lunedì 8 febbraio 2021

Irpinia 1980-2020. Memorie di un terremoto durato 40 anni

 





“Irpinia 1980-2020  Memorie di un terremoto durato 40 anni” di Giovanni Festa-Giuseppe Iuliano e Paolo Saggese. Delta 3.

E’ questo libro un ottimo esempio di studi storici, ma in esso c’è anche un’analisi profonda, non solo dei fatti accaduti, ma anche una capacità di guardare al futuro e rimuovere quelle croste che la rovina del  terremoto dell’80 in Irpinia si ritrova ancora ad affrontare. Il libro è certamente da ritenere un atto storico, arricchito da numerose poesie che ricordano in modo ineguagliabile  e indimenticabile il dolore e la tragedia che colpì quei popoli, seminati nelle valli e sui monti della verde Irpinia.

I fatti dolorosissimi del terremoto dell’80, purtroppo rimangono ancor oggi,  come  spine aguzze, che trafiggono la carne. Con quest'opera siamo di fronte a un’accurata ricerca di fatti e persone che focalizzeranno per sempre un tratto di storia dell’Irpinia. Gli autori Giovanni Festa, Giuseppe Iuliano e Paolo Saggese non sono nuovi a queste imprese,  hanno ampliato il  fiato non solo a quelli che il terremoto l’hanno subito, perdendo i propri cari e la casa, ma anche a scrittori importantissimi da Alberto  Moravia a Domenico Rea, al mio amico compianto, Franco Compasso, al mio compagno di classe, per quattro bellissimi, indimenticabili anni, Salvatore Salvatore, studente del Francesco De Sanctis di Lacedonia, oggi poeta e brillante giornalista, che in questo libro  con i suoi versi  ci presenta una natura fredda e indifferente, fatta di polvere e pietre di pianto;  ci sono a rendere testimonianze, tante altre firme importanti che hanno dato il loro contributo, affinché il disegno degli autori venisse realizzato. Nonostante abbia conosciuto fin da subito,  le pagine che Domenico Rea scrisse per la mia terra, non hanno  potuto impedirmi di piangere ancora oggi , poiché quelle parole erano vive allora e ora sovranamente importanti. Nel dolore di chi racconta c’è il monito su che cosa attendeva ai sopravvissuti. I danni del terremoto non sono stati solo quelli provocati in quei pochi attimi, ma il territorio e chi  abita i luoghi interessati dal sisma si sono portati dietro una bisaccia troppo piena di dolore e mortificazioni, diciamolo chiaramente, di abbandono. Domenico Rea il più grande romanziere e giornalista napoletano pone (uso non a caso questo presente!) l’accento  sul significato della casa, o meglio che cosa significhi per una famiglia del Sud perdere la propria casa. Quali squarci, quali lacerazioni comportò per molti di quelli che, a volte, per anni, non ebbero  più un tetto per i propri familiari, per gli animali che in quelle case crescevano e che per essi erano il pane quotidiano: “le macerie dentro di noi ”. “Che cosa è nel Sud una casa perduta”. “Nulla, proprio nulla può ripagare un uomo della casa perduta.  Si tratterà anche di un casolare  e, al limite, di un tugurio, luoghi scomodi per chi non vi abitava, ma per chi vi ci viveva c’era sempre un punto un angolo, una sedia o uno scanno un letto di foglie o di paglia in cui raccogliersi e sentirsi sicuri, nell’agio proprio e ricco della propria intimità” Un testo da leggero tutto, poiché egli ci racconta i fatti vissuti dall’anima.

E’ quella di Domenico Rea una preghiera per i morti e per i poveri. Interessante rileggere anche Alberto Moravia che la distruzione la osservò dal cielo, quella polvere amara che si innalzava sulle montagne pallide in cui quella sera e quella notte la morte aveva ficcato il suo maledetto rastrello. Quella gente sventurata che piangeva i suoi morti che malediva il cielo. Vorrei ricordare la testimonianza di Manlio Rossi Doria, l’amico di Rocco Scotellaro e poi parlamentare irpino: “Cancellare con la ricostruzione anche i segni dell’antica miseria”. Pose, quest’uomo immenso, l’accento su una questione che in quei giorni non fu focalizzata da molti, ognuno di noi pensava al disastro subito, lui fin da subito guardò lontano! E’ lo scritto più interessante e fattivo che c’è nell’antologia, indica strade da seguire per allontanare la miseria del Sud. 

Strade mai seguite. 

Ricordo che in quelle zone operarono, subito dopo il terremoto, alcune industrie con nomi altisonanti, che dopo un po’ sparirono nel nulla della polvere; chimere con vita breve che  presto presero il volo. 

Per le popolazioni fu l’urgenza di emigrare.

Non aver compreso  subito che oltre la casa bisognava trattenere la popolazione in quei luoghi è stato una grande disgrazia, pari a quella che aveva provocato il cratere. La stessa Lacedonia che nel periodo dei miei studi appariva per me come la città medicea, con migliaia di giovani che la sera si riversavano sul corso, per incontrarsi, per ridere, per raccontarsi i propri sogni, fiduciosi in un futuro possibile, oggi l’ho ritrovata, seppur nella sua bellezza, quasi deserta. Oltre il terremoto che fu una tragedia immensa, bisogna con coraggio, senza nascondercelo,  parlare dei paesi spopolati. Un’intera generazione, o, forse,  è più giusto dire, più generazioni, abbandonarono  i propri  paesi alla ricerca del lavoro e di una vita più dignitosa.

Siamo grati, molto grati agli autori che sono stati in grado con un lavoro certosino, dettato dall’amore e dalla passione per la propria terra, a proporci non solo  tante testimonianze importanti, che altrimenti sarebbero state perdute, ma il testo, soprattutto,  ci invita a  riflettere che quel terremoto  è durato 40 anni!. Penso che sia un libro da leggere, quelli narrati non sono solo fatti tragici passati, ma ci aiutano a capire il futuro!. Invito per questo a leggere, direi a studiare questo testo, a farlo entrare nelle scuole, trarre da quelle macerie ( anche dalle fotografie raccolte in coda al libro) che cosa è stata la nostra storia, purtroppo, troppo spesso tessuta anche dal dolore dell’indifferenza, mi riferisco, soprattutto,  al dopo terremoto.

Di Carmen Moscariello

La foto è di Paolo Saggese.

 

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