Il Romanzo
di Campanella di Dante Maffìa
La brace e l’alchimia.
Se si vuole
davvero conoscere Campanella, la sua filosofia, le sue profezie, il suo
sentire, il suo essere monaco e uomo bisogna leggere Il romanzo di Tommaso
Campanella di Dante Maffìa, Ilisso-Rubettino, pagine 169, dicembre 2006. E’ un’opera
delicata, armonica a fiato, ampolla di verità, scuro inchiostro di poesia.
E’ bellezza.
Leggerla è
come ascoltare una pioggia lieve, nel fogliame il vento che appena si muove, è pari per vertigine
ai Notturni di Chopin,[1]
note misurate, quasi aggrappate alla vaghezza di un’onda, tutto è raccontato
con immensa dolcezza, posto come se le cose accadute, anche le più terribili,
non potevano essere che quelle.
Prima di ripartire , entrarono nella Parrocchia
a ringraziare il Signore. Nella chiesa era esposta una Madonna di marmo di
Mastro Antonello Gaggini. La Madonna stringeva il Bambino . A Giandomenico
l’opera fece impressione: Madre e Figlio sembravano di carne, persone vive.
Era vero che gli avevano sorriso,
sussurrato qualcosa? Sulla via del ritorno non si unì alle chiacchiere degli
altri paesani, cercava di ricordarsi le parole sussurrate dalla Madonna di
ricordare esattamente il sorriso del Cristo. Come era possibile che delle
statue parlassero?[2]
Sono
granelli di stelle che cadono sulla vita di un fanciullo che si appresta a
diventare monaco e a farsi chiamare Tommaso Campanella, spogliandosi alquanto
della prima vita, poiché gli studi pazzi gliene avrebbero preparata
un’altra molto intensa e a tratti
burrascosa.
Incandescenti
sono i luoghi narrati che trovano sposalizio con gli eventi. Quando Giandomenico
lascia la sua casa a Stilo, con nel cuore gli affetti più cari, andando
incontro al mistero della sua scelta, imposta dal destino, così gli appare il
convento domenicano che per primo l’accoglierà: Il convento è un uccellaccio appollaiato sopra una collina; con le
prime ombre ha il piglio sinistro di un mostro in agguato. [3]
Le bocche
assetate, gli occhi stanchi l’insaziabile sapere, lo scorrere dello sguardo
oltre la vista approdano a un simposio di idee, di pensieri, di fatti. La
narrazione ha gli stessi movimenti delle onde, le mille sfumature dei mari dei
cieli. Una vita scorre, sembra già segnata dall’Onnipotente, nulla possono i
piccoli uomini di fronte all’Immenso. Mille roghi per mille esperienze che partono da una terra resa povera
dagli uomini prepotenti e voraci per arrivare fino alla Corte del Re francese
che accoglie il fraticello con tutti gli onori. Maffìa ha iniziato il suo
romanzo proprio dal dialogo di Tommaso Campanella con il re Luigi, quasi
volesse presentarcelo con la sua veste migliore. Il frate ha il capo che gli duole per il troppo pensare,
ha rispetto per l’amico che lo ha protetto ed accolto, dopo infinite peripezie
e molti anni di carcere, tramati dalle maldicenze e dall’invidia. Lo
incontriamo per la prima volta nella
reggia francese , qui discorre con il Re
Luigi, con Richelieu, come fossero suoi parenti prossimi, ce li presenta con
orgoglio e chiude il romanzo con parole
forti e determinanti:” Apparteneva alla
famiglia dei più nobili da che furo gli uomini in terra. Dio mette il fiato in
menti siffatte per mostrare una briciola della Sua potenza del Suo intelletto e
dona le qualitate così grandi, si e no ogni trecento anni”. [4]L’erede predestinato è il grande Poeta, è colui che
sa e ha un cuore grande e onesto. Ecco un lato che geneticamente
li accomuna, li rende fratelli di sangue. Geneticamente Maffìa ha aspetti del suo essere
che sono simili a quelli del frate domenicano, molti suoi critici parlano della
sua memoria immensa, di un sapere privo
di confini, di un uomo che si avvolge e si svolge nei libri, con essi vive, con
essi costruisce, con essi parla. Così Tommaso: “… appariva soltanto nell’ora
della preghiera comune o all’ora dei pasti : restava in silenzio, pensoso ,assorto come un essere che abita lontano
e per caso si trova in mezzo a estranei. I frati cominciavano a prendere le
distanze e i superiori a verificare se il giovane domenicano fosse davvero e
fino a che punto capace di discostarsi dalla comunità e vivere appartato tra i
libri. Studiava dodici ore al giorno , a volte parlava da solo durante la
passeggiata o nei corridoi del convento, portava il cibo alla bocca con fare
indifferente, borbottava tra sé frasi in latino, in greco, in dialetto
calabrese , come un vecchio svampito, incapace di orientarsi dentro se stesso e
che si lascia andare a suoni di memorie remote.[5]
E’ storia che questi
Titani [6]di
Calabria, debbano sedere a tavole regali, senza rinunziare neanche a una
briciola della loro dignità o del loro essere. Mi sono chiesta in che rapporto
di immensità, Maffia è con le altre grandi
anime della terra calabra? E’ egli inserito da par suo tra i più grandi di
questo cielo stellato? Certo è che tutti
loro sono le onde anomale che rompono i tragitti tediosi, spaccano le zolle,
sono demoni e uomini ,divinità e dolore.
