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CARMEN MOSCARIELLO, La preghiera dei Padri saraceni
dicembre 26, 2018 da frequenzepoetiche
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(Scotellaro non si tocca, è stato già fin troppo perseguitato in vita!
Toccare lui è come offendere per l'ennesima volta il Sud - C. M.).
Rocco Scotellaro nacque il 19 aprile 1923 a Tricarico (Matera) da famiglia artigiana. Suo padre era calzolaio, la madre, Francesca Armento, era sarta-casalinga e “scrivana” per i compaesani: preziosa fu la sua disponibilità a leggere e scrivere le lettere degli emigrati di Tricarico. In una pubblicazione ha narrato anche la vita del figlio dalla nascita fino alla morte di Rocco [1]. Il Poeta la tenne sempre in grande considerazione, per lei ha scritto versi bellissimi. Nell’ultima lettera scritta alla madre, la esortava a comprare una stufa per il suo ritorno e a non preoccuparsi della spesa, perché i problemi economici della famiglia si sarebbero risolti. Amò il padre: nella biografia dell’Uva puttanella (incompiuta) il poeta vive un processo identificativo con il genitore, soprattutto per la malasorte che li aveva accomunati e perseguitati, in particolar modo il disonore di aver subìto entrambi il carcere. Dalla sua famiglia apprende i valori morali che lo formeranno, fino a farlo divenire un simbolo eroico nella lotta per i più deboli contro i padroni: la sua vita, il suo pensiero, la sua poesia hanno sempre più assunto nel tempo la forza e l’urgenza di riscatto del Sud. Gli studi, come per molti di noi del Meridione, furono alquanto tempestosi, o meglio travagliati, nel senso che il vento della brughiera ti lascia cadere là dove vuole, là dove la sorte ti pone senza un disegno preciso: Rocco, come i suoi genitori, non scelse gli istituti dove studiare, passò dall’uno all’altro, sempre con molti sacrifici e senza lamentarsi, d’altronde la molteplicità di scuole e gli studi condensati in pochi anni, sempre per esigenze economiche, furono alfine un presupposto positivo, poiché permisero al poeta di conoscere luoghi diversi da Tricarico. Questo sviluppò in lui la capacità di adattarsi (seppur nessun luogo mai sostituì Tricarico nel suo cuore); la possibilità di conoscere luoghi e persone nuove, aprì i suoi orizzonti culturali e nel contempo si rese ancora più conto che le condizioni dei suoi concittadini erano davvero molto dolorose rispetto alle altre realtà (Trento, Cava de’ Tirreni, Potenza, più tardi Napoli ecc.). Lo stesso Giovanni Russo, suo caro amico e studioso della sua opera, ci racconta: «Nel 1939 a Potenza arrivammo imbacuccati per il freddo del cortile del liceo ginnasio “Orazio Flacco”: Scotellaro era nella prima liceo e io nel quarto ginnasio. Era rosso di capelli, il viso coperto di efelidi e diceva che tutti quelli che avevano i capelli rossi erano fratelli». Dal punto di vista cronologico, iniziò i suoi studi presso il convitto Serafico dei Cappuccini a Sicignano degli Alburni, più tardi a Cava de’ Tirreni e a Potenza, infine a Trento. In questa ultima fase fu influenzato dalle lezioni del suo professore Giovanni Gozzer, antifascista; determinante fu in questo periodo la presa di coscienza sui gravi disagi economici e umani dei suoi compaesani; gli anni tra il 1940-43 furono altamente formativi anche perché si confrontò con la realtà