L’amore delle Somiglianze
DI
Carmen Moscariello
Vorremmo seguire in questo nostro studio su Antonio
Sicurezza un iter non ancora tracciato. Ossia collocare la sua vita e quindi la
sua arte in un percorso storico- artistico non del tutto estraneo ai suoi contemporanei.
Molto spesso è stato considerato, anche
da illustri critici, come una voce solitaria, o forse, a nostro avviso, “unica”,
del suo tempo. Dal momento che la sua arte e un binomio inscindibile con la sua
vita, cercheremo di capire chi era e chi è oggi Antonio Sicurezza.
Se ci incamminiamo verso la sua casa in Santa Maria La Noce e chiediamo di lui al popolino, tutti lo conoscono e lo ricordano nelle sue esperienze di vita quotidiana, lo raccontano con amore. Tempo addietro sono stata invitata da un alunna dell’allora Magistrale “Cicerone” a visitare la sua casa, poiché aveva da mostrarmi un quadro, qui in un umilissimo appartamento di Castellone troneggiava, come su un altare, un’opera bellissima di Sicurezza che raffigurava una donna giovane con capelli nerissimi, quasi gitana, la padrona di casa mi spiegò che lei aveva posato molte volte per l’Artista, quel quadro era opera di Sicurezza, la raffigurava ed era un dono del Maestro. E’, dunque, un artista che appartiene al popolo e abbiamo la presunzione di credere che questa “appartenenza” non gli sia mai dispiaciuta. Questo preludio andremo man mano a chiarirlo nel nostro scritto.
L’attitudine di ricerca di Sicurezza non va intesa in un
dualistico sentire di umano e divino , i due percorso si intuiano: ciò che è
umano è anche divino. Non solo le opere sacre, ma, ancor di più quelle più
reali quasi carnali, sanno di rarefatta limpidezza. Potremmo dire con Renè Chahar “Tu as diné de levain” (Tu ti
sei cibato di lievito), il lievito che ha nutrito la vita di Sicurezza è stato
in primis la passione ( ho chiesto al figlio Ammiraglio Eugenio Sicurezza, cosa
ricordava del Padre, mi ha risposto: “Ci mandava a prendere l’acqua giù a
Castellone, acqua che serviva alla sua pittura”) , ecco, Eugenio ci indica un primo tassello importante su cui il Padre costruirà
l’intera sua opera: la passione, la totale assoluta concentrazione sul suo
lavoro, questo avvenne fino ai suoi ultimi anni di vita. La sua passione fu
anche punto di partenza per una personalità solida, soprattutto onesta che non
si limitava alla conoscenza di fatti locali, abbiamo scoperto che fu
appassionato studioso e sostenitore di Adriano Olivetti (si faceva arrivare a
Formia la rivista -mensile di politica e cultura Comunità – Edizioni di Comunità, fondata da Adriano Olivetti nel
1942 ) condivideva le idee politiche e sociali di Adriano Olivetti e del Movimento “Comunità” che lo straordinario
personaggio aveva creato, circondandosi
del fior fiore degli intellettuali del tempo da Rocco Scotellaro, a Carlo Levi,
a Manlio Rossi Doria, Amelia Rosselli e tanti altri nomi illustri.
