione che si concretizzava nell’abbraccio dei più umili della terra. Egli è il grande promotore moderno del Dialogo interreligioso e del rispetto di tutte le religioni”.

Mi fermerei su questa frase, “il grande promotore moderno del Dialogo interreligioso e del rispetto di tutte le religioni”. Il nucleo di tutta la storia va cercato qui e infatti Carmen Moscariello non ha scritto un trattato, non ha realizzato una biografia, ma un racconto, un romanzo in cui ha trasfuso la sua anima interamente, i suoi propositi, i suoi pensieri, le sue aspirazioni. A dimostrazione della presa di coscienza della scrittrice nell’avventurarsi nel deserto leggiamo un passo che ci fa comprendere lo stato d’animo di Carmen proteso alla “Canoscenza”, direbbe l’Alighieri.

“Amavo la vita. Tutto in me si risvegliava come da un lungo letargo. Non c’era più tempo da perdere.

Restare muta, come ero stata negli ultimi anni mi inorridiva.

Un tempo lontano ero stata diversa. Allora anche i passi dolorosi venivano subito cancellati, poi il cuore si era indurito non sapevo e non volevo più perdonare né dimenticare…

Ma la mia vita era stata anche Poesia e deve essere poesia e perché ciò accada, essa va prima di tutto vissuta”.

Un lievitare interiore sembra suggerire questo brano, la prima mossa verso una sorta di conversione che però non si ottiene in maniera astratta. Carmen risorge, il romanzo si scrive quasi da sé, dettato dalle vicende  del deserto, dai comportamenti di Charles e così la Verità arriva come dono che investe il senso primo e ultimo della vita e dell’amore.

 

DANTE MAFFIA

 

sabato 21 maggio 2022

Ferdinando Cianciulli Martire del Socialismo. Digitalgrafic A cento anni dal suo assassinio a cura di Paolo Saggese e Giuseppe Iuliano.

 

Ferdinando Cianciulli  Martire del Socialismo. Digitalgrafic

A cento anni dal suo assassinio

 a cura di Paolo Saggese e Giuseppe Iuliano

 

Meritorio questo libro sotto tanti punti di vista.

 Quanti martiri ed eroi ci sono anche in un dimenticato o quasi dimenticato paese come Montella, detta la perla dell’Irpinia per il suo verde, le sue montagne, le sue sorgenti, i suoi castagneti, dimenticavamo, non bisogna farlo,  i suoi eroi? 

E Peppino Iuliano poeta attento e sensibile alla storia dell’uomo, mi invia quest’opera e mi coinvolge come al solito, mi ricorda che le mie origini sono montellesi. E ottiene successo poiché anche questo attento e meticoloso lavoro  ha tirato fuori dal mio subconscio o inconscio cose che ero certa di non conoscere e soprattutto di non appartenere minimamente ai fatti narrati. 

Chi era Ferdinando Cianciulli?

Il Poeta Giuseppe Iuliano e lo scrittore Paolo Saggese ce lo ricordano  non certo con testimonianze generiche, ma con la pubblicazione dei suoi scritti in collaborazione con altri autori importanti come  Generoso Picone (Direttore de Il Mattino che ad Avellino con il Professore Aldo Masullo presentò il mio Rocco Scotellaro, in un pomeriggio invernale, per me quasi gelido, reso dalle loro parole luminoso e imperituro),  si occupa da par suo della stampa politica irpina dal 1900 al 1920  e del giornale pubblicato da Cianciulli “Il grido” che io ho letto nella biblioteca di Saverio Palumbo del quale vi dirò più innanzi. Coautori sono anche Francesco Barra  che tratta la vita politica –amministrativa di Montella tra crisi  dello Stato Liberale e Fascismo. E non ultimo è l’mportante l’intervento di Cecilia Valentino che ci parla di Femminismo e Socialismo, personaggi familiari, come la moglie dell’eroe,  tessuti con i fili preziosi dell’abnegazione, del desiderio di pace e lavoro, del riscatto della donna esempio luminoso è la moglie di Ferdinando Cianciulli che prende parte attiva alle iniziative contestative e denunzianti del marito. Insomma questo libro ci parla anche di una Famiglia attiva che amava il prossimo più debole incapace di difendersi dalle angherie dei prepotenti

Il tema che ha scelto Paolo Saggese è di fondamentale importanza, poiché tratta  la storia dell’intellettuale irpino e dei fatti che lo porteranno al martirio. Perno luminoso è senza dubbio l’intervento del Poeta Iuliano  che parla dell’eroico furore e dell’accostamento della storia e del pensiero di Ferdinando Cianciulli  che per forza contestativa, per capacità di sacrificio della propria vita, per intelligenza politica e sociale lo avvicina  a Giordano Bruno. E’ un libro da leggere, da gustare in ogni sua virgola ci riscatta da tante umiliazione che Montella e il Sud continuano a subire. Non ultimo la distribuzione  dei soldi che l’Europa ha inviato al nostro Paese, soldi da utilizzare soprattutto per il Sud come è ampiamente precisato nel mandato europeo.

 Ognuno degli autori si è  ritagliato un suo spaccato di storia, di ricordi, di documenti che attestano senza ombra di dubbi che Ferdinando Cianciulli è stato un grande eroe. Dei miei pochi anni passati a Montella ricordo una casa triste con donne vestite eternamente di nero, sempre in lutto. Ricordo Wanda e le sue figlie, quest’ultime frequentavano insieme a me le scuole medie. Il libro è infatti presentato da Anna, Raffaele e Adriana Dello Buono, che ci introducono allo studio e alla comprensione più da vicino del loro amato parente. 

Chi era il martire?

Un giornalista di paese con un’intelligenza fervida e con un cuore generoso. Scrivo volentieri e con piacere su di lui, perché pur essendo stato ateo , amava gli umili, diciamo pure i poveri , i vessati del mio paese, da solo si contrappose a potenti politici, ad uno in particolare, il più potente di tutti, quello ritornato dall’America, arricchito e con dentro un desiderio di rivalsa, tanto da farsi eleggere Sindaco del paese, parlo di Celestino De Marco. Io e la mia famiglia, quando ormai  tutti i suoi beni ,  erano passati “ai Monaci” e lui era morto già da più di cinquant’anni,  abitammo in fitto in queste sue proprietà  regali, la villa e il parco  volevano  imitare quello dei re, Ricordo le statue, gli alberi da frutta le cancellate che si affacciavano sul Corso . Mio padre li aveva fittati all’asta a  un prezzo proibitivo di molti milioni di lire , nel fitto erano compresi i castagneti delle Malte, già di proprietà di Celestino De Marco, i castagneti che comprendevano l’intera montagna de SS Salvatore, aveva fittato tutto poiché solo in quel luogo erano concentrati molti “essiccatori” per le castagne. Le Malte erano e sono un immenso castagneto di migliaia di alberi. Dal parco  della villa io e  mio fratello dalle uscite laterali  ci infilavamo nel cinema Fierro per vedere i Colossal che hanno fatto la storia del cinema. Allora io non capii le ragioni del lutto della Famiglia Dello Buono, avevo forse 11 anni, nessuno mi aveva mai parlato di Ferdinando Cianciulli, né mai avevo sentito il nome di Celestino De Marco. Quando ho conosciuto il Dottore Saverio Palumbo  a Formia originario di Sant’Angelo dei Lombardi e compagno di liceo di uno dei miei zii. Fervido Socialista   Primario e fondatore dell’Ospedale Di Liegro di Gaeta, grande cardiologo che  ha salvato migliaia di vite, comprese quelle di mia madre e di mio padre, visitava e curava senza farsi mai pagare, era anche uomo colto che tanto ha aiutato Il Sud Pontino, mi parlava con amore e ossessione di Ferdinando  Cianciulli, delle lotte che questo giovane uomo aveva fatto in difesa degli umili e dei più poveri, soprattutto del suo assassinio, al quale non si è mai rassegnato. Mi raccontava della sua lotta contro i padroni e contro i latifondisti, delle innumerevoli lettere che questi inviava ai capi nazionali del Socialismo, ai Prefetti ai quali narrava le malversazioni politiche, delle manifestazioni che organizzava ad Avellino e  in Provincia di Avellino, della pubblicazione del suo giornale “Il grido degli  umili” poi chiamato semplicemente “Il grido” , delle importanti sezioni socialiste dell’Irpinia , delle minacce che riceveva quotidianamente, finché “ i padroni”  infastiditi dalla sua parola lo mandarono ad uccidere. Il Grido di Ferdinando Cianciulli è stato e rimane il Grido di Munch,  Il mio amico Pietro Nenni diceva che bisognava accostarlo a Rocco Scotellaro e a Giordano Bruno e mi sollecitava a scrivere. Egli aveva su di lui molti documenti  e scritti. Chi ne aveva più di tutti e li custodiva gelosamente, era il Dottor Saverio  Palumbo, sarebbe meraviglioso recuperarli.

