domenica 30 dicembre 2018

Attilio Bertolucci- Il beato egoista.










Attilio Bertolucci- Il beato egoista

Di

Carmen  Moscariello





“Il Bertolucci ha quel che si dice un temperamento; ha vena, fantasia, respiro”. Così Montale recensiva una delle prime opere poetiche di Attilio Bertolucci, Fuochi in novembre e consacrava la nascita di uno dei più grandi poeti del Novecento. Nato a Parigi nel 1911, fu legato da profonda amicizia a Vittorio sereni, Mario Luzi, Giacinto Spagnoletti, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia ,Sandro Penna, Giorgio Bassani (compagno d’università),egli  ha contribuito non poco alle svolte culturali e artistiche del Novecento. Tuttavia, la sua poesia rimane un canto unico e lontano dalle altre voci ermetiche e dalle Neo-avanguardie della seconda generazione. Sembrerebbe, infatti, prevalere, fin dagli esordi, una ricerca profonda di toni umili. Il raffinato lessico o lo sperimentalismo dei poeti lombardi o toscani, suoi coetanei, rimane fuori dai suoi temi ideologici.

Fin dai primi volumi ”Sirio” (1929), “Fuochi in novembre (19234), l’opera poetica di Bertolucci rievoca un gusto evocativo legato al mondo agreste, alle piccole voci quotidiane. Un crepuscolarismo che lo avvicina al Montale minore e che lo porterà più tardi a una poesia non priva di originalità e unica per la limpidezza del suo verso. Queste prime due opere rappresentano, dunque, l’inizio di un monologo mai interrotto con il proprio io. ”Il beato egoista”, (così lo chiamava Vittorio Sereni, per il grande amore verso la sua famiglia) non manca, però, di “colpi d’ala” (Montale), che fanno presagire fin dal lontano 1934  svolte nuove per la poesia italiana.

Nell’intervento sulla rivista “Pan” (Firenze)ancora Montale ci proponeva versi come questi: mi ha svegliato il tuo canto-solitario/triste amica/ dell’ottobre/dell’ottobre/innocente civetta/ Era la notte /brulicante di sogni come api (La notte d’ottobre).

Molte delle composizioni di “Sirio” e “Fuochi in novembre”, il poeta le farà più tardi confluire nella “Capanna indiana”(1951), un’opera di più ampio respiro anche se non si avvertono fratture evidenti di contenuto e di tono rispetto alle raccolte precedenti. D’altronde, il poeta, includendo nella “Capanna indiana” le prove giovanili intendeva forse sottolineare l’unità di ispirazione di tutta la sua poesia. Qui lo spirito virgiliano di Bertolucci, avviato alla maturità, si manifesta nel desiderio di cogliere le minime vibrazioni del tempo. Il verso ampio, diventa descrittivo per meglio esprimere lo stato di stupore e di attesa. Quei colori accesi che a volte potevamo notare in “Sirio” assumono definitivamente le sfumature autunnali e si avviano a una monocromatica musicalità  suadente, non priva di una sottile ansia: la mattina dei nostri anni perduti/ i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,/ i compagni che andavano e tornavano ,i compagni/che non tornarono più….. Il contenuto diaristico della “Capanna indiana” è sempre riscattato da una grande delicatezza del verso spoglio. Non meno mordente nella raccolta e il leitmotiv della vita familiare: era l’ora che dietro alle persiane/la famiglia si desta amaramente/l’ultima mosca ronza moribonda/nella chiusa cucina ove la brace/dei primi fuochi autunnali dura/sino alla prima donna frettolosa//giovane strega, montanara falsa….Gli accenti intimistici di questa poesia hanno ben poco in comune con lo scenario raffinato, letteratissimo di un Quasimodo, di Luzi o di un Parronchi, o Bigongiari; e, tuttavia, Bertolucci dalla sua chiusa soggettività  fa scaturire un concerto di voci e la sillabazione discreta e il modo quasi svagato di raccontare per immagini, nulla tolgono alla purezza del verso.