Prima ancora
dell’incontro col pensiero di Adriano Olivetti egli subì la guerra con i suoi
cari e con la popolazione di Castellone e di Formia; interrogando il popolino
abbiamo saputo che egli si mise a capo di un folto gruppo di persone che guidò
oltre la linea Gustav , verso la salvezza e che in quella occasione, battezzò un
bambino, nato sotto i bombardamenti (Già nel 1944 a Vibo Valentia aveva preso i voti di terziario
francescano, che confermerà poi a Minturno nel 1966 . Questo ci obbliga ad esplicare un
altro aspetto importante dell’uomo e dell’artista, egli fu terziario
francescano e come il grande Santo sposò la vita degli umili, d’altronde le
miserie della guerra e le sue condizioni economiche non certo floride lo resero
ancor più uomo di fede, passionevole nei confronti dei sofferenti. La sua arte
risente di questa sua profonda e ardita personalità, si nutre di spartiti in
oboe con punte di chiaroveggenza , brividi di armonica
bellezza , filigrana di colori forti e tenui, uno scorrere della vita e del
tempo in mistico chiarore. La
fibrillazione ansiosa della vita, che come testimonia la nipote Anna Luce
Sicurezza nel bel volume “Antonio
Sicurezza Temi sacri e religiosi”, di Ferdinando Buranelli, De Luca Editori
d’arte, maggio 2013 , non fu facile, i problemi economici non lo
assillarono , nel senso che relegò alla moglie……. tutte le problematiche materiali
della famiglia , che lo lasciò indisturbato nel suo lavoro d’artista, così i
figli, sapevano di avere in casa un uomo speciale e lo assecondarono
amorevolmente in tutte le sue esigenze. La lettura delle opere di Sicurezza, non solo
quelle a tema religioso mi fanno pensare all’enciclica di Papa Francesco “Evangeli
gaudium” 8 nn167;264) questo contenuto
si integra alla perfezione con quanto scritto da Benedetto XVI ,in “Vocazione
e santità toccate dalla bellezza” “Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti,
musicisti, pittori, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non
il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? (Papa Benedetto XVI)”La
vocazione è vivere con amore e offrire la propria testimonianza cristiana nelle
occupazioni di ogni giorno; questo ci aiuta a diventare santi , ad essere un
segno visibile dell’amore di Dio e della
sua presenza accanto a ciascuno di noi” (Papa Francesco) Sembra che il
Mastro anticipi e abbia in sé il credo dei due grandi Papi: ha saputo fare del quotidiano amore per gli
umili, per la natura e per Cristo una struttura
di bellezza, di armonia, di preghiera nelle sue opere. Avvicinarsi ai
quadri di Sicurezza distribuiti in molte chiese
è semplice, accattivante, non è necessario essere maestri di storia
dell’arte per sentire quel fluido misterico che lega l’uomo a Dio. Tante volte davanti
alla Madonna di Pompei , opera insigne del Maestro, posta nelle vicinanze
dell’uscita della chiesa di Santa Teresa a Formia, si avverte come una carezza
materna che ti consola dagli affanni. Un
battito silenzioso di pace, un tacere dei tamburi di guerra, una volontà
purificante, travolgente. La bellezza è una somma virtù è il trait d’union con
la bellezza cosmica e la grandezza di Dio: Sicurezza se non l’avesse avuta
dentro al suo cuore con radici profonde
e vibratili non avrebbe potuto donarci una simile opera. Davanti a capolavori
di tal fatta puoi intuire cos’è la grazia, sentirti sul punto di cogliere
quell’Assoluto Perfetto che solo l’opera d’arte ci può dare. Per opere sacre io
intendo anche le nature morte, il Maestro, come Giorgio Morandi,[1]
(Bologna 1890-1964) disegna oggetti, li accosta secondo il gusto, ma la chiave
di lettura non mi fa dire che io vedo
solo delle singolarità oggettive,
l’opera ci riporta a un’intelligenza originaria
a un Logos creatore in cui il
dualismo (ragione dell’uomo e oggetti naturali) si chiude in un abbraccio
inscindibile, tutto vive del Vero e del
Bene.
