mercoledì 23 dicembre 2020

 








Dagli scaffali della biblioteca

di Nazario Pardini

Letto da Carmen Moscariello

Voci dalle foglie di un libro

 I poeti riescono a tessere con aghi d’oro sciami di nidi, a costruirseli anche su punte di abissi, a stringere in una mano gli amori, a posarli sul cuore a raccontarli alle stelle che incantate ricoprono le parole con sciami  di astri lucenti.

Sorprendente, come in versi a volte tristi, come li ho riscontrati in alcune poesie di Nazario Pardini, soprattutto in quest’opera recente, nonostante tutto,  la vita faccia sentire tutta la sua bellezza e il suo incanto. “ Dagli scaffali della biblioteca”, questo titolo molto oggettivo e pragmatico, diviene un centro di grande creatività, Un musical Play,  è una commedia musicale ritmata, portata avanti non solo dal Poeta, ma, con  lui ci sono i più grandi rappresentanti della cultura. Non manca nessun  autore,  soprattutto a farla da padroni sono  i poeti: c’è Leopardi, Saba, D’Annunzio, “il grande forgiatore/ di lessemi  e stilemi [1] ; dai libri, come da un palcoscenico esce il meraviglioso sguardo di Pavese[2], l….Si udirono  chiacchiericci e frecciatina fra i componenti della biblioteca;/ Leopardi con Manzoni, Cardarelli/con Pavese, Catullo con D’Annunzio…e tutti esprimevano pensieri/sul mondo e le vicende che toccavano/ la loro singolare situazione.[3] C’è anche il quaderno con le pagine aggrinzite che chiede una favola al Poeta , un quaderno da riempire con una favola bella, purtroppo non a lieto fine, poiché la morte ghermirà impietosa alcuni dei personaggi più importanti e più cari alla vita del Poeta.[4] In pochi versi Pardini raccoglie la propria vita e la semina su un prato pieno degli odori del sacrificio e della terra del Padre, di una vita di campagna dove l’amore è il grande sovrano. In molti passaggi l’opera vibra,  è jazz con trombe e tromboni, dove il contrabasso urla il suo dolore. Un dolore che sale dalla stiva e racconta al mondo il sacrificio che la vita di un artista impone ad ogni attino. La famiglia dei sassofoni, attacca un blues, per poi passare senza iato allo spiritual.  L’opera di Nazario non è un gioco di teatro e di rappresentazioni, egli  ci mette davanti a una grande lezione: i libri  sono, per un Artista come Lui,   il pane quotidiano, nel senso più sacro: lo sono per chi li scrive, ma anche per chi li legge. E un poeta in ogni libro letto troverà una traccia di sé e in  quelli  da Lui scritti c’è un seme da consegnare al futuro. Nel suo grande cuore, Nazario Pardini  ha tanti amici, egli ha la fortuna di colloquiare con essi, formare con strumentazioni ardite e delicate un’ ensemble. La Poesia poi fa in modo che un granello diventi impeto, passione: un poeta non è mai solo, seppur canta la solitudine. In quest’opera,  la vera protagonista è la vita che  perfora le pagine dei libri ben allineati nella biblioteca. Si colgono nella scrittura e nel racconto teatrale più tecniche che vanno molto oltre la compilazione della storia e la struttura dei versi. Tutti sappiamo ed esaltiamo la bellezza e la passione per il mondo classico del Pisano, che sa portare la sua poesia su più toni, come ho già detto, toni che si mescolano allo spiritual e, diventano all’interno di certe strofe, crepuscolari, senza per questo perdere fascino. Un crepuscolarismo che Lo avvicina a certi poeti fiamminghi o anche ai pittori Primitivi fiamminghi, Egli è insuperabile nel creare icone o trittici. Della Poesia di Nazario Pardini, mi piace pensare che  essa è un autunno con foglie arancioni , gialle oro, foglie color indaco  che cadono lente come le notti e i giorni, gli incontri e gli amori, la musica e la poesia. E’ struggente leggere i suoi versi, essi   hanno anche la  levità, la purezza e il   rigore di chi alla Poesia ha dedicato la vita.   La cosa sorprendente è che in questo crepuscolo, pari  ai  boulevards parigini, a fine agosto, con l’estate che finisce e l’autunno e l’inverno che incalzano,  converga il  dolce colloquio delle foglie, quasi tutte cadute, eppure esse non hanno perso il loro raccontarsi, il cantare storie di nostalgie lontane, così intense che appaiono come vissute or ora. Così è la Poesia di Pardini, così  i suoi libri stipati a migliaia nella sua grande biblioteca pisana. Quante volte, mi interrogo sulla grandezza di certi poeti che  sanno creare il miracolo di un colloquio intenso ed eterno con le cose, non solo con la natura o gli uomini , ma anche con gli oggetti. I libri di un poeta sono la sua vita, il suo passato, il suo presente, il suo domani. Ma, il genio di Nazario ha fatto si che in quest’opera, gli autori dei suoi libri, uscissero dal silenzio delle pagine e creassero intensi colloqui con gli altri autori che non sono spiriti parlanti, ma uomini  in carne ed ossa, che non hanno perso per niente la loro forza creativa , né i loro caratteri hanno ceduto alla noia. A volte, si  rinfaccia ai poeti il tedio, la vicinanza scomoda con il dolore e la solitudine e si dimentica che  con i loro versi, noi voliamo verso un paradiso azzurro che rivela la divinità che è nell’uomo, è di questa divinità che ci fanno dono. Mi chiedo che cosa può fare la Poesia? E’ lei che dà la vita? E’ possibile che sappia trasformarsi in sangue e cuore palpitante? E’ questa la storia dei grandi Poeti? E Nazario Pardini lo è nella sua gentilezza di uomo, nel suo ardore di Poeta, nelle sue circostanze musicali, sempre presenti nella sua Poesia, anche quando non ne parla espressamente. La sua arte tocca infiniti tasti dalla natura all’amore, dagli stilemi della morte al candore della meravigliosa esperienza del vivere.

Nazario Pardini, “Dagli scaffali della biblioteca”, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano novembre 2020. Alcyone 2020.



[1] Canto XI pg. 49

[2] Canto XIII pg.42

[3] Canto XV pg.57

 

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