NAZARIO P. LEGGE: "VOCI MISTERIOSE" DI CARMEN MOSCARIELLO
Voci misteriose
In viaggio verso
la verità
|
Carmen Moscariello, |
Carmen Moscariello. Artista di lungo corso, con alle spalle pubblicazioni prefate da critici
di valenza esegetica. Fondatrice e presidentessa del Premio Letterario Tulliola
Renato-Filippelli. Una poesia nuova, la sua, accalorata, intima,
ricca di pulsioni emotive e di rocambolesche invenzioni stilistiche. Una
poetessa adusa alla scrittura, polivalente, versatile, che
declina la vita in arte e l’arte in vita. Una successione di
vicissitudini passionali che nel loro distendersi reificano stati d’animo di
ampia elasticità epigrammatica. Ho letto più volte la sua poesia e più volte mi
sono emozionato; qui sembra che la scrittrice si stia rinnovando, stia
avviandosi su nuovi percorsi alla ricerca di espressioni più ampie e più
appaganti la sua necessità esplorativa. D’altronde durante il percorso del
nostro epistemologico nostos, durante il perpetrarsi della nostra storia, tante
sono le varianti che si alternano, che si combinano per alimentare stilemi che
concretizzino la nostra evoluzione ontologica. Questo è uno stadio della navigazione
della Moscariello. Una navigazione verso un porto di difficile ancoraggio per
noi umani insoddisfatti del nostro esistere, e sempre vòlti ala ricerca di
qualcosa che appaghi la nostra inquietudine esistenziale, il nostro
disagio di fronte al tutto. E’ così che si naviga, che si
azzarda, che si affrontano rotte diverse per raggiungere quel porto,
che forse nemmeno esiste. Questo è lo spirito dell’arte, provare dentro noi la
voglia di andare anche di fronte a trabucchi e scogli che potrebbero scassare
la nostra imbarcazione. Il viaggio che intraprendiamo è quello di uno spirito
disposto al superamento della nostra fragilità, a consumare le energie seguendo
una rotta non sempre definitiva. E la rotta di Carmen questa volta è ardua e
intrepida. Deve superare scogli appuntiti, nebbie offuscatrici; ma Ella lo fa
con una imbarcazione agile e robusta, dove i remi della sua forza scritturale
sono pronti a fendere le onde; a rivelare tutta la sua energia nel proseguire.
La forma varia e articolata si adegua a stati d’animo ora impetuosi,
ora calmi, ora ironici, ora diretti, ora indiretti ma sempre chiari
e lampanti, attivi e conclusivi; sempre pronti a indagare le parti più segrete
del nostro esser-ci. Tante le motivazioni che danno adito a diverse chiavi di
lettura: naturalistica, autobiografica, psicologica, sociale, umana,
esistenzialistica: il mistero, il perché, il quando, il dove… E
sempre la scrittrice concretizza abbrivi e sentimenti in uno stile forte e
robusto; ora apodittico, ora ampio e ipertrofico, soprattutto nei momenti in
cui l’abundantia cordis ha necessità di spazi per soddisfare le sue
confessioni: la Pizia, la poesia, l’acqua che avvolge e che scorre, il flusso,
l’amore, la storia, i meandri della vita, il mistero che li avvolge. Una vicenda
poetica au rebours, dove la poetessa cerca con indagine perlustratrice di
giungere a capo della sua ricerca meditativa. E tutto è motivo di tormento e di
inquietudine in questo diluirsi del tempo in un’acqua che si fa
metafora di un’esistenza precaria e fittizia: “… La Pizia illuminata dallo
splendore e dalla fratellanza delle forme dell’universo non può fare
a meno di ascoltare i chiari e oscuri rumori dell’ acqua che allaga e invade,
distrugge, rinasce, purifica, infanga.
I versi serpeggiano i viottoli
della morte, si fluidificano in antiche nenie, ponendo la vita come
protagonista dell’universo poetico. La
Pizia presaga, sull’altare del tempo, inaudita, dà i suoi
oracoli e irradia bellezza, preghiera, verità.”. Bellezza, verità, preghiera, fratellanza.