Il Vero e il Bene sono il pane quotidiano del Terziario,
quante volte propone nelle sue opere il pane, quasi ci voglia condurre a quella
tavola degli apostoli che nel gesto sacro di spezzarlo per donarlo, ci riporti
all’eucarestia. L’opera di Purificato non va letta solo nei segni, ma in quello
che lei rappresenta, in quali emozioni susciti in noi, sempre , anche se la
contempliamo una molteplicità di volte. Essa non ci stanca, ci affascina sempre
di più e ci porta a coniugare insieme la
teologia, la scienza della natura , la filosofia, la poesia. Lo spirito onesto
dell’Artista è concentrato in quella che
è la sua idea di Dio, di come egli intenda la vita lontana dalla mostruosità
delle guerre, dalla barbarie del potere, dal tragico odio che annienta. Il filo
conduttore della meravigliosa esperienza di Sicurezza è nella vita intesa come
pace, navighiamo come in un lago; non
mancano venti e burrasche. La nostra barca è quasi travolta dalle tentazioni di
ogni giorno. [2]Pur
tuttavia, pensiamo che l’artista viva
sulla propria pelle e, la rifiuti con sdegno, l’esperienza dolorosa della
guerra, l’arroganza dei potenti, certe volgarità umane dalle quali si tiene ben
lontano. L’Umile Dio dell’alba non si
piega a chiedere visualità, non si accosta ai grandi del tempo che vivono a
Roma e ottengono onori e favori, non aspira
a queste cose non sa cosa farsene. Vive
nel suo immaginario un percorso nemmeno dettato dalla propria ragione, ma
piuttosto è vissuto da un’ urgenza interiore che è quella del l’appartenenza alla grandezza cosmica. L’arte di Sicurezza ha
un risvolto etico profondo: è commovente pensarlo nella sua solitudine a
dipingere a donare le proprie opere per pochi spiccioli, pur sapendo che il suo
lavoro vale, vale molto. Ma, il denaro per un uomo come Sicurezza non ha vigore,
la povertà francescana non lo spaventa, anzi sceglie con lucida determinazione
questa strada.
E’ stato un uomo fortunato, non solo perché il buon Dio gli
ha dato il dono della lettura del Creato, ma anche perché ha avuto una famiglia
che lo ha assecondato in quelle urgenze, che lo poneva interprete di Dio
nell’arte, fortunato anche perché ha saputo scegliere senza infingimenti con
chi stare. La sua vita è prima d’ogni altra cosa un inno alla libertà, senza di
essa non si può essere Maestro , Artista, Poeta, Musico. Chi non possiede una
coscienza libera non ha nulla da donare, se non la vergogna di essere
servo. La sua malinconia del mondo
(anche questo sentire profondamente umano) ,che è difficile da leggere in quei
suoi colori vigorosi, è nutrita da questo lembo di cielo, da questa serafica
appartenenza alle cose. Non c’è niente di settoriale nei lavori di Sicurezza,
egli si volge al cielo , all’anfora, al girasole, alla barca , al cibo umile
dell’uomo sempre con identico serafico
ascolto. Non c’è nulla nella sua arte che faccia pensare the modern vice of unrest (al vizio moderno dell’irrequietezza)[3],
è il sacro che lo domina, o meglio la grazia agostiniana, per questi motivi
rimane estraneo all’arte dell’ irrazionale. Quindi, a nostro avviso, Sicurezza è
ben calato nel suo tempo, ne avverte tutta la fragilità e in base a quella
storia decide la sua strada , che ripeto essa non è solo una scelta artistica,
rimane inscindibile dal suo percorso di
vita. Da negare, però, con fermezza il catalogare genericamente nel “
realismo” la sua opera, l’oggettività è ridata alla luce, partorita e
rinvigorita da quei fervori francescani e cristiani dei quali dicevamo (il
realismo si limita a riprodurre fedelmente l’oggetto, non si pone il problema
della Grazia). Conoscendo la sua autenticità di uomo, non scelse certo di
prendere i voti di terziario francescano senza profonde meditazioni , la frequentazione dei frati Minori di Minturno
non è cosa occasionale o momentanea. La sua ricca fertilità creativa anche
quando deve rispondere ad opere commissionate dalla Chiesa o dai privati è
sempre autentica, come pure la sua capacità di rinnovarsi e di sorprenderci. Il
tempo non corrode il suo rapporto con gli oggetti, rimane vibratile fino agli
ultimi giorni di vita, la tempera e la spatola ( la sua esperienza materica)
alle quali ricorre negli anni maturi potrebbe far pensare a una certa rudezza
(che c’è), ma essa è spasimo, volontà dell’oltre, magnifica ricerca di Dio
nelle cose. La spatola diviene
produttrice di altri segmenti temporali, ama rispondere alla sua anima,
all’anima mundi dove egli proietta le sue passioni, le sue paure, il suo
orgoglio. L’ enfasi del bello si manifesta proprio nei colori e nell’uso della
spatola, così che, la pittura di Sicurezza non è placida munifica visione,
tantomeno è il Nothing , c’è invece una ricerca accurata, uno studio
particolareggiato di ogni soggetto, finanche la scelta dei “modelli” doveva
corrispondere non solo visivamente a quello che voleva raffigurare, ma anche interiormente.
