Eleonora Duse, “La Divina”
Eleonora, la grande tragica che D’Annunzio, suo celebratore e carnefice,
identificò con
l’emblema del “patimento creatore”, fornisce a Carmen Moscariello la materia di
questa pièce che credo di poter
collocare fra i più interessanti frutti della stagione letteraria in corso.
Evocare la Duse senza metterle accanto o di
fronte l’autore de Il fuoco (quel
D’Annunzio che fu suo amante, sempre in bilico fra l’ammirazione per l’attrice
ed un sostanziale rifiuto della donna, gracile e malata di etisia) sarebbe
stato un azzardo.
La Moscariello, non nuova a queste
appassionate rivisitazioni di personaggi femminili, sacri alla storia antica e
moderna dell’umanità, ha voluto che il messaggio esistenziale della celebre Lenor passasse attraverso l’esperienza
del suo amore per l’Immaginifico. Di qui la decisione di aprire larghi spazi al
Pescarese e d’illuminarne, con tocchi
rapidi ed incisivi, la personalità contraddittoria, con le sue cadute
nell’animalità dell’istinto sessuale, ma anche con le sue impennate verso le
plaghe della spiritualità e della poesia mitizzatrice.
Difficile era il governo artistico di due
personaggi così
complessi e sfuggenti, così radicati nel magma dell’esistenza e così protesi alla fictio di una vita ideale, così
pervasi di terrestrità e così disposti alla sublimazione onirica. Occorreva uno sguardo capace di
cogliere al fondo di tante incarnazioni effimere un nucleo morale stabile, da
assumere come chiave interpretativa unificante. In altre parole, si poneva la
necessità, per quanto riguarda la Duse, di attingere il segreto della sua
verità anche quando l’attrice continuava ad essere tale, pur essendo uscita
dalla finzione scenica, e per quanto attiene al D’Annunzio, occorreva rimuovere
le incrostazioni delle pose supero mistiche e dei cinismi d’epoca per portare
allo scoperto le fonti della più autentica ispirazione poetica ed i tratti di
un’umanità fragile, in fondo, e bisognosa di rifugi protettivi.
La Moscariello ha dimostrato di possedere questo metaforico sguardo che
giunge alle radici dell’anima e le abbraccia con trepida pietas. Lirica per vocazione, ella ha colto in questo suo dono un
rischio ai fini della strutturazione drammatica, e l’ha tenuto sotto controllo,
fino a quando le situazioni non postulassero l’abbandono all’onda spiegata
della poesia come ritmo e canto. Voglio dire che il testo in
.
questione attua la propria
articolazione teatrale anche attraverso inserti di situazioni e di dizioni
realistiche aspre e crude. Si veda l’incipit
dell’opera: quell’esplosione d’invettive di Maria Gravina, amante insaziata,
contro D’Annunzio, scoperto infedele
e si considerino anche gli
scatti della stessa Duse di fronte ai comportamenti del suo poeta, che in Lei
tradisce la donna e l’artista, ed ancora le aggressive rampogne di Matilde
Serao all’uomo che continua ad infliggere disastri morali e finanziari alla grande
attrice. In questi passi dell’opera la Moscariello si serve di un radicale
espressionismo in funzione felicemente caratterizzante, ma subito dopo, come a
garantire l’equilibrio tonale dell’insieme, inventa un dialogo tra i due
amanti, che ha la grazia di una indubbia conquista poetica su registri sommessi
e come incantati.
Questi momenti pervasi dalla pura liricità
lasciano prevedere il tema del finale trionfo ed illusorio movimento di ombre.
Ma di un altro elemento la Moscariello si è giovata per garantire alle sue
“Drammatis personae” attendibilità storica. Questo elemento era il più carico
d’insidie, identificandosi con le citazioni di epiteti o di frasi intere
trasferite dalle opere del D’Annunzio o dalle arruffate lettere di Eleonora.
Un’autrice sprovveduta non avrebbe evitato le trappole del collage e del
plagio; la Moscariello, invece, è stata molto abile ad evitare quelle due
insidie, incastonando con vigile senso dell’opportunità il materiale di riporto
o, più spesso, utilizzando con personale fantasia.
A ripercorrere il testo di questa autrice,
il lettore difficilmente dimenticherà l’ultimo atto, che dà rilievo di statua
sacra alla Duse, ma altresì umanizza la figura del D’Annunzio che alla grande tragica chiede il
sostegno di una comprensione materna.
All’ombra della donna da Lui umiliata ed
offesa in più luoghi de Il Fuoco ora
il Poeta potrebbe dire quel che disse
alla madre in una celebre lirica del Poema
Paradisiaco:
L’anima sarà semplice com’era
Ed a te verrà, quando vorrai, leggera,
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