diversa dell’Italia del Nord, sentì profondamente l’ingiustizia a cui troppi uomini erano sottoposti e seppur giovane contestò il fascismo, tanto che nel novembre del 1940 venne espulso dal liceo-ginnasio per aver partecipato ad una manifestazione antifascista. Tra il 1943 e il 46 conobbe Carlo Levi, Manlio Rossi Doria, Camilla Ravera, Franco Venturini, Emilio Sereni, Guido Miglioli. Importante fu anche l’amicizia con il suo compaesano Rocco Mazzarone, medico, tisiologo, soprattutto quando fu eletto sindaco di Tricarico; Mazzarone fu molto vicino al poeta e comprese la bellezza del suo animo e la lucentezza del suo coraggio. Rocco fu il sindaco più giovane d’Italia, aveva solo ventitré anni quando fu eletto con il “Fronte Popolare Repubblicano” formato da PSIUP, PRI, PCI, PDA (20 ottobre 1946) e subìto i cambiamenti non si fecero aspettare; fece costruire un ospedale, inaugurato 7 agosto 1947 (qui la presenza e i consigli di Mazzarone furono preziosi), migliorò le condizioni sanitarie ed economiche del paese; anche la scuola conobbe un’importante evoluzione; lottò con tutte le sue energie contro l’analfabetismo, espandendo più tardi questa sua lotta a tutto il meridione d’Italia. Era convinto che la causa dell’arretratezza del Sud era da attribuire soprattutto all’ignoranza. Tutti l’amavano a Tricarico, ne è testimone l’accoglienza trionfale che i suoi compaesani gli tributarono quando fu liberato dal carcere e riconosciuto innocente. Ma il dolce appassionato Rocco fu un personaggio scomodo per chi deteneva il potere e quel giovane troppo effervescente, incontrollabile, cominciava ad apparire pericoloso come spesso accade per i più onesti; iniziarono a calunniarlo, a denunziarlo per crimini che non aveva mai commesso, a perseguitarlo fino all’incriminazione e al carcere. Credo che i grandi e i piccoli autori che si sono occupati di Rocco lo abbiano scelto, per la sua umanità che affascina e conquista, per la purezza dei suoi sentimenti, per l’abnegazione che aveva nel dedicarsi a chi soffre. Bisognerebbe molto indagare sulla sua religione della terra e del sacro amore per i deboli. C’è nella sua opera una non distinzione della sua vita da quella dei più poveri e più sofferenti: Rocco è tutti loro, e i braccianti lo riconoscono, lo amano. Ci sono stati tanti altri appassionati e grandi studiosi del Sud, ma essi rimangono fondamentalmente estranei al mondo del proletariato e dei cafoni. Al contrario, in questo caso, i suoi contadini, uomini chiusi, incapaci di esprimersi, con Rocco parlano lo stesso linguaggio, non lo temono, credono come lui in quello che fanno, lo seguono nella speranza del cambiamento. Rocco è un leader: capeggia la rivolta contro il latifondo, fonda una sezione del PSI a Tricarico, viene rieletto sindaco per la seconda volta (8 maggio 1959), quindi arrestato con l’accusa di peculato. Nella vita di Rocco Scotellaro gli amici-contadini sono per il poeta i successori dei “padri saraceni”, santi protettori degli umili. Ci sono anche le bellissime lettere tra Rocco Scotellaro e Manlio Rossi Doria: due grandi uomini che si prendono per mano: sono testimoni gli scritti di fulgente amicizia, lettere che i due si scambiarono e che oggi sono possedute e custodite da Anne Lengyel, moglie di Manlio. Nel maggio 1950 si dimise dalla carica di sindaco, nella quale era