1.Spettacolarità figurale, pervasività erotica del tratto, sontuosità cromatica. I quadri di Soscia sono a tal punto pervasivi da provocare nello spettatore una sorta di estasi percettiva, un disancoramento, uno stupore. In sovrappiù, “a prima vista” (momento fondante dell’esperienza estetica) restituiscono un microcosmo compiuto abitato da un numero limitato di oggetti, di animali, di piante, con al centro la figura umana. Questo universo antropocentrico appare autosufficiente e nel singolo quadro spesso fissato in una chiusa e splendida immobilità senza tempo. Le sue configurazioni non posseggono alcun riferimento ambientale e in esse si annulla lo stesso gioco dei piani prospettici. E’ un microcosmo stabile e ordinato che permette l’immediato accesso a un’esperienza che riguarda essenzialmente la visione.
2.Lontano dal quadro, però, al riparo dalle lusinghe della visibilità, chi conosce la produzione di Normanno Soscia dai suoi esordi degli anni sessanta, sa che questo mondo, all’apparenza immobile e chiuso, è in realtà un campo aperto attraversato da forze e conflitti, che accoglie, seppure in modo discreto e selettivo, le cose provenienti dal mondo reale. Prima di entrare in un quadro di Soscia, un oggetto, una forma (animata o inanimata) viene sottoposta a un’appropriazione stilistica, subisce cioè delle trasformazioni, sia morfologiche che funzionali, generate in particolare dall’influsso esercitato dalle cose contigue preesistenti. Tali mutazioni rispondono a una logica di sistema. Il metamorfismo investe in modo significativo la figura umana.
3.Soscia non ha mai inventato un oggetto. Quelli che popolano i suoi lavori li ha estratti e ricollocati (perciò, tali oggetti hanno sempre la doppia valenza di oggetti reali e di oggetti astratti, nel senso letterale di ricavati, tolti dal mondo reale). Ricollocare implica l’inserimento dei simboli in un ordine di relazione, in una langue, in cui le figure si determinano, si rendono disponibili alla combinazione. Un quadro di Soscia è allora ciò che nel sistema lingua corrisponde alla parole, cioè alla concretizzazione, al costituirsi materiale dell’atto linguistico. In effetti, gli oggetti-simbolo configurano micro-costellazioni semantiche, inaspettate concrezioni concettuali che danno sostanza al microcosmo.
4.Una peculiarità del sistema è di organizzarsi in configurazioni autoriflessive (lo specchio è una figura centrale nella poetica sosciana). Nel quadro Transumanza gli oggetti-simbolo – caprone a rotelle, donna in piedi sulla groppa del caprone, palma, figure umane – si stagliano su uno sfondo – la facciata di un antico palazzo – che altro non è che una quinta, una finzione (svelata dal cielo nelle finestre). Si potrebbe osservare che la figurazione di Soscia si sviluppa su un duplice livello: quello in presenza della figura esibita e quello in assenza, sottostante e retrostante, della costruzione. Il livello costruttivo però è “scandalosamente” consegnato alla visibilità, è esposto attraverso la deformazione, l’ellisse, il dettaglio, il mirato intervento di manipolazione, è insomma inscritto nella figura. Le figure di Soscia, soprattutto le figure umane, fagocitano il referente da cui derivano (l’uomo reale), lo vampirizzano e tentano di vivere nella dimensione solida che assegna loro il sistema. L’essenza del microcosmo sosciano è l’esibizione della propria artificialità. L’essenza degli oggetti-simbolo è cioè pittorica, lo stile ha dato loro una nuova identità plastica che, oltre alla forma, investe il colore. Benché splendenti e diurni, i colori di Soscia appaiono come impuri, terrosi, corporei più che spirituali, concreti nella loro tensione espressionistica antimimetica. Così le figure di Soscia possono campeggiare, in sfida alle leggi del mondo reale, proprio perché la natura artificiale che li sostiene e che fa di loro il suo segnacolo (si veda la figura con il vestito giallo in Tavolata con donna greca).
5.Nella ricca produzione pittorica di Soscia è possibile isolare alcuni lavori che hanno una funzione di ricapitolazione (tendenza che si registra anche nel ciclo “conviviale” e nel ciclo “portatori di madonna”). Si tratta di complesse composizioni in cui molteplici figure tentano di restituire una visione compiuta dei motivi e delle forme che in un determinato momento della ricerca pittorica hanno raggiunto stabilità, riconoscibilità figurale. Tali composizioni sono dotate di un alto tasso di esponibilità, le figure che vi compaiono sembrano maggiormente tese a farsi vedere, a esibirsi più che a stabilire connessioni. In queste opere la tavolozza del pittore si squaderna in tutta la sua estensione e potenza cromatica. La dialettica sofferta con il mondo è come definitivamente sospesa. Il sistema, nell’estremo tentativo di emanciparsi dal mondo, mobilita tutto il suo materiale, lo espone, restituisce il meccanismo completo del suo funzionamento, la sua ricca articolazione.
6.Ma accade il paradosso: nel celebrare la solidità del sistema, se ne denuncia l’irrimediabile artificialità. In Pescatori di sirene la visione d’insieme cede, incrinandosi, all’osservazione particolare; l’intero cede al frammento, la visione scorciata alla frontalità, il dinamismo alla composizione alla fissità della rassegna. La configurazione non inclina alla prefigurazione, ma tende alla cristallizzazione fotografica. Le figure non sono colte nel loro divenire, ma nella loro irriflessa e fonologica sostanza. Il convenire plurale si rivolta all’identico. Così, nel quadro-mondo la coralità, per converso, rivela l’essenza indeclinabile delle stesse figure che la compongono, ciascuna avvolta nel proprio involucro simbolico, rinchiusa a sé stante. In questo quadro l’autoriflessività è messa a nudo dalla cucitura (vero e proprio punctum, puntura, ferita) che impedisce all’arca di spezzarsi in due.
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