Nella scelta dell’uomo che doveva posare per la realizzazione del San Francesco
della chiesa del Carmine, Sicurezza non si attiene soltanto alle sembianze che
lo accostino all’immagine del Santo, ma deve essere anche un uomo di profonda coscienza, un uomo che ha sentito Dio. La stessa scelta in quell’opera magnifica
che è ….e la vita continua (1978)
dove l’immagine della donna incinta (la nuora) è sovrastata dai cipressi (io sono come il cipresso verdeggiante/e
grazie a me tu porterai il tuo frutto[4](“l’albero
pizzuto dei morti”, come diceva la moglie di Sicurezza , l’albero in cui le
figlie del re Etocle di Orcomeno furono trasformate in cipressi , o quel Ciparisso[5]
( il più bello della gente di Ceo) di ovidiana memoria), questi alberi, non
quieti, mossi dal vento della vita
sovrastano ogni cosa del mondo, entrano di diritto, sacralmente nell’opera che
indica l’ultimo cammino dell’uomo sulla terra, quasi preveggenza alla sua morte
(1979).
Nessuno creda che si
possa staccare la Poesia e dunque l’Arte dalla vita[6], l’itinerario
catartico dell’arte di Sicurezza è
nel viaggio che fa compiere alla
materia, lo porta alla compensazione di
volume e luce, di quest’ultima è molto difficile stabilirne l’origine, perché
Egli possedeva il senso dello spazio e la luce poteva filtrare da ogni dove dal
palcoscenico che aveva allestito. La pregnanza lumistica , la ierofania,il
chiarismo sono per Sicurezza, come lo furono per Dante nella raffigurazione di
Beatrice, un modo di superare la materia, di trasformarla in hieròs . Dipingere la realtà d’ogni giorno è un fatto
umanamente profondo[7],reso
straordinario dal suo demon artistico
che è nella perfetta distribuzione della luce. Lo spessore di Sicurezza è anche
nella sua alta professionalità, egli usa in alcune opere la tecnica a guazzo
(gouache) che è estremamente difficile, poiché lo strato iniziale , se ben
fatto dà quella luce perlacea che è in ogni lavoro di Sicurezza, o, invece, determinare disparità, diversità di colori o
addirittura delle crepe, cosa mai notata nei lavori del Maestro.
Alla luce anche delle tecniche usate, per quanto i suoi
lavori possano sembrare oggettivi, incide nella
creazione la memoria della
Somiglianza, intendendo ciò che Platone ci ha dimostrato nel mito della
caverna, o come anche Munch ci insegna
riguardo alla sua pittura: ”Dipingo non
quello che vedo, ma quello che ho visto”. E’ la memoria, dunque, che
trasforma il creato in visione di
appartenenza , quindi l’oggetto elaborato dall’Artista, traslato dalla sua coscienza,
diviene amore delle Somiglianze da condividere con l’ umanità intera.
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