Il poema autobiografico si amplia con “Lettere da casa”(1955), soprattutto, in quest’ultima opera prevale il senso discorsivo con preposizioni e periodi più lunghi e con una serie di coordinate e subordinate che fanno scivolare senza attrito la poesia nel romanzo evocativo. L’assenza di punteggiatura e l’uso di enjambements in “Viaggio d’inverno”(1971) nulla toglie al racconto e al monologo che cresce d’intensità. Avvertiamo anche una adesione simpatetica e un amore francescano (più che generica pietas segnalata dalla critica più avveduta)) del poeta per il mondo. “avere visto due fratelli, l’uno/di quindici l’altro di dieci anni lungo/il fiume, intento il primo a pesca ,il secondo a servire con pazienza e gioia? Il sole pomeridiano colora/i visi così simili e diversi /come una foglia a un’altra foglia/nella pianta, una viola e un’altra viola in terra./Oh, se durasse eternamente questa mattina che li svela e li nasconde/come erra la corrente tranquilla / e li congiunge sempre se un silenzio/ troppo dura tra loro e li opprime /così da cercarsi una voce e trovarsi intatte membra, intatti cuori, rami/ chela pianta trattiene strettamente/”.

Si noti in questi versi come Bertolucci passi dal tono colloquiale  a un lirismo sempre più intenso. Le coordinazioni del polisindeto servono ulteriormente a rendere sinergici aspetti della natura e quelli umani. . Inoltre, nella seconda parte, la punteggiatura sempre più sporadica, intensifica le emozioni che si sovrappongono. La fluente commozione del poeta  risulta chiara fin dalla seconda strofa e va via via accentuandosi senza che il campo semantico perda di modestia e di semplicità tonale.

L’auscultazione della vita nelle pieghe più segrete raggiunge la massima felicità espressiva nell’ultima opera in versi “La camera da letto”(19884-88). La storia vissuta dall’autore si fa epicamente, direttamente poema e gli affetti familiari finiscono per occupare un ruolo centrale e totalizzare l’evocazione. Il tempo prustiano che ha inebriato i ritmi della sua vita e dei suoi versi, qui diventa accorata attesa di un Assoluto instancabilmente perseguito con discrezione, una sorta di parabola che prelude il miracolo. Così che poesia e prosa si uniscono in una sintesi imprevedibile per gli effetti di chiarezza , di immediato confluire delle sensazioni : “…..le nuvole/ non s’erano fermate, bisognava andare avanti, era sempre Appennino profondo anche se altri/ mandriani più miti già vi avevano/cresciuto agnelli e figli: non poteva/quell’infinito ondulare, di valli/ celesti nel silenzioso mezzogiorno/deluderli in eterno, mentre il vento/si placava declinando/il giorno sui crinali in un calore/cui conveniva accucciarsi, cavando/pane e formaggio per la cena./ Poi venne un’ora limpidissima , l’ora/ del pastore / che passa per ogni cima uno smeriglio/di luce solitaria; ma le valli /questa volta non echeggiarono del suono/cristiano che aiuta ad affrontare/ la notte.”

Questo preludio dell’opera ha la stessa modulazione di una ouverture verdiana, lì dove il senso del misterioso coinvolge ipnoticamente il lettore conducendolo in un universo di meraviglie sospese tra fiabesche e quotidiano.

Infine nella pubblicazione della Garzanti “Aritmie” i  battiti del cuore di Bertolucci trovano realizzazione non solo nella poesia, ma anche in una variopinta vertiginosa mole di interessi culturali. Qui la stetoscopica auscultazione, non solo del muscolo cardiaco, offre un ampio panorama musicale per il cinema, per l’arte, per la musica, per la poesia classica, francese e inglese. In questa “Summa” vengono raccolte tutte le esperienze culturali di mezzo secolo e più di vita. Un’autobiografia letteraria ,dunque, comprendente saggi, ,recensioni, articoli incontri.

Vittorio Sereni, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Roberto Longo sono alcuni dei personaggi raccontati con giovialità e freschezza da Bertolucci. E, ancora,  le intermittenze del cuore , che esplodono improvvise e incontrollabili, portano il poeta ad evocare la sua Parma, la Versilia, Busseto. Una descrizione minuziosa, dove la geografia dei luoghi si arricchisce della presenza di figure familiari, di ricordi letterari ed artistici intensi.

Quella musicalità monodica che abbiamo colto nelle raccolte di poesia, si trasforma in quest’opera in una polifonia di stile e di temi. Spesso il titolo iniziale dei numerosi paragrafi è solo l’occasione per oltrepassare le Colonne d’Ercole e guidare lo spirito nell’armonia pulsante.




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