Un'azione teatrale divisa in quattro quadri. Uno scandaglio di profonda attualità nel tempo dell'Italia berlusconiana. Un mondo di bruchi di cinica e spietata intelligenza (nell'Italia meridionale con il termine d'origine tardo-latina "campe" si indicano i bruchi). Un ritratto estremo di un paese che naviga verso la deriva. Un trionfo di voci, echi, sussurri e grida abitano Le Campe al Castello. "Un testo terribile - scrive nella prefazione Vanda Monaco Westerstal - una crudeltà fredda dalla quale è difficile staccare lo sguardo eppure leggendolo, l'occhio e l'orecchio scivolano su lame affilate. Sì anche l'orecchio nel quale risuonano i linguaggi diversi dell'Italia d'oggi, che Ugo Piscopo, attraverso un complesso gioco di accelerazione e decelerazioni, pause e ritmi, trasforma in linguaggi drammaturgici. (...) L'autore compie un gioco di prospettiva, come avviene in un testo teatrale che sia appunto teatro, e qui il gioco è atroce. Piscopo pone davanti all'occhio-orecchio del lettore il politically correct mescolato a svolazzamenti burocratici tipo toni cortesi, grazie, prego e così via, per fabbricare un sipario leggero e trasparente, che lievemente ondeggia in gonfiori di attesa.
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