L’apostolo della modernità
Di
Aniello Montano
La commedia, fin dall’inizio, vuole dar conto dello scontro frontale tra modi diversi di concepire la verità e di intendere il ruolo e il significato della filosofia. Da una parte c’è la tradizione sordamente fideistica, dall’altra il pensiero nuovo, l’ansia di indagare in modo razionale la realtà naturale e umana, il desiderio di rompere gli steccati, superare i divieti, avventurarsi per sentieri nuovi, proporre altri traguardi, altre mete, da scoprire e da raggiungere con la forza del pensiero libero, sorretto da un “eroico furore”. La tradizione è rappresentata dalla folla di uomini e donne, trasformati rispettivamente in asini e maiali dalla Maga Circe, e poi dai dottori di Oxford, da Bellarmino, dai giudici inquisitori, dai frati salmodianti e dalla folla che si scaglia contro il martire condotto al rogo. L’innovazione è rappresentata da Bruno, in primis, poi da Campanella, dai tanti filosofi e studiosi della natura, impegnati a porsi in maniera critica e autonoma rispetto al passato e a rifiutare l’obbedienza cieca all’autorità, restia a ogni osservazione critica.
Nei tre atti della commedia, il contrasto tra questi due modi di pensare e di vivere è rappresentato con vivacità di situazioni e di linguaggio, in modo da farlo risaltare al massimo, per mostrare la superiorità degli uomini “nuovi” sui custodi del passato. Uno degli accorgimenti messi in essere dall’Autrice è la struttura dialogica, costruita in modo tale da rendere immediatamente palese l’asimmetria tra le due posizioni in campo. Mentre Bruno, nella bagarre che si scatena in tutte le scene del dramma, tenta di elaborare e presentare la sua posizione e le sue ragioni, cerca di giustificare l’ardimento della sua nuova filosofia, elaborata recuperando spunti e intuizioni dei filosofi-scienziati della Grecia più antica, in uno con i più recenti risultati del pensiero scientifico e filosofico di Copernico e di Cusano, i suoi detrattori lanciano soltanto invettive e insulti, come chi, a corto di argomentazioni valide e fondate, si lascia andare all’aggressione, quasi fisica, dell’avversario.
Bruno, l’intelligenza guizzante tesa a scrutare l’infinito Universo in cui roteano infiniti mondi, desideroso di accreditare un modo tutto nuovo di intendere e sentire Dio, la Natura, l’anima e la vita e impegnato ad argomentare le sue ragioni con una dialettica raffinata e scaltrita e con una tensione morale sentita e sofferta, si misura, da solo, con l’organizzazione articolata e sedimentata del sapere tradizionale delle Chiese, cattolica e protestante, delle Università europee, dei conventi e del sentire comune. È una lotta impari, che il Nolano affronta con coraggio e sprezzo del pericolo, con la serenità fiduciosa di chi sa di aver intravista la via della verità e di avere il dovere civile e morale di percorrerla fino in fondo, senza deflettere e senza pentirsi. Carmen Moscariello avverte la grandezza di questo genio del pensiero, lo presenta come eroe, qual è, del “libero pensiero” e lo fa lottare con tutta la forza del suo spirito indomito, con la gente comune, con i dottori oxoniensi, con i teologi del tribunale dell’Inquisizione. Lo presenta come un gigante in lotta, irremovibile e impavido, che non arretra di fronte alle minacce, neppure nell’ora della morte. Forzando poeticamente le testimonianze relative alla morte sul rogo, lo immagina e lo rappresenta nell’atto di gettarsi egli stesso nelle fiamme che si levano dalla catasta di legna nella piazza di Campo dei Fiori. È una scena, quest’ultima che ben sintetizza e sigilla tutta la rappresentazione drammatica.
Nelle scene dei tre atti elaborati dalla Moscariello, è icasticamente raffigurato il contrasto epocale tra due sistemi di pensiero e potremmo dire tranquillamente tra due epoche, una strenuamente decisa a difendere l’età medievale, l’altra impetuosamente spinta a demolirla per far nascere la modernità; l’una tenace nella difesa di una filosofia unica, sostanzialmente legata alla teologia e alla fede religiosa nel Dio assolutamente trascendente, l’altra impegnata a far sorgere dalla critica all’aristotelismo e al fideismo cristiano ad esso legato una pluralità di filosofie e di sistemi di pensiero, tutti liberi e in perenne dialettica tra loro.
In questo duro scontro di posizioni, la Moscariello riesce a fare intravedere la novità del pensiero del Nolano, che lega l’idea di Dio alla Natura, considerata imago Dei, simulacrum Dei, templum Dei, di un Dio non distante né discosto dalla Natura e dall’uomo, ma vicino e dentro la Natura e l’uomo. E riesce anche a fare balenare la nuova idea di morale, non più intesa come rispetto di regole astratte, come pura contemplazione di norme credute assolute, ma come impegno, come fatica, come tentativo continuo di affermazione di nuove condizioni di vita, di realizzazione della “civile conversazione” e di spinta a rafforzare il “convitto di popoli”.
Nella sua libertà ideativa e argomentativa, la Moscariello dà conto della frattura che in quell’epoca drammatica si veniva aprendo tra vecchio e nuovo, tra Medioevo e Modernità. E fornisce chiara l’idea della grande attualità, ancora oggi, di quella tensione alla libertà di pensiero, che nessun credo e nessuna istituzione potranno mai trattenere a lungo o bloccare del tutto.
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