 A salvare e regalarci questo spaccato di storia dimenticato dai più sono stati gli autori di questo libro, L’hanno fatto con il solito entusiasmo , con la loro alta professionalità a difesa e amore per i luoghi e i personaggi narrati.

Ho letto il libro,  è ben calibrato , scritto con passione e intelligenza, inteso quale insegnamento affinché non dimentichiamo i nostri Padri,  Rocco Scotellaro-I Padri saraceni!) i nostri eroi le nostre origini. Vorrei qui aggiungere perché vi entra di Di diritto in questa storia straordinariamente vera  entra  il grande Preside, Provveditore agli studi Attilio Marinari , figlio di Paolina Moscariello, sorella di mio nonno Giuseppe,  anch’egli grande socialista, immane studioso di Dante e Francesco De Sanctis, moltissimi i libri pubblicati con il “Vecchio” Guida, decine le pubblicazioni, candidato alla camera per il Partito Socialista. Importanti le Letterature e le Antologie scritte con la sorella Edda Marinari. Preside del Mamiani a Roma non ha mai dimenticato le sue origini, aiutato i più poveri, sorretto chi aveva bisogno, diffuso la cultura e il suo insegnamento tra le fasce più povere dell’Italia. Io e il Poeta Ugo Piscopo siamo stati suoi alunni in anni e Istituti diversi, il Poeta ad Avellino ed io l’ho avuto come Preside e professore al Francesco De Sanctis di Lacedonia.  Ad Ugo Piscopo si deve uno splendido panegirico pronunciato in un ricordo postumo  ad Avellino. Dopo la sua morte,   gli ha dedicato pagine indimenticabili, raccogliendo le testimonianze di quelli che l’avevano conosciuto e amato. Erano questi gli uomini che vivevano il credo, l’Utopia del Socialismo, ormai persosi chissà dove! Credevano nella cultura, nella politica, nel riscatto dei popoli .Il  martire Ferdinando Cianciulli, da Giuseppe Iuliano è avvicinato  giustamente a Giordano Bruno (condivido il suo pensiero di storico e di poeta). D’altronde la statua di Giordano Bruno che prima del terremoto troneggiava all’ingresso del vecchio comune di Montella, fu messo lì  dal Martire a Sue spese, l’aveva fatta forgiare  da un buon artista (troverete tutti i particolari nel libro) e lì l’aveva sistemata contro tutto e contro tutti, l’aveva fatta  erigere senza temere le severe contestazioni della chiesa di allora.

Carmen Moscariello

giovedì 19 maggio 2022

Charles De foucauld di Carmen Moscariello Gangemi editore









 


Charles de Foucauld -Fratelli tutti

Le antiche rotte dell’Ahaggar


Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perché gli uomini vi vivano, ha creato il deserto perché gli uomini vi ritrovino

 la propria anima.


Le antiche rotte dell’Ahaggar

L’opera è protesa alla scoperta del senso divino della vita  e alla narrazione della ricerca di Dio sulla strada seguita dal Beato  Charles Eugène  De Foucauld, in particolare si narra “la Regola del deserto” con la  quale il Santo incontra  Dio e le  creature più umili . La figura di Charles è più che mai attuale in questi tempi terribili dettati dalle bombe e dalla distruzione. Charles de Foucauld predicò con l’esempio della sua vita la Pace. “Fratelli tutti” è il punto focale della sua Regola. San Giovanni Paolo II lo dichiarò Beato e Papa Francesco l' ha voluto Santo. Le stesse encicliche del Papa si ispirano non solo a San Francesco, ma anche alla Regola e all’esempio di vita del Fraticello del Deserto. Egli come già San Francesco portò la pace tra gli arabi e i cristiani, aborrendo le guerre coloniali.

Lo scritto è  spesso assoggettato al disordine della memoria, alla confusione dei tempi, alla sedizione di un modo di vivere  nemico di Cristo, alla preghiera affinché cessino le guerre. Traspare nella  scrittura   l’ardore di credere all’ edificazione di una “Città del sole”, un mondo di luce dove l’amore semini la pace.

Si contrappongono molte cadute alla  rinascita. C’è la mano di Dio che aiuta e  protegge   dalle  scosse  distruttive di violenti terremoti, per dare voce alla preghiera dei ruscelli,  al nettare d’agave e a cogliere la luce di Dio dalla polvere dei venti del Sahara. L’opera, in parallelo  alla meditazione sulla conversione di Charles, esplora fisicamente e spiritualmente il deserto dei luoghi e quello dello spirito e aspira a realizzare una svolta dell’esistenza umana. In una costanza meditativa si cerca Dio, per suo tramite ci si avvicina al prossimo. Lo scritto apre le porte a un’analisi  spietata sulla profonda crisi di civiltà che l’uomo sta vivendo, esprimendo il distacco dal male in  un’esegesi ariosa e asprigna, nel tentativo di  lenire il   dolore. Si sceglie il deserto per disancorarsi, in un viaggio  che sfiora la morte. Gradualmente, i graffi della lotta contro i limiti della natura e dello spirito piegano e rivoluzionano l’intero modo di porsi davanti a Dio e al mondo. L’autrice racconta un’esperienza effettivamente vissuta, quella dell’attraversamento del deserto del Sahara con lo scopo di raggiungere il Romitaggio di Charles Eugène De Foucauld, nei pressi di Assekrem. Insieme ai molti altri  fatti reali  di  una vita  accidentata dai continui smarrimenti, si racconta l’esperienza del viaggio che  assume con gradualità i colori della fratellanza  al popolo Tuareg, al quale Charles dedicò molto del suo amore.

Il contenuto dell’opera  è manifestato con una  scrittura d’oscillazione tra la poesia e  il pensiero meditativo.

 ll tema  religioso e dell’amore hanno  un ruolo determinante, testimone ne sono il vento e le dune  del deserto. Questi lembi formano una rete densa di significati i cui fili s’intrecciano senza sciogliersi e portano un’anima quasi dannata ad abbracciare la croce di Cristo. (Opera di Carmen Moscariello, Gangemi Editore 16/ maggio 2022).

 








“Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio”. (Tonino Bello)

Capitolo I

 

Miraggio

 

Mi persi  a Fez [1].