stato reintegrato dopo l’assoluzione. Lasciò Tricarico e si trasferì a Roma, dove lavorò per qualche mese da Einaudi. In quest’anno conobbe al convegno di Venezia Amelia Rosselli, che amò e venerò come una madonna. Manlio Rossi Doria si attivò molto per cercargli qualche collaborazione nei quotidiani, in una lettera del 31 ottobre del 1950, citata anche da Giovanni Russo, leggiamo: «Caro Rocco, con grande sorpresa ho saputo, arrivando a Roma, che tu non eri più lì e che ti trovavi in crisi di occupazione. Ho cercato qui a Napoli di vedere se era possibile trovarti un’occupazione al “Mattino d’Italia”, ma non mi sembra che per ora questo sia possibile. Cercherò qualche altra cosa. Ad ogni modo penso che la cosa migliore è che tu venga immediatamente a Roma, non preoccuparti se per qualche tempo dovrai restare ospite mio e di Carlo, il resto verrà, fammi sapere qualche cosa». Manlio Rossi Doria lo chiamò successivamente a Portici presso l’Osservatorio di Economia Agraria, dove partecipò alla stesura degli studi preliminari del Piano regionale della Basilicata, commissionato dalla SVIMEZ. Dobbiamo a questo punto ancora sottolineare la partecipazione di Rocco Scotellaro a comizi politici in tutta la Basilicata e non solo. Fu protagonista acclamato e amato dal popolo, i suoi comizi erano affollatissimi e avevano larghissima eco. Ricordiamo a riguardo alcuni articoli ritrovati nella Biblioteca di Pietro Nenni (anch’egli appassionato cultore di Rocco Scotellaro) a Formia, essi fanno riferimento alla sua instancabile attività politica: L’unità antifascista, «La voce», Napoli febbraio 1944; Da Tricarico, «Il lavoratore», Potenza 22 novembre 1944; Comizio socialista a Stigliano, «Il lavoratore», Potenza 2 giugno 1945; La manifestazione a Matera per la giornata della Costituente, «La voce», Napoli 20 ottobre 1945; Intemperanze reazionarie rintuzzate a Matera, «Avanti», 18 novembre 1945; Una campagna nazionale contro l’analfabetismo nel Mezzogiorno, «La voce», Napoli 1947; Rocco Scotellaro, «La strada», febbraio-marzo 1947. Rocco Scotellaro seppe ben coniugare impegno civile e letteratura, le due cose non possono essere lette separatamente; in entrambi i casi l’entusiasmo, l’ardore lo portarono al compimento di grandi progetti. Basti pensare alle opere sanitarie e scolastiche che fece nella sua Tricarico, realizzate in pochi anni. Con due mandati a Sindaco (entrambi non portati a termine: il primo mandato cadde con la vincita a livello nazionale della Democrazia Cristiana, il secondo sotto la fraudolenta accusa di peculato, con conseguente carcerazione) egli seppe costruire l’ospedale di Tricarico, fiore all’occhiello di tutta la Basilicata, e attivò un processo di alfabetizzazione anche per gli adulti. Non si risparmiò per il bene del suo paese, anche il suo spostarsi a Napoli comprendeva la promessa di un ritorno, dopo essersi fortificato, dopo aver trovato appoggi a livello nazionale alle sue idee di crescita e di libertà, tanto che nel 1952 accettò di candidarsi nelle elezioni provinciali, senza però essere eletto. Nel gennaio del 1953, agli inizi di dicembre, pochi giorni prima di morire, fece un viaggio in Calabria. Rocco appare in profonda crisi, anche se in questo ultimo, difficile periodo, scrive due opere supreme (seppur entrambe incompiute): Contadini del Sud e L’uva puttanella.
Lo sostennero nei suoi progetti Manlio Rossi Doria, Carlo Levi, Adriano Olivetti: coraggiosi antifascisti, eccelsi pensatori, che avevano sfidato ogni pericolo per il trionfo delle loro idee di libertà, anch’essi sono i “Padri Saraceni” di Rocco, lo proteggono, fin quando la morte non ha il sopravvento e anche dopo la morte, lo difesero. Questi grandi, compreso Rocco, pensarono a un Paese ben oltre il comunismo, proposero un’organizzazione politica e sociale che ponesse al centro non l’interesse privato e il solo sistema economico, ma l’uomo e la sua vita, considerando il lavoratore con sommo rispetto. Questo è il grande iato tra i tre grandi e gli operatori economici del tempo: la crescita economica ad ogni costo non era il loro ideale, né costruire ricchezza a scapito dell’ambiente naturale e della bellezza delle città; la sottomissione dell’uomo alla schiavitù del lavoro non era il loro obiettivo. L’esempio lo dà Adriano Olivetti, che alza il salario per i suoi operai del 20% in più rispetto alla Fiat e alle altre grandi fabbriche, che, in verità, l’aumento effettivo rispondeva all’80% se si valutano anche altri benefici offerti agli operai: l’asilo, la casa, il pagamento degli studi per i figli, il sabato e la domenica di riposo. Prevalente per questi grandi contava il rispetto per l’ambiente, lo studio delle nuove architetture di costruzione delle città e delle fabbriche e non ultima la volontà di salvare il Sud dell’Italia e non farlo diventare luogo dove prelevare manodopera a basso costo, svuotandolo di ogni iniziativa di crescita; in questo furore di idee, di sogni, di urgenza del bene comune, vive Rocco ed è partecipe attivo. È in questo fervore di idee illuminate, di libertà, che nella vita e nell’opera di Adriano Olivetti trovano concreta attuazione le sue fabbriche, sorte in tutto il mondo sono studiate e apprezzate. Queste idee erano condivise con i suoi intellettuali di «Comunità», della quale lo stesso Rocco e Amelia Rosselli erano simpatizzanti. I confinati politici Adriano Olivetti, Carlo Levi, Manlio Rossi Doria influirono non poco sulle scelte del socialista Rocco. Egli si iscrisse al partito Socialista il 4 dicembre 1943 e nello stesso mese fondò a Tricarico una delle prime sezioni, titolandola al martire del fascismo “Giacomo Matteotti”. Nonostante fosse di idee fortemente rivoluzionarie, non fu mai comunista e tenne sempre ben separata (intendendole come realtà di vita e di lavoro diverse) la vita degli operai delle fabbriche e i destini dei contadini del Sud. Nel 1942 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ed ebbe un posto di istitutore in un collegio di Tivoli. Nel novembre del 1949 a Macerata, in occasione di un convegno su “La cultura nelle provincie”, portò un importante contributo al dibattito in aperta polemica con Ugo Betti. L’8 febbraio 1950 fu arrestato con l’accusa di concussione riguardo a fatti che risalivano all’agosto 1947 e al febbraio 1948; il 24 marzo 1950 la Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Potenza non solo lo prosciolse e ne ordinò la scarcerazione “per non aver commesso il fatto” e “perché il fatto non costituisce reato”, ma nella sentenza si legge che “fu vendetta politica”. Qualche mese prima della morte si recò in Calabria con Carlo Levi per verificare gli effetti della Riforma agraria; il resoconto di questo viaggio è testimoniato da alcuni importanti suoi “Appunti”. Il 15 dicembre 1953 si chiude la vita di questo giovane dagli occhi tristi e dai capelli rossi. Ai ritmi di musiche sefardite, chassidiche, yiddish, calanchi lucani, e le grotte gutturali di Matera gridano il suo nome, vessillo di libertà per il Sud e per tutti quegli uomini e donne che non si piegano alle ingiustizie.
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[1] Rocco Scotellaro, Una vita agra di Giovanni Russo, elzeviro del «Corriere della Sera», mercoledì 22 dicembre 1999, p. 35.
Biografia di Carmen Moscariello
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Informazioni su frequenzepoetiche
Giorgio Moio è nato a Quarto (NA) il 25 maggio 1959. Poeta, è stato redattore delle riviste «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest’ultima è anche tra i fondatori). Direttore editoriale di una piccola casa editrice, nel 1998 ha fondato e dirige la rivista «Risvolti», quaderni di linguaggi in movimento. Ha collaborato con numerose riviste, attualmente collabora assiduamente col magazine on line "Cinque Colonne" e con la rivista webzine "Malacoda". Ha pubblicato una quindicina di volumi.
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