Dante Maffia “Il
suicidio, lo stupro e altre Notizie”
La gemma nera
Non si tratta solo di una raccolta di poesie, questa volta
Maffia ha sfidato il mondo intero, ha urlato a pieni polmoni, per chi non
l’avesse ancora inteso, la sua libertà, la sua dignità, il suo orgoglio poetico
che non cede a schiamazzi televisivi o
giornalistici: La poesia non ha bisogno
della prima pagina dei quotidiani, né di battiti di mani; non è il sogno della
cronaca. Preferisce radure, vecchi campanili e marine. La poesia è una
baraccopoli nella quale cadono le stelle e nessuno ci fa caso[1]. Bisogna
dargli atto che per la sua intera vita mai ha rinunziato a se stesso, mai ha piegato il suo ginocchio se non
davanti all’amore.
“Sono grata a Maffia per non aver ceduto, in decenni di
poesia, prosa teatro e critica, alla tentazione di darsi in pasto ai grandi
gruppi editoriali…. Il suo agire da lupo sciolto insofferente alle dinamiche
del branco e restio a leccare la mano ai padroni delle più prestigiose collane
, ha nutrito la sua sensibilità e la sua poesia con la rabbia salvifica di chi continua a
combattere una guerra che tutti considerano già finita da tempo” [2].
Egli ci presenta un
mare marcio con rigagnoli in cancrena, e cieli anemici che fluttuano in un
universo che da tempo, da troppo tempo ormai , ha perso la sua méta. La violenza è furiosa , le sue onde in
tempesta devastano senza pietà. L’unica certezza è la Sua poesia. Gli intrugli
ai quali anche molti poeti sono abituati non interessano Maffia. Questa
volte ha scardinato , anche sul piano
formale, tutto quello che la poesia ci
ha dato da Dante Alighieri a Montale, qui non c’è il turbamento o la rabbia,
qui c’è un’ indomabile Zebra rossa che rincorre invano un’alba chiara nel deserto
degli uomini.
Il dolore domina
tutto, ma il Poeta non può morire: Rifugiarmi nella Città del Sole/nelle parole
di Cartesio, di Montaigne, d’Epicuro e di Seneca….oscillare, ritornare sui
testi /imbrattarsi il cuore di refusi, condannare e assolvere me stesso, e non
riuscire mai a sentire la musica / che genera il fiorire di una foglia/, di
quella foglia ch’ ho tenuto/fra le mie mani accarezzandola ,/ facendola sentire
umana creatura,/ benedizione del sole, respiro del Concerto/.[3]
Anche solo questi
pochi versi, rendono la Sua Poesia degna del Nobel.
L’opera denunzia una società dove domina il lupus
est homo homini,[4]
racconta un progredire della morte,
il cui fetore ammorba tutto; mentre il
mondo governato da Caino ha dato vita a una
cacocrazia[5] dove i
peggiori comandano e il suicidio e lo stupro sono divenuti pane quotidiano; a questo, la Sua Anima si ribella, non vuole
nemmeno essere sfiorata dalla putrida cancrena. Intanto, il posto dell’
anima è stato preso dai “codicilli” dei peggiori che sono esaltati e occupano i posti
più alti. Non c’è solo il coronavirus a portare la morte, molti si industriano beatamente
da tempo ad uccidere il Bello, ad annientare la Poesia e l’Onestà con versucoli
che fanno inorridire.
Siamo di fronte al
potentato dell’orrido. Come dare torto al Poeta?
Questa antologia ricca di ben 214
pagine è fantasmagorica, plurima,
inusitata, rivoluzionaria; è visionaria, seppur, fatti oggettivi, la
popolano dall’inizio alla fine. Mi è sembrato di incontrare nei suoi versi il
Figlio del Demo di Peonia, come il grande accusatore, la sua parola è tagliente
non fa sconti a nessuno. Maffia interpreta da attore e scrittore di tragedie la
parte di” Démosthène s’exercant à la parole”[6],
scapigliato, irato col suo mantello squarciato da un vento furioso su una delle
falesie del mare di Calabria. Qui urla al suo popolo con la stessa rabbia che
mise Demostene nel pronunciare le tre orazioni contro Afobo[7],
essendo stato derubato da costui del patrimonio del padre, morto quando egli era solo un fanciullo, così per
Dante Maffia, derubato del bene di vivere, si ribella e uccide la malasorte che
uncina la vita dei Poveri e quella dei Grandi, egli l’ha crocifissa ad un palo
e contro di lui non può più nuocere. E’ forte, è coraggioso, non vuole l’aiuto
di nessuno, feroce incalza i lupi per non lasciargli scampo. Le tensioni che
irrigano l’opera vanno man mano crescendo, né trovano approdo in nessun letto
di fiume. Crea irripetibili atmosfere con dialoghi tra i carnefici e le vittime: Verso dove è caduta?/Nei fondi dei bicchieri caleidoscopi
funesti/il ruotante ruinare assassino/ delle foglie che ansimano/ sul cuscino/
i feti prodotti dalla polvere/le beatitudini delle ferite/le coltellate
infinite della lussuria/ e quel colare della luce che s’attorciglia/m’avverte
di arrivi nuovi/di fili spinati per recintare le emozioni.[8] Plana
egli stesso come uno sparviero sul male per estirparlo, per urlare al mondo che
si è raggiunto ogni villania. Se dovessi paragonare quest’opera d’arte ad un
capolavoro della pittura, che ancora più sinteticamente della poesia, possa
esprimere la catastrofe raccontata, mi viene da pensare a Guernica.