Era  incantevole, le sue mura sfumavano nella sabbia del deserto. I vicoli della medina erano così stretti, a volte maleodoranti, non c’era anima viva, eppure mi sentivo fissata da molti occhi, da donne e uomini, occhi bramosi, curiosi della straniera: “Si è persa!”. Erano le voci degli uomini; le donne, anche quelle che accompagnavano a fiotti i ricchi emiri, le tante giovani mogli che  non parlavano mai,  avevano occhi pungenti e le dita delle mani e dei piedi colorate da preziosi tatuaggi, sembravano carte geografiche, fatte per territori inesplorati. Quando i vicoli mi portavano su una torre più alta potevo vedere i cammelli al tramonto (inimmaginabili per bellezza e mistero quei tramonti rossi-arancio), i cammelli erano anch’essi statue di sabbia si muovevano appena, impercepibile il loro dondolarsi, solo le code rompevano il vento. L’unico suono era il mio passo leggero e un fiato caldo che cresceva nel suo ululato. Impressionante è il silenzio, nessuna macchina, nessun motore, tutto era un  fruscio; non c’era il rumore delle foglie, c’era un vento che parlava ad alta voce, prepotente e in

inossequioso, sfidava la divinità del silenzio. Tutto era misterioso, quelle mura bellissime che circondano la medina e le porte alte,  non avevano permesso l’accesso alle   angosce.  

Le piazze piccole si aprivano e si chiudevano, quasi a stringermi tra le braccia. Il sole stava per tramontare e il mio corpo suggeriva amplessi e misteri a quegli occhi sconosciuti, ero diversa, ero bella, avevo un velo con tante sfumature di verde, ricamato di perle e zaffiri, mi avvolgeva tutta: sporgeva solo il mio piede nudo e delicato. Durante il giorno, quegli occhi nascosti sotto tende informi me li guardavano vogliosi. Iniziai ad avere paura, sembrava che gli spazi tra le mura della città fossero penetrabili e facili da esplorare, tutt’altro, la città era un labirinto di viuzze sempre uguali che si attorcigliavano su se stesse, avevano la forma dei grandi gusci di lumaca, non si vedeva dove cominciava l’uno, né dove finiva l’altro. I miei vestiti leggeri, quasi trasparenti, erano attraversati dai raggi di luce che da secoli si fissavano sulle mura antiche, che avevano respirato passioni e guerre. Mi trovai  finalmente davanti all’Università di Fez, forse la più antica del mondo arabo, tirai  dritto e, finalmente, a un giovane che mi veniva incontro gli chiesi in francese come arrivare al Rida de La Cheminé Bleue Fas, in prossimità della Porta di Bab, luogo dove si trovava il mio albergo. La medina fortificata, ormai avvolta da ombre dense non lasciava leggersi in nessuna sua parte, il grigio giallo delle costruzioni era diventato nero, brillavano ogni tanto delle piastrelle verdi e blu. Alzai alfine gli occhi verso il cielo e le stelle mi  apparvero così vicine e lucenti, come mai le avevo viste, neanche nel  deserto del Sahara egiziano, c’era un cielo che era  l’anfiteatro del Paradiso: un ampio mantello che mi  proteggeva dalla paura e mi apriva  porte misteriche. I miei passi attraversavano con levità e sapienza il firmamento della medina fortificata di Fez.



 Le montagne del Medio Atlante si piegavano su di me che inciampavo nelle strade dissestate con i miei  sandali delicati ornati con pietre luminose,  né le candele accese ai bordi dei  riad davano una qualche speranza di luce. Ero stanca e se ne avessi avuta l’occasione mii sarei volentieri seduta, le orbite di sabbia disegnavano col vento strane ombre, improvvisa ne apparve una gigantesca, alzai  gli occhi e intravidi un beduino del deserto, così mi sembrò, con gli occhi neri come la pece, il corpo avvolto da una sottana bianca lo fece sembrare un dio, né mi sorpresi, quando egli mi sorrise e mi diede la mano per guidarmi, mi parlò in un francese perfetto e mi disse di non avere paura. Fu lui a guidarmi dove volevo che mi portasse, e gli ripetei in francese  l’indirizzo del mio albergo. Percorremmo delle ampie scalinate colore della paglia e in breve tempo sbucammo dinanzi all’albergo. Gli uomini della hall, preposti ad accogliere gli ospiti si precipitarono verso di lui che diede comandi  in lingua araba, poi mi salutò senza stringermi la mano, si inchinò e si mise una mano sul cuore.

Silenziosa e vaga mi avviai   verso    la mia camera che ancora non conoscevo, appena aperta la porta sentii un odore acre di sigaretta, chiamai la hall per spiegare l’inconveniente e si precipitarono in camera tre giovani uomini, presero lesti i miei bagagli e mi spostarono in una camera bellissima con il  balcone che affacciava su Talaa Kabira, potei ammirare da qui le bianche torri merlate, che facevano sembrare la struttura un antico castello e in lontananza arrivavano i rumori dei souk e i canti dei minareti.

Mi svestii, lavai e asciugai il mio corpo dolce e mansueto e indossai una sottana di seta  nera, non dimenticai di velare il mio viso e i miei capelli, mi sembrò di guardare dall’esterno un’altra se stessa, respirai  lentamente e rimasi immobile per qualche attimo, l’immagine del mio corpo mi rimase accanto e sussurrò alle  orecchie: ”Sii felice!”.

Misteriosa e vissuta dai pensieri del silenzio, in quella terra lontana, con radici possenti, avevo in breve riacquistato tutta la mia femminilità. Mi sentivo bella e desiderata.

A cena  mi aspettavano le mie figlie e altre conoscenze occidentali,  non mangiai quasi niente, ma ballai per l’intera notte, leggera e pura come la luna che riverberava a ogni feritoia dell’antico castello. La notte profonda, immersa nel silenzio, mi fece quasi paura mi  girai e rigirai nel letto fino all’alba. L’indomani feci colazione, solo con un caffè arabo di ottima qualità e qualche dattero, uscii nell’immensità del cielo dell’alba, una donna sulla soglia delle scalinate dell’albergo con le mani meravigliosamente dipinte di henné, mi fece segno di avvicinarmi, senza dire una parola, mi  aprì delicatamente la mano e mi fece capire di aver visto due comete che avevano fatto il periplo del Capo di Buona Speranza, mi disse di  molte tempeste, ma anche di tanto amore. Felice pensai, se mai, finalmente, avessi potuto riconoscere questo grande amore. Nella mia  vita avevo scelto sempre l’uomo sbagliato. Il vento forte e aspro mi scompigliò il velo e, i miei capelli rossi mi  avvolsero fino a coprirmi il volto. I lunghi capelli scendevano lisci e ambrati fino alla schiena. Nessuno della comitiva era presente, né aveva fatto colazione; approfittai per girovagare nella medina di Fès. La città ferveva di vita e i mercanti avevano disposto la loro merce come in un anfiteatro. Acquistai l’olio di argan, ne presi più bottiglie,  in Italia  Aldo Coppola, il grande maestro della cura dei capelli, lo adoperava da tempo e da questo aveva  conosciuto i miracoli di quell’olio, mi spiegarono che quel preparato avrebbe reso ancora più belli i miei capelli. Nel negozio mi diedero un indirizzo dove poter provare i profumi e i saponi all’olio d’oliva o impacchi miracolosi per ringiovanire la pelle del  viso. Riguardai il dépliant: ampio spazio era dato alle essenze,  sorvolai, perché da qualche tempo, ero intollerante a qualsiasi profumo, ma gli impacchi al viso mi interessarono molto. Chiusi bene i miei nuovi acquisti nello zaino e mi avviai fuori dalle mura della medina.