Certo, senza accademismi, ha saputo, Maffìa,
in quest’opera, portare la sua poesia e il suo pensiero a livelli ineguagliabili.
Interessanti
sono le parole di Norberto Bobbio in merito a questo capolavoro: “: Maffìa riesce a suscitare nel lettore un
senso di meraviglia insistendo sull´infanzia e l´adolescenza del filosofo,
sulla miseria della sua terra, sull´apprendimento senza maestri, sulla memoria
favolosa». E sembra di vederla, «quella figura tozza» da cui «verità e
conoscenza sprizzavano con la naturalezza con cui una polla d´acqua sbuca dal
foro di una roccia”.
Questo
romanzo fascinoso, altero e umile ci permette di conoscere da vicino il grande
filosofo, amante e difensore della
filosofia di Telesio (patì molte pene, per aver
difeso il suo amico e maestro); nelle pagine si insegue la conoscenza del Domenicano, come essa sia man mano cresciuta nella consapevolezza
della conversazione, nel confronto umano
con Dio e la Natura, alla quale conoscenza
neanche il protagonista riesce a mettere limiti, ad arginare, anzi c’è un piacere
immenso che lo invade, un fremito
maturato già sui pascoli di Stilo, ragionato con gli uccelli e le pecore
che il pastorello guidava nei prati. C'è un'arsura, un desiderio di acqua che
invade il racconto dall’inizio alla
fine. L’arsura e la miseria appartengono
anche ai luoghi e alla povera
gente di Stilo. Rimandato a casa dal convento, Tommaso guarda ora i luoghi natii
con gli occhi dell’uomo, non più del fanciullo: “Per scendere
all’Arcivescovado ,attraversò i vecchi viottoli di sua conoscenza, tra i campi
aridi e brulli per la siccità; alcune fonti s’erano disseccate, nel greto delle
fiumare v’era qualche oleandro, ma senza più un filo d’acqua e le poche mucche
sembravano essere sopravvissute alla fame più nera. S’era fermato a parlare con
qualche contadino per sapere di più su quell’abbandono…” La pietà per le condizioni della sua gente è troppo grande,
il fraticello si interroga sul perché non si siano ribellati alle “canaglie”
che rubano anche quel poco che la natura avara ha salvato per la loro sopravvivenza. Da questo immenso dolore
nasce “ La città del Sole”[7],
un luogo dove tutti possano vivere felici e dove la giustizia pervade la storia.
Quest’opera non è utopia, Campanella capeggerà una rivolta contro gli spagnoli,
una ribellione convinta, metterà in atto i contenuti delle sue opere e del suo
pensiero, mai delegati al solo aspetto didattico, politico, filosofico,
poetico. Il fraticello riuscì a convincere quel popolo sparso e confuso e gli
ridiede (seppur per poco) la dignità.
Maffià ci guida in un mondo che è quello dei poeti, realissimo e nel
contempo intriso di alchimie e di mistero, così è per Frate Tommaso,
queste corde sono vissute con
generosa umanità, con un’intensa capacità di calarsi totalmente, con tutto se
stesso, nel caldo e impuro
fluire della vita”[8] come se
insieme al frate si raccogliessero, in quelle terre assetate di acqua, le idee,
i princìpi, le reazioni, i cambiamenti, i valori, la rivolta.
