Una bella serata di cultura in un’atmosfera amicale e di simpatia. È stato presentato sabato 26 a Venafro nella sede dell’Auser il libro “Sabbia” (Edizioni Eva, Venafro, 2014, pp. 80, € 10,00), ultimo uscito dello scrittore venafrano Amerigo Iannacone.
Ne hanno parlato Nicandro Silvestri, Presidente Auser - Venafro, Giuseppe Napolitano, Poeta, operatore culturale; Aldo Cervo, Scrittore, critico letterario; Irene Vallone, Poetessa e la poetessa venafrana Maria Giusti, che fungeva anche da moderatrice. I relatori hanno sviscerato i temi e hanno analizzato lo stile della poesia di Iannacone con interventi approfonditi, taluno a tratti anche toccante.
In sala, un pubblico costituito anche di poeti e scrittori (Maria Cristina Carbonelli di Letino, Antonio Di Filippo, Carmine Brancaccio, Laura Concetta Mauceri) ha seguito attento, partecipe e non sono mancati interventi dal pubblico (Mario Giannini, Carmine Brancaccio).
«Se potessi dare una definizione della poetica di Amerigo, – ha detta tra l’altro Irene Vallone – direi che la sua è la poetica dell’amore, poiché profondo, innato in lui è il desiderio del bene per il prossimo, la semplicità nel porsi, ma di una grandezza tale da disarmare ogni atteggiamento riluttante a comprenderla. Un poeta grande, Amerigo, con l’onestà del cuore e l’affetto di tutti gli amici e i lettori che lo seguono, poiché in lui è la casa della nostra amicizia.»
E Giuseppe Napolitano: «Si può partire da “Fiume di sabbia”, la poesia che rimanda nel titolo al titolo stesso del libro, da questa sommessa e malinconica dichiarazione di poetica dell’esistenza, per esaminare uno dei temi centrali di Sabbia (che è una raccolta equilibratamente bipartita, come a voler segnare un “prima” e un “dopo” – uno sviluppo inderogabile di chi siamo in chi saremo, e finanche non saremo). D’altra parte, quello del tempo è uno dei temi principali della produzione poetica di Amerigo Iannacone: lo scorrere ineluttabile del tempo che tutto consuma, e ci costringe, tutti, a correre inseguendo un futuro che si allontana sempre (“Scavalchi un muro / e davanti un altro e un altro ancora... / ... Ma dove è finito il futuro?”, in “Muri”). Ma il poeta lo sa che queste sono “domande che rubano il presente”, quelle rivolte all’età perduta: “Tanti momenti dove sono andati?” (in “Trent’anni”). Com’era bello avere 30 anni, 40 anni, e come sono lontani quegli anni, 30, 40 anni dopo! Iannacone non è tipo da fare troppe domande, preferisce proporre le sue risposte. Com’è giusto, e opportuno, che un poeta faccia.»
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