 Le strade furono più benevoli ai miei  piedi e il pullman era lì fermo ad aspettarmi. Ero la prima a salire. Dopo una mezz’ora c’erano tutti, ed eravamo pronti per partire per Marrakech, un viaggio non molto lungo, ma triste, poiché insieme alle bellezze dei luoghi appariva chiara la povertà e la solitudine  delle campagne, quasi tutte utilizzate per i pascoli. La nostra guida parlava un italiano decente, non era affatto gentile e non ci risparmiava qualche “zeppata” sul modo di fare degli italiani, raccontò che era stato a lavorare in Italia per dieci anni, che aveva tre mogli, l’ultima di quattordici anni, disse anche alle donne di vestirsi con decenza, poiché offendevano con un abbigliamento succinto la loro morale. La città si presentò ben diversa dalla medina imperiale di Fez, il traffico era  caotico e i negozi ricchi di oggetti d’argento bene intarsiati e di meravigliosi tappeti lavorati a mano, anche le lampade in vetro bombato mi apparvero preziose e degne di una reggia. Dopo aver, perlomeno in parte, esplorata la città, ci condussero in un ristorante, per me inusuale, nonostante avessi spesso vissuto, seppur in periodi brevi, sia a Marrakech che a Casablanca; c’erano grandi cuscini colorati per terra, disposti senza alcun ordine, c’erano uomini che fumavano il sebsi, altri il narghilè,  neanche dopo pochi minuti mi  apparve piegato su di me quel giovane arabo della notte precedente, a bassa voce mi disse che il caso era stato benevole  che l’aveva riportato a lei e gli aveva permesso di incontrarla di nuovo. Mi  staccai dal gruppo e accolsi l’invito di pranzare con lui. Mi  accompagnò nello stesso ristorante in un salone magnifico con arazzi ai muri che rappresentavano la linea retta dei cammelli e dei beduini che attraversavano il deserto, la sala sembrava aspettasse proprio noi due, non c’era nessun altro. Anche gli arazzi erano tessuti da quel silenzio orbitale. Al nostro passaggio, tutti gli arabi portavano una mano al petto, s’ inchinavano e ci cedevano il passo.

Finalmente potei vedere, solo in parte il suo viso, era giovane e bellissimo con la barba color carbone e gli occhi di fuoco, come mi erano apparsi per la prima volta nella notte, aveva un copricapo prezioso, ornato di pietre colorate e ai bordi fregiato con scritture arabe, più tardi appresi che quel copricapo si chiamava bent-al bakkon, vestiva di bianco con un mantello di eguale colore, la mia furibonda immaginazione mi  portò subito a un  film del 1930 “Marocco” con Gary Cooper, e Marlene Dietrich, diretto da Josef Von Sternberg, glielo dissi con un sorriso fascinoso e complice .[1] Mi sorrise con altrettanto fascino, mi chiese il mio nome: “Il mio nome è Lejla”. Parlavamo in francese, io avevo imparato solo poche parole arabe, mi  fece servire da una teiera d’argento, in un bicchiere bollente, con manico d’argento, un tè aromatizzato alla menta e alla cannella, così buono che mai in vita mia ne aveva assaggiato di migliori, pur essendo una cultrice di tè eccellenti. Parlammo molto, mi  chiese quanti giorni rimanevo in Marocco, che cosa facevo nella vita, rimase piacevolmente sorpreso quando gli dissi che era una poetessa. Egli : “ci avrei giurato-disse- o una poetessa o una fata dolcissima, uscita dal manto azzurro del mare e del cielo”. Così si espresse. Alle 16,00 il mio pullman e la mia comitiva ripartivano, mi salutò con un inchino, io lo guardai dritto  nel profondo degli occhi e misi la mia mano sul cuore, egli si inchinò  a sua volta.

Ripartimmo. In un angolo del pullman, da sola sognavo e ripetevo a memoria tutti gli attimi di quella giornata, mi rimproverai di non avergli chiesto nemmeno il suo nome, mentre mi  ricordai  che il mio egli  l’aveva ben memorizzato e appuntato, mi  aveva fatto molte domande sui miei  itinerari, sugli alberghi nei quali avrei soggiornato.

Mi convinsi, alfine, che molte  cose erano vaghe o solo frutto della mia immaginazione; i miei occhi inseguirono l’ardore dell’imperatore Adriano e il suo amore giovane e devoto del dolce Antino, morto suicida, e riflettei su  come l’amore sa essere fugace e tenero, anche terribile! La mia mente si spostava rapidamente e coniugava insieme fatti e luoghi difficilmente avvicinabili. Mi sembrò di vedere una clessidra la cui sabbia si affrettava nel misurare il mio tempo. Ero timida, lo ero sempre stata, ma a volte le cisterne fragorose della mia anima esplodevano, divenivano immense, ricche di acqua sorgiva, spregiudicate, sapevano percorrere sentieri inesplorati, anche pericolosi. Pensai che da molto tempo gli uomini non mi  guardavano con l’ardore  del giovane arabo, che sembrava portare stampato sulla sua mano e sul suo cuore tutti i colori dei fiori del deserto, un lillà le attraversava lo sguardo e il viso, in alcuni momenti i suoi lineamento sfumava verso un blu-viola intenso, poi verso  un rosso rubino. Compatii i miei pensieri che sgangherati si accampavano su quelle fortezze di paglia e sabbia, con piccole finestre guarnite con musciarabia, sbiadite, nei loro colori sgargianti, dai raggi cocenti del sole e dalla potenza del vento.

Qui a Marrakech i minareti erano tanti: le preghiere si aprivano al cielo e agli uomini in molti momenti del giorno e della notte, le fontane berbere allietavano i suk e gli incantatori di serpenti affascinavano il pubblico. A differenza di Fez, a Marrakesch tutto era in movimento e il rumore non abbandonava le piazze nemmeno dopo la mezzanotte. La cena fu pessima, arrivammo in albergo in ritardo, dopo l’ora stabilita, il riso era scarso e frammisto a terra. Il personale era inospitale e odiava gli occidentali.  Qualcuno protestò, ma era come parlare ai muri. Quella bella giornata era stata rovinata da un personale inadeguato per un albergo a cinque stelle. Andai a letto digiuna, lessi fino all’ora tarda e seppi tutto sul più alto e antico minareto moresco della moschea di Kutudyya. La mia camera aveva una finestra che affacciava su una piazza chiassosa e irradiata da molte luci, qui gli abitanti non dormivano mai e i negozi rimanevano aperti anche di notte, i miei occhi non vollero chiudersi e ripassai a memoria tutti i rumori, i sussurri, le ombre di quella terra straniera. La mia veglia di roccia attraversò il deserto e s'immerse verso le piste  di  un altrove sconosciuto, in roseti profumati; sentii sul mio corpo nudo il freddo della notte e quella luna indiscreta, capricciosa e bugiarda, spiò i miei pensieri, su di  essi si riflettevano le stelle  che come me  non avevano tempo per dormire.

L’indomani era fissata la pista per Hassekrem.







Viaggiarono fin dal mattino prestissimo, sveglia alle tre. Il nostro pullman correva veloce, su strade disagiate e dissestate, spesso a una sola stretta corsia, a strapiombo su ponti veramente fragili, per fortuna gli incontri con altri pullman ricolmi di turisti furono rari e le macchine quasi inesistenti, solo si rallentava, a volte, poiché la strada era attraversata o occupata da ovini e da asini che avanzavano lenti con le loro bisacce di un beige sporco.