Esistono
convergenze luminose tra chi scrive il racconto e il frate, ed è vero, ma non
c’è assolutamente la volontà di Maffìa di identificazione con la vita e la storia umana e culturale dell’arguto
fraticello. E’ interessante soffermarci su questo punto: abbiamo notato fin
dall’inizio del romanzo, non solo un atteggiamento fraterno del grande poeta
con il filosofo, ma anche una chiara volontà matura che si irradia al di sopra
di tutte le cose narrate. La natura, i processi ai quali il fraticello è
sottoposto, il carcere, le umiliazioni,
la grande memoria, la povertà, l’orgoglio e la forza di vivere secondo i principi
sacri di libertà, non sono semplici apparentamenti a un modo di vivere o un
modo di guardare la vita, ma sono palpitanti, vivono mille atmosfere che
possono intuarsi nel sole, negli animali, nel canto degli uccelli, nel fetore
dei sotterranei, nei sentimenti di amicizia, nell’odio immotivato contro la
grandezza, la bellezza e l’intelligenza.
C’ è al di là della storia un Iperuranio che sbarca sulla terra , si fa
tenerezza per la grande potente mente che Dio ha creato, che gli uomini piccoli
temono e la scambiano per poteri demoniaci. L’opera di Maffìa ci fa comprendere
anche a noi che cosa significhi essere grandi, essere così vicini alla divinità
da sconvolgere un mondo piccolo, piccolo, fatto da zoticoni, opportunisti,
galeotti. Né Maffià, né , dunque, Campanella giudicano il mondo, ma non
l’accettano, sono altro, ed essere altro dal mondo può costare molto caro.
Maffìa ci ha consegnato con grazia,
quasi Dante che ci parla di Beatrice, la personalità di Campanella, ci ha molto
descritto la vita e i pensieri del fanciullo e dell’uomo; c’è un percorso di
meditazione che parte dalle cose e dagli ambienti per non avere fine, viaggia
in stratosfere d’Infinito, in una purezza e gentilezza d’animo che non permette
di odiare il malvagio, anzi questo viene guardato, neanche scorto, come colui
che col tempo, potrà capire. E’ un comportamento questo che accomuna Campanella
a Giordano Bruno, anche il Fiammeggiante spiegò, volle far capire ai suoi aguzzini qual è la strada della verità. La verità è
levità, è stupore di fronte alla
bellezza del mondo ,è il saper cogliere senza sofismi, in ogni granello la
divinità. Dominante è l’ardita frenesia della conoscenza, la capacità di
ambientarsi in luoghi sconosciuti, in ambienti in cui l’uomo è tutto: è natura,
passione, amore, ribellione, rivolta armata contro le ingiustizie, le
mediocrità, la volgarità dei signori di Spagna che divorano vite, che
calpestano senza pietà le esistenze degli umili. La scrittura di Maffia
affascinante, tessuta in tenera poesia ci ha reso questo personaggio
attualissimo, ce lo ha regalato con i
suoi pensieri più reconditi, chi non legge questo libro non conoscerà
abbastanza Campanella. Con garbo ci
guida non solo a scoprire i suoi pensieri,
ma come essi crescono nella mente del filosofo, si ampliano a dismisura, fino a
divenire temerari, fattivi, rivoluzionari. Maffìa, come solo i grandi scrittori
sanno cogliere, ha fatto di questo romanzo un’opera d’arte, mi sono spessa
soffermata più volte a leggere delle pagine, dei periodi così luminosi, così
immortali da farsi attraversare dalla luce in ogni suo splendore.
Carmen
Moscariello
[1] Nocturne
in B flatminor, op.1,2;
[2] Opera
cit. pg25;
[3] Dante
Maffìa, Il romanzo di Tommaso Campanella, pg 37;
[4] Opera
citata, pg 169 E’ il Priore di San Giacomo a pronunziare queste parole, commosso al funerale di Tommaso avvenuto a Parigi alla presenza del re il 21
maggio 1639;
[5] Opera
citata, pg 44;
[7] Tommaso
Campanella, La città del Sole, a cura
di Franco Mollia, Mondadori 1991;
[8] Claudio
Magris: Capace
di nuda essenzialità e di freschezza primordiale, Maffia è poeta
doctus: la sua opera comprende la
lirica come il romanzo, la saggistica e la critica. Scrittore che si situa
all’incrocio di molte frontiere, Maffia si è confrontato con tante voci della
letteratura contemporanea e con i nodi centrali della modernità, una delle
caratteristiche più felici è la competenza di sottile e agguerrita coscienza
critica, attenta alle ragioni storiche e allo sgomento del divenire, e fantasia
mitica, pervasa dal senso dell’immutabile unità dell’essere. Entrambe queste
corde sono vissute con generosa umanità, con un’intensa capacità di calarsi
totalmente, con tutto se stesso, nel caldo e impuro fluire della vita”.
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