Quest’opera di Maffia si offre tutta per un grande spettacolo di
drammaturgia, per rappresentarla nella sua visionarietà, adotterei
l’opera del grande Picasso per le scenografie e lì farei troneggiare i Suoi versi. Come questa
immensa opera d’arte pittorica, così le parole
visionarie e furenti irromperebbero
con tutta la loro ferocia, come un bombardamento, contro la
perversione di questo tempo. I suoi
frammentari ottagoni di ossari
denunziano come la guerra immane dell’indifferenza, dell’odio e dell’invidia ha
debordato gli argini, invadendo le nostre vite e il nostro secolo sfortunato. L’immagine ultima del piego di copertina del libro rappresenta il viso di
Maffia come una maschera tragica del teatro greco-romano ( ci sono, invece, nel
libro altre fotografie bellissime che lo ritraggono con i più grandi del nostro
tempo) ; sono stata attratta da questa immagine; mi sono chiesta perché Maffia a conclusione di questo capolavoro ha
voluto trasformare il suo volto in una maschera ? Cosa vuole dirci? Dove vuole
arrivare? Quali armature nuove sta creando per la sua vita e per la sua Poesia?
Sconvolge questa maschera di dolore. E viene ancora da domandarsi quanto è duro
per il Poeta generoso e onesto vivere in una società di mascalzoni. Quanto è
grande nella sua coscienza e sapienza “convivere” con quanto ci sta accadendo,
sopportare nel dolore e nella solitudine quello che succede alla stessa Poesia, lordata
da poetucoli padroni delle pagine dei giornali, della televisione e dei luoghi,
che ignorano che Dio è molto avaro, concede solo ai suoi prescelti il dono della
Poesia.
Si srotola l’Opera di Maffia, come il rotolo di “ Pittura industriale” di 74 metri di Pinot Gallizio [9] e lo sguardo e le lacrime cadono anche sull’altro capolavoro di Gallizio de “L’anticamera della morte”[10].
Pinot Gallizio e le sue opere
Ma ciò che rende ancora più grande questo contenuto è l’uso di una parola d’ardesia, parola d’ardore, parola del silenzio, della condanna. Quando anche il mito rischia di essere distrutto da forze insensate, dalla selce che non smette di colpire, allora il Poeta non vede più la strada per salvare il mondo, tutto si confonde e la mestizia del silenzio ha il sopravvento; la pietra del cuore che ha battiti di parola si innalza sull’altare del deserto. La rottura col mondo non lascia speranza al domani, la fenditura è grande e la ricerca dell’anima è un calvario simile a quello di Cristo. E’ un’opera insolita questa del grande Maffia, ha innestato una lotta senza fine, una sfida sanguinaria contro la corruttela, la volgarità, le scritture approssimative e vaghe, contro i soggetti mitizzati oggi che ben poco hanno da dire, poiché la loro anima si è spenta da millenni nei burroni, nei valloni , nella melma dell’ipocrisia e del nulla.
L’opera ha tracciati molto
chiari, non c’è niente di enigmatico, anche la fosforescenza dell’allucinazione
si pone oggettivamente potente. Emerge in qualche punto, come un fiore nel
deserto, il suo candore, la sua purezza di Poeta che si commuove di fronte a
una foglia, pronto ad amarla ancora e a
proteggerla fino alla morte. Né si può negare il magnetismo della sua
scrittura, si legge e si rilegge e ogni volta il verso appare nuovo, ancora più
incisivo; la parola che ci racconta l’obbrobrio di questo mondo, la sentiamo
viva dentro di noi, scava analisi profonde sulle strade che stiamo seguendo, proteggendoci dall’arroganza di questo tempo più oscuro: la
sua è voce di vita; il rifiuto del male,
il coraggio di allontanarlo da Sé, non lo ha mai fermato: andare avanti da solo con i suoi furiosi
vessilli , mossi dal vento di Calabria, per poter essere altro dalla lordura; non
lasciarsi convincere mai da prebende ed onori. Si rigenera in quest’opera il
grande fascino della Poesia di Dante
Maffia, ha fatto compiere alla cometa
del verso una sterzata, un desiderio di cambiamento, affinché tutto il male
venga abbandonato; non l’ha portato al Capo di Buona Speranza, ma ci ha
regalato un libro per riflettere e forse salvarci.
L’”Inferno” di Maffia non ha niente da invidiare alla Prima
Cantica della Divina Commedia.
Di Carmen Moscariello
[1] Dante ;Maffia , Il suicidio, lo stupro e altre notizie, Dalla
mano di Dante Maffia… La poesia Pg209-211;
[2] Pensieri
e parole di Gabriella Montanari, pagina 7;
[3] opera
citata, pagina 120;
[4] Plauto,
Asinaria , (495);
[5] Michele
Sgro, Cacocrazia, malapolitica italiana e legge di prevalenza dei peggiori,
formato Kindle;
[6] Opera di
Lecomte du Nouy del 1870;
[7] Fu citato
in giudizio da Demostene, poiché lo
aveva derubato dell’enorme patrimonio che il padre gli aveva lasciato, quando
il grande oratore era ancora bambino; .
[8] Opera
citata, pagina21, prima parte
dell’opera: Il suicidio, spartito n.3;
[9] La dipinse
nel 1958, esposta ad Alba per la prima volta nel giugno 2012 ;
[10]
Installazione permanente ad Alba del 1964;
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