La voce dei muezzin per le orazioni mattutine, dai meravigliosi minareti di Marrakech, andava affievolendosi e lenta e dolce planava l’alba sulle campagne ancora assonnate e sui piccoli villaggi che si scorgevano in lontananza. Bisognava percorrere circa 320Km per accedere alla porta di Merzouga, uno degli ingressi più vicini al deserto del Sahara . Eravamo  giunti sul confine tra Marocco e Algeria, dopo otto ore di viaggio.  L’Algeria apparve al tramonto con il suoi  altissimi monti dell’Hoggar, con le sue montagne rosse, che non mi  sorpresero;  quelle rocce rosse le avevo incontrate una decina di anni prima nel deserto egiziano. La carovana dei beduini ci attendeva a Merzouga, ”Nel nome di Allah il grande e benefico, vi diamo il benvenuto”. Fu il saluto cordiale e fraterno del capo della carovana. Nessuna visita era in programma a Merzouga, era stato deciso che avrebbero affrontato subito il viaggio nel deserto del Sahara. Il freddo era pungente. Non ebbi molta difficoltà a salire sul mio cammello, lo fecero inginocchiare e con un balzo vi saltai sopra. C’erano anche delle bambine di tredici anni,  con vestiti colorati in azzurro e rosso, e i maschietti della stessa età con tuniche bianche , vestiti lunghi che arrivavano fino ai piedi, per le ragazze il viso era scoperto, si potevano ammirare gli occhi lucenti, avevano copricapo viola, davvero stupendi. Portavano festosi la cavezza  per quegli ospiti più spaventati e alla prima esperienza e conoscenza dei cammelli, animali molto diversi dai cavalli, sembravano che avessero  comportamenti bizzarri e testoni. Alcuni dei compagni di viaggio erano aggrappati alla loro gobba come se essa fosse la loro ultima speranza, i più disinvolti erano due ragazzetti, figli di una coppia italiana di Pisa, che gestiva un’agenzia di viaggi, erano della stessa età o  poco  più grandi delle giovani fanciulle Tuareg. In seguito avremmo sempre  incontrato ad ogni oasi fanciulli e fanciulle   festosi di accoglierci, darci il ben venuto  e prendersi cura dei cammelli. I  primi a venirci incontro erano loro, i fanciulli delle oasi!

Senza pretese

 Ci fermammo  dopo un paio d’ore in pieno deserto, i tuareg  accesero il fuoco e cucinarono il riso in una pentola nera e lo versarono in un unico grande piatto, si mangiava con le mani, il riso veniva preso dalla ciotola con la mano destra e posto nella mano concava della sinistra, non c’erano posate, dopo un po’ non ci si fece più caso; fu riscaldata in una padella piatta del msemen, tagliato poi in quadrati , il sapore era  delizioso; si beveva da una teiera, un tempo argentata, tè verde alla menta. Tutto si svolgeva in silenzio, si masticava piano,  molti guardavano con sospetto le vivande, anch’io  in silenzio, con un cielo.............


[1] Marrachkech era stata spesso ambientazione per grandi films: Marrakech Express.

.Il Tè nel Deserto.Le Crociate – Kingdom of Heaven.,L'uomo che Sapeva Troppo.,Il Gladiatore.,Last Minute Marocco,Un Treno per Marrakech,L'ultima Tentazione di Cristo.

[1]“ La città di Fez-scriveva lo scrittore Edmondo De Amicis nel 1876-si estende a forma di un  ottoimmenso tra due colline, sulle cui cime imperano i ruderi di due antiche fortezze quadrate, il fiume delle Perle divide  la città in due parti : Fez –Jedid (Fez la Nuova) , sulla riva sinistra e Fezel Ball(Fez la Vecchia), su quella destra. Una  cinta di vecchie mura a merletti e di grandi torri dall’oscuro colore di macerie , rotta in molti punti, stringe tutt’intorno la parte vecchia e quella nuova.Dalle altitudini si domina con la vista tutta la città: una miriade di case bianche coronate da tetti a terrazza ,sopra ai quali si elevano dei minareti lavorati in mosaico, palme gigantesche, torrette merlettate, piccole cupole verdi. A colpo d’occhio si indovina la grandezza della metropoli antica….” (da “Tutto il Maro 

sabato 14 maggio 2022

Esce oggi con la Gangemi Editore la recente opera di Carmen Moscariello " Fratelli tutti" dedicata a Charles De Foucauld. Domani il Santo Padre dichiarerà Santo l'amante dei poveri - L'uomo del Sahara e i Testimone di Cristo




L'opera è illustrata e anche le immagini  testimoniano  un duro viaggio nel Deserto del Sahara che l'autrice fa in groppa ad un cammello, affrontando la durezza e la bellezza che il deserto offre. Al viaggio dell'anima  si lega una delicata storia d'amore.

Secondo i critici Il libro è di immane fascino anche la veste grafica è di raffinata bellezza, come per  i contenuti prevalgono  i colori del fuoco e quelli dello spirito.

 Da oggi l'opera è in libreria. 

 Autore: 

Collana: Letteratura e linguistica
Formato: 17 x 24 cm
Legatura: Filorefe
ISBN13: 9788849245059
ISBN10: 9788849245059
Ub.int:

Anno di edizione: 
Pagine: 144

Contenuto: Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Tonino Bello

“[…] Pensavo di essere una mendicante d'amore e invece avevo tra le mie braccia tutto l'amore possibile. In quel momento decisi che non sarei mai più tornata in quella mediocre cittadina con gente feroce, posseduta dalla miseria del male, dall'avidità del denaro, da un odio immotivato contro chi gli appariva diverso. Durante il viaggio nel deserto, in silenzio avevo seguito il dito esperto dei tuareg sulle carte geografiche, o più semplicemente con loro avevo osservato la posizione delle stelle, soprattutto per orientarci di notte, avevo rubato un po' della loro sapiente semplicità, avevo imparato a fare a meno di molte cose che prima mi erano indispensabili. Avevo goduto di quei tramonti e quegli orizzonti che sembravano disegnati dalla poesia di Virgilio e di Omero. Mi resi ben conto che per me la Poesia era la stessa mia vita.”
Carmen Moscariello

L'opera è protesa alla scoperta del senso divino della vita e alla narrazione della ricerca di Dio sulla strada seguita dal Beato Charles de Foucauld, in particolare si narra “la Regola del deserto” con la quale il Santo incontra Dio e le creature più umili. La figura di Charles, “vissuta alla costante presenza dello Spirito Santo” (Don Marco Gianola, Postulatore per le cause dei santi) è più che mai attuale in questi tempi terribili dettati dalle bombe e dalla distruzione. Charles de Foucauld predicò con l'esempio della sua vita la Pace. “Fratelli tutti” è il simbolo della sua “sequela Cristi” (quando si ama si imita), è il punto focale della sua Regola e della sua vita. Benedetto XVI lo dichiarò Beato e San Giovanni Paolo II e Papa Francesco l'hanno voluto Santo. Molte encicliche di Papa Francesco si ispirano non solo a San Francesco, ma anche alla Regola e alla centralità della povertà e all'esempio della virtù dell'umiltà, strade perseguite eroicamente dal Fraticello del Deserto. Egli, come già San Francesco portò la pace tra gli arabi e i cristiani, aborrendo le guerre coloniali. Lo scritto è spesso assoggettato al disordine della memoria, alla confusione dei tempi,
alla sedizione di un modo di vivere nemico di Cristo, alla preghiera affinché cessino le guerre. Traspare nella scrittura l'ardore di credere all'edificazione di una “Città del sole”, un mondo di luce dove l'amore semini la pace. Si contrappongono molte cadute alla rinascita. C'è la mano di Dio che aiuta e protegge dalle scosse distruttive di violenti terremoti, per dare voce alla preghiera dei ruscelli, al nettare d'agave e a cogliere la luce di Dio dalla polvere dei venti del Sahara. L'opera, in parallelo alla meditazione sulla conversione di Charles, esplora fisicamente e spiritualmente il deserto dei luoghi e quello dello spirito e aspira a realizzare una svolta dell'esistenza umana. In una costanza meditativa si cerca Dio, per suo tramite ci si avvicina al prossimo che diviene Fratello. “Fratelli tutti” cosí come vuole la regola di Charles de Foucauld. Lo scritto apre le porte a un'analisi spietata sulla profonda crisi di civiltà che l'uomo sta vivendo, esprimendo il distacco dal male in un'esegesi ariosa e asprigna, nel tentativo di lenire il dolore. Si sceglie il deserto per disancorarsi, in un viaggio che sfiora la morte. Gradualmente, i graffi della lotta contro i limiti della natura e dello spirito piegano e rivoluzionano l'intero modo di porsi davanti a Dio e al mondo. L'autrice racconta un'esperienza effettivamente vissuta, quella dell'attraversamento del deserto del Sahara con lo scopo di raggiungere il Romitaggio di Charles de Foucauld, nei pressi di Assekrem. Insieme ai molti altri fatti reali di una vita accidentata dai continui smarrimenti, si racconta l'esperienza del viaggio che assume con gradualità i colori della fratellanza per tutti gli uomini e per il popolo Tuareg, al quale Charles dedicò molto del suo amore. Il contenuto dell'opera è manifestato con una scrittura d'oscillazione tra la poesia e il pensiero meditativo. Il tema religioso e dell'amore hanno un ruolo determinante, testimone ne sono il
vento e le dune del deserto. Questi lembi formano una rete densa di significati i cui fili s'intrecciano senza sciogliersi e portano un'anima quasi dannata ad abbracciare la croce di Cristo.