Questi i cardini su cui poggia lo spirito poetico di Carmen, che
segue il corso dell’acqua levando la testa per gridare
la valenza dell’esistere. Il tragitto non è sempre facile come non
lo è la vita in tutta la sua impostazione; ma l’insieme poetico, attraverso i
vicoli della morte, contempla l’universalità e l’armonia; una
armonia in cui la vita stessa è protagonista. Una visione estremamente positiva
di questo nostro soggiorno in cui l’uomo si fa artefice e pedina del tutto. Seguiamo
il suo cammino: “… Gli inerti giorni sono prigionieri delle ombre/I figli
dell’acqua bisbigliano a monte/ poi il boato di fango irrompe, il suo unguento/
cancella la notte”. Ombra, luce, notte, fine, inizio; finché è il chiarore a
esplodere con tutta la sua lucentezza in questo divenire di metafisica
ascensione. Ma è con il vivere, con i sobbalzi dell’amore, con la forza della
crescita che si acchiappa la cima: “… Devo studiare la via dell’immagine/
dell’acqua mi è necessaria dunque/ la poesia per rendere il suono/
della mia sorgente del mio paese all’ombra/ dei castagni del canto
degli uccelli”. E’ con lo studio delle immagini, con l’ausilio della poesia,
con il ricordo delle radici che si ascoltano i suoni che ci fanno vivi. Un
lirismo di simbolico effetto visivo, dove sono le sensazioni, i tocchi fugaci,
le carezze delle foglie, a rendere la trama significante. Non c’è bisogno di
riassumere, di sintetizzare, qui tutto è demandato a impulsi sensoriali, allo
sciogliersi dei segreti: Non ha più
segreti. “Levigava la nebbia litanie in foglie/ di
pensieri non proprio felici/mantello d’alba/ la pioggia in sinfonia/ alle
galoche giocava/e musicava dentro le tue carezze// medicamenti ai fuochi del
mare/ nelle tue foglie raggiate ci sono//i tuoi silenzi, il tuo amore”. Una
corsa verso il mare, l’estensione, la larghezza, la purezza, dove trova respiro
l’amore; dove la musicalità, tipo Serenade di Schubert o Notturno di Chopin,
accompagna un epifanico volo oltre lo spazio e il tempo: en haut, al di là
delle percezioni umane. Direbbe Verlaine “Le ciel est par-dessus le
toit”. E si sa che per toccare le vette della
meditazione; per avvicinarsi il più possibile all’inarrivabile occorre passare
dalle stazioni della vita, da Scene di ombre perdute: “Non seppe districare il cammino/dall’
estuario si intravedeva la neve ammantata/ di fiaba/ tra
i rami dei castagni pendevano parole di vento/ il silenzio soffiava
senza clemenza”; dal simbolico torrente che score come un fuoco a scatenare incubi da cui solo l’immagine
della madre può liberarci: “Il mio torrente è sapiente, calibra/succhia la sua
porzione di mondo, di terra e di acqua/e scorre come un fuoco i suoi
prodigi/ mi tengono sveglia l’intera notte/come se mia madre venisse/ con i
suoi sogni appesi al mio canto/ a consolarmi e dirmi
ancora: “non siamo fugaci, né cenere d’addii””, e dove il senso di fugacità
dell’esistere e il dubbio del nostro ruolo nel mondo la fanno da padroni in una
corsa senza sbocchi sicuri. Finché la quiete prepara il letto giusto su cui
poter riposare e saziare le nostre brame di ricerca; là in braccio
ad un fanciullo; in preda al suo morbido calore. Scrissi una volta in un mio
poemetto tratto da I DINTORNI DELLA SOLITUDINE: “… Ma quando scorsi i
tratti del mio fiume,/la casa stretta delle mie memorie,/ e i prati sanguinosi
della sera,/ forse non era luce,/ forse non era quella che io bramavo,/ ma pur
sempre la luce, quella chiara,/ quella di casa mia./ Chi dice che non fosse/
quella che io cercavo.”; è quella la luce della verità, la stella polare del
viaggio di Carmen Moscariello; è là che trova le radici, la quiete e l’approdo
della sua lunga navigazione.
Nazario Pardini
Pubblicato da nazariopardini a 01:42
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