Spettacolo Teatro Romano di Cassino
Proserpina, opera e regia di Carmen Moscariello
Eleonora, spettacolo Teatro di Viterbo.
“Eleonora dalle belle mani” di Carmen Moscariello
Bastogi Editore, Prefazione di Renato Filippelli, post fazione di Alessandro Petruccelli
Dalla prefazione di Renato Filippelli
Eleonora
Duse, “La Divina” Eleonora, la grande tragica che D’Annunzio suo celebratore e
carnefice, identificò con l’emblema del” patimento creatore” ,fornisce a Carmen
Moscariello la materia di questa pièce che credo poter collocare fra i più
interessanti frutti della stagione letteraria in corso.
Evocare la
Duse senza mettere accanto o di fronte l’autore de ”Il Fuoco” (quel D’Annunzio che fu suo amante, sempre in bilico tra
l’ammirazione per l’attrice ed un sostanziale rifiuto per la donna, gracile e
malata di etisia)sarebbe stato un azzardo.
La
Moscariello non nuova a queste appassionate rivisitazioni di personaggi
femminili, sacri alla storia antica e moderna dell’umanità, ha voluto che il
messaggio esistenziale della celebre Lenor
passasse attraverso l’esperienza del suo amore per L’Immaginifico. Di qui la
decisione di aprire ampi spazi al Pescarese e di illuminare, con tocchi rapidi
e incisivi, la personalità contradittoria, con le sue cadute nell’animalità
dell’istinto sessuale, ma anche con le sue impennate verso le plaghe della
spiritualità e della poesia mitizatrice.
Difficile
era il governo artistico di due personaggi così complessi e sfuggenti, così
radicati nel magma dell’esistenza e così protesi alla fictio di una vita ideale, così pervasi di terrestrità e così
disposti alla sublimazione onirica. Occorreva uno sguardo capace di cogliere al
fondo di tante incarnazioni effimere un nucleo morale stabile, da assumere come
chiave interpretativa unificante. In altre parole, si poneva la necessità , per
quanto riguarda la Duse, di attingere il segreto della sua verità anche quando
l’attrice continuava ad essere tale, pur essendo uscita dalla finzione scenica,
e per quanto attiene al D’Annunzio, occorreva
rimuovere le incrostazioni delle pose superomisiche e dei cinismi
d’epoca per portare allo scoperto le fonti della più autentica ispirazione
poetica e i tratti di un’umanità fragile, in fondo, e bisognosa di rifugi
protettivi.
La
Moscariello ha dimostrato di possedere questo metaforico sguardo che giunge
alle radici dell’anima e le abbraccia con trepida pietas. Lirica per vocazione,
ella ha colto in questo suo dono un rischio ai fini della strutturazione
drammatica, e l’ha tenuto sotto controllo, fino a quando le situazioni non
postulassero l’abbandono all’onda spiegata della poesia come ritmo e canto.
Voglio dire che il testo in questione attua la è propria articolazione teatrale
anche attraverso inserti di situazioni e di di azioni realistiche aspre e crude. Si veda l’incipit
dell’opera: Quell’esplosione di invettive di Maria Gravina, amante insaziata,
contro D’Annunzio, scoperto infedele e si considerino anche gli scatti della
stessa Duse di fronte ai comportamenti del suo poeta, che in Lei tradisce la donna e l’artista, e
ancora le aggressive rampogne di Matilde Serao all’uomo che continua a
infliggere disastri morali e finanziari alla grande attrice. In questi passi
dell’opera la Moscariello si serve di un radicale espressionismo in funzione
felicemente caratterizzante, ma subito dopo, come a garantire l’equilibrio
tonale dell’insieme, inventa un dialogo tra i due amanti, che ha la grazia di
un’indubbia conquista poetica su registri sommessi e come incantati.
Questi
momenti pervasi dalla pura liricità lasciano prevedere il tema del finale trionfo
della fede nell’arte come unica certezza in un labile e illusorio movimento di
ombre.
A
ripercorrere il testo di questa autrice ,il lettore difficilmente dimenticherà
l’ultimo atto, che dà rilievo di statua sacra alla Duse ,ma altresì umanizza la
figura di D’Annunzio che alla grande tragica chiede il sostegno di una
comprensione materna.
All’ombra
della donna da Lui umiliata e offesa in più luoghi de “Il Fuoco” ora il Poeta potrebbe dire quel che disse alla madre in una celebre
lirica del “Poema Paradisiaco”: “L’anima sarà semplice com’era / e a te verrà,
quando vorrai, leggera/ come vien l’acqua al cavo della mano”
Nel
suggestivo testo di Carmen Moscariello la Duse si fa mediatrice di questo
junghiano ritorno del Poeta alla semplicità e all’innocenza del suo tempo
d’infanzia.
Renato Filippelli
Nessun commento:
Posta un commento