Carmen Moscariello è nata a Montella (Av) nel 1950, vive a Formia. Allieva di Raffaello Franchini, è stata Ordinaria di Italiano e Latino (42 anni dedicati all'insegnamento). Poetessa, drammaturga, regista (ha conseguito il titolo per la Regia con Roberto Tessari presso l'Ateneo dell'Università “La Sapienza” di Roma), giornalista pubblicista. Corrispondente per Il Tempo (1987-1996), ha pubblicato su questo quotidiano circa 1500 articoli, seguendo delicate inchieste su Tangentopoli, sul fenomeno dell'usura, sulla centrale nucleare del Garigliano e sulla camorra; è stata corrispondente per il TG3 Lazio per sei anni. È animatrice di battaglie civili: lotta contro la centrale nucleare del Garigliano; lotta contro la camorra (ha fondato e presiede il “Premio per la legalità contro le mafie VII edizione”). È stata impegnata per anni a difesa della sorgente Mazzoccolo (con 112 articoli). È presidente e fondatrice del Premio internazionale di poesia, saggistica, giornalismo “Tulliola Renato Filippelli” (XXVII edizione, premio gratificato con una medaglia dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per gli alti meriti culturali). Ha scritto articoli per Oggi e domani, Avvenire, Frequenze poetiche, Il Convivio, Cultura e prospettiva, Nord Sud, Reporter. È fondatore e Direttore del mensile di politica e cultura Il levriero (aut. del Tribunale di Latina n. 664 del 23/09/1998). Ha svolto il ruolo di giudice popolare. Sindacalista dell'UNAMS (Unione nazionale musicisti ed artisti), ha organizzato a Roma e in tutto il Lazio importanti mostre di pittura, concerti e convegni culturali. Ha pubblicato opere di poesia, teatro, saggistica, arte. Ad oggi ha pubblicato circa 5000 articoli, prefazione a libri e cataloghi d'arte. È fondatrice e direttore dei blog: Il Levriero-cultura e di Quarto Tempo WordPress.

Opere pubblicate: Friedric Holderlin, tra Lirica e Filosofia, 1988; Testimonianze Su Franco Ferrara, Imizad e lettere a Natascha, 1989; Il Presente della memoria, 1994; Figlia della Luna, Poesie, 1998; Aspettando Matisse, Poesie, 1988; Per stelle e desideri, opera teatrale; Gli occhi frugano il vento, 1999; Tulliola 1998: La poesia e i giovani; Tulliola 1999: La poesia e i giovani; Oboe per flauto traverso, 2013; Terra nella sera Visioni, 2014; Destini sincronici. Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli, 2015; L'orologio smarrito, 2015; Tunnel dei sogni, poesie, 2016; Rapsodia d'amore per stelle e desideri, 2016; Non è tempo per il Messia, 2013; Modigliani. L'anima dipinta, 2019; Pizia non dà più oracoli, 2020; Albe di Mare. Antologia poetica, 2022. Teatro in versi: Figlia della Luna; Déedonne; Poema in sol maggiore per stelle e desideri; Proserpina, tre atti con preludio; Eleonora dalle belle mani; Juan De Valdés; Giordano Bruno Sorgente di fuoco, 2011; Gli Alumbrados, 2015; All'ombra di un'eresia, 2016.
Hanno scritto sulle sue opere, tra gli altri: Aldo Masullo, Dante Maffia, Renato Filippelli, Marcello Carlino, Nazario Pardini, Amelia Rosselli, David Maria Turoldo, Ugo Piscopo, Biagio Scognamiglio, Aldo Carotenuto, Aniello Montano, Giorgio Barberi Squarotti, Domenico Rea, Michele Urrasio, Walter Mauro, Giuseppe Limone, Giuseppe Iuliano, Paolo Saggese, Pasquale Maffeo, Giuseppe Cassieri, Giuseppe Baldassare, Alessandro Petruccelli, Franca Bellucci, Carmela Biscaglia, Mario Buonoconte, Don Paolo Capobianco, Francesco D'Episcopo, Ninni Di Stefano Busà, Biagio di Jasio, Vittoriano Esposito, Roberto Frecentese, Americo Iannaccone, Maria Grazia Lenzi, Alberto Mario Moriconi, Monsignor Ferdinando Palatucci, Arcivescovo di Amalfi, Tommaso Pisanti, Carlo Rettori, Pier Antonio Toma, Mauro Montacchiesi, Gaetano Andrisani, Pino Amatiello, Marina Argenziano, Lucia Berti, Raffaele Breda, Padre Daniele del Bove, Lia Bronzi, Silvano Cuciniello, Leone D'Ambrosio, Mariagrazia Carraroli, Michele Graziosetto, Arnaldo Di Matteo, Francesca Del Grande, Alessandro Di Napoli, Graziella Di Mambro, Fiammetta Filippelli, Sandro Gionti, Erasmo Magliozzi, Alfonso Malinconico, Don Luigi Mancini, Angelo Manuali, Giuseppe Manitta, Giuseppe Napolitano, Vittorio Nocella, Agostino Pensa, Claudia Piccinno, Dante Pignatiello, Alfredo Saccoccio, Biagio Scognamiglio, Nicola Terracciano.


Il testo sopra è stato copiato dalla rivista di Gangemi, lì possono essere trovate tutte le notizie


martedì 3 maggio 2022

Gèzanne - Van Gogh e il Post-Impressionismo. di Carmen Moscariello

 


Aix –en-Provence-  Fiumi di lavanda, oceani di colore, nei cieli   di  Van Gogh e Cèzanne.

 


Entriamo nel porto di Marsiglia alle 7 in punto, dopo una notte di navigazione tranquilla, il mare ci ha cullato dolcemente fin quando abbiamo aperto gli occhi. Pronti a sbarcare alle 8 del mattino, un cielo e un mare azzurrissimi non una sola nuvola  e il vento ci spiava cauto mentre attraversavamo in pullman la Provenza. La distanza tra Marsiglia e Aix en Provence la percorriamo in 24 minuti. Se ben mi sporgo dal pullman   posso vedere in lontananza Nizza, Saint Tropez, Cannes le colette selvagge della Comorgena gitana, a pochi metri da me  una mandria di cavalli bianchi che si rincorrono felici. Rivedo in prossimità del mare  gli amati fenicotteri per me portatori di bene, li accarezzo con lo sguardo e mi confondo nel loro cielo rosa. Se guardo a destra posso ammirare il mare cristallino della Costa Azzurra e le innumerevoli caloques che si dispongono come un abbraccio caldo, una carezza e poi dall’altro lato le vigne, gli oliveti, i  campi assorti appena bagnati dalla rugiada mattutina.

 Arriviamo ad Aix alle 8,30. La città è addormentata non c’è anima viva, tranne la statua del Re Renè che ci saluta piccolo e orgoglioso del suo grappolo d’uva, ben posizionato sul suo  corpo quasi insignificante, se non fosse per quel grappolo d’uva. Abbiamo a disposizione  in  Pullman la guida che ci accompagna, le chiedo dove e quando ci dobbiamo far trovare per raggiungere Parigi. Non amo le guide , mi distraggono dai luoghi e dall’arte, sono esigente debbono essere i luoghi e gli artisti a chiamarmi. Lo stesso Cèzanne,  lo sento vicino fin dal primo momento, quando mi fermo davanti al negozio di cappelli del padre del pittore, mi dà il suo benvenuto, ha un velo di tristezza negli occhi, ma è garbato e attento al mio sentire. Per tutto il viaggio comparirà e scomparirà a seconda dei momenti. Quando sente che sono in difficoltà o il mio pensiero si distrae e sta inseguendo i miei sogni, mi richiama con dolcezza e insieme a me gode della luce di Aix, una luce magnifica che appare e scompare sugli antichi e lussuosi palazzi. La mia prima meta è al suo Atelier,  conosco abbastanza le sue opere che ho ammirato al Museo D’Orsay, nell’ultimo Natale, ho fatto 7 ore di fila per entrare, con un freddo che mi aveva gelato anche gli occhi, ma lì la sosta è necessari ci sono tutti gli impressionisti e post impressionisti e anche tutta gli artisti della modernità. Egli mi richiama dolcemente e mi fa notare cose che altrimenti sarebbero passate inosservate. Questa è anche la terra che regalò un po’ di gioia di vivere a Van Gogh, egli si stabilì poco lontano da Aix esattamente ad Arles en Provence, quei luoghi, quella luce, quei colori diedero  all’Artista così tanta energia che diede  vita a ben 300 capolavori tra i suoi quadri più belli, che quest’anno ( già li avevo visti a Napoli e sui quali ho pubblicato) ho potuto ammirarli recentemente anche  a Roma. Ad Arles, Van Gogh nel 1888 creò capolavori immortali: La sedia di Vincent (1888), La camera di Vincent ad Arles (1888), Il caffè di notte (1888), Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles (1888),Notte stellata sul Rodano (1888), la serie dei Girasoli (1888-1889). Ad Auvers-sur-Oise, un villaggio a circa 30 km da Parigi,  si suicidò all’età di 37 anni.

La Provence  ha i colori divini dell’arte dei due Maestri, colori che daranno vita al Post-impressionismo che si confondono ai colori dell’Anima: graffianti e violenti in Van Gogh, melanconici e lirici nei capolavori di Cézanne, nelle sue opere c’è quell’unione meravigliosa e rara  di Letteratura( poesia soprattutto) e pittura due arti che messe insieme possono dar luogo al più travolgente sentire. Di questo mio recente viaggio  ho ancora negli occhi i campi di lavanda, ettari ed ettari di questa pianta profumata i cui colori si riflettono nel cielo e nel mare e gli occhi e l’olfatto vivono estasi che  mi hanno accompagnato in fuga senza mai perdere il loro fascino durante il breve viaggio da Marsiglia a Aix en Provence. Hanno proprietà taumaturgiche questi campi e certe presenze immortali, anch’io mi sentivo gradualmente rinascere in tutte le mie energie e tutti i miei sensi si acuivano per non perdere niente di questo paradiso. Il traffico qui è quasi inesistente, le macchine non procedono mai a velocità sostenuta, né sono lente, ad Aix non le ho mai viste. La città sembra disposta ad accogliere solo me. Le strade sono abitate solo dal silenzio.

Senza accorgermene, in un attimo dal porto di Marsiglia raggiungo le  cours  Mirabeau (non le Pont Mirabeau  di Apollinaire)  detto anche il Corso delle Carrozze, fatto costruire da le roi René. Vicino c’è la meravigliosa fontana Mirabeau e sempre bene in vista la statua di René, le petite  roi  con la sua pigna di uva in mano a ricordarci che in quelle valli il vino l’aveva portato proprio lui. Poco lontano, si affaccia sul corso, quasi umilmente nascondendosi di fronte alla maestà della Fontana Mirabeau  c’è il negozio di cappelli del padre di Cèzanne, il corso è tutto coccolato e avvinto ai palazzi eleganti e raffinati della Provenza. I luoghi continuano ad essere deserti, i negozi francesi non aprono prima delle  10,00 qualcuno anche alle 11,00,  così le meravigliose biblioteche e l’Atelier dell’Artista.

 Cèzanne mi fa  notare  che i marciapiedi di Aix  ad  ogni  metro, al centro portano  incastonato come una meravigliosa pietra preziosa il Suo nome e le due bandiere di Aix. La città che in vita non aveva molto amato l’artista ora gli rende omaggio come meglio può. Le guide offrono anche un percorso interamente dedicato a Cèzanne.

Il mercatino dei libri preziosi è l’unico luogo sveglio della città. Nelle bancarelle ci sono libri straordinari per eleganza, veste grafica, dedicati a grandi artisti. 

Ho il piacere di sfogliarli e accarezzarli. 

Finalmente alle 10,30 si apre l’Atelier di Cèzanne. Ha  uno di quei portoni immensi di stile barocco o rinascimentale che danno maestà a tutti i palazzi di Aix. Cèzanne nasce in questa cittadina meravigliosa  il 19 gennaio del 1839 passò la sua vita tra Parigi ed Aix, quando era stanco di Parigi ritornava alla fastosa ed elegante casa paterna. Quando Aix gli appariva insopportabile per le persone che lo accerchiavano ritornava a Parigi. Nel 1904 l’amico   Emile Bernard lo andò a trovare ad Aix e Poul lo ricevette nel suo studio. Così ci racconta:

«Aprì un portone di legno. Penetrammo in un giardino il cui pendio andava a morire in un ruscello; pullulava di ulivi, in fondo c’erano alcuni abeti. Sotto una grossa pietra, prese una chiave e aprì la casa nuova e silenziosa che il sole sembrava voler cuocere. Al primo piano, la sala da lavoro era un grande locale di color grigio, illuminato da nord, da una fonte naturale all’altezza dell’appoggio… Era all’opera su una tela che rappresentava tre teschi su un tappeto orientale. Su un cavalletto meccanico che aveva appena fatto installare, vi era ancora una grande tela di donne nude che facevano il bagno. Sulla parete dello studio, oltre alle tele di paesaggi che asciugavano senza cornice, notai delle mele verdi su una tavola…»

Io ho trovato il suo  Atelier esattamente come ce lo descrive Bernard.

Prima che gli intellettuali del suo tempo e la pittura tradizionale accettassero  l’arte di Cèzanne, egli subì vere e proprie torture, l’offendevano e lo deridevano ritenendolo responsabile di grandi offese ai canoni costituiti. A volte erano anche fisicamente violenti nei suoi confronti tanto che non poteva uscire di casa. Solo dopo la sua morte si compresero i suoi capolavori e capirono che aveva dato alla pittura di tutto il Novecento una svolta creativa incredibile A lui si ispirano i Fauves , Picasso ,  Modigliani e gli altri grandi. Il termine Post-impressionismo

( 196 6-1914) fu coniato nel 1910  poco dopo la  sua morte  avvenuta nel 1906.

Visitare questi luoghi è emozionante, c’è ancora il suo grembiule macchiato di vernici, le spatole i pennelli, gli oggetti d’uso quotidiano della sua arte, un bellissimo comò di inizio 8oo e le tele che non aveva fatto in tempo a finire, dei nudi, delle nature morte. L’impressione è che egli si fosse assentato momentaneamente per andare a casa e dovesse rientrare da un momento all’altro per riprendere il suo lavoro.

Anche i luoghi assorbono l’immortalità dell’arte.

Lascio l’atelier accompagnata da Cèzanne, mi tiene stretto il braccio come se avesse paura che io scappassi. Incontro un nuovo elegante mercatino, insieme a lui mi faccio aprire quattro ostriche con tanto limone, chiacchieriamo col nostro venditore che ci indica altri cibi gustosissimi e i famosi formaggi francesi. La città inizia a svegliarsi i bar sono gremiti, le sedie sono disposte a mo’ di anfiteatro in modo che gli avventori con le brioche possono godersi il passeggio e i raggi del sole.  I tavoli sono quasi assenti.

Rifletto insieme al Maestro sull’Impressionismo e sul Post- Impressionismo, conversa con me anche su Modigliani. Lamenta di non averlo mai conosciuto, perché quando l’Italiano sbarcò a Parigi, egli era già morto. Ma conclude che ama la sua arte, come ha amato tutte le Avanguardie.   

Mi dice: Il Post - impressionismo è di derivazione dall’Impressionismo. Movimento che ebbe il suo esordio a Parigi già dal 1800 e che conobbe come suo massimo rappresentante in Claude Monet. Una sua opera  " Impression , Soleil Levant , " o " Impression , Sunrise , diede il nome al Movimento che vide artisti di altissimo valore come  Gustave ve Caillebotte , Edgar Degas , Camille Pissarro e Pierre - Auguste Renoir.

L’impressionismo influenzò altre forme d’arte  come la scrittura.
Il critico d’arte Roger Fry  coniò il termine  "Post  - Impressionismo " nel 1910 e ha avuto un ruolo importante nel movimento . In una sua galleria ha esposto  Paul Gauguin , Paul Cézanne e Vincent Van Gogh .
Anche la Letteratura ha avuto i suoi grandi artisti, per ricordarne alcuni citiamo: James Joyce " Ulisse ", " Eveline " e " Un Ritratto dell'artista da giovane " ; Stephen Crane "The Red Badge of Courage " ; Joseph Conrad " Cuore di tenebra " ; e Virginia Woolf " Mrs Dalloway ". Da queste scritture saranno sperimentate nuove forme, nuovi contenuti, un nuovo lessico, sconosciuto fino ad allora. E’ il lessico dell’animo, dell’inconscio delle emozioni, il lessico visionario dei sogni. Uscire fuori dai canoni volle dire coniugare un nuovo vocabolario che va ben oltre quello oggettivo.

I due grandi artisti dei quali stavo inseguendo le orme non avevano avuto vite felici e quasi non avevano conosciuto l’amore vero di una donna, di una famiglia o di un amico. Cèzanne era stato amato solo  dalla madre, aveva conosciuto un amore matrimoniale tiepido, la sua donna lo lasciò per vivere a Parigi. Quando morì per una polmonite perché sorpreso nei campi della Provence da un terribile temporale, il Maestro era malato di diabete da tempo, lei arrivò al suo capezzale solo  dopo la sua morte.

  Soffro molto quando leggo e scopro o ricostruisco che artisti oggi famosissimi e le cui opere  alle aste vengono battute per milioni di dollari o euro, abbiano sofferto la fame e il freddo , siano stati offesi e disprezzati dai luoghi e dalle persone con le quali vissero o anche convissero.  L’elegante e raffinata cittadina  di Aix en Provence  è così bella e ricca nei suoi musei, nei suoi palazzi rinascimentali, per le sue innumerevoli banche con portali divini che incutono timori per la loro potenza e sembra vogliano sovrastare ogni cosa, ora onorano l’Artista. 

Ora la città onora il genio dell’artista , tutto ad Aix en Provence ricorda il Maestro. La città se ne vanta, ne è orgogliosa, ha vantaggi economici notevoli e la fama la lega a Cèzanne. Tutte le direzioni indicano i luoghi dove Cèzanne  è vissuto: la casa paterna, il negozio di cappellaio del padre, il liceo dove ha studiato  con l’amico Zola, l’atelier e lo studio vicino alla sua casa, ogni spazio ha la sua meravigliosa impronta. 

Come ho già detto Aix en Provence è una città di grande eleganza e arte, ma la cosa più bella è la sua luce, contemplare quei campi colorati, i colori di certe sue rocce  che hanno dato all’Artista la possibilità di conquistare ogni sfumatura , tutti i riflessi e le ombre della luce. Insomma per chi sogna ad occhi aperti  ha l’impressione di passeggiare appoggiata al Suo braccio e lui con garbo ci narra tutto della sua vita difficile, dei rapporti complicati col padre, del rapporto inesistente con la moglie, le critiche feroci  dell’amico d’infanzia  Zola, della sua ipocondria. Del lavoro di ricerca e di rinnovamento  per la sua arte , mai che i suoi capolavori  lo soddisfacessero del tutto. Della furia di una cultura spaventata dalla rivoluzione che Cèzanne aveva innescato.  Commentiamo insieme che una società che non si accorge del Genio e tende a denigrarlo ad offenderlo a distruggere il costruttore d’Infinito, è una società da ricostruire. Cèzanne fu vittima dell’invidia. Fu  amico in giovinezza di Emile Zola, frequentavano lo stesso liceo classico di Aix , erano amici legatissimi, condividevano interi pomeriggi di studio di corse in bicicletta, di sogni, quando la sua arte divenne sempre più fascinosa e divina Zolà fu il primo ad offenderlo. Il povero Cèzanne continuava a chiedere  il suo parere fin quasi  a poco prima di morire, le sue risposte erano sprezzanti annichilenti, velenose.

Cèzanne  non riuscì per lungo tempo a vendere un quadro, agli inizi  non fu un gran problema poiché il padre da cappellaio era divenuto grazie a un buono affare proprietario di una banca ad Aix. Alla morte del padre il pittore ereditò un cospicuo patrimonio,  perse ogni cosa in breve tempo  e visse miseramente tra Parigi ed Aix, a volte ospite di amici.

Intanto sempre legata al Suo braccio arrivo finalmente in Place Saint-Jean de Malte al museo di Granet posso ammirare nove splendide opere di Cèzanne, altre di Picasso e Kandinsky e l’immensa bellezza di opere del passato , anche sculture.

Quando Modigliani nel 1906 sbarcò a Parigi, si misurò con il Post impressionismo. In  questo stesso anno Cèzanne moriva solo e malato, ma i critici i mercanti d’arte si erano finalmente accorti di lui. Come per Modigliani la loro grandezza si colse poche ore prima di morire . Nel Salomne d’Autunne del 1906 Modigliani poté ammirare le bagnanti di Cèzanne e ne rimase affascinato.

 Non posso non ammirare il luogo più amato dal pittore. Egli stesso me lo indica e mi conduce lì quasi al tramonto. In breve mi affaccio alla Collina di  Lauves , si scorge in lontananza Sainte Victorie , quante volte il Pittore l’ha dipinta, sempre diversa, sempre bellissima . Qui lo sorprese un temporale terribile che tre giorni dopo una polmonite  (letale per un malato di diabete) pose fine alla sua vita terrena era il 15 ottobre del 1906. Nessuno lo soccorse, né si accorse della presenza dell’artista che anche in quel pomeriggio d’autunno non aveva rinunciato all’incontro di quell’immenso.